Mentre sui temi della contrattazione, dei salari, dei licenziamenti, degli ammortizzatori, i sindacati confederali continuano fermamente nella loro posizione che nella sostanza è quella di non disturbare il manovratore, spostando l’attenzione sugli extraprofitti o sul taglio del cuneo fiscale, i padroni sono invece molto interessati a vedere come affrontarli, questi temi, soprattutto quello dell’aumento dei salari.
“I sindacati italiani - dice un articolo di Milano Finanza del
15 ottobre - hanno chiesto a Stellantis e alle altre società della galassia
Exor un aumento dei salari dell'8,4% nel 2023.”, con quale obbiettivo? Quello
del “pieno recupero dell’inflazione in busta paga”! Nessuna richiesta, quindi,
di aumento del salario reale! E quando anche si ottenesse il recupero
dell’inflazione - cosa per niente scontata - visto che l’inflazione “è qui
per restare” come dice l’articolo, all’indomani saremmo punto e a capo, e
cioè a una perdita effettiva di salario!
E già questo smentisce le chiacchiere gridate di Bombardieri
e Landini dai rispettivi palchi! La Cisl non tratta nemmeno l’argomento!
Ma l’analisi presa in considerazione da Milano Finanza va oltre, e nel chiedersi se queste richieste siano
“un caso isolato o il preludio di un autunno caldo per la contrattazione collettiva?” ha commissionato uno studio specifico: “MF-Milano Finanza lo ha domandato a Mercer, principale società di consulenza per le politiche retributive che ha tastato il polso alle grandi aziende italiane.”Che cosa è emerso da questa “domanda”? Una cosa che ha
ferito le orecchie delicate dei padroni: “Ne emerge la percezione di una
forte pressione al rialzo sui salari.” E rimarcando, subito dopo, una
differenza tra la situazione internazionale e quella italiana: “A livello
globale – continua il quotidiano di una fetta di capitalisti che investono nell’editoria
- sei imprese su 10 ritengono che nel 2023 le rivendicazioni retributive
aumenteranno in modo significativo per tutti i ruoli e le competenze.”
Ciò significa che “a livello globale” tra gli operai “emerge
la percezione” che i loro salari sono troppo bassi! E in questo “Il dato
italiano non si discosta, né nelle linee generali divergono le strategie per
affrontare l'inedita combinazione fra la persistente elevata inflazione e
l'incombente recessione economica.” Perché questa combinazione sia inedita
lo sa solo il giornalista! Visto che la persistente elevata inflazione
dimezza le entrate (e quindi le uscite) di chi vive di salario e quindi riesce
ad assorbire solo una piccola parte della produzione generale e che questo, combinato
con l’aumento dei prezzi delle materie prime, riduce di fatto la
produzione industriale e ciò porta, come dicono gli stessi organismi
internazionali della borghesia, alla chiusura di tante aziende con
relativo licenziamento di operai, al “rallentamento” dell’economia fino alla
recessione!
Ma torniamo alla “rivendicazione dei sindacati Stellantis”
che per MF è «un segnale che conferma le nostre aspettative rispetto a una crescente
richiesta di alcune fasce di dipendenti di adeguare il salario al costo della
vita più alto», spiega Luca Baroldi, co-lead Career di Mercer Italia.” E
per arrivare a questo “segnale” non c’era bisogno di un co-lead Career!
Quali operaie e operai, lavoratrici e lavoratori vengono colpiti? «Sono colpiti in particolare i settori che impiegano vaste fette della popolazione a reddito medio-basso», prosegue, «la manifattura e il retail in primis, ma anche il consumer good e life science, con particolare riferimento ai colletti blu che operano in numerosi stabilimenti sparsi sul territorio nazionale».
Quindi, saranno colpiti, innanzi tutto, quei settori
della classe operaia impegnata direttamente nella produzione industriale, e
quella più generale, e inquadrata ai livelli più bassi e lavoratrici e
lavoratori del commercio! Ma, secondo lo “studio”, non andrà tanto bene nemmeno
ai “consumer good e life science”, ancora parole inglesi per dire consumatori e
impiegati in settori come la farmaceutica!
Ma come reagiscono i padroni a queste “pressioni”?
“Le imprese hanno sinora reagito con misure temporanee, volte
a evitare un aumento strutturale del costo del lavoro”. Cioè, niente
aumenti salariali veri!
«Attualmente 4,5 aziende su 10 in Italia hanno previsto di
fornire una qualche azione di supporto», calcola, «si va dall'erogazione di una
tantum (25%) a quella di indennità temporanee come i buoni benzina
(15%)». Questo è il risultato – il cosiddetto welfare aziendale - vantato dagli
accordi sindacali, di Cgil-Cisl-Uil! E infatti “Questi strumenti hanno
consentito di rinviare la decisione sui budget salariali, in attesa di
capire se l'aumento dei prezzi fosse un fenomeno temporaneo o di medio-lungo
termine.”
I padroni come si vede hanno aspettato fino alla fine, in
buona compagnia delle principali banche mondiali (tanto per ricordare questi
altri scienziati!), per capire se l’inflazione era “passeggera” o duratura e
alla fine “I numeri degli ultimi mesi non ammettono più dubbi: l'inflazione
è qui per restare e due terzi dei datori di lavoro italiani hanno già deciso
come tenerne conto.”
Loro già ne tengono conto, mentre nelle aziende i sindacati
confederali devono ancora iniziare le assemblee sulla contrattazione (il cui
risultato è già scontato a favore delle loro “proposte”!).
«Rispetto ai budget 2023, oltre il 45% delle aziende in
Italia ha previsto di tener conto maggiormente del trend inflazionistico, in
particolare nei budget di aumento retributivo sulle componenti fisse (50%), con
incrementi che vanno dall'1 al 3% superiore rispetto alla media dei tre anni
precedenti».
Fermo restando che le “componenti fisse”, cioè il salario “certo”,
oramai si sono ridotte alla metà, la “media dei tre anni precedenti” non ha
spostato di una virgola il salario reale degli operai! Anzi, con l’inflazione,
appunto, di fatto è diminuito! Per cui questi “incrementi” non
incrementerebbero proprio un bel niente.
E infatti, tanto per non creare inutili aspettative: “Nella
maggior parte dei casi, comunque, le aziende non intendono procedere ad aumenti
salariali generalizzati.”
E anche qui torna la distinzione tra comportamento dei
padroni in Italia e all’estero: «Mentre all'estero si tende a ricorrere a un
approccio omogeneo su tutti i dipendenti», molto probabilmente per il livello
“omogeneo” già troppo basso legato alla generalità dei bassi livelli!
“precisa tuttavia Baroldi, «in Italia, forse perché si hanno meno risorse a
disposizione, le aziende sembrano propense a privilegiare ruoli chiave e best
performer». Baroldi dice una grande bugia perché secondo le statistiche degli
stessi padroni della finanza nelle casse delle aziende c’è tanta “liquidità”, almeno
“450 miliardi delle aziende in depositi bancari che potrebbero essere investiti”
(Il Sole24Ore 11 ottobre) ma non sanno dove visto che la crisi da
sovrapproduzione non permette di ottenere altri profitti (la valorizzazione del
Capitale).
“In altri termini, - continua l’articolo - le imprese
destineranno una quota consistente delle risorse stanziate per adeguare i
salari all'inflazione ai dipendenti con mansioni strategiche, di difficile
sostituzione o capaci di portare risultati migliori.”
Quindi, niente soldi per i livelli più bassi, e se e
quando decideranno di spendere qualcosa in più per i salari lo faranno solo per
quelli di cui non possono fare a meno o che si fanno spremere di più!
MF ci tiene a mettere in luce i problemi che da tutto questo
nascono per i padroni che devono barcamenarsi tra “Il bilanciamento fra la
volontà di tenere sotto controllo il costo del lavoro e la necessità di
attrarre personale diventerà insomma più complesso.”
E viste le difficoltà si ricorre con più facilità al
vecchio e sicuro metodo del licenziamento: “Qualche azienda potrebbe perciò
essere tentata dalla riduzione dell'organico nelle divisioni ‘periferiche’.”
Che alcune hanno già messo in pratica, come sanno migliaia di lavoratori, il
6%, dice Milano Finanza, ma “un altro 23% ci sta pensando”!
I padroni, però, in questo paese hanno anche tante altre
armi nel loro arsenale contro i lavoratori: “Normalmente però [sembra
un’affermazione fatta con un certo dispiacere, ndr] in Italia vengono
utilizzati ammortizzatori sociali e azioni cuscinetto come pre-pensionamenti,
più che tagli massicci di forza-lavoro, che data l’inelasticità del tessuto
economico fatica a ricollocarsi, anche in presenza di competenze qualificate.”
Mf chiude l’articolo con il solito consiglio finale
ai padroni: “Un'ondata di licenziamenti non gioverebbe certamente alle
aziende che per rilanciarsi nel prossimo futuro avranno bisogno di
tante persone». Si intende di quelle del governo, dei sindacati, e
dell’opinione pubblica che li aiuti, non solo con i soldi, nella guerra della
concorrenza!
In ogni caso per prevenire eventuali altri ostacoli “risulta
dal sondaggio di Mercer Italia, il 21% delle aziende italiane sta cercando -
per necessità o per convenienza - talenti all'estero.” E così anche le voci
di eventuali “nuove assunzioni” vanno a farsi benedire!
La sicurezza e il modo in cui i padroni trattano le questioni
relative al salario e ai licenziamenti, come pura questione “tecnica”, è lo specchio
degli attuali rapporti di forza tra operai e padroni che in questo momento sono
favorevoli ai padroni… anche per questo la battaglia per gli aumenti salariali,
insieme a quella contro le delocalizzazioni, è fondamentale per la classe
operaia affinché si ristabiliscano rapporti di forza tali che siano la base sufficiente
sulla quale darsi la spinta per allargare la lotta a tutti i campi dello
scontro in atto tra borghesia e proletariato.
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