sabato 1 settembre 2018

pc 1 settembre - L’Italia è “Un Paese che ‘vive’ di disuguaglianza”: I padroni scoprono la “disuguaglianza” sociale, “scoprono” pure Marx, e danno “consigli” al governo travestendosi perfino da “socialdemocratici”…


In un articolo del 29 agosto, dal titolo “Un Paese che ‘vive’ di disuguaglianza”, i padroni per mezzo del quotidiano di Confindustria, il Sole24Ore, fanno un elenco delle cose che secondo loro non vanno – povertà crescente, proletarizzazione del ceto medio, emigrazione dei giovani – e, naturalmente spaventati delle possibili conseguenze di un “risveglio” della rabbia sociale, danno consigli al governo al quale, pur se un po’ arrabbiati, concedono ancora una possibilità.

Dà subito un colpo a Salvini, innanzi tutto, quando dice che “Si straparla di sbarchi d’immigrati, ma niente, a esempio, sulla crescita delle disuguaglianze socioeconomiche” e si chiede “come e con quali rimedi possiamo cercare di invertirla”, questa crescita della disuguaglianza!

Questo “Tema” dice, dovrebbe essere “caro, a parole (proprio così, dice, ndr), alla politica e al M5S in particolare”, un tema che “è diventato più impervio, perché a spingere la crescita delle disuguaglianze negli ultimi vent’anni non sono stati solo i due storici divari di genere e tra Nord e Sud (che sono ordinariamente peggiorati), ma l’acutizzarsi di tre dinamiche sociali involutive, inattese a inizio secolo.”
Qui il portavoce dei padroni fa finta di cadere dalle nuvole (ma questo in realtà lo fanno sempre, anche quando cadono ponti…). Non dice chiaramente dove sono stati i padroni in questi “ultimi venti anni”, accanto a quali governi, né tanto meno quanti profitti hanno fatto!
Passiamo alle “tre dinamiche sociali involutive”, come le chiama il giornalista, che in questo caso parla senza tanti peli sulla lingua (le frasi in grassetto sono tutte nostre).
L’aumento della povertà, dopo il 2008, ha contribuito ad accrescere la disparità tra il 20% più ricco e il 20% disagiato, in termini di ricchezza, redditi e consumo. C’è chi va a gonfie vele e chi rischia di finire sugli scogli. La povertà assoluta richiede reddito di sostegno e servizi sociali efficienti, anche perché presenta situazioni che rendono poco probabile un inserimento lavorativo a breve, al contrario, possibile tra i soggetti in povertà relativa. La metà di questi sono giovani, 1 su 4 sono immigrati legalmente residenti e, poi, famiglie di ceto medio-basso alle quali non bastano le ‘acrobazie’ per arrivare a fine mese”.

Quindi quelli in povertà assoluta non hanno speranza di entrare nel “mondo del lavoro”, mentre per quelli in povertà relativa c’è una possibilità! Quanta generosità in queste riflessioni! E allora via con i suggerimenti al governo: “Il contrasto alla povertà relativa richiederebbe risorse pubbliche ingenti per integrare reddito, potenziare e innovare i sistemi formativi e i servizi all'impiego. Un sistema di flexicurity e di mercati del lavoro ben organizzati in funzione di sviluppo aumenterebbe il lavoro e ridurrebbe le povertà.”
Quindi: “integrare reddito” (che è quello che succede già attualmente con i cosiddetti ammortizzatori sociali!) e smetterla con il reddito di cittadinanza, la fumosa promessa elettorale del M5S! E poi, “mercati di lavoro ben organizzati in funzione di sviluppo”, insomma centri per l’impiego e formazione che forniscano forza-lavoro bene addestrata i cui “costi” per la maggior parte ricadano sulla spesa pubblica.


Secondo “tema”: “… il peggioramento di status di una parte consistente del ceto medio-basso: una sorta di sua “proletarizzazione”, a due secoli esatti dalla nascita di Marx, che l’aveva annunciata.” Questa “scoperta” di Marx è un chiaro avvertimento a chi governa!
“Il reddito degli italiani”, dice, infatti “soffre ancora l’effetto-crisi. In lieve recupero solo 17 città su 108”.

Questo perché, come dice il giornalista, saremmo in presenza del “tramonto dell’ordine sociale novecentesco” che sarebbe quello dell’uguaglianza! e per dare un tono d’importanza a questa emerita scemenza, cita perfino un libro: «l’epoca dell’uguaglianza» di (R. Pomfret, 2011), “con cedimenti del lavoro impiegatizio e del ceto micro-imprenditoriale, che hanno registrato una riduzione di reddito, dall’ingresso nell’euro a oggi.” Non solo, però il ceto medio: “Sta invecchiando anche l’operaio di grandi impianti produttivi “ceto-medizzato” come il travet. La globalizzazione a trazione tecnologica e migratoria ha sconvolto i mercati esterni e interni del lavoro, rendendo inattuali le vecchie certezze e le relative garanzie ancora detenute da ampie fasce di ceto medio-basso dipendente, il cui lavoro routinario è in via di ‘dimensionamento’ tecnologico e produttivo.”
Questa proletarizzazione insomma, e cioè, “La faglia apertasi tra ceti medio alti e medio bassi sta sgretolando l’architrave che li teneva uniti e assicurava stabilità politica e democratica.” “… come la intendevamo”, ci spiega il giornalista con frasi quasi poetiche, questa era storica: “una prateria di benessere diffuso, accessoria al mercato e solcata da politiche statali.

Quanti giri di parole per dire che questo si sistema si avvita sempre più nel moderno fascismo!
Questo tempo magnifico viene rimpianto, perché oggi: “Al tempo delle società liquide e individualizzate, non è facile immaginarsi qualcosa d’analogo a quell’architrave, oggi malandata, che è stato il ceto medio.” E in parte dà la colpa all’euro: “Certo, però, dall’entrata nell’euro, il reddito mediano italiano ha fatto registrare un andamento tra i più deludenti in Europa e non ha recuperato completamente livelli pre-crisi.”

E qual è la ricetta per “risalire la china?” Ma sempre la stessa: “… produttività, tecnologia e crescita” cioè rispettivamente: più sfruttamento, più licenziamenti e più profitti” e questo “futuro” è quello di “industria 4.0 e anche servizi pubblici e privati 4.0. In questi incastri digitali prenderà forma il ‘corpaccione’ del futuro ordine sociale.” Un “futuro” che il proletariato ha già vissuto tante volte nella sua lunga storia passata e presente di lotta di classe.
Un altro “tema” è quello dei giovani sul quale il giornalista si “arrabbia” davvero: “Il terzo fenomeno che spinge la disuguaglianza in Italia è il divario generazionale. È tanto acuminato che l’intero Paese dovrebbe “andare in analisi” [addirittura!, ndr] per spiegare perché, nonostante i nostri giovani siano in minor numero e più istruiti che in passato, ci ostiniamo a lasciarli senza lavoro, a vederne emigrare a migliaia ogni anno - da anni -, a trattarli nel lavoro con paghe che sottostimano crediti e meriti.
E ci racconta pure come è andata questa “storia”. “Il divario generazionale si sostanzia nella forbice di reddito tra over 60 e under 30, esplosa da inizio secolo a oggi. Il suo storytelling racconta di neet nullafacenti, d’invecchiamento dell’occupazione, d’insider anziani e giovani outsider, di diaspora all’estero di giovani talenti” insomma, diciamola tutta: “di spreco di risorse umane.” E non è giusto secondo il giornalista, perché “I giovani dovrebbero essere l’altro piedritto che sorreggere l’architrave sociale a garanzia della stabilità del Paese”, la “stabilità del paese” è un chiodo fisso per i padroni, perché senza stabilità anche i profitti traballano, e cosa deve fare il governo? “le élite al governo dovrebbero intervenire su sistema educativo, inserimento lavorativo e condivisione di responsabilità tra generazioni, con misure in sintonia con lo spessore tecnologico delle nostre economie e società.” Insomma è chiaro che il governo dovrebbe agire per permettere all’imperialismo italiano di concorrere a livello mondiale.

E per concludere altri bei “consigli” come quello di non allontanarsi dall’Europa, e ancora una “apertura di credito” al “governo del cambiamento” che avrebbe “solo l’imbarazzo della scelta delle problematiche socioeconomiche d’affrontare.” E che certo “Nessuno pretende che … risolva tutto e in un sol colpo. Al Ministro Di Maio corre però l’obbligo di affrontare le grandi questioni sociali in chiave d’occupazione aggiuntiva e crescita. Urge un ragionamento lungimirante e condiviso per vincere qualche vera battaglia.” Lasciando sottintendere, nemmeno tanto, che quelle finora fatte dal “governo del cambiamento” non sono battaglie vere!

Da non dimenticare infine che “Forse qualche importante misura - come la riduzione del cuneo fiscale - potrebbe maturare in condivisione con le parti sociali.” E cioè: sedersi attorno ad un tavolo, padroni, governo e sindacati confederali per dare altri “incentivi” ai padroni, che come si vede, la loro battaglia in tanti modi la fanno. Sta al proletariato mettersi al lavoro per fare la propria.

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