Kabul. Forte della fiducia ottenuta in questi ultimi anni dai nuovi padroni dell'Afghanistan, Doha svolge ora un ruolo centrale per le relazioni tra gli studenti coranici, gli Stati uniti e l'Occidente.
Non si è sbilanciato ieri il segretario di Stato Tony Blinken ma è credibile che il Qatar sia pienamente coinvolto nell’organizzazione dei contatti che gli Usa hanno avuto con i talebani nelle ultime ore per arrivare ad accordi sui voli da Kabul per i circa cento cittadini statunitensi che vogliono lasciare l’Afghanistan. Il ruolo svolto da Doha nelle sorti del paese centroasiatico è destinato a crescere in futuro. Il Qatar resterà a lungo l’interlocutore principale del governo talebano appena formato per i rapporti con Washington e l’Occidente. E insiste affinché sia dato tempo ai nuovi padroni dell’Afghanistan. Parlando lunedì all’agenzia France Presse, l’assistente del ministro degli esteri Lolwah al Khater, astenendosi dall’invocare il riconoscimento immediato delle nuove autorità di Kabul, ha detto che i talebani stanno mostrando «pragmatismo» e che devono essere giudicati per le loro azioni come «governanti de facto» dell’Afghanistan. Ad accrescere l’influenza del Qatar sono i rapporti stretti che vanta con il mullah Abdul Ghani Baradar, co-fondatore dei talebani, negoziatore con
gli Usa a Doha, capo politico in pectore degli studenti coranici e numero 2 del nuovo esecutivo.I segnali del ruolo centrale del Qatar ci sono tutti. D’altronde già da alcuni anni Doha ha preso il posto dell’Arabia saudita, sponsor negli anni ‘90 dei talebani rimasti al potere a Kabul fino dell’invasione statunitense nel 2001. È stato scelto dai «nuovi» talebani per fare da tramite tra loro e gli Stati Uniti e ha ospitato e contribuito a realizzare l’accordo dello scorso anno tra le due parti. Invece i tentativi dell’Arabia saudita e degli Emirati di persuadere i miliziani islamisti ad istituire «missioni diplomatiche» nei loro territori sono falliti. Riyadh e Abu Dhabi sono considerate troppo vicine agli Stati Uniti.
Ora Doha sta conducendo trattative sulla gestione e la salvaguardia dell’aeroporto di Kabul che potrebbero consentire ai talebani, nonostante le condizioni poste dai paesi occidentali, di stringere legami internazionali e avviare la ricostruzione dell’Afghanistan. E non dimentica gli interessi anche dei suoi alleati, a cominciare dalla Turchia di Erdogan. Prima della caduta di Kabul, l’ex governo afghano aveva concordato con l’amministrazione Biden che l’aeroporto sarebbe stato protetto dalle forze turche. Incarico accettato di buon grado dalla Turchia ma svanito con il crollo dell’esecutivo filo-Usa. Eppure, grazie al Qatar, Ankara resta l’unica candidata per la gestione e la messa in sicurezza dell’aeroporto nonostante i disaccordi emersi nelle ultime settimane con i talebani che rifiutano l’idea di una presenza militare straniera in Afghanistan. Ma Doha non farà fatica a convince Kabul a rinunciare a questa richiesta se vuole ottenere la legittimità internazionale che cerca e attirare investitori stranieri necessari per ricostruire il paese.
Lolwa al Khater riconosce i ricavi politici ottenuti in Asia centrale dal Qatar, specialmente in questi ultimi mesi, ma respinge l’idea che gli sforzi del paese del Golfo abbiano pure finalità strategiche. «Se qualcuno pensa che si tratti solo di guadagni politici, rispondiamo che ci sono modi per fare le pubbliche relazioni molto più facili rispetto a rischiare la nostra gente lì sul campo e molto meno complicato che passare il tempo a occuparsi di ogni bambino e di ogni donna incinta», ha detto all’Associated Press riferendosi al ponte aereo organizzato da Doha che ha permesso a decine di migliaia di civili di lasciare Kabul dopo l’arrivo dei talebani.
Comunque sia, ancora una volta il piccolo ma ricchissimo regno del Golfo guidato dall’emiro Tamim bin Hamad Al Thani – patria di appena 300mila cittadini -, ha confermano l’abilità diplomatica che l’ha portato ad avere un’influenza decisiva nei conflitti in Libia e Siria, a diventare lo sponsor del movimento Hamas a Gaza e ad aggirare l’embargo attuato nei suoi confronti dall’Arabia saudita e i suoi alleati (Emirati, Egitto, Bahrain).
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