Droga in Afghanistan
soldati-trafficanti. La storia dimenticata della parà italiana
Secondo l'Onu per l'oppio è stato un anno di
produzione record, anche nella zona di Kabul, sotto il controllo delle truppe
Nato. In Italia è finita in nulla l'inchiesta militare partita dal caso di
Alessandra Gabrieli, militare della Folgore diventata tossicodipendente e
spacciatrice dopo la missione. Indagini simili sono state insabbiate in Canada
e Regno Unito
Ci sono
storie che qualcuno preferisce dimenticare. Come quella dell’ex caporalmaggiore
Alessandra Gabrieli: prima donna parà d’Italia, eroina nazionale
divenuta eroinomane in caserma, finita in carcere due anni fa per spaccio
dopo aver denunciato il giro di droga tra i soldati reduci dell’Afghanistan
che se la riportano in Italia di ritorno dalla missione. Una denuncia clamorosa
cui le autorità militari italiane non hanno dato seguito, com’è accaduto per
analoghe inchieste estere sul coinvolgimento di militari Nato nel
traffico di eroina dall’Afghanistan. Un paese che in dodici anni di occupazione
occidentale ha visto regolarmente aumentare le produzione di oppio. Quest’anno
si è raggiunto il record storico, secondo
l’ultimo rapporto dall’agenzia antidroga dell’Onu: tutti evidenziano l’aumento della
coltivazione di oppio nelle regioni sotto controllo della guerriglia talebana
(+34% in Helmand, +16% a Kandahar), ma nessuno nota che nella
provincia di Kabul, sotto diretto controllo del governo centrale, la
produzione è aumentata del 148%. E l’Afghanistan è tornato a essere il maggior
produttore di eroina del mondo.
LA STORIA DI ALESSANDRA, LA PRIMA PARA’ DONNA IN ITALIA. Alessandra portava i capelli
castani aggrovigliati in una criniera di dreadlock e il piercing al naso. Suo
padre, ufficiale dell’esercito, non approvava. Ma lei era una ragazzina
ribelle. Sognava di fare l’artista e coltivava la sua passione nelle aule del
liceo artistico Paul Klee di Genova, la sua città. Con il passare del tempo,
però, il suo spirito alternativo l’ha allontanata anche da questo ribellismo
convenzionale, spingendola alla ricerca di qualcosa che fosse veramente fuori
dagli schemi. “Volevo fare qualcosa di diverso e di più utile rispetto alle mie
coetanee”, racconterà in seguito. Così a 19 anni, dopo l’esame di maturità, si
è rasata i capelli, si è tolta l’orecchino dal naso e, per la gioia di suo
padre, si è arruolata nell’esercito. Non in un corpo qualsiasi, ma nella brigata
Folgore, diventando la prima donna paracadutista d’Italia. Non è
stata facile, ma lei ce l’ha messa tutta e ha fatto rapidamente carriera: ha
preso i gradi di caporalmaggiore ed è stata inviata in missione all’estero:
prima in Kosovo, poi in Libano, e perfino in Iraq, a Nassiriya.
I giornali la intervistavano spesso: era diventa una specie di leggenda,
un’eroina nazionale. Ma la vita in missione era dura, soprattutto per una
donna, e lei pian piano iniziava a sentire il peso della sua scelta.
Nel 2007,
nella caserma Vannucci di Livorno, Alessandra si trovava insieme ai suoi
compagni, reduci dall’Afghanistan. Le hanno offerto di fumare con loro: eroina,
purissima, afgana. Per il caporalmaggiore Gabrieli è stato l’inizio della fine.
Di lì a due anni, la tossicodipendenza l’ha costretta ad abbandonare la divisa
e a tornare a Genova da sua madre, dove ha iniziato a vivere di espedienti per
tirare avanti, finendo presto a spacciare per procurarsi i soldi per la roba.
Il 12 agosto del 2011 Alessandra, ormai segnata dall’abuso di droga, viene
fermata dai Carabinieri nel corso di un’operazione antidroga volta a sgominare
una rete di spaccio tra Milano e Genova. I militari le trovano in macchina 9
grammi di eroina e molta di più ne rinvengono a casa sua. In tutto 35 grammi di
roba purissima che, secondo i periti dell’Arma, avrebbero fruttato fino a
quattrocento dosi, a seconda del taglio. Alessandra viene arrestata con
l’accusa di detenzione e spaccio di stupefacenti.
“INIZIATA ALL’EROINA DAI MILITARI DELL’ISAF”. Agli inquirenti della squadra
investigativa del nucleo operativo dei Carabinieri di Sampierdarena, guidata
dal tenente Simone Carlini, l’ex paracadutista racconta com’è entrata nel
tunnel della tossicodipendenza. “Mi hanno iniziato all’eroina alcuni militari
della missione Isaf di ritorno dall’Afghanistan. È successo nel 2007 ed
eravamo nella caserma della Folgore a Livorno. Ritengo che quello stupefacente,
molto probabilmente, venisse portato direttamente dall’Asia”. Il 20 settembre
2011 Alessandra viene condannata a tre anni e mezzo di reclusione. Ma le
sue scottanti dichiarazioni costringono il titolare delle indagini, il pm
genovese Giovanni Arena, a trasmettere il fascicolo alla Procura
militare di Roma, che apre un’inchiesta. Le accuse dell’ex caporalmaggiore
Alessandra Gabrieli non solo rivelano l’uso di droghe tra i militari italiani
di ritorno dal fronte, ma adombrano addirittura il loro coinvolgimento nel
traffico di eroina dall’Afghanistan. L’imbarazzo della Difesa è forte, e
l’allora ministro Ignazio La Russa preferisce “non rilasciare
commenti, in attesa dello sviluppo delle indagini”.
Ma di
sviluppi non ce ne saranno perché l’inchiesta militare viene subito
archiviata. “Non siamo competenti su questo tipo di reati”, dichiara Marco
De Paolis, procuratore militare di Roma. “Spetta alla magistratura ordinaria
occuparsi di stupefacenti”. Con l’emissione della sentenza di condanna da parte
del giudice Carla Pastorini, il caso viene definitivamente chiuso e sulla
vicenda cala il silenzio. Alessandra viene rinchiusa nel carcere genovese di
Pontedecimo e del giro di eroina afgana tra i soldati italiani di ritorno da
Kabul non parlerà più nessuno. Per il difensore legale di Alessandra,
l’avvocato Antonella Cascione, la conclusione di questa vicenda assomiglia
tanto a un insabbiamento nel quale la sua assistita ha svolto il classico ruolo
di capro espiatorio. “Parlo come privata cittadina: le dichiarazioni di
Alessandra rischiavano di scoperchiare un vaso di Pandora, e hanno pensato bene
di sigillare subito il tappo, con lei dentro. Pensavo sarebbe scoppiato il
pandemonio, invece hanno messo tutto sotto silenzio, semplicemente ignorando la
sua denuncia, che si è infranta contro un vero e proprio muro di gomma”.
MILITARI-TRAFFICANTI, MURO DI GOMMA ANCHE IN CANAFA E UK. Un muro di gomma che non riguarda
solo l’Italia. Nel settembre 2010 il ministero della Difesa del Regno Unito
avvia un’indagine sul coinvolgimento di soldati britannici e canadesi nel
traffico di eroina afgana attraverso la base della Royal Air Force di
Brize Norton, nell’Oxfordshire: il principale aeroporto di sbarco delle truppe
di ritorno dal fronte, dove ogni settimana atterrano circa 700 soldati
provenienti dalle basi Nato nel sud dell’Afghanistan. Il quotidiano che dà
notizia dell’inchiesta, il Sunday Times, cita anche la testimonianza di un
narcotrafficante afgano: “La maggior parte dei nostri clienti, esclusi i
trafficanti all’estero, sono i militari stranieri: a fine missione ce la
ordinano, noi gliela vendiamo e loro se la portano a casa sugli aerei militari
dove tanto nessuno li controlla. Ne comprano tanta”. L’inchiesta militare
britannica, accompagnata da un irrigidimento dei controlli alla base Raf di
Birze Norton, genera molto scalpore mediatico, ma sulla vicenda cala presto il
silenzio più completo.
La Difesa
canadese, da parte sua, archivia velocemente la questione come infondata. Un
anno dopo, però, il consigliere del Capo di stato maggiore delle forze armate
canadesi, Sean Maloney, dichiara alla stampa: “Non sono affatto sorpreso che
soldati occidentali smercino eroina dalle basi aeree della Nato in Afghanistan,
usate dai signori della droga locali per trafficare la droga direttamente in
Occidente, tagliando fuori gli intermediari pachistani e realizzando così
profitti molto più elevati”. Numerose altre fonti confermano questi traffici,
che vedono coinvolti non solo i militari occidentali ma anche, e soprattutto,
le compagnie private di contractors, i cui velivoli operanti dagli
aeroporti Nato sono esenti da controlli al pari dei voli militari. “I
contractors impiegati in Afghanistan dal Pentagono, dalla Cia e dalla Nato sono
una straordinaria banda di profittatori che speculano sulle guerre”, sostiene
l’ex direttore dell’agenzia antidroga dell’Onu, Antonio Maria Costa. “Negli
anni ho ricevuto dalle agenzie governative diversi rapporti riservati che
contenevano accuse pesanti nei confronti di alcune di queste società riguardo
al loro coinvolgimento nel contrabbando di droga: ritengo che non si tratti di
accuse infondate”.
IL DIRIGENTE ONU: “NE RIPARLIAMO QUANDO SARO’ IN PENSIONE”. Il successore di Maria Costa alla
guida dell’Unodc, Yuri Fedotov, interpellato sullo stesso argomento replica in
modo eloquente: “Data la carica che ricopro, rispondo che non ho informazioni
in merito, ma se ne riparliamo quando sarò in pensione la mia posizione
potrebbe essere diversa”. Oltre mezzo secolo di storia di interventi armati –
dallo sbarco alleato in Sicilia alla guerra in Vietnam, dal sostegno americano
ai contras nicaraguensi a quello ai mujahedin afgani contro i sovietici –
dimostra che il coinvolgimento dei militari nel narcotraffico è una costante,
conseguenza di una realpolitik che porta a sacrificare ciò che è giusto
(contrastare il narcotraffico) in nome di ciò che è necessario (sconfiggere il
nemico). Anche per sconfiggere i talebani e mantenere il controllo
dell’Afghanistan l’Occidente ha scelto di sostenere personaggi notoriamente
coinvolti nel narcobusiness – dal clan Karzai in giù – chiudendo un occhio
su questi traffici, anche quando coinvolgono strutture e personale militare
Nato. Se poi qualcuno li tira fuori, come ha fatto Alessandra, basta far finta
di niente e dimenticarsene.
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