Verso che direzione sta andando la "nuova" Tunisia?
Il referendum dello scorso 25 luglio ha consacrato il progetto di riforma costituzionale del presidente della repubblica Saied che aveva assunto pieni poteri l'anno precedente e che adesso si avvia verso la seconda tappa della propria road map istituzionale con le prossime elezioni parlamentari del 17 dicembre, in occasione del dodicesimo anniversario dello scoppio della Rivolta Popolare.
Queste elezioni si svolgeranno secondo la nuova legge elettorale: i candidati che riusciranno a raccogliere il numero di firme necessarie concorreranno su base individuale, ma a nessun partito sarà concesso di presentare liste elettorali (ciò non impedirà agli esponenti politici dei partiti di candidarsi individualmente).
Nella visione politica di Saied le nuove istituzioni rappresentate da tale "parlamento anti-partitico" che sarà affiancato dal nuovo organo della Camera delle Regioni, nel quadro del nuovo assetto istituzionale, dovrebbe aprire le porte alla "nuova Tunisia" escludendo la "vecchia partitocrazia" e riprendendo il filo interrotto della Rivolta Popolare consacrando le aspirazioni di dignità nazionale e prosperità, tradite dal decennio di "transizione democratica" egemonizzato dagli islamisti di Ennahdha.
Ciò che sta avvenendo nelle ultime settimane sembra però confermare che anche questo "nuovo" corso finora si stia collocando in continuità con le politiche dei regimi precedenti.
Dipendenza alimentare, tagli alla spesa pubblica, ulteriore indebitamento e dipendenza dal capitale straniero
Le scelte di politica economica del regime Saied-Bouden continuano a rimanere nel solco liberale con la stipula di un nuovo finanziamento del FMI di 1,9 miliardi di $ (di quasi 500 milioni sarà la prima tranche). Come contropartita il FMI chiede ancora una volta un giro di vite con politiche di austerity che ridurranno ("razionalizzeranno nel linguaggio dell'agenzia e del governo tunisino) le sovvenzioni governative per calmierare i prezzi dei beni di prima necessità; si profila inoltre l'inizio di una graduale privatizzazione di alcune imprese pubbliche con un conseguente taglio dei "costi" che si tradurrà in nuovi licenziamenti, pensionamenti anticipati e riduzione dei servizi.
Il sindacato UGTT da tempo promette battaglie se tali misure saranno implementate.
Intanto l'inflazione che negli ultimi mesi ha superato la barra dell'8 %, complice la congiuntura internazionale (la Tunisia come gran parte dei paesi del Nord Africa importa gran parte del proprio grano dall'Ucraina) ma anche l'assenza misure da parte del ministero delle finanze, ha di fatto anticipato una crisi alimentare con l'aumento generalizzato dei prezzi di molti beni (uova, latte, legumi, frutta e carni avicole ma anche carni bovine, ovine e il pesce), a cui si è aggiunta la penuria preoccupante di molti beni che negli ultimi mesi tocca a fasi alterne la farina, lo zucchero, il latte, l'acqua in bottiglia e recentemente i carburanti. Ma ciò che su questo fronte rappresenta un vero e proprio campanello d'allarme è stata la serrata dei panifici il 19 ottobre. I produttori minacciano di aumentare il prezzo del pane dato che da 14 mesi non incassano le sovvenzioni statali per mantenerne il prezzo calmierato.
L'ultima volta che ciò è successo ha portato allo scoppio della famosa Rivolta del pane del 1984.
L'adesione alle ricette del FMI al fine di incassare la prima e le succesive tranches di finanziamento aggraveranno tale quadro, sostenendo la politica macroeconomica di riduzione del deficit commerciale tramite la cosiddetta import/substitution: specializzarsi nella produzione di beni a minor costo di produzione per esportarli, e importare tutti gli altri che teoricamente hanno un costo di produzione inferiore all'estero. Questa politica non è nuova in Tunisia che come conseguenza è diventata il primo paese esportatore di olio d'oliva al mondo, un grande esportatore di datteri, e di frutta mentre produce solo il 30% del proprio fabbisogno di grano per sfamare la popolazione, inoltre i prezzi di questi beni diventano sempre più proibitivi per la popolazione tunisina. Negli ultimi decenni non vi è stata una politica di rafforzamento del settore industriale di produzione dei beni ad alto valore aggiunto ma si è invece preferito puntare su settori notoriamente volatili e speculativi come il turismo e le costruzioni.
Un approccio repressivo e securitario verso il fenomeno migratorio
Il potere d'acquisto sempre più eroso e il tasso di disoccupazione che rimane stabilmente elevato, hanno sicuramente contribuito all'aumento dei tentativi di emigrazione verso l'Europa e le coste italiane, con un cambiamento qualitativo inedito e preoccupante: tra i migranti aumentano sempre più interi nuclei familiari nonchè minori non accompagnati. Il 19 ottobre i media locali hanno riportato la notizia ripresa dai media italiani dell'arrivo a Lampedusa di una bambina di quattro anni fatta imbarcare dai genitori che adesso rischiano di essere perseguiti dalla giustizia tunisina per favoreggiamento dell'emigrazione clandestina.
Effettivamente anche la Tunisia di Saied, tralasciando le dichiarazioni formali che parlano della necessità di un "approccio globale al fenomeno migratorio", conferma assurgere al ruolo di guardia coste per conto dell'UE e del governo italiano.
La rabbia popolare è esplosa nella città costiera e meridionale di Zarzis dopo che in seguito all'ennesima strage in mare da cui sono stati ripescati 17 cadaveri, si è scoperto che questi sono stati interrati nel "cimitero dei migranti" della città senza effettuare il test del DNA e quindi senza identificazione. Le famiglie di molti giovani partiti dalla città e di cui non si ha più notizia hanno organizzato proteste e blocchi stradali per giorni sfociati nello sciopero generale indetto dall'UGTT del 18 ottobre che ha paralizzato la città che è stata attraversata da un'imponente manifestazione sostenuta anche dai commercianti che hanno aderito abbassando le saracinesche.
Lo stato di polizia rinvigorito
La situazione socio-economica del paese è quindi esplosiva, ed effettivamente da ormai sei giorni è in corso una vera e propria rivolta popolare nel quartiere proletario di Ettadhamen in seguito all'ennesimo giovane morto a seguito di un pestaggio della polizia. Malek Slimi, 24 anni, dopo quasi un mese e mezzo di coma è infine morto, provocando l'ira dei giovani del più grande sobborgo popolare del Nord Africa che da cinque notti stanno erigendo barricate bruciando cassonetti, macchine e pneumatici e attaccando la polizia. Quest'ultima sta facendo fronte alla rivolta con l'uso massiccia di lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo, cariche con camionette, alcuni poliziotti sono stati immortalati mentre sparavano con armi da fuoco sui giovani in rivolta, come denunciato dall'organizzazione comunista Resist in un recente comunicato corredato dalle foto in questione.
Negli ultimi mesi la repressione si è intensificata non solo contro le lotte sociali, ma colpendo selettivamente avanguardie politiche e sociali rispolverando i metodi di arresto extragiudiziali e le montature che ricordano il regime di Ben Ali: neanche il decennio di regime di Ennahdha, pur con le sue forme nuove di restaurazione del vecchio regime fatto di arresti e repressione delle lotte sociali e dei lavoratori era arrivato a tanto.
Mentre è ancora formalmente in corso la montatura con l'accusa di terrorismo del giornalista comunista Ghassen Ben Khalifa, rimesso in libertà lo scorso 11 settembre e in attesa dell'udienza del prossimo 28 ottobre, nel giro di pochi giorni sono stati arrestati due giovani militanti politici: Marwen Bendhiefi (in attuazione di una condanna comminata durante il regime di Ennahdha per una scazzottata con degli estremisti salafiti) e Saif Ayadi (rispettivamente il 5 ed il 19 ottobre) quest'ultimo con la sua organizzazione ha giocato un ruolo importante nel sostegno alla famiglia del giovane Slimi denunciando le pressioni del ministero dell'interno alla famiglia per ritirare la denuncia contro gli assassini del figlio.
Infine il 20 ottobre mentre si svolgeva un'udienza presso il tribunale di Ben Arous (Grande Tunisi) del caso Omar Laabidi, il giovane ultras di 19 anni gettato in un torrente dalla polizia e annegato a margine di un match calcistico il 31 marzo 2018, la polizia ha impedito ad alcuni manifestanti di raggiungere il sit-in davanti il tribunale e ha arrestato una giovane attiva nel comitato che si batte perchè venga fatta giustizia.
La sinistra rivoluzionaria ad un bivio
I partiti e le organizzazioni rivoluzionarie extraparlamentari a sinistra del defunto raggruppamento elettorale del Fronte Popolare (che nei dieci anni di transizione democratiche e anche oggi hanno civettato di fatto con le forze di governo nel mantenere lo status quo), hanno reagito in maniera diversa, spesso agli antipodi nei confronti del nuovo corso della politica istituzionale tunisina diretta da Saied: alcuni vedono come un'opportunità tattica le prossime elezioni pensando che così condotte possano favorire una presenza di una piccola truppa di sinistra all'interno del parlamento per portare le istanze popolari all'interno delle istituzioni ed in tal senso in questa fase hanno concentrato i loro sforzi nel sostegno al processo referendario dello scorso luglio e oggi del processo elettorale.
Al contrario l'organizzazione comunista Resist, scissasi recentemente dal Partito dei Lavoratori, sin dalla sua nascita si è mobilitata in piena opposizione all'agenda di Saied e in un recente comunicato a chiusura della "seconda sessione plenaria" del 16 ottobre afferma:
"mentre la crisi si aggrava, la resistenza comincia a mettere radice [...] delle sezioni del popolo, in particolare le più toccate [dalla crisi] hanno incominciato a marciare contro le scelte di Saied e del suo governo, e se questa resistenza oggi sembra debole, discontinua e intermittente, l'evoluzione della situazione lascia intravedere la sua graduale intensificazione, ciò può aprire le porte a degli scenari che possono diventare anche peggiori [di quello attuale] se le forze patriottiche non armano questa resistenza con un programma, slogan e una chiara alternativa per non cadere preda di un'altra ala della borghesia compradora [...] consideriamo che la sola opzione offerta al nostro popolo e alle forze patriottiche è di approfondire l'opzione della resistenza popolare e di organizzarla per armare il movimento popolare di un programma rivoluzionario e delle parole d'ordine concrete per dissipare tutti i deliri popolari o liberali e far realizzare che il nostro paese ha bisogno di una rivoluzione sociale che ripristini gli obiettivi e i compiti sollevati dalla rivoluzione abortita del 2011".
L'autunno tunisino si sta progressivamente riscaldando è non è escluso che una nuova Rivolta Popolare sia all'orizzonte, la questione centrale è sempre la stessa, quale sarà il ruolo delle organizzazioni rivoluzionarie organizzate in questa nuova ondata che sembra poter scoppiare da un momento all'altro?
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