da radio Fujiko
Buona parte delle polemiche scaturite dagli scontri di sabato
scorso a Bologna in occasione della manifestazione per avere verità
e giustizia per Ramy, il 19enne morto a Milano a
conclusione di un inseguimento dei carabinieri, è basata su una
autentica menzogna.
Se è vero che ci sono stati cassonetti
incendiati, barricate nelle strade e danneggiamento di vetrine, non è
assolutamente vero ciò che molti organi di informazione nazionali
stanno ripetendo come un mantra senza aver assolto l’obbligo
deontologico della verifica delle fonti, cioè che qualcuno abbia
realizzato un assalto alla sinagoga di Bologna.
Sabato a Bologna non c’è stato alcun assalto alla sinagoga
A chiarire che sabato scorso non c’è stato alcun assalto alla sinagoga né altri fatti di matrice antisemita è stato ieri lo stesso questore di Bologna, Antonio Sbordone. Nessuno è entrato nel luogo di culto della
comunità ebraica, né dall’ingresso principale, né dal retro, in via De’ Gombruti e le scritte fatte sui muri non manifestavano alcun intento antisemita.A raccontare ai nostri microfoni il contenuto delle scritte è l’avvocata Marina Prosperi, che passava nella zona della manifestazione per caso, dopo una cena, perché residente in quella zona. «Le scritte, che ho fotografato stamattina, si fermano molto prima dell’ingresso posteriore della sinagoga e parlano di verità per Ramy e per un fatto analogo avvenuto a Nanterre. Inoltre c’è solo una scritta “Free Gaza”».
Prosperi, che è capitata in quelle strade proprio nel momento
acceso dello scontro tra manifestanti e forze dell’ordine, racconta
che la situazione è degenerata quando la polizia ha armato per
lanciare lacrimogeni nella via stretta. È invece categoricamente da
escludere che qualcuno volesse prendere di mira la sinagoga o altri
spazi della comunità ebraica.
«In quella via c’è appunto
l’ingresso posteriore – sottolinea Prosperi – e non c’è
nessun cartello o indicazione della sinagoga. L’ingresso
principale, dove è presente la stella di David, è su un’altra
strada e quando sono arrivata il corteo c’era già passato e non è
successo assolutamente nulla».
Se, come sembra, i manifestanti nemmeno fossero a conoscenza della
presenza della sinagoga in quella via, come è possibile che la
notizia sia diventata quello che è stato definito un “assalto alla
sinagoga”?
Le ragioni possono essere diverse e la confusione
dei primi momenti è stata amplificata dalle testate nazionali che
hanno rilanciato la notizia senza verifica, innescando un riflesso
condizionato di espressioni di solidarietà e condanna
dell’antisemitismo dei leader politici nazionali di ogni
schieramento.
Un contributo, in questo senso, lo ha dato lo stesso sindaco di
Bologna, Matteo Lepore, nel comunicato stampa diffuso domenica
mattina. Lepore ha scritto testualmente: «Particolare preoccupazione
va espressa per gli atti vandalici e le minacce contro la Sinagoga di
Bologna, per la quale esprimo la mia solidarietà alla comunità
ebraica».
Da lì è nata la convinzione che la sinagoga fosse
stata proprio un bersaglio della violenza dei manifestanti e le prime
dichiarazioni del presidente della comunità ebraica Daniele De Paz
hanno alimentato l’erronea lettura. «Un attacco grave, fatto con
la consapevolezza di quello che c’è in via de’ Gombruti, un
attacco di persone incappucciate che avevano l’intenzione di
attaccare la comunità ebraica. Quello che succede a Bologna non
succede in nessuna altra città italiana», ha detto De Paz. Che poi
ha aggiunto: «esporre in Comune la bandiera palestinese porge il
fianco a chi vuole attaccare la comunità ebraica. Il sindaco Matteo
Lepore deve togliere quella bandiera per una questione di sicurezza
pubblica».
ASCOLTA LA CORRISPONDENZA DI MARINA PROSPERI:
Chi sono i “maranza”, come si muovono e perché
A colpire nella composizione della manifestazione di sabato scorso
è stata l’ingente presenza di giovanissimi in piazza. Un fenomeno
che si fa sempre più frequente a Bologna e anche in altre città
italiane.
La loro presenza non appare organizzata, ma sembrano
muoversi in modo spontaneo e istintivo, contravvenendo anche alle
regole non scritte dei movimenti nel rapporto con le forze
dell’ordine. E proprio queste ultime ora appaiono in difficoltà a
stabilire la responsabilità dei gesti più estremi, proprio perché
compiuti da persone non riconducibili a organizzazioni note.
I giornali hanno definito questi giovani come “maranza”,
un’espressione in voga nei gerghi giovanili. Ma chi sono? Lo
abbiamo chiesto a Amir Issaa, rapper romano e autore
di una nota editoriale al libro “Maranza di tutto il mondo,
unitevi!” (DeriveApprodi, 2024) di Houria Bouteldja.
Ai
nostri microfoni Issaa spiega che quel termine è sovrapponibile a
quelli utilizzati in passato per identificare gruppi di persone, come
“terroni”, “zarri”, “coatti delle periferie” o “tamarri”.
In questo caso sono i media a utilizzare l’espressione “maranza”,
che ha una valenza anche razzista e classista, proprio per
identificare i giovanissimi, spesso di seconda generazione, delle
periferie.
Il rapper però spiega anche le dinamiche con cui questi ragazzi si mobilitano, che sono molto diverse dalle forme della militanza per come l’abbiamo conosciuta. «Scendono in piazza in modo istintivo, quando si sentono toccati da una casa, ma non necessariamente sentono l’appartenenza a un centro sociale o un movimento – spiega Issaa – Nel 2025 non possiamo più utilizzare le categorie del passato, chi fa politica lo fa in modo diverso, più istintivo appunto. Le stesse persone che sono scese in piazza oggi, magari non sono scese in piazza tre mesi fa, perché la causa del momento non li toccava».
Quanto alle ragioni della rabbia che esprimono in modo violento in piazza, quali sono le ragioni? «Quella che stiamo vedendo è un’escalation, non possiamo fingere che nasca oggi – spiega il rapper – fare finta che queste persone non esistano è sbagliato. Quanto tu ti senti negata la cittadinanza italiana, sei emarginato, non vedi un futuro davanti a te, sei sempre nel mirino, perché la profilazione razziale esiste in Italia, non giriamoci intorno, è normale che cresca la rabbia. C’è una disparità a livello sociale ormai enorme e la vedo anche quando vado a lavorare nelle scuole, ad esempio gli istituti tecnici o professionali: il 90% dei ragazzi è di seconda generazione, quasi come non si veda ancora in Italia la possibilità che un ragazzo che ha genitori immigrati possa diventare avvocato o dottore».
Tuttavia Amir Issaa è ottimista sul futuro. «Questa cosa
cambierà, come è già cambiata in altri Paesi – conclude –
Questo cambiamento va accompagnato, non va combattuto, perché queste
persone, in tanti casi, si sentono parte di questa società e stanno
protestando perché non vedono riconosciuti i loro diritti».
Sulla
stessa scia, nelle ultime ore, sembra essersi sintonizzato lo stesso
Lepore, che dopo le prime dichiarazioni scandalizzate e dure, ha
invitato i ragazzi delle seconde generazioni e quelli che erano in
piazza a parlare a Palazzo D’Accursio.
ASCOLTA L’INTERVISTA A AMIR ISSAA:
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