mercoledì 13 marzo 2019

pc 13 marzo - Formazione operaia - prosegue nei gruppi di studio su 'Le lotte di classe in Francia' - dai compagni di Ravenna

La parte finale de Le lotte di classe in Francia dal '48 al '50 vede la bancarotta della sinistra borghese e della piccola borghesia, soprattutto di quella "socialista" che parla in nome degli operai ma per farli conciliare con il sistema dei padroni, che "fantastica di eliminare la lotta rivoluzionaria delle classi e le sue necessità mediante piccoli artifici o grandi sentimentalismi", la stessa piccola borghesia che semina illusioni sulla via elettorale e parlamentare e dimostra tutta la sua nullità politica quando il nemico di classe, la borghesia spaventata dalle lotte di piazza del proletariato, mette in campo la sua reazione più dura, lasciando il comando dello Stato ad un ceto politico impresentabile ma utile ai suoi interessi come lo sono sempre stati i fascisti, un personale politico che in quel periodo aveva il volto di Luigi Bonaparte e della sua cricca.
"Con la legge elettorale e con la legge sulla stampa, il partito rivoluzionario e democratico scompare dalla scena ufficiale. Prima di andarsene a casa poco dopo la chiusura della sessione, le
due frazioni della Montagna, i democratici socialisti ed i socialisti democratici, emisero due manifesti, due testimoni paupertatis, nei quali dimostravano che, se non avevano mai trovato dalla loro parte la forza e il successo, s'erano tuttavia trovati sempre dalla parte dell'eterno diritto e di tutte le altre eterne verità".
Senza questa esperienza e senza la sconfitta di questa lotta, la classe operaia non avrebbe potuto comprendere la natura dello Stato, delle istituzioni borghesi, del parlamento e organizzare la propria forza indipendente da tutte le altre classi, il suo Partito.
"Il proletariato non si lasciò provocare a nessuna sommossa, perché aveva l'intenzione di fare una rivoluzione". La classe operaia organizzata era alla testa di un fronte unito contro padroni e governo, la lotta immediata era per impedire lo stato d'assedio che avrebbe aperto la strada al colpo di stato e al regime. In questo contesto assume un valenza rivoluzionaria anche la lotta per il suffragio universale:
"Con l'attacco al suffragio universale, essa (la borghesia) dà alla nuova rivoluzione un pretesto generale e la rivoluzione ha bisogno di questo pretesto. Ogni pretesto particolare separerebbe le frazioni della Lega rivoluzionaria e farebbe emergere le loro differenze. Il pretesto generale, invece, stordisce le classi semirivoluzionarie, permette loro d'illudersi circa il carattere determinato della rivoluzione futura e circa le conseguenze della loro azione. Ogni rivoluzione ha bisogno di una questione dei banchetti. Il suffragio universale è la questione dei banchetti della nuova rivoluzione."
Ma la borghesia non è disposta ad accettare neppure le sue stesse regole come le elezioni e, se il risultato è favorevole agli operai, è pronta pure a rovesciarlo anche per via extraparlamentare.
"La borghesia, respingendo il suffragio universale, del quale si era fino allora drappeggiata, dal quale aveva ricavato la propria onnipotenza, confessa apertamente: "La nostra dittatura è fino ad oggi esistita in forza della volontà popolare; ora essa deve venire consolidata contro la volontà popolare". E in modo conseguente, essa cerca i propri sostegni non più in Francia, ma fuori, all'estero, nell'invasione."
Questa esperienza storica è quanto mai attuale e ricca di insegnamenti per la lotta proletaria ai regimi reazionari, fascio-populisti com'è la natura di quelli di oggi, perciò è decisiva la crescita dell'autonomia proletaria, dell'organizzazione/rappresentazione delle istanza di classe per non portare l'acqua al mulino della piccola borghesia.
La repubblica borghese è una forma politica della dittatura dei padroni su tutte le altre classi che tratta come avversari, un potere che porta le altre classi- i contadini, i piccolo borghesi e i ceti medi- a posizionarsi, a schierarsi con il proletariato che allo scontro di classe ha sempre dimostrato il suo carattere irriducibile quando prende la lotta nelle proprie mani e la porta avanti fino in fondo, cioè fino al rovesciamento del potere dei padroni per il potere operaio.
Il suo "partito" dell'epoca era socialista sì, ma borghese, "specie bastarda di socialismo che attira a sè una parte degli operai e dei piccolo-borghesi" come lo chiama Marx, e piccolo-borghese dottrinario, che "al posto della produzione sociale comune mette l'attività cerebrale del singolo pedante", che sogna la via pacifica al socialismo, che aveva come programma la "Rivolta contro la dittatura borghese; necessità di una trasformazione della società, mantenimento delle istituzioni repubblicane democratiche così come degli organi motori di questa trasformazione, concentrazione intorno al proletariato come alla forza rivoluzionaria decisiva: questi sono i tratti caratteristici comuni del cosiddetto partito della socialdemocrazia, del partito della repubblica rossa. Questo partito dell'anarchia, come lo battezzarono gli avversari, era una coalizione di interessi diversi non meno del partito dell'ordine. Dalla più piccola riforma del vecchio disordine sociale fino al sovvertimento del vecchio ordine sociale, dal liberalismo borghese fino al terrorismo rivoluzionario: tali sono gli estremi, che formano il punto di partenza e il punto di arrivo del partito dell'"anarchia".
Così diventa sempre più necessario battere i piccoli borghesi che "diventano eclettici, ossia seguaci dei sistemi socialisti esistenti, del socialismo dottrinario, che fu l'espressione teorica del proletariato solamente fino a che questo non si era ancora sviluppato fino a creare un movimento storico libero e indipendente". Cioè del socialismo utopistico, quello prima di Marx.

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