Tra
i venti arrestati per infiltrazioni un imprenditore che aveva fatto lavori nel
cantiere di Chiomonte. Intercettazioni chiamano in causa ex consigliere
regionale dell'Udc Goffi. Lui: querelo "Ricordati queste parole: ce la mangiamo io e te la torta
da 200 milioni dell'alta velocità": così due imprenditori avevano cercato di
infiltrarsi nei lavori della Torino-Lione, ma sono stati intercettati dai Ros,
coordinati dalla procura di Torino, che sulla scia dell'inchiesta Minotauro
stavano indagando sul radicamento della 'ndrangheta in Piemonte. Con metodi
mafiosi, gli affiliati alla cosca Greco e i loro sostenitori esterni
sbaragliavano la concorrenza, minacciando chi li ostacolava e approfittando
dello smaltimento illecito dei rifiuti per vincere le gare al ribasso. E
l'imprenditore Giovanni Toro era riuscito a mettere un piede già dentro il
cantiere di Chiomonte, asfaltandone il piazzale, prima di finire in manette con
altre 19 persone in varie regioni d'Italia. E infatti dalle carte spunta anche il nome di
Michele Vietti, vicepresidente del Csm (estraneo all'inchiesta), tirato in ballo
attraverso il suo "delfino" Alberto Goffi, avvocato ed ex consigliere regionale:
di quest'ultimo si parla in molte intercettazioni per ambigui contatti con
uomini legati alla cosca anche in campagna elettorale. Lui: querelo. Gli
indagati, inoltre, al telefono si vantavano di aver fatto eleggere due
consiglieri comunali in provincia di Torino: "Anche noi dobbiamo avere un Cetto
Laqualunque", dicevano. Ma sotto inchiesta nell'operazione San Michele,
coordinata dai procuratori aggiunti Ausiello e Perduca, c'è anche un appalto per
lo "spazzamento" della neve all'aeroporto di Torino: a lungo l'appalto era stato
affidato a una ditta in odor di 'ndrangheta, che se l'era aggiudicato con
mazzette e minacce.
Questa mattina i carabinieri del Ros, sotto la direzione dell’antimafia torinese, hanno dato esecuzione a venti ordinanze di custodia cautelare in carcere per associazione di stampo mafioso, a Torino, Milano, Genova, Catanzaro, nell’ambito all’operazione «San Michele», uno dei santi cari alla ’ndrangheta, ma anche il nome di un bar di Volpiano, dove gli indagati si ritrovavano a discutere. L’inchiesta è affidata ai pm Roberto Sparagna e Antonio Smeriglio. C’era un’intesa criminale tra la cosca e il “locale” di Volpiano, una delle strutture territoriali scoperte dalla maxi inchiesta Minotauro. Al centro dell’indagice c’è Angelo Greco, considerato il capo cosca, residente a Venaria, emigrato da poco dalla Calabria.
Con
lo stesso provvedimento è stato disposto il sequestro preventivo di società e
beni per un valore complessivo di 15 milioni di euro. Sotto sequestro anche una
cava a Sant’Antonino di Susa, dove dovevano essere conferiti i rifiuti senza
essere trattati preventivamente. Tra i beni sequestrati 145 immobili, conti
cotrenti e anche uno yacht. «Merita di essere rimarcata la dimensione
internazionale delle indagini, mettendo insieme accertamenti sulle persone e
sulle cose, grazie anche alla collaborazione dell’autorità elvetica» hanno
spiegato i procuratori aggiunti Sandro Ausiello e Alberto Perduca, illustrando i
risultati dell’operazione al comando provinciale di Torino, sotto la guida del
colonnello Roberto Massi. «Questa inchiesta - ha detto il generale Mario Parente
- dimostra la propensione della criminalità organizzata ad agire in
“franchising”, replicando anche al nord modelli criminali, come occupazione del
territorio, intimidazioni, minacce, tipici delle zone di origine». Tra gli
arrestati c’è un investigatore privato che forniva i suoi servizi di
informazione alla cosca e un intermediario immobiliare. Indagati un carabiniere
e un vigile urbano, per accesso abusivo al sistema informatico delle forze di
polizia.
Mario Virano è il commissario del governo per la Torino-Lione. La ditta Toro
ha lavorato nel cantiere di Chiomonte in subappalto realizzando la bitumatura di
una strada richiesta dalle forze dell’ordine.
Come è stato possibile?
«Questo è successo prima del 2012 quando ci siamo accorti che per garantire la trasparenza dei lavori non bastava il certificato antimafia. Così abbiamo richiesto l’intervento del Gitav, il gruppo inter-forze creato per prevenire possibili infiltrazioni mafiose. Il Gitav ha passato al setaccio oltre 300 imprese e modificato anche i criteri di assegnazione dei lavori che avvengono solo dopo il via libera della Prefettura».
Amministratori locali e comitati No Tav avevano denunciato i legami poco chiari di alcuni imprenditori valsusini. Non si poteva intervenire prima?
«Siamo intervenuti quando abbiamo capito che limitarci a seguire il normale meccanismo di controllo basato sulla documentazione cartacea non era sufficientemente sicuro rispetto ai rischi di possibili infiltrazioni. Ltf ha così deciso, insieme ai sindacati, di sottoscrivere un protocollo più rigido che insieme alle verifiche Gitav ha permesso di escludere quell’impresa insieme ad altre cinque».
Come è stato possibile?
«Questo è successo prima del 2012 quando ci siamo accorti che per garantire la trasparenza dei lavori non bastava il certificato antimafia. Così abbiamo richiesto l’intervento del Gitav, il gruppo inter-forze creato per prevenire possibili infiltrazioni mafiose. Il Gitav ha passato al setaccio oltre 300 imprese e modificato anche i criteri di assegnazione dei lavori che avvengono solo dopo il via libera della Prefettura».
Amministratori locali e comitati No Tav avevano denunciato i legami poco chiari di alcuni imprenditori valsusini. Non si poteva intervenire prima?
«Siamo intervenuti quando abbiamo capito che limitarci a seguire il normale meccanismo di controllo basato sulla documentazione cartacea non era sufficientemente sicuro rispetto ai rischi di possibili infiltrazioni. Ltf ha così deciso, insieme ai sindacati, di sottoscrivere un protocollo più rigido che insieme alle verifiche Gitav ha permesso di escludere quell’impresa insieme ad altre cinque».
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