In un articolo del 29 agosto, dal
titolo “Un Paese che ‘vive’ di disuguaglianza”, i padroni per mezzo del
quotidiano di Confindustria, il Sole24Ore, fanno un elenco delle cose che
secondo loro non vanno – povertà
crescente, proletarizzazione del
ceto medio, emigrazione dei giovani
– e, naturalmente spaventati delle possibili conseguenze di un “risveglio”
della rabbia sociale, danno consigli al governo al quale, pur se un po’
arrabbiati, concedono ancora una possibilità.
Dà
subito un colpo a Salvini, innanzi tutto, quando dice che “Si straparla di
sbarchi d’immigrati, ma niente, a esempio, sulla crescita delle disuguaglianze
socioeconomiche” e si chiede “come e con quali rimedi possiamo cercare di
invertirla”, questa crescita della disuguaglianza!
Questo
“Tema” dice, dovrebbe essere “caro, a parole (proprio così, dice, ndr), alla politica e al M5S in
particolare”, un tema che “è diventato più impervio, perché a spingere la
crescita delle disuguaglianze negli ultimi vent’anni non sono stati solo i due storici divari di genere e tra Nord e Sud
(che sono ordinariamente peggiorati), ma l’acutizzarsi di tre dinamiche sociali
involutive, inattese a inizio secolo.”
Qui
il portavoce dei padroni fa finta di cadere dalle nuvole (ma questo in realtà
lo fanno sempre, anche quando cadono ponti…). Non dice chiaramente dove sono
stati i padroni in questi “ultimi venti anni”, accanto a quali governi, né
tanto meno quanti profitti hanno fatto!
Passiamo
alle “tre dinamiche sociali involutive”, come le chiama il giornalista, che in
questo caso parla senza tanti peli sulla lingua (le frasi in grassetto sono
tutte nostre).
“L’aumento della povertà, dopo il 2008,
ha contribuito ad accrescere la disparità tra il 20% più ricco e il 20%
disagiato, in termini di ricchezza, redditi e consumo. C’è chi va a gonfie vele
e chi rischia di finire sugli scogli. La povertà assoluta richiede reddito di
sostegno e servizi sociali efficienti, anche perché presenta situazioni che
rendono poco probabile un inserimento
lavorativo a breve, al contrario, possibile
tra i soggetti in povertà relativa. La metà di questi sono giovani, 1 su 4
sono immigrati legalmente residenti e, poi, famiglie di ceto medio-basso alle
quali non bastano le ‘acrobazie’ per arrivare a fine mese”.
Quindi
quelli in povertà assoluta non hanno speranza di entrare nel “mondo del
lavoro”, mentre per quelli in povertà relativa c’è una possibilità! Quanta
generosità in queste riflessioni! E allora via con i suggerimenti al governo: “Il
contrasto alla povertà relativa richiederebbe risorse pubbliche ingenti per integrare reddito, potenziare e
innovare i sistemi formativi e i servizi all'impiego. Un sistema di flexicurity
e di mercati del lavoro ben organizzati in funzione di sviluppo aumenterebbe il
lavoro e ridurrebbe le povertà.”
Quindi:
“integrare reddito” (che è quello
che succede già attualmente con i cosiddetti ammortizzatori sociali!) e smetterla
con il reddito di cittadinanza, la fumosa promessa elettorale del M5S! E poi, “mercati di lavoro ben organizzati in
funzione di sviluppo”, insomma centri per l’impiego e formazione che
forniscano forza-lavoro bene addestrata i cui “costi” per la maggior parte
ricadano sulla spesa pubblica.
Secondo
“tema”: “… il peggioramento di status di una parte consistente del ceto medio-basso: una sorta di sua
“proletarizzazione”, a due secoli
esatti dalla nascita di Marx, che l’aveva annunciata.” Questa “scoperta” di
Marx è un chiaro avvertimento a chi governa!
“Il
reddito degli italiani”, dice, infatti “soffre ancora l’effetto-crisi. In lieve
recupero solo 17 città su 108”.
Questo
perché, come dice il giornalista, saremmo in presenza del “tramonto dell’ordine
sociale novecentesco” che sarebbe quello dell’uguaglianza! e per dare un tono
d’importanza a questa emerita scemenza, cita perfino un libro: «l’epoca
dell’uguaglianza» di (R. Pomfret, 2011), “con cedimenti del lavoro impiegatizio
e del ceto micro-imprenditoriale, che hanno registrato una riduzione di
reddito, dall’ingresso nell’euro a oggi.” Non solo, però il ceto medio: “Sta invecchiando anche l’operaio di grandi
impianti produttivi “ceto-medizzato” come il travet. La globalizzazione a
trazione tecnologica e migratoria ha sconvolto i mercati esterni e interni del
lavoro, rendendo inattuali le vecchie certezze e le relative garanzie ancora
detenute da ampie fasce di ceto medio-basso dipendente, il cui lavoro
routinario è in via di ‘dimensionamento’ tecnologico e produttivo.”
Questa
proletarizzazione insomma, e cioè, “La faglia apertasi tra ceti medio alti e
medio bassi sta sgretolando l’architrave
che li teneva uniti e assicurava stabilità politica e democratica.” “… come
la intendevamo”, ci spiega il giornalista con frasi quasi poetiche, questa era
storica: “una prateria di benessere
diffuso, accessoria al mercato e solcata da politiche statali.”
Quanti
giri di parole per dire che questo si sistema si avvita sempre più nel moderno
fascismo!
Questo
tempo magnifico viene rimpianto, perché oggi: “Al tempo delle società liquide e
individualizzate, non è facile immaginarsi qualcosa d’analogo a
quell’architrave, oggi malandata, che è stato il ceto medio.” E in parte dà la
colpa all’euro: “Certo, però, dall’entrata nell’euro, il reddito mediano
italiano ha fatto registrare un andamento tra i più deludenti in Europa e non
ha recuperato completamente livelli pre-crisi.”
E
qual è la ricetta per “risalire la china?” Ma sempre la stessa: “… produttività, tecnologia e crescita”
cioè rispettivamente: più sfruttamento,
più licenziamenti e più profitti” e questo “futuro” è quello di “industria 4.0
e anche servizi pubblici e privati 4.0. In
questi incastri digitali prenderà forma il ‘corpaccione’ del futuro ordine
sociale.” Un “futuro” che il proletariato ha già vissuto tante volte nella
sua lunga storia passata e presente di lotta di classe.
Un
altro “tema” è quello dei giovani sul quale il giornalista si “arrabbia”
davvero: “Il terzo fenomeno che spinge
la disuguaglianza in Italia è il divario
generazionale. È tanto acuminato che l’intero
Paese dovrebbe “andare in analisi” [addirittura!, ndr] per spiegare perché,
nonostante i nostri giovani siano in minor numero e più istruiti che in
passato, ci ostiniamo a lasciarli senza
lavoro, a vederne emigrare a
migliaia ogni anno - da anni -, a
trattarli nel lavoro con paghe che sottostimano crediti e meriti.”
E
ci racconta pure come è andata questa “storia”. “Il divario generazionale si
sostanzia nella forbice di reddito tra over 60 e under 30, esplosa da inizio
secolo a oggi. Il suo storytelling racconta di neet nullafacenti,
d’invecchiamento dell’occupazione, d’insider anziani e giovani outsider, di
diaspora all’estero di giovani talenti” insomma, diciamola tutta: “di spreco di risorse umane.” E non è
giusto secondo il giornalista, perché “I giovani dovrebbero essere l’altro
piedritto che sorreggere l’architrave sociale a garanzia della stabilità del
Paese”, la “stabilità del paese” è un chiodo fisso per i padroni, perché senza
stabilità anche i profitti traballano, e cosa deve fare il governo? “le élite
al governo dovrebbero intervenire su sistema educativo, inserimento lavorativo
e condivisione di responsabilità tra generazioni, con misure in sintonia con lo spessore tecnologico
delle nostre economie e società.” Insomma è chiaro che il governo dovrebbe
agire per permettere all’imperialismo italiano di concorrere a livello mondiale.
E
per concludere altri bei “consigli” come quello di non allontanarsi dall’Europa, e ancora una “apertura di credito” al
“governo del cambiamento” che avrebbe “solo l’imbarazzo della scelta delle
problematiche socioeconomiche d’affrontare.” E che certo “Nessuno pretende che … risolva tutto e in un sol colpo. Al
Ministro Di Maio corre però l’obbligo di affrontare le grandi questioni sociali
in chiave d’occupazione aggiuntiva e crescita. Urge un ragionamento
lungimirante e condiviso per vincere qualche vera battaglia.” Lasciando
sottintendere, nemmeno tanto, che quelle finora fatte dal “governo del
cambiamento” non sono battaglie vere!
Da
non dimenticare infine che “Forse qualche importante misura - come la riduzione
del cuneo fiscale - potrebbe maturare in condivisione con le parti sociali.” E
cioè: sedersi attorno ad un tavolo, padroni, governo e sindacati confederali
per dare altri “incentivi” ai padroni, che come si vede, la loro
battaglia in tanti modi la fanno. Sta al proletariato mettersi al lavoro per
fare la propria.
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