quella mattina del 15 dicembre 1976…
«… si era trovato davanti quei “marziani”, quei poliziotti bardati con misure protettive, mio padre ha pensato per un attimo che venissero a prendere Walter perché non aveva risposto alla chiamata militare. Invece non c’era nessuna cartolina. Gli avevano chiesto della stanza di Walter e subito dopo aveva sentito sparare. Ha avuto un mancamento, ha cercato di sorreggersi appoggiandosi al tavolo, ma è caduto sulla schiena. Poi ha sentito i colpi sparati in cortile e ha pensato subito che fossero contro Walter”. È arrivato il nostro medico, l’ha visitato, gli ha chiesto se voleva andare in ospedale , ma lui ha risposto che voleva restare lì, a casa sua, con sua mogliee i suoi figli. In questura gli hanno detto che Walter era un brigatista.”
“…è stata lei a sentire battere alla porta. Si sveglia a ogni minimo rumore e poi è abituata ad alzarsi durante la notte perché fa le punture a domicilio e capita che vengano a chiamarla a tutte le ore. Va a vedere chi è controllando dallo spioncino. Inizialmente pensa a uno scherzo di qualche amico di Walter, poi sente distintamente dire “polizia” e va a chiamare mio padre mentre quelli battono contro la porta col calcio dei fucili ripetendo “polizia, polizia!”. Per la concitazione mio padre non riesce a trovare le chiavi della porta, poi, finalmente, quando apre, anche per lei inizia il finimondo. Viene accompagnata in soggiorno, dove c’è mio padre sul divano, ma lei si alza e corre alla finestra per vedere mio fratello in cortile, poi torna da mio padre: “me l’hanno ammazzato! Me l’hanno ammazzato” urla fuori di sé».
[dalla testimonianza del fratello di Walter Oscar Alasia, da: I sovversivi di Pino Casamassima Ed. Stampa Alternativa, pag 58 e seg]
«…Un mese dopo, un fatto molto importante “scuote” Sesto San Giovanni: mercoledì 15 dicembre 1976, alle 5 di mattina, una casa popolare in via Leopardi viene circondata da un foltissimo schieramento di forze dell’ordine. Ci abita, insieme ai genitori, il ventenne Walter Alasia, militante delle Brigate rosse. Scoppia una violenta sparatoria alla fine della quale si contano tre morti: Alasia e due poliziotti. I genitori di Walter Alasia sono due noti comunisti sestesi, la madre lavorava alla Magneti Marelli. Walter Alasia è stato militante della sede di Lotta continua di Sesto uscendone prima del congresso del 1975. immediatamente il sindacato proclama uno sciopero di due ore per ricordare i due poliziotti e condannare il terrorismo. Il giorno seguente il Comitato operaio Magneti e il Collettivo Falck diffondono un volantino contrario alla proposta del sindacato, il Coordinamento operai comunisti Breda siderurgica, Fucine,
Termomeccanica espone un cartello dal contenuto analogo nei reparti. L’invito di questi operai è di non partecipare allo sciopero sindacale, indicazione che seguono alcuni reparti della Magneti e della Breda. I “gruppi” Avanguardia operaia e Pdup vanno invece al corteo sindacale, mentre Lotta continua e Lotta comunista scioperano senza partecipare al corteo. Nel volantino dei Comitati comunisti per il potere operaio si invitano gli operai a piangere i propri morti e non quelli degli altri e si indica che il vero terrorismo è «quello economico che fanno i padroni, è quello della stampa, è quello che 50 poliziotti armati di mitra hanno fatto a Sesto nelle vie della Rondinella ieri mattina alle 5 e 30 contro gli operai che andavano a lavorare». [volantino del 16-12-76]«…venerdì 17, si svolgono i funerali delle vittime, il sindacato partecipa a quello dei due poliziotti, mentre i Comitati operai decidono di andare a quello di Alasia: sono in 300 e portano una corona di fiori con scritto: A Walter gli operai comunisti rivoluzionari di Sesto. «C’è nebbia, il comune rosso, di nascosto, anticipa le esequie di quasi un’ora. Nonostante questo 300 compagni riescono ad essere presenti, 80 sono della Marelli, c’è anche Lotta continua di Sesto». Quando arriva il carro funebre , «i compagni della Magneti, che erano molti e noi della Breda ci siamo disposti su due ali: ognuno aveva il suo garofano rosso, i pugni si sono levati e si è intonato L’internazionale.
[da: Emilio Mentasti, La guardia Rossa racconta – Storia del comitato operaio della Magneti Marelli. Ed. Colibrì]
oria, Edizioni Sensibili alle Foglie
WALTER ALASIA, “LUCA”
– Nasce a Milano il 16 settembre 1956
– Frequenta le scuole medie all’Ernesto Breda a Sesto San Giovanni, poi
un anno di corso per grafici pubblicitari presso una scuola dell’Enalc
di Milano e poi due anni all’Itis di Sesto San Giovanni
– continua gli studi frequentando le serali
– milita nel movimento studentesco e operaio
– lavora per un periodo come operaio nel reparto meccanico della Farem, alla periferia di Sesto, poi si licenzia
– lavora per un po’ presso un’officina per l’istallazione di apparecchi telefonici
– lavora per tre mesi a scaricare pacchi alle poste, alla stazione centrale di Milano
– milita nelle Brigate Rosse
– viene ucciso dalla polizia a Milano, il 15 dicembre 1976, mentre tenta la fuga dopo aver ucciso due agenti.
-Comitato Operaio Magneti Marelli, Volantino –frammento-, Milano ’76:
“Il terrorismo l’ha fatto la polizia nei confronti di tutti
noi. Walter ha risposto col fuoco. Possiamo essere d’accordo o no con
lui, ma il terrorismo contro gli operai non è stato il suo ma quello dei
padroni dello Stato e dei suoi uomini armati”
Testimonianze al Progetto Memoria:
“Ero a Pisa, Walter, quel 15 dicembre 1976. Isolamento duro e
prolungato. Pensa, di fronte alla mia cella, stazionava 24 ore su 24, un
agente. Si sedeva lì, e, quando non ne poteva più dormiva. Dormiva
anche quando la Tv passò la notizia. Io facevo “le righe”, Walter, su e
giù, su e giù per la cella. Diceva il mezzobusto che a Sesto era
successo un casino. Un terrorista aveva ucciso due poliziotti e, altri
poliziotti, lo avevano ammazzato. Eri tu l’ammazzato e, appena fecero il
tuo nome, mi fermai. Bloccato. Dissero molte parole in quel
telegiornale ma io non riuscii più ad ascoltarle. Ero lì, in piedi,
immobile, come lo eri tu nelle braccia della morte. Ascoltavo il mio
cuore che mentre mi ripeteva il tuo nome mandava immagini del tuo volto
sorridente.
Quel primo nostro incontro –ti ricordi?- in zona Ticinese. Io che mi
presentavo come ex operaio della Fiat e tu che te la ridevi sotto i
baffi. E poi gli addestramenti nelle grotte di qualche valle bergamasca.
Tu che mi scherzavi per via dell’età: “Lascia a me questa Luger, è
troppo grossa per un vecchietto come te!” E io che ti sfidavo mentre
risalivamo il fiume: “Ne hai da fare di strada ragazzo prima di tener
dietro al mio passo”. Ridevamo. Ma la Luger, che Feltrinelli mi aveva
lasciato, io te la affidavo volentieri. Pur se di generazioni diverse
eravamo entrambi in quel gioco d’armi pieno e vero e tu, per me,
rappresentavi il futuro. Soprattutto mi piaceva quel tuo disincanto,
quel tuo guardare Milano con gli occhi di un ragazzo smagato.
“Vieni ti porto a San Donato, a San Giuliano, così vedrai coi tuoi occhi
le ronde dei carabinieri su e giù per le strade del paese col mitra in
spalla due a due a piedi, pronti a sparare. Vedrai la rabbia sul volto
dei ragazzi che già per il solo fatto di esistere vengono sospettati …
Vieni ti presento qualche amico che vive come può, un giorno operaio
all’Autobianchi, un giorno disoccupato incazzato, un giorno a portar via
motorini di fronte all’autodromo di Monza … Molti di questi ragazzi che
ti ho fatto conoscere –mi dicevi- non sanno più cosa inventare per
resistere alle ferite della vita”.
L’idea delle “calate” sula grassa Milano stava appena incubando.
Cominciava a circolare l’eroina. Ci capitò di esplorare insieme i primi
luoghi dello spaccio. Brutti presagi, vero? Non ci piacevano affatto.
Io venivo da un’esperienza al tramonto e tu da un futuro che era appena
annunciato. Per noi, davanti, ci sarebbero stati solo pochi mesi. L’idea
che il carcere o la morte stessero già aspettando, in quei giorni non
ci sfiorava neppure. E comunque non ci impedì di andare a “recuperare”
insieme armi e documenti in una casa “insicura”. Fu quella l’occasione
in cui mi presentasti tua madre.
“Ci aiuterà una compagna di Sesto, una operaia della Pirelli – mi dicesti – puoi fidarti, è mia madre”.
Andammo insieme tutti e tre, in un pomeriggio di pioggia. Missione riuscita.
Ridevano i tuoi occhi al ritorno, mentre io non finivo di “scoprirti”.
Era felice tua madre di aver partecipato insieme a te a quell’azione.
“Mia madre è la migliore confidente. Ci battiamo per le stesse cose. E
ci vogliamo bene”. Era bello sentirtelo dire, bella la voce del tuo
cuore.
Non mi stupì perciò che proprio a casa sua ti rifugiasti la sera del tuo
appuntamento con la morte. Qualunque amarezza ti abbia spinto,
qualunque ambascia vi siate confidati, so che per te fu certo buona
cosa. E che se sfidasti le regole della clandestinità non fu per
superficialità ma per qualche profondo buon motivo.
Molti mi hanno chiesto di te, dopo la tua morte. Le mie risposte sono
state spesso inadeguate. Come se il registro politico fosse davvero
l’unico rilevante nel definire il senso della tua rapida esistenza. Di
ciò ti chiedo scusa, Walter, perché so che tu per primo, di fronte alle
mie parole seriose, avresti preso la chitarra e suonato una canzone. Mi
avresti canzonato, proprio come facevi nelle valli del bergamasco quando
ci andavamo ad addestrare.”
Ivana Cucco, Intervento processuale, Milano 1984:
“Allora l’accusa si reggeva sostanzialmente sul mio rapporto
con Walter, rapporto che è stato per me un’esperienza ricchissima e
importante e che è stato ridotto a capo di imputazione e a una specie di
marchio negativo.
Un rapporto criminalizzato, forse perché è inconcepibile amare un brigatista.
Il
brigatista doveva essere presentato come una specie di nostro, un
individuo senza radici e senza ragioni, senza legami e senza valori
positivi. Chi l’ha conosciuto sa invece che Walter era una persona
meravigliosa: due occhi azzurri come il cielo sereno e una gioia di
vivere che gli sprizzava da tutti i pori. Dopo la sua morte si sono
sprecati fiumi di inchiostro sul suo conto. E’ stata persino scritta una
biografia che faceva scempio della sua identità e della sua storia.
Ogni pezzettino della sua vita è stato radiografato e vivisezionato al
fine di scoprire l’origine della sua malattia, per trovare una
spiegazione plausibile alle sue scelte di vita e di lotta; una
motivazione razionale al fatto che un ragazzo di vent’anni possa essere
ucciso sotto casa mentre cerca di sottrarsi all’arresto in una mattina
di dicembre. Tutte cose da mass media e da sociologia da strapazzo.
Walter non era figlio di nessuna variabile impazzita. Era figlio del suo
tempo e di Sesto San Giovanni, la rossa Sesto, la grossa cittadella
operaia impregnata fino in fondo e in ogni ambito della vita sociale
della cultura operaia comunista.
Walter è nato e cresciuto dentro a questa cultura e questo sistema di
valori. Ha respirato da sempre quest’atmosfera. La sua vita si è snodata
tutta dentro il clima di tensione di quegli anni e di quell’ambiente.
Sono gli anni delle grandi lotte operaie, delle stragi di stato, delle
rivolte studentesche, del Cile, del Portogallo, dell’antifascismo
militante, dei gruppi extraparlamentari, delle occupazioni di case.
Tutte esperienze che Walter ha attraversato fino alla scelta e alla
militanza nella lotta armata, che era comunque una scelta di vita, non
di morte. Una scelta e un bisogno di liberazione tanto forte e
irrinunciabile da arrivare anche a giocarsi la vita. Walter non era
diverso da molti altri perché quelle stesse tensioni di esperienze sono
appartenute a migliaia di persone sono state lo scenario dentro cui si è
affermata ed espressa un’intera generazione di soggetti che aspiravano a
un cambiamento radicale di questa società.
[…] Walter fu il più bello degli incontri, quello che ancora oggi mi
porto dentro. Non solo i suoi compagni hanno pianto la sua morte. C’era
Sesto San Giovanni. Dai ragazzi di vent’anni come lui ai vecchi operai
cinquantenni. Non è stato sepolto né come un mostro né come un orfano.
Anche allora, anche il suo funerale, è stato oggetto di
criminalizzazione. Ci fu, in particolare, una martellante campagna
condotta da Leo Valiani sulle pagine del Corriere della Sera, in cui
sosteneva che si sarebbero dovuti schedare e arrestare tutti i presenti
in quell’occasione, tutti quelli che avevano sfidato il clima di terrore
e la militarizzazione a tappeto, per andare a urlare il loro amore e il
loro dolore per la sua morte.
Il 15 dicembre 1976, il giorno della morte di Walter, sono stata arrestata.
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