Nelle ultime settimane aumentano gli avvoltoi che svolazzano
sopra la raffineria Isab di Priolo di proprietà della compagnia petrolifera
russa Lukoil. Non solo gli Stati Uniti, adesso spunta anche il Qatar.
Il governo italiano, come si sa, con il decreto del 1° dicembre ha messo una toppa alla possibile chiusura con la conseguente perdita di circa il 30% dei prodotti raffinati necessari alla produzione dell’industria italiana (e il conseguente licenziamento di migliaia di operai), mettendo l’azienda in amministrazione temporanea per 1 anno (prorogabile per altri 12 mesi), dichiarando l’impianto di interesse strategico nazionale e prevedendo anche l’uso del “golden power”, cioè la facoltà del governo
di intervenire, dettando le proprie condizioni, per esempio in caso di vendita “al fine di garantire lo sviluppo del polo produttivo anche per quanto riguarda la produzione, i livelli occupazionali e il pieno rispetto delle norme ambientali”.Queste le motivazioni del ministro sulla carta, ma
nel frattempo, più nel concreto, Urso ha chiesto agli americani di non usare le
sanzioni: “Il decreto salva-Isab inoltre si accompagna con le rassicurazioni
date al ministero delle Imprese dall’autorità americana Olac (Office of Foreign
Assets Control’s): una “comfort letter” con la garanzia che le banche che
finanzieranno le operazioni ponte per Isab non saranno sottoponibili a sanzioni
americane.”
A questo punto le trattative sulla vendita sembrano quindi
andare avanti: da una parte c’è il fondo di investimenti americano Crossbridge
che ha presentato una offerta da un miliardo e mezzo (una cifra molto al
ribasso se è vero che la Lukoil vi ha investito 6 miliardi ultimamente), e dall’altro
lato “… nelle ultime ore sarebbe spuntato anche quello di una cordata che fa
riferimento a un uomo d’affari del Qatar, Ghanim Bin Saad Al Saad, insieme
ad alcuni investitori di casa nostra. Il consorzio a guida qatariota
sarebbe stato presentato al governo italiano da un team di consulenti di cui fa
parte anche l’ex primo ministro Massimo D’Alema.”
Questo Al Saad “è uno degli uomini d’affari più ricchi in
Qatar: ha creato circa 30 anni fa la conglomerata Gssg formata da 45 aziende in
settori diversi come l’aviazione, l’immobiliare, le gestioni patrimoniali, le
comunicazioni, oltre agli idrocarburi.”
Come si può ben vedere di padroni interessati ai profitti ce ne sono tanti, ma la garanzia per “quanto riguarda la produzione, i livelli occupazionali e il pieno rispetto delle norme ambientali” i lavoratori, che, ricordiamo, sono circa 10.000, non ce l’hanno: e questo viene confermato dalla cronaca quotidiana di ciò che succede all’ex Ilva, per esempio, e in tante altre fabbriche. Questa “garanzia” i lavoratori se la conquistano solo con l’impegno diretto e la lotta, con l’unità delle lotte in corso.
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