lunedì 25 luglio 2022

pc 25 luglio - Tunisia: il referendum costituzionale del 25 luglio a coronamento e rafforzamento dell'attuale regime Saied-Biden

L'articolo fa il punto sugli ultimi 7 mesi che hanno portato al referendum, ricollegandosi direttamente con brevi citazioni alla analisi presente nei 3 articoli precedenti di luglio e settembre 2021.

Tunisia: il referendum costituzionale del 25 luglio a coronamento e rafforzamento dell'attuale regime Saied-Biden

Il referendum consultivo del 25 luglio sulla nuova costituzione è importante perchè rappresenta, al di là suo esito finale, una tappa di consolidamento dell'attuale regime inaugurato il 25 luglio 2021 con il colpo di stato1 presidenziale di Kais Saied sostenuto dalle forze armate e da una mobilitazione e simpatia popolare diffusa che, è bene ricordarlo, il 24 luglio aveva assaltato le sedi del principale partito di governo a coronamento di anni di mobilitazioni al grido di degage (via!).

Gli eventi del 25 luglio e quelli del 22 settembre 20212 erano stati salutati con grande entusiasmo da larghi settori delle masse popolari e da alcune organizzazioni e partiti marxisti-leninisti maoisti e marxisti-leninisti tunisini che indicavano che un nuovo contesto politico favorevole si era venuto a creare con l'estromissione del governo Ennahdha-Karama-Qalb Tounes e il congelamento del parlamento dalla composizione ultrareazionaria.

Inoltre il 25 luglio ha messo finalmente fine allo sciagurato decennio di "transizione democratica" ovvero dalla restaurazione del vecchio regime in forme nuove (l'involucro della democrazia

parlamentare) avvenuto subito dopo il 14 gennaio 2011 che di fatto ha negato le istanze della rivolta popolare del 2010-2011, quest'ultima erroneamente definita "rivoluzione" arrivando anche all'uso diffuso della grottesca definizione dal sapore orientalista di "rivoluzione dei gelsomini".

Detto questo è necessario però ribadire, rimanendo fedeli all'analisi materialista marxista-leninista-maoista, che il colpo di stato del 25 luglio 2021 non ha modificato la natura di classe dello Stato che rimane semicoloniale (cioè subalterno alle potenze imperialiste a partire da Francia, Italia e USA che ne sfruttano le risorse naturali nonchè la forza lavoro) con un capitalismo non pienamente sviluppato, di natura burocratica e compradora, un paese in cui permangono ancora relazioni semifeudali sia nella struttura che nella sovrastruttura della società.

Inoltre il processo del 25 luglio/22 settembre non ha abolito lo Stato di polizia esistente sin dall'indipendenza con il regime di Bourguiba, rafforzato enormemente durante il regime di Ben Ali, sopravvissuto e infiltrato da elementi islamisti durante la cosiddetta "transizione democratica" e nell'ultimo anno epurato da buona parte degli elementi islamisti e utilizzato principalmente contro quest'ultimi dall'attuale regime presidenziale e pochi giorni fa, il 22 luglio, una sproporzionata repressione fatta di cariche e gas, si è abbattuta contro partiti, gruppi e associazioni della sinistra progressista che con una manifestazione nel centro di Tunisi contestavano la tenuta del referendum concludendosi con l'arresto di sei militanti rilasciati il giorno successivo.

La contraddizione principale nel paese non è quindi cambiata è rimane quella tra popolo tunisino oppresso da un lato e borghesia burocratica-compradora sostenuta dall'imperialismo dall'altro.

Il 28 luglio 2021 all'indomani del colpo di stato, dopo aver analizzato le debolezze emerse nel polo reazionario del governo estromesso con la forza, scrivevamo:

"Dall’altro lato della barricata la presidenza della repubblica gode momentaneamente di un vantaggio tattico che potrebbe rivelarsi inconcludente o più probabilmente controproducente se non si riuscisse a dare una forma politica e organizzativa definita al [suo] diffuso sostegno popolare."

Il 22 settembre 2021 dopo che l'annuncio presidenziale raccoglieva ancora una volta ampio sostegno tra le masse e tra i rivoluzionari del paese, commentavamo così:

"La situazione politica è oggettivamente favorevole per le forze rivoluzionarie per entrare in campo e approfittare dell'attuale rapporto di di forza sfavorevole per il polo reazionario Ennahdha-Karama-Qalb Tounes ma bisogna cogliere l'attimo".

Infine il 29 settembre aggiungevamo, tra le altre cose, tali riflessioni:

"Il momento del 25/07-22/09 che ha determinato una profonda crisi degli ex partiti di governo è sicuramente buona cosa e viene visto positivamente dalle forze rivoluzionarie seppur non vi sia da parte loro “nessuna fiducia” nel governo dell’uomo solo al comando, ma tutt’altre critiche vengono poste rispetto a quelle che provengono dal campo riformista3. [...] La critica delle forze rivoluzionarie nei confronti di Kais Saied si scaglia contro la velleità di pensare di poter amministrare e addirittura riformare un sistema politico da solo o meglio solo con l’appoggio delle forze armate militari e civili senza coinvolgere i partiti e le associazioni dei lavoratori, che sono ben altra cosa dalle ong finanziate dalle potenze occidentali. Questa critica spinge quindi per sviluppare la forza politica agente espressione dei lavoratori, contadini e masse popolari per sostenere e indirizzare in senso rivoluzionario il passaggio politico del 25luglio/22settembre. Ciò significa lavorare per creare le condizioni per lo sviluppo di un’economia realmente indipendente e slegata dai diktat dell’imperialismo e delle sue agenzie (Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale su tutte) e per sviluppare una politica che aspiri ad una reale indipendenza politica e culturale. [...] Evidentemente l’obiettivo di soddisfare le rivendicazioni sintetizzate dallo slogan Choghl, Hurria, Karama Watania (Lavoro, Libertà e dignità nazionale) risulta essere più complesso rispetto ai dibattiti simil accademici in corso di tipo giuridico/costituzionalista: i dieci anni di “democrazia tunisina” [...] stanno lì a dimostrare che il cuore del problema risiede invece nella questione della natura del potere politico e di quale classe/i sociale/i lo esercitano."

A ottobre scorso, mentre proseguiva la campagna di vaccinazione (avviata dal nuovo "regime presidenziale") mentre le principali forze politiche reazionarie si trovavano in estrema difficoltà venuta meno la loro base di massa come dimostrato dagli appelli falliti di Ennahda di riprendersi il parlamento e la "democrazia", mentre Kais Saied respingeva tutti i tentativi di ingerenza dell'imperialismo occidentale (supportati dagli utili idioti della sinistra riformista), sembrava che le forze politiche classiste, progressiste e rivoluzionarie stessero dando vita ad un polo per entrare nella scena politica e orientarne il corso con la formazione di un fronte di organizzazioni rivoluzionarie e progressiste.

Questo tentativo è naufragato a novembre e sicuramente ciò ha inciso negativamente sullo sviluppo degli eventi politici nel paese, relegando l'iniziativa politica esclusivamente alla presidenza della repubblica. Tra novembre 2021 e giugno 2022 vi è stato sostanzialmente un appoggio passivo al presidente da parte delle masse con la diffusione di un'altrettanto diffusa pace sociale, eccezion fatta per alcune lotte contadine e a difesa della terra e all'accesso all'acqua nelle regioni del Nord-Ovest, e per i disoccupati organizzati di Tataouine, lotte che sono state attaccate dalla repressione poliziesca e giudiziaria. Nello stesso periodo alcuni militanti e partiti rivoluzionari hanno assunto le parole d'ordini di Kais Saied, quasi identificandosi nell'agenda politica della presidenza della repubblica, appoggiando ad esempio la campagna referendaria per il si, assumendo come obiettivo politico quello dell'anninetamento dell' islam politico ovvero di Ennahdha (il pilastro della "transizione democratica").

L'iniziativa politica è rimasta quindi esclusiva del presidente che continua a godere fino ad oggi del sostegno delle forze armate. Kais Saied infatti, dopo un'iniziale apertura formale alle forze sociali di massa come il sindacato (UGTT), l'associazione patronale (UTICA) e l'Associazione delle Donne Democratiche Tunisine (AFT), ha invece continuato a portare avanti il suo progetto di riforma costituzionale rifiutando il sostegno ed il dialogo con queste e con altre organizzazioni della società.

La classe dominante, la borghesia compradora tunisina foraggiata dall'imperialismo sembra aver scaricato Ennahdha e gli altri partiti di governo, allo stesso tempo non sembra che neanche si stia rivolgendo al principale partito anti-islamista che si oppone a Kais Saied, ovvero il reazionario PDL guidato da Abir Moussi, nostalgica del regime di Ben Ali. Il pericolo è che abbia già puntato le sue carte su Kais Saied che quindi potrebbe rivelarsi "controproducente".

Effettivamente l'attuale regime Saied/Bouden negli ultimi mesi ha dato segnali di continuità con il passato che sembrano rassicurare la classe dominante locale e l'imperialismo e le sue agenzie finanziarie a partire dal FMI con cui sembra si arriverà infine ad un nuovo accordo di finanziamento/indebitamento grazie al fatto che il governo ha confermato la riduzione graduale dei sussidi ad alcuni beni di prima necessità i cui prezzi sono fissati dallo Stato (il governo ha già aumentato il prezzo del latte e delle uova e due volte quello della benzina), nonostante la retorica di Saied di lotta contro la corruzione, è in cantiere una "riconciliazione nazionale" con gli uomini d'affari corrotti legati al vecchio regime; allo stesso tempo non si intravede all'orizzonte un cambio di strategia a favore dell'indipendenza nazionale e delle classi popolari per quanto concerne la politica agricola e la dipendenza alimentare del paese, la politica industriale, la lotta alla disoccupazione; continuità permane nel ruolo di gendarme anti-migranti che la Tunisia ha assunto "a difesa" della "fortezza Europa" innanzitutto per conto dell'Italia.

Nonostante quindi il passo in avanti politico del 25 luglio-22 settembre 2021, rappresentato dall'aver spazzato via governo e parlamento reazionari, la non entrata in scena autonoma delle forze politiche rivoluzionarie ed il loro sostanziale accodarsi alla politica del presidente, ha fatto sì che tale passo in avanti iniziale non si sia tradotto in un vantaggio nei rapporti di forza a favore nello scontro di classe.

Non intendiamo entrare nel merito della nuova costituzione, emanata direttamente dal presidente della repubblica supportato da alcuni giuristi, il cui testo è stato reso pubblico solo a tre settimane dalla data del referendum e in assenza del necessario dibattito popolare. Solo la settimana scorsa e solo gli attivisti politici e sindacali, gli intellettuali e alcuni settori della borghesia impiegatizia sono entrati nel merito di tale dibattito ma principalmente tramite i social media; i settori popolari che voteranno per il "sì" esprimeranno in tal modo il loro sostegno all'attuale regime e specularmente sarà per i "no". Il referendum è quindi un plebiscito sull'attuale processo politico in corso, è pressocchè scontato che qualsiasi sia il tasso di partecipazione al voto e qualsiasi sia l'esito, a fine mese il paese adotterà ufficialmente la nuova costituzione.

Non crediamo quindi, a differenza dei nostri compagni tunisini, che una volta ufficializzata l'entrata in vigore della costituzione ciò porti meccanicamente ad una situazione più favorevole per il popolo tunisino. Crediamo invece che il regime Saied-Bouden proseguirà lungo la traiettoria di continuità al servizio della borghesia compradora tunisina e dell'imperialismo per mezzo dello stato di polizia, se non prenderà forma un'opposizione proletaria e popolare organizzata e diretta dai partiti e dalle organizzazioni rivoluzionare m-l-m che agiscano in piena autonomia di classe nell'attuale contraddizione, rafforzando e costruendo gli strumenti del partito del fronte unito e dell'esercito popolare in funzione della Rivoluzione di Nuova Democrazia.

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1utilizziamo tale locuzione senza nessuna accezione moralistica ma in senso oggettivo.

2Quando durante un comizio a Sidi Bou Zid, Kais Saied annunciò che le misure prese il 25 luglio non sarebbero state revocate ma implementate.

3Ci riferivamo chi critica il colpo di stato perchè ritiene che il nefasto decennio della transizione democratica rappresenti un passo in avanti all'interno di un momento rivoluzionario prolungato e non una restaurazione.

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