Capolavoro all’Onu. Da oggi a vigilare sui diritti umani ci sarà l’Arabia Saudita
Nella monarchia islamica, dove vige un’applicazione rigida della sharia, vengono violati tutti i principali diritti umani. «Ha fatto decapitare più persone dell’Isis»
Le minoranze, i perseguitati, i discriminati e chiunque nel mondo soffre per il mancato riconoscimento dei suoi diritti umani può stare tranquillo: nel 2016 sarà difeso dall’Arabia Saudita. Purtroppo non è uno scherzo: l’ambasciatore saudita Faisal bin Hassan Trad è appena stato eletto a capo del Consiglio per i diritti umani dell’Onu per l’anno 2016.
DIRITTI UMANI. Toccherà dunque a uno dei pochi paesi a non aver mai firmato la Dichiarazione universale dei diritti umani, difendere per conto dell’Onu i diritti umani nel mondo. Quest’anno la presidenza, che viene ricoperta a rotazione da un paese di una diversa area continentale, toccava al gruppo asiatico e la monarchia assoluta islamica l’ha spuntata su paesi come Bangladesh, Cina, Emirati Arabi Uniti, India, Indonesia, Giappone, Kazakistan, Maldive, Pakistan, Repubblica di Corea, Qatar e Vietnam.
«PIÙ DECAPITAZIONI DELL’ISIS». L’annuncio, comprensibilmente, ha destato molta perplessità. Hillel Neuer, direttore di UN Watch, ong di Ginevra che monitora il lavoro in difesa dei diritti umani delle Nazioni Unite, ha commentato così la notizia: «È scandaloso che l’Onu abbia scelto un paese che ha giustiziato più persone dello Stato islamico quest’anno per presiedere il Consiglio dei diritti umani. Petrolio, dollari e politica nuocciono a questi diritti».
RECORD MONDIALE. Neuer non ha usato mezzi termini, ma ha le sue ragioni. L’Arabia Saudita è il quarto paese al mondo per numero di esecuzioni capitali, dietro Iraq, Iran e Cina, che detiene il record assoluto e irraggiungibile con migliaia di condanne a morte contro le centinaia degli altri paesi. Nel 2014 in Arabia Saudita sono state decapitate in tutto 88 persone. Ad agosto è stata decapitata la 102esima del 2015. E mancano ancora quattro mesi alla fine dell’anno.
CONDANNE ALLA CROCIFISSIONE. Pochi giorni fa, il 17 settembre per la precisione, nel Regno è stato condannato alla crocifissione Ali Mohammed Al-Nimr, figlio di un critico della monarchia islamica, arrestato nel 2012 quando aveva appena 17 anni.
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