La crisi attuale mondiale del capitalismo non si risolve “come
nel passato” e non si vede effettivamente quando potrebbe finire,
se mai finirà, e su questo cominciano ad avere seri dubbi tutti dai
premi nobel dell'economia ai capi di governo, tranne Letta, quello
che si applaude da solo, e quel povero cristo del suo ministro
Saccomanni che per regalo di fine anno potrebbe ricevere una raccolta
delle fesserie che ha sparato in questi mesi.
Quello che è sicuro è che come in passato nella crisi i
capitalisti, come classe, si arricchiscono e i proletari, come classe
si impoveriscono, come oramai si dice: i ricchi diventano più ricchi
e i poveri più poveri...
Questo divario viene ogni giorno “certificato” dagli stessi
borghesi sia in Italia che all'estero con i loro centri studi,
compreso quelli degli sfacciati sindacati confederali, Cgil Cisl e
Uil, che sono causa di questo peggioramento.
In un articolo di Plus24 – Il sole 24 ore del 28 dicembre, viene
presa in considerazione questa crescita dei profitti e la caduta dei
salari in particolare negli Stati Uniti (la “democrazia” del
“sogno americano”, dell'“opportunità per tutti” ecc. ecc.
presa a riferimento da tutti i politici cui piace riempirsi la bocca
con questa parola) con l'aiuto di un grafico.
Dice il nostro giornalista che si crede economista, pensando di
aver scoperto l'acqua calda: “Una delle fattezze dell'economia
americana che più preoccupano sta nella distribuzione del reddito:
si è andata facendo più diseguale, e non da oggi.” E mostra
questo grafico che spiega bene visivamente quanto sia grande la
diseguaglianza nella distribuzione “capitale- lavoro” cioè tra i
profitti dei padroni e i salari degli operai per cui “bisogna
tornare agli anni Cinquanta per trovare dati più sperequati.”
Dopo gli anni Cinquanta, grazie ai “miracoli” della
ricostruzione dalle macerie della guerra (distruzione di uomini e
beni materiali), per sintetizzare, riprende la produzione e
riprendono le lotte operaie che portano all'aumento dei salari. Ma
quand'è che cominciano a cambiare le cose? Dice il giornalista: “Se
si guarda ai diversi decenni, si nota che il movimento sfavorevole ai
redditi da lavoro è cominciato con l'inizio degli anni novanta...”.
E questo, aggiungiamo noi, vale per gli Usa ma anche per gli altri
paesi imperialisti, i cosiddetti paesi ricchi o sviluppati; e perché?
“in quel periodo miliardi di lavoratori (dall'ex-URSS e da Cina
più India che abbandonano lo statalismo) entrano nell'economia di
mercato” e, quindi? “e, come da manuale, abbassano il prezzo del
lavoro.” Come da manuale? Sì, perché nell'economia capitalistica
più operai ci sono sul “mercato” pronti a vendere la propria
forza lavoro ai padroni più il padrone può scegliere e scatenare la
concorrenza tra gli operai per abbassare il salario. E “Allo stesso
tempo, un lavoro meno caro, la rivoluzione della telematica e le
opportunità della globalizzazione aumentano i profitti.”
La crisi è così grave che gli stessi capitalisti non solo
vorrebbero capirci di più ma cercano in qualche modo di trovare una
soluzione: qualche paese pensa all'introduzione del salario minimo e
altri a stimolare l'aumento dei salari, (Germania, Giappone,
Cina...), e tanto che il giornalista annuncia addirittura che “Nel
prossimo appuntamento guarderemo a una possibile inversione di questa
tendenza.”
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