Questa la notizia di ieri (da Repubblica Online)
“I
salari hanno perso mille euro di potere d’acquisto negli ultimi sette
anni. L’allarme viene da un rapporto della Fondazione Di Vittorio, think
tank della Cgil, che mette a confronto le retribuzioni medie dei
lavoratori dipendenti italiani con quelle del passato e le paragona a
quelle degli altri grandi Paesi europei.
Il risultato è sconfortante: in Italia gli stipendi si sono
ristretti mentre all’estero, in particolare in Germania e Francia, sono
saliti. Il rapporto della Fondazione Di Vittorio elenca i dati delle
retribuzioni lorde (vanno tolte tasse e contributi), utilizzando le più
recenti rilevazioni Ocse, dal 2001 al 2017. Risultato: in Italia
nell’intero periodo c’è stata una sostanziale “stazionarietà” dei
salari, mentre dal 2010 al 2017 si è verificata una perdita di 1.059
euro, circa il 3,5 per cento.
L’analisi
è circostanziata e basata sui salari reali, cioè aumentando
“virtualmente” le
retribuzioni di allora come se i prezzi del 2010
fossero stati gli stessi di oggi, il confronto è cioè fatto a “prezzi
costanti”: ebbene se nel 2010 la retribuzione media in Italia era di
30.272 euro nel 2017 è scesa a quota 29.214. Possiamo comprare 1.000
euro di beni e servizi in meno.
Diversamente è andata in Germania e in Francia. Il lavoratore
dipendente tedesco nel 2010 godeva già in media di una retribuzione
lorda più alta di quello italiano, collocandosi a quota 35.621 e nel
2017 è salito di ben 3.825 euro quota 39.446 euro. Anche il lavoratore
francese nel 2010 guadagnava di più del nostro – era a quota 35.724 – e
nel 2017 porta a casa il 5,3 per cento in più collocandosi a 37.622
euro.
Economie diverse, impatti diversi della crisi, politiche salariali
diverse, ma sostanzialmente il gap c’è. Quali le ragioni? In parte i
contratti di lavoro, in parte la presenza dei cosiddetti contratti
“pirata” che tengono i salari sotto al minimo, ma l’analisi della
Fondazione Di Vittorio, realizzata da Lorenzo Birindelli, punta l’indice
soprattutto sul part time e i lavori discontinui, che la metodologia
Ocse include nella rilevazione sommandoli e riconducendoli
“virtualmente” a prestazioni full time: ebbene le nostre retribuzioni
per i lavoratori a tempo parziale sono più basse della media
dell’Eurozona, da noi valgono il 70,1 cento del full time in Europa
l’83,6 per cento.
Si aggiunge un’altra ragione che rimanda alla carenza di
capitale umano nel nostro Paese: cala la quota di dirigenti e di
professioni tecniche. In sostanza in Italia si è ridotta la presenza
delle alte qualifiche (7 punti percentuali in meno in questo ultimo
ventennio) mentre sono aumentate di 2 punti percentuali le basse
qualifiche.”.
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