giovedì 17 giugno 2010

pc quotidiano 16 -17 giugno: LA LOBOTOMIZZAZIONE/REPRESSIONE CHE HA PRECEDUTO L'ACCORDO POMIGLIANO

L'accordo di Pomigliano, è utile ricordarlo, è stato preceduto - e non poteva realizzarsi senza - da un'altra operazione fascista, sempre targata Marchionne, avvenuta agli inizi del 2008 con dei corsi di “formazione” che furono obbligati a frequentare gli operai Fiat.
In realtà lo svolgimento di questi corsi e il loro obiettivo fu una “lobotomizzazione” di massa degli operai ribelli di Pomigliano e una “pulizia etnica” interna che portò insieme ad alcuni licenziamenti politici, alla deportazione di massa di più di 300 operai allo stabilimento di Nola (prendere o lasciare), in cui furono mandati “per non nuocere” gli operai più combattivi e d'avanguardia – tra cui tantissimi dello Slai cobas, insieme agli operai “improduttivi per l'azienda”.
Già allora i sindacati confederali assentirono o tacquero con la posizione che così si salvava la fabbrica, gli operai rientravano al lavoro, e, tutto sommato, si faceva un po' di “pulizia” all'interno di una fabbrica “ingovernabile” e difficile da portare a più miti consigli, da parte anche di questi sindacati – la Fiom che ora si lamenta, se ne dovrebbe ricordare...
Già allora Marchionne portò avanti delle aperte violazioni a diritti inviolabili dei lavoratori, ma anche delle persone, aperte violazioni dello Statuto dei Lavoratori.
Marchionne con questa operazione guardava già lontano; questa operazione ha di fatto voluto spianare la strada interna, creare il clima sindacale, ma anche politico, ideologico per far passare l'accordo di questi giorni.
Nello stesso tempo questo dimostra come non sia esagerato parlare di “fascismo padronale” visto che è tipico di una politica e logica fascista accompagnare pesanti attacchi ai proletari con repressione da un lato e propaganda lobotomizzante di massa dall'altra.

Per questo pubblichiamo di seguito un articolo uscito a suo tempo su “Proletari comunisti”.


"Gli operai della Fiat di Pomigliano tornano in fabbrica. Nell'intenzione dell'azienda, ci dovrebbero tornare “lobotomizzati” dopo due mesi di 'scuola-caserma', oggetto di un nuovo radicale esperimento che vuole fare “scuola”.
L’obbiettivo è “trasformare la pecora nera”. E non per modo di dire: in un poster di presentazione della campagna per la “Nuova Pomigliano” si vede un gregge di pecore bianche e al centro una sola nera e su la scritta: “Dobbiamo cambiare – Possiamo cambiare”. Per far diventare tutti gli operai un “gregge” che segue il padrone e in cui nessuno esca fuori dal coro, si ribelli. La parola d’ordine è riportare alle regole di padron Fiat la fabbrica ribelle, normalizzare, “saper stare in fabbrica”, robotizzare.

5000 lavoratori dal 7 gennaio e fino al 2 marzo hanno frequentato corsi di formazione sotto la guida di 266 capi. L’oggetto delle lezioni, tenute da docenti di università straniere, è la nuova metrica dell’organizzazione del lavoro di tipo toyotista chiamata Wcm (World class manifacturing).
Come in un film di Fantozzi, nelle aule li ha accolti un video in cui scorrevano le parole di Marchionne.
Tutti inquadrati in rigide regole di partecipazione e di comportamento. “prendere o lasciare” chi non ci sta può essere licenziato, come si è visto il 10 gennaio. Orari e pause fissate al minuto. I corsi dal lunedì al venerdì. Il venerdì ‘compito in classe’, per chi sta indietro, ‘corsi di rinforzo’.
A scuola sotto il controllo di 300 vigilanti (di cui 150 presi da fuori), come in una galera, con un uso dei vigilanti in violazione dello Statuto dei Lavoratori. Questi sono stati chiamati a controllare anche il corretto svolgimento del corso, ma soprattutto controllare il comportamento degli operai per reprimere qualsiasi atteggiamento non allineato (“i vigilantes sono dietro. E devi stare attento se hai il bisogno, aspettare, non muoverti. Umiliantissimo”. Come alle elementari - anche per andare a pisciare si deve “Chiedere il permesso ai capi alzando la mano”).
E come in un clima da galera la Fiat ad inizio corso ha dettato un Decalogo di regole per gli operai trasmesse ai manager e capisquadra: tutti devono indossare una tuta bianca; tolleranza zero sui turni e gli orari (anche un lavoratore di Pianura, impedito dai blocchi ad arrivare in orario è stato rispedito a casa); tutti gli operai ogni giorno devono ramazzare e lavare la propria linea di appartenenza e verniciare tutto quello che gli dirà il caposquadra; per usufruire di un giorno di permesso gli operai devono concordarlo con il caposquadra almeno 15 gg. prima; le attività sindacali concordate almeno 24 ore prima.
Siamo alla filosofia del servizio militare, con i capisquadra che si ritrovano un potere altissimo, che useranno anche dopo i corsi per umiliare sempre più gli operai, per una rivalsa di tutti gli anni in cui hanno dovuto ingoiare amaro; un potere sulle sanzioni disciplinari, per dare a questo e non a quello, un potere di arbitrio sui diritti dei lavoratori.
I temi dei corsi sono stati: sicurezza sul lavoro, qualità del prodotto, wcm, ergonomia, ecologia e ambiente, conoscenze tecniche di base, pulizia e ordine del posto di lavoro, regole di comportamento in azienda. Ma le “lezioni” sembravano fatte per umiliare e piegare la dignità, la ribellione degli operai di Pomigliano: “oggi primo giorno di pratica. Ci hanno insegnato a pulire la linea, a tenere in ordine la postazione, le viti che non si usano si tolgono…”

Un operazione industriale in cui vengono investiti 110 milioni di euro per rinnovare il processo produttivo e migliorare gli impianti sia in sicurezza che in efficienza (aumentare di 50 punti il wcm, in linea con gli standard degli stabilimenti Toyota): con aumento del numero di vetture da 700 al giorno a 720, fermi-auto ridotti al minimo, accorpamento funzionale di aree per ridurre gli spostamenti e una migliore movimentazione interna. A Melfi in cui questo miglioramento della “movimentazione interna” si sta già sperimentando – il TMC3/OCRA - gli operai stanno vedendo sulla propria pelle come a fronte di un apparente “vantaggio” di riduzione dei movimenti (tutto il materiale va vicino alla vettura e al lavoratore che sta operando), a causa del contemporaneo aumento dei tempi produttivi il risultato è peggiore di prima.
Ma l’investimento maggiore di Marchionne è sulla “formazione”, che tradotto vuol dire cambiamento radicale degli operai. Gli operai “devono essere coinvolti nella vita dell’azienda a 360°”, devono essere sussunti dalla filosofia e politica dell’azienda, devono pensare come l’azienda, devono volere quello che vuole l’azienda. E, per questo, la Fiat utilizza il potere mediatico, da “grande fratello”: una televisione aziendale a circuito interno, un sito web, uno spazio per la “creatività – creative-lab” per far diventare gli operai “fessi” (un operaio ha scritto: “non so far nulla. Ma mi intendo di animali e cuccioli. Prendetemi”. Ora sta preparando un progetto), momenti di incontro collettivo, un numero verde, una cassetta postale per fornire all’azienda consigli, lamentele, idee; poi la fabbrica apre al “popolo”, compresa una domenica con i bambini in fabbrica.

Perché gli operai comprendessero subito la nuova filosofia, lo sciopero avvenuto il 10 gennaio contro i soprusi dei vigilantes è stato immediatamente stroncato con provvedimenti di sospensione, poi rientrati ma solo perché tutti i sindacati e in particolare la Fiom hanno dichiarato di accettare la filosofia e le regole di Marchionne. E ora la direzione Fiat dice che “la stragrande maggioranza crede nel piano dell’azienda e nella nuova organizzazione del lavoro prodotta”.

Si è utilizzato tutto per “motivare (fare il lavaggio del cervello) gli operai e favorire il rilancio del polo di Pomigliano”: dai nuovi servi/giullari alla Alex Bellini il navigatore solitario, amante delle sfide estreme che, dopo essere andato a “rompere i c.” a Melfi va a fare il suo servizio ai padroni a Pomigliano e dice “.. non chiedetemi perché lo faccio. Vivo di sensazioni…servono motivazioni, perseveranza e capacità di non lasciarsi prendere dallo sconforto” (e lo viene a dire agli operai che non ce la fanno più a vivere con il loro salario, che rischiano provvedimenti e licenziamenti anche per aver fatto osservare a un capo che non si può cacciare un operaio per due minuti di ritardo?!); ai fratelli Abbagnale; dai poster raffiguranti un terreno arido su cui cresce un fiore, a quelli raffiguranti un atleta ai nastri di partenza, o un pugile e su la scritta “prepariamoci a vincere”, o un bimbo che posa un mattone e invita: “Costruisci la nuova Pomigliano”, o una donna incinta e la scritta “la Nuova Pomigliano cresce con te”, ecc. ecc.

Questa operazione è stata fatta con l’accordo dei sindacati. Per questo Marchionne tre giorni dopo l’annuncio del suo piano ha costituito con loro il Comitato paritetico, il cui vero scopo, al di là delle penose illusioni della Fiom, è “rimuovere criticità” e la principale “criticità” sono proprio gli operai o quei delegati Rsu che si ribellano, che scioperano, che pensano.
Per la Uilm, per bocca del suo segretario regionale Sgambati, il piano straordinario di Marchionne, dopo il ritiro delle sette lettere che preludevano al licenziamento, è diventato “lo straordinario piano”! E ricorda orgoglioso che “nel 2001 Pomigliano salvò i conti del gruppo”. Si è dimenticato di dire che invece i “conti” degli operai sono precipitati.
Per la Fim “se non si vuole chiudere Pomigliano, bisogna formare una nuova generazione di capi.
La Fiom condivide questa “nuova stagione”, “idea largamente condivisa”, anzi, i dirigenti della Fiom dicono che sono stati “i primi a chiedere un intervento straordinario per Pomigliano”, vogliono accompagnare il processo e che “non si faccia di tutte le erbe un fascio” (proponendosi di fatto di segnalare anche loro i “buoni” e i “cattivi” da reprimere); ma in cambio chiede la salvaguardia del ruolo del sindacato e sul modello di relazioni dice che c’è contrasto con la Fiat – come se la “nuova stagione” e il non rispetto dei diritti sindacali non vadano per Marchionne di pari passo! La Fiom si appella, penosamente, al rispetto della “commissione paritetica” tra azienda e sindacati che dovrebbe vigilare sui contenuti della formazione e della ristrutturazione e dare indicazioni precise su cosa andare a produrre, ma la Fiat se ne frega.

Dopo la “melfizzazione” della Fiat Sata usata come modello di spremere scientificamente il massimo da ogni operaio, da ogni parte del suo corpo, da ogni suo movimento; oggi è l’ora del “toyotismo di Pomigliano”, per ottenere livelli d’eccellenza, altissimi standard qualitativi attraverso il lavaggio del cervello, una filosofia dei comportamenti, la costruzione dell’operaio sfruttato e addomesticato, fedele all’azienda, che non ha diritti ma “concessioni” dai capi.
“in Italia non c’è mai stato un progetto così ampio di riconversione” – dice Accornero docente di sociologia industriale alla Sapienza – potrebbe fare giurisprudenza in tutto il paese".

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