Questa
della “Nazionalizzazione”, tanto in voga in questo periodo, più
che una “parola d'ordine” è una parola vuota, più una “coperta
calda” che vuole tranquillizzare sul fatto che sia possibile una
soluzione alla pesante situazione lavorativa e soprattutto tenere
buoni gli operai che vengono licenziati, o che sono in procinto di
esserlo, che trovano da un giorno all'altro i battenti delle loro
fabbriche chiusi, o che vedono porsi davanti la scelta (falsa) o
lavoro o salute, che, appunto, “una soluzione c'è”, che lo Stato
deve pensare a tirarci fuori dalla crisi.
Questo
leit motiv l'ha ripreso giorni fa su Il Manifesto Vincenzo Comito,
parlando soprattutto del caso Ilva.
Riportiamo
alcuni stralci dell'articolo.
“Il
siderurgico in Italia è a terra: l'unica speranza che il settore non
scompaia è il pubblico. Siglando poi un'alleanza con un big
asiatico”
… in
Italia, paese che ha ancora la seconda industria manifatturiera
d'Europa dopo quella tedesca, tra il 2009 e il 2012 quasi un'impresa
industriale su cinque ha chiuso i battenti; e la moria continua. Si
aspetta ora una nuova possibile ondata di chiusure per settembre.
...la Fiat perde inesorabilmente ogni mese e ormai da tempo quote di mercato in Italia e in Europa... sembra solo rimandata di qualche tempo la chiusura di ancora uno o due impianti.
...L'annuncio da parte della Indesit, qualche settimana fa, della chiusura di due insediamenti in Italia e del loro trasferimento nell'Europa dell'Est... Dopo la mossa dell'Indesit si teme che anche altri produttori e i loro componentisti facciano le valigie per altri lidi.
E veniamo all'acciaio... Concentriamo peraltro la nostra attenzione sull'Ilva e sulla Riva Fire...
il problema della Riva Fire non è solo quello dell'inquinamento; dietro di esso si intravede una sostanziale incapacità strategica, organizzativa, finanziaria, di reggere la concorrenza in un mercato che nell'ultimo periodo si è fatto molto più difficile.
Fare profitti nel settore era abbastanza facile fino al 2007 e i Riva sicuramente ne hanno fatti molti...
Ma poi è arrivata la crisi in un mercato in cui da una parte i prezzi di acquisto delle materie prime erano in salita mentre quelli di vendita erano frenati dalla concorrenza.
Nel frattempo la Cina è diventata il produttore di gran lunga più importante del mondo, sfornando ogni anno da sola circa il 45% di tutto l'acciaio mondiale.
...Intanto le dimensioni produttive per stare nel settore si fanno sempre più grandi, con rilevanti processi di fusione e acquisizione in atto. Le imprese tendono ormai ad avere come prospettiva il mercato mondiale, mentre la Riva è presente soprattutto in Italia - dove peraltro perde quote di mercato a favore della concorrenza - e in misura molto contenuta in Europa.
...Intanto, di fronte alla crisi europea, nel continente appare ormai sempre più difficile fare profitti e si taglia qua e là la capacità produttiva, con negative conseguenze sull'occupazione....
In questo quadro non sembra difficile suggerire sulla carta cosa si dovrebbe fare...”
...la Fiat perde inesorabilmente ogni mese e ormai da tempo quote di mercato in Italia e in Europa... sembra solo rimandata di qualche tempo la chiusura di ancora uno o due impianti.
...L'annuncio da parte della Indesit, qualche settimana fa, della chiusura di due insediamenti in Italia e del loro trasferimento nell'Europa dell'Est... Dopo la mossa dell'Indesit si teme che anche altri produttori e i loro componentisti facciano le valigie per altri lidi.
E veniamo all'acciaio... Concentriamo peraltro la nostra attenzione sull'Ilva e sulla Riva Fire...
il problema della Riva Fire non è solo quello dell'inquinamento; dietro di esso si intravede una sostanziale incapacità strategica, organizzativa, finanziaria, di reggere la concorrenza in un mercato che nell'ultimo periodo si è fatto molto più difficile.
Fare profitti nel settore era abbastanza facile fino al 2007 e i Riva sicuramente ne hanno fatti molti...
Ma poi è arrivata la crisi in un mercato in cui da una parte i prezzi di acquisto delle materie prime erano in salita mentre quelli di vendita erano frenati dalla concorrenza.
Nel frattempo la Cina è diventata il produttore di gran lunga più importante del mondo, sfornando ogni anno da sola circa il 45% di tutto l'acciaio mondiale.
...Intanto le dimensioni produttive per stare nel settore si fanno sempre più grandi, con rilevanti processi di fusione e acquisizione in atto. Le imprese tendono ormai ad avere come prospettiva il mercato mondiale, mentre la Riva è presente soprattutto in Italia - dove peraltro perde quote di mercato a favore della concorrenza - e in misura molto contenuta in Europa.
...Intanto, di fronte alla crisi europea, nel continente appare ormai sempre più difficile fare profitti e si taglia qua e là la capacità produttiva, con negative conseguenze sull'occupazione....
In questo quadro non sembra difficile suggerire sulla carta cosa si dovrebbe fare...”
E qui si tira fuori il
coniglio dal cappello:
“Dopo tutti i misfatti venuti alla luce dei Riva e vista anche la loro sostanziale incapacità di reggere il gioco del mercato mondiale dal punto di vista strategico, manageriale e finanziario, ci sembra che non resti, se si vuole salvare il gruppo, che una rapida nazionalizzazione...
“Dopo tutti i misfatti venuti alla luce dei Riva e vista anche la loro sostanziale incapacità di reggere il gioco del mercato mondiale dal punto di vista strategico, manageriale e finanziario, ci sembra che non resti, se si vuole salvare il gruppo, che una rapida nazionalizzazione...
E
questo detto nonostante poche righe prima aveva scritto: “...rispetto
al quadro generale delle difficoltà dell'industria italiana, nel
settore dell'acciaio come in quelli dell'auto e degli
elettrodomestici, il governo ha sostanzialmente brillato per la sua
assenza o per qualche intervento solo sporadico. Il cosiddetto piano
europeo per l'acciaio, che doveva contribuire a dare stabilità e
maggiori certezze al settore, si è poi rivelato come del tutto
inconsistente, persino grottesco...”.
E concludendo:
“...Con
il semplice commissariamento si perde intanto tempo prezioso rispetto
al fatto che il livello della competizione internazionale impedisce
ormai all'Italia di farcela da sola a gestire una tale impresa; dopo
la nazionalizzazione, si imporrebbe così anche una politica di
alleanza con un altro grande gruppo internazionale, presumibilmente
asiatico...
Prima ci si renderà conto della realtà e meno peggio sarà per tutti...”.
Prima ci si renderà conto della realtà e meno peggio sarà per tutti...”.
Appunto. Prima
ci si renderà conto della realtà e meno peggio sarà per tutti.
Soprattutto per gli operai.
E la realtà del sistema
capitalista, dello Stato e dei governi che sono al servizio del
capitale, di cui questi fautori della “nazionalizzazione”
sembrano non “rendersi conto”.
Primo, la linea da tempo
di questo Stato, di questi governi è quella della privatizzazione;
privatizzano ciò per cui dovrebbe essere scontato il loro carattere
pubblico (vedi linee di tendenza a sanità, istruzione, ecc., per non
parlare di acqua...), e dovrebbero nazionalizzare ciò che è
privato!? Piuttosto nei piani dello Stato c'è la privatizzazione di
realtà industriali ora pubbliche, come l'Eni
Secondo, per l'ennesima
volta diciamo ai “ciechi” che le realtà industriali, quando
erano pubbliche – vedi proprio l'Ilva – era gestita come e peggio
dei privati, sotto tutti i punti di vista: garanzia del lavoro,
condizioni di lavoro, sicurezza per gli operai e tutela ambientale,
ecc. Ma anche ora, la stessa Eni è un esempio di grave inquinamento
ambientale, attacco al lavoro e ai diritti dei lavoratori in
particolare nel sistema dell'appalto.
Terzo, l'unica
“nazionalizzazione” che questo Stato può fare è quella di
metterci i soldi nelle aziende, ristrutturarle e riconsegnarle, una
volta attuata la “bonifica degli operai” al precedente privato o
ad altri capitalisti, anche esteri (come appunto soci asiatici per
l'Ilva; su cui, quindi, ci sta già pensando lo Stato, senza bisogno
di suggerimenti...).
Quarto. I
“nazionalizzatori” non chiedono allo Stato, ai governi di far
pagare pesantemente chi, spesso usufruendo prima di contributi e
sgravi statali, prende gli impianti e scappa in zone in cui lo
sfruttamento è più selvaggio e gli operai sono a bassissimo costo,
o di far pagare chi ha inquinato, provocato morti per i suoi
profitti; NO! Questi padroni possono chiudere battenti e se ne
possono andare all'estero e lo Stato, che di fatto è stato
osservatore passivo o più spesso collaborativo degli interessi di quei
capitalisti, dovrebbe riaprire queste fabbriche, che - ammesso e non
concesso - sarebbero guidate sempre dalla logica capitalista del minor
costo del lavoro e massimo utile, sulla pelle dei lavoratori.
MA soprattutto ciò che
non “passa per la mente” dei fautori della “nazionalizzazione”
è la questione del potere.
“il potere deve essere
operaio” non è solo un vecchio slogan, ma è la condizione per non
dire “chiacchiere ai 4 venti”.
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