L’arroganza del fascismo padronale si vede dalle dichiarazioni scritte nella sentenza che parla di ritorsione e che condanna la multinazionale: “Il datore di lavoro però non si aspettava la tenacia della lavoratrice nel portare avanti la vertenza.”
“Pensava, annotano i giudici, di poter chiudere bonariamente
come fatto «in altre sedi dislocate sul territorio nazionale dove era risultato
sufficiente procedere al trasferimento e al licenziamento di altre neo mamme
per poi addivenire ad accordi transattivi con le stesse». (il manifesto di
oggi).
La multinazionale ha utilizzato come sempre una serie di
notizie false: “«Gli affari dell’azienda non vanno benissimo, non puoi lavorare
più qui, ti mandiamo a 257 chilometri di distanza».”
Ma nella sentenza c’è scritto «Che tanto fosse avvenuto in
ragione della sopravvenuta maternità della ricorrente era dimostrato anche dai floridi
risultati economici conseguiti nel periodo di interesse proprio presso la
filiale di Cosenza, che smentivano in radice il giustificato motivo oggettivo»…
"L’Istituto Helvetico Sanders - conclude il manifesto - pensava che l’Italia non fosse un paese per mamme. Da oggi dovrà ricredersi." Purtroppo coloro che si devono ricredere sono proprio i giornalisti del manifesto perché questo paese avanza nel moderno fascismo, di cui il fascismo padronale è parte, e non sarà una sentenza, per quanto positiva in questo caso, a cambiarne il corso!
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Licenziata perché mamma, la Corte la reintegra: «Fu una
ritorsione»
Lavoro. La storia di Sara Guerriero: prima l’azienda l’aveva trasferita a 250 chilometri di distanza, poi l’aveva cacciata. Per il tribunale d'Appello di Cosenza si è trattato di un licenziamento ritorsivo e discriminatorio. Una sentenza destinata a fare giurisprudenza
Lavoratrici in un'azienda italiana
La maternità è da sempre «un guaio per la produzione», canta la Banda Bassotti, un ostacolo al profitto, un problema per le aziende. E per Sara Guerriero il trasferimento da Cosenza a Salerno era scattato dopo aver dato alla luce un bambino. Una coincidenza?
«Non è mai troppo tardi», recita uno spot dell’Istituto
Helvetico Sanders, l’azienda di cui la neo mamma era dipendente. Gli
comunicarono che a causa della crisi doveva trasferirsi da Cosenza a Salerno.
Un ricatto vero e proprio, un provvedimento discriminatorio per il suo status
di madre. In effetti non è mai troppo tardi per perdere il posto di lavoro
nell’Italia neoliberista. E se un giudice di prime cure decide che devi essere
richiamata in sede, pazienza. L’azienda ti trasferisce lo stesso.
È stata una battaglia infinita, lunga ed estenuante, quella
di Sara, a colpi di cause, denunce, lettere di trasferimento, accorate
richieste di mediazione. E poi la campagna stampa, i servizi delle Iene, gli
inviti in Rai. «Gli affari dell’azienda non vanno benissimo, non puoi lavorare
più qui, ti mandiamo a 257 chilometri di distanza». Prendere o lasciare. Lei
non solo non ha lasciato ma ha combattuto.
E alla fine ha vinto. E i «guai» per Farmasuisse Srl e
Sanders cominciano proprio da oggi: una sentenza della sezione Lavoro della
Corte di Appello di Catanzaro, presieduta dal giudice Emilio Sirianni
(consiglieri Rosario Murgida e Antonio Cestone), ha condannato a una pesante
indennità risarcitoria la multinazionale elvetica e ha ordinato l’immediato
reintegro della lavoratrice cosentina, patrocinata dall’avvocato Giuseppe
Lepera. Guerriero fu prima trasferita e poi di fatto estromessa dall’azienda,
subito dopo aver messo al mondo un bimbo. «Il suo licenziamento è ritorsivo e
discriminatorio», sentenzia ora la Corte.
La giovane lavoratrice, sebbene in tanti anni di servizio
fosse stata impeccabile e professionale, appena divenuta mamma fu posta di
fronte a un ricatto: accettare il trasferimento a 250 km dalla sede originaria
o essere licenziata. Sara si ribellò, raccontò tutto a il manifesto, che
nell’edizione del 3 marzo 2017 pubblicò la sua vicenda. La solidarietà fu
massiccia.
«Posso ritenermi fortunata – spiega – perché la mia non è
una famiglia monoreddito, quindi ho potuto attendere da disoccupata il tempo
necessario per ottenere giustizia. Ma penso a tantissime colleghe che non
vivono la stessa condizione e si vedono costrette a subire in silenzio o
accettare formule compromissorie forzose».
La storia di Sara è narrata in La spettabile F., scritto da
Luca Scarpelli, e pubblicato da Edizioni Erranti nel 2020. Il libro
ricostruisce la vertenza in tutte le fasi, rivela i contraccolpi psicologici,
squaderna il dramma umano di una donna privata del posto di lavoro nel momento
più delicato della propria esistenza. Dal romanzo traspare la volontà di
riscatto, la scelta coraggiosa di ribellarsi, la consapevolezza che tale gesto
stimolerà tante altre donne a non sottomettersi.
Il gelido linguaggio burocratico con cui l’azienda
comunicava l’esubero della segretaria Guerriero, inquadrata nel 4 livello Ccnl
studi professionali, «per un processo di riorganizzazione finalizzata a ridurre
i costi legati alle sedi operativa in modo da far sì che il numero degli
operatori sia confacente alle effettive esigenze aziendali ed ai reali volumi
di attività /redditività e alle scelte imprenditoriali adottate per
l’organizzazione delle attività di sede e il contenimento dei costi», celava
dunque una cinica volontà «discriminatoria», «ritorsiva» e «vendicativa».
I giudici dell’Appello riformando la sentenza di primo grado
rimarcano che la scelta aziendale di sopprimere un posto di lavoro nella sede
di Cosenza non era frutto di legittima scelta imprenditoriale. «Che tanto fosse
avvenuto in ragione della sopravvenuta maternità della ricorrente era
dimostrato anche dai floridi risultati economici conseguiti nel periodo di
interesse proprio presso la filiale di Cosenza, che smentivano in radice il
giustificato motivo oggettivo», scrivono i giudici catanzaresi.
Un provvedimento che farà giurisprudenza, che tira una linea
sul modo di fare impresa a danno delle lavoratrici madri. «A ulteriore
dimostrazione del solo intento vendicativo alla base della decisione aziendale
di espellere la lavoratrice, vi era anche il clamore mediatico che la vicenda
aveva suscitato sin dal secondo trasferimento e, a seguire, dopo il
licenziamento». Il datore di lavoro però non si aspettava la tenacia della
lavoratrice nel portare avanti la vertenza.
Pensava, annotano i giudici, di poter chiudere bonariamente
come fatto «in altre sedi dislocate sul territorio nazionale dove era risultato
sufficiente procedere al trasferimento e al licenziamento di altre neo mamme
per poi addivenire ad accordi transattivi con le stesse». L’Istituto Helvetico
Sanders pensava che l’Italia non fosse un paese per mamme. Da oggi dovrà
ricredersi.
https://ilmanifesto.it/licenziata-perche-mamma-la-corte-la-reintegra-fu-una-ritorsione/
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