sabato 18 gennaio 2025

pc 18 gennaio - La scuola coloniale e classista di Valditara. Un'operazione politica, ideologica e pratica di affermazione di una scuola classista-razzista-imperialista

di Maurizio Disoteo 


Hanno destato stupore e non poche polemiche le dichiarazioni del ministro Valditara sulla imminente revisione delle Indicazioni nazionali per la scuola primaria e per la secondaria inferiore. Si tratta di discussioni e valutazioni che per il momento si fondano solo sulle parole del Ministro, dato che il testo scritto del documento che guiderà il lavoro delle scuole dal prossimo anno scolastico ancora non c’è. Tuttavia, dato che lo stesso Valditara ha detto di voler aprire un dibattito sulla sua stesura, proviamo anche noi a formulare qualche osservazione.

Una premessa è però necessaria: ciascuna legge o decreto, per essere compresa, deve essere valutata nel contesto in cui nasce e quello attuale è di un governo che sta scientificamente lavorando per cancellare ogni traccia di egualitarismo dalla nostra società. Ne consegue che la scuola, che è stata per decenni una delle istituzioni in cui maggiormente si è avvertita la spinta egualitaria e che è destinata alla formazione dei giovani, è un obiettivo di specifica attenzione. Ciò anche se, per quanto riguarda in particolare la scuola primaria, i movimenti democratici che vi si sono impegnati, hanno portato a un modello a cui si guarda anche dall’estero, per esempio in materia di inclusività dei disabili, fatto unico in Europa. Purtroppo oggi la scuola è andata in crisi, soprattutto per i mancati investimenti sociali, culturali ed economici e la risposta demagogica quanto inadeguata del governo è il ritorno alla scuola di “un tempo”, quella “seria”, autoritaria, che bocciava, con la cattedra sulla predella e dove s’imparavano le regole e le poesie a memoria da recitare in piedi sulla sedia il giorno di Natale per la gioia della famiglia. Naturalmente “tradizionale”… Partiamo quindi dalla questione del latino, che, al di là del senso linguistico specifico, ha un preciso significato di classe. Il latino in sé non ha colpe, il problema è come è stato e come è usato e la sua collocazione nella scuola e nella società. Più in concreto, è certamente di classe l’esaltazione del latino come materia che sviluppa la logica, caratteristica peraltro non peculiare ma condivisa con altre discipline di studio e anche con molte attività di tipo pratico che sviluppano la conoscenza scientifica empirica. Però il latino, a differenza di altro, è sempre stato studiato soprattutto nelle scuole destinate a formare le classi dirigenti borghesi, dunque il sottinteso è che solo queste possiederebbero logica e lungimiranza di fronte alle classi popolari “irrazionali e limitate”.

Peraltro, il latino materia opzionale, come nelle intenzioni del Ministro, già esisteva nella scuola media negli anni Sessanta ed era obbligatorio solo per poter accedere al liceo classico. Chi sceglieva di studiare il latino in genere proveniva quasi ovviamente dalle classi più ricche e privilegiate. Non è difficile pensare che questa situazione si ripeterà dal prossimo anno. Allora proviamo a immaginare che qualche dirigente fantasioso decida di formare le sezioni della propria scuola in base alla scelta del latino. Avremmo immediatamente la creazione di due scuole diverse all’interno dello stesso istituto, con effetti segreganti e selettivi. Sarebbe la realizzazione del desiderio di molti genitori di estrazione borghese, soprattutto nelle grandi città, come ebbi modo di documentare qualche anno orsono proprio su Contropiano (Segregazione sociale ed etnica nella scuola: bacini d’utenza e biennio superiore unico).

Questa ed altre sono le trappole che si celano dietro alla questione del latino, che viene peraltro proposto da Valditara con una motivazione che fa inorridire gli esperti, cioè come rafforzamento dell’apprendimento della grammatica italiana e non in quanto accesso a una cultura storica, con un’impostazione nozionistica e riduttiva che sembra destinata a far odiare il latino dai giovani che lo sceglieranno. Passiamo alla questione della storia, forse ancora più importante. Valditara vuole centrare l’insegnamento della storia sull’Italia, l’Europa e l’Occidente (intendendo con quest’ultimo termine assai vago gli USA, dove peraltro parlare di “occidente” non è cosa ben vista), evitando le “ideologie”. Il problema è che, purtroppo, la scuola italiana ha sempre dato la priorità alla storia dell’Italia e dell’Europa e ciò che si dovrebbe fare è proprio il contrario, cioè aprirne l’insegnamento a quanto accaduto in tutto il mondo. Peraltro, ci chiediamo come si può studiare la storia europea senza considerare le connessioni del nostro continente con gli altri, le grandi migrazioni, le espansioni imperiali, il colonialismo. Ancora più allucinante appare l’idea di insegnare la storia escludendo le “ideologie” cioè i movimenti di idee che ne hanno suscitato lo sviluppo. Non sarebbe più storia, bensì una melensa cronologia di eventi. In realtà si tratta di un’altra trappola reazionaria. Tutti coloro che predicano la morte delle ideologie e la loro espunzione dalla storia hanno in realtà un solo obiettivo: imporre celatamente la propria ideologia borghese e capitalista cancellando tutte le visioni di un mondo alternativo possibile. 

La “centratura italica” di Valditara è, questa si, totalmente ideologica, in particolare in una società che è ormai multietnica e in cui nella scuola dell’obbligo, ma non solo, molte classi vedono la presenza persino maggioritaria di giovani di origine non italiana. L’impostazione culturale disegnata dalle dichiarazioni di Valditara è quella di una scuola coloniale e classista. Coloniale perché pensata “solo per gli italiani” da generazioni e classista perché favorisce i ricchi e la visione culturale della borghesia, dove le due tendenze evidentemente s’intrecciano. Inoltre, rinchiude anche gli italiani all’interno di un confine identitario surrettizio tra noi e gli “altri” che diviene, alla fine, un impoverente ghetto culturale. L’idea di scuola di Valditara va al contrario della storia, costruisce steccati identitari e culturali dove invece si dovrebbero aprire nuovi spazi di arricchimento e di scambio. Quanto alla questione della lettura della Bibbia già dalla scuola primaria, molto è stato già scritto sui significati violenti, guerreschi e misogini contenuti in quel testo. Esiste però anche una questione formale. A differenza di quanto riportato in questi giorni da molti quotidiani, in Italia non esistono ormai da più di vent’anni dei programmi d’insegnamento, bensì, in seguito all’autonomia scolastica, delle Indicazioni nazionali che tracciano un perimetro che le scuole seguono liberamente stilando un proprio Piano dell’Offerta Formativa. Appare quindi inusitato che il Ministero indichi uno specifico testo che dovrebbe essere letto nelle classi. Inoltre, si tratta di un testo religioso, per cui è legittimo chiedersi se tutti gli/le insegnanti debbano adeguarsi a tale direttiva, essendo magari agnostici o atei. Egualmente, le famiglie che non desiderano un insegnamento religioso per i propri figli, hanno il legittimo diritto di opporsi. La Bibbia dunque resti al suo posto, semmai nelle ore di religione, per chi se ne avvale. Vorrei terminare con un’osservazione relativa alla presunta volontà ministeriale di introdurre nella scuola primaria l’educazione musicale. Valditara dovrebbe sapere che già dal 1985 la scuola allora detta elementare prevede una materia specifica di “Educazione al suono e alla musica”, con un programma interessante e ancora oggi sostanzialmente valido. Se quanto previsto dagli allora programmi per la scuola elementare non è stato realizzato o lo è stato solo parzialmente è perché i diversi governi che si sono succeduti non hanno mai destinato adeguati finanziamenti alla formazione degli /delle insegnanti né all’allestimento di aule di musica adeguate. Non sembra che questo governo sia interessato a migliorare tale situazione, dati i ben noti tagli alla scuola, dunque ancora una volta il potenziamento della musica è millantato per ingannare l’opinione pubblica con una supposta ventata di “creatività artistica” come zuccherino finale da porre su un piatto assai difficile da digerire.

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