giovedì 21 luglio 2011
pc 21 luglio - dalla valle che non si arrende a genova
Ringraziamo quanti in questi giorni ci hanno manifestato solidarietà e sostegno. Chi è venuto in Valle di Susa il 3 di luglio, chi i giorni precedenti, chi quelli successivi e chi ci verrà.
Vogliamo cogliere quest’occasione per ringraziare quanti si sono spesi per unire le nostre lotte anche a livello territoriale, come i firmatari dell’appello del 12 luglio, e ci hanno proposto di fare la manifestazione di Genova 2011 in Valle.
Ringraziamo tutti/e e ringraziamo voi, del Coordinamento genovese Verso Genova2011 per la stima e l’affetto che ancora una volta ci avete dimostrato, scrivendoci direttamente.
Le nostre bandiere sono ancora intrise dei lacrimogeni di Genova, in quel luglio del 2001; partecipammo forse per la prima volta a un evento internazionale con i nostri simboli, partendo dalle Valle di Susa, dopo l’uccisione di Carlo, con una rabbia nel cuore, che non abbiamo mai voluto lasciar svanire.
L’idea di creare un evento sui dieci anni di Genova in Valle di Susa era affascinante, sincero lo spirito di quanti lo hanno proposto, ma verremo noi a Genova, dieci ani dopo. Siamo impegnati a tenere testa ad una militarizzazione del territorio supportata da una falsa informazione che vorrebbe trasformare un fortino militare, come quello che è La Maddalena oggi, in un cantiere utile a incassare la fetta di finanziamenti europei.
Il No Tav è un bene comune, al pari di ogni difesa del territorio, della libertà e della dignità. Siamo un movimento vivo, con un vivaio ben assortito, che ha l’aspirazione di resistere nel tempo e condurre una lotta lunga e vincente.
Abbiamo capito che la Valle di Susa è ovunque, e i movimenti hanno ben compreso la partita che qui si gioca. La nostra è la lotta di tutti e tutte, non quella di un semplice territorio che resiste. Siamo noi, uomini e donne, la vera garanzia per un futuro diverso da quello che i potenti ci prospettano fatto di crisi e violenza, proprio come recita lo slogan dei dieci anni genovesi.
Noi siamo altro, e lo siamo tutti insieme. Verremo a Genova, parteciperemo alle giornate organizzate, portando il nostro entusiasmo, sicuri di poterlo condividere, e convinti che la strada che percorreremo insieme sarà importante, ovunque ci porti, dalla Valle di Susa passando da Genova e oltre ancora.
Con Carlo nel cuore, saluti resistenti
Il movimento NoTav
pc 21 luglio - "Ciao Carlo, non ti dimenticheremo"
"Ciao Carlo, non ti dimenticheremo"Striscioni, fiori e una targa che riproduce la scritta di un anonimo manifestante sulla targa stradale: "Carlo Giuliani, ragazzo". Alle 17.27, dieci anni dopo, la folla ricorda la vittima degli scontri del 2001. Sulla cancellata che cinge la chiesa nostra Signora del Rimedio, uno striscione: "Non sarò vivo finchè il sogno di giustizia sarà veto, non sarai morto finchè il mondo ti avrà vivo in fondo al cuore"
Striscioni, rose rosse e bianche, girasoli. E due minuti di appalusi. Piazza Alimonda, dieci anni dopo la morte di Carlo Giuliani. Sulle note di "Bella Ciao", una lapide con il nome e cognome della vittima dei G8 è stata posata nell'aiuola mentre intorno una folla ricorda quei giorni. Come fu scritto sulla targa stradale quel giorno dalla mano anonima di un manifestante, sulla lapide nel giardino è inciso semplicemente: "Carlo Giuliani, ragazzo".
pc 21 luglio - CIE di Milo: migranti in rivolta e in fuga
Inaugurazione con rivolta e evasione. Una ventina dei detenuti - in gran parte tunisini - sono riusciti a fuggire nelle ultime 48 ore dal nuovo centro di identificazione e espulsione di Trapani. Quello aperto in contrada Milo due settimane fa. Tutto sarebbe nato dalle insistenti voci di un imminente rimpatrio collettivo in Tunisia, aggravate dalle notizie di nuovi scontri di piazza a Tunisi e Sidi Bouzid, che rischiano di riportare il paese nel caos. Per protestare contro il rimpatrio forzato, in un padiglione i reclusi hanno tentato il suicidio, alcuni tagliandosi le vene e altri sbattendo la testa contro il muro. Quando le forze dell'ordine si sono concentrate nel padiglione insorto, quelli degli altri padiglioni hanno approfittato del caos e si sono arrampicati sulla gabbia di ferro e poi sul muro di cinta. Ad aver fatto perdere le proprie tracce sarebbero una ventina di reclusi in tutto. Oggi in buona parte hanno anche lasciato la città di Trapani, diretti al nord. Prima di partire però, ci hanno raccontato di altri che non sono riusciti a fuggire e che sarebbero stati pesantemente picchiati a colpi di manganellate da parte delle forze dell'ordine. Si tratta della prima fuga in assoluto dal Cie di Milo, una struttura di massima sicurezza, di cui dall'esterno si vedono soltanto le gabbie gialle di ferro e il muro di cinta in cemento armato. La notizia dell'evasione è confermata anche dal sindacato di polizia Siulp, da mesi in trattativa con il ministero dell'Interno per un aumento dell'organico nella città di Trapani, dove si concentrano ormai tre campi di identificazione e espulsione (Vulpitta, Milo e Chinisia) e il centro d'accoglienza per richiedenti asilo di Salinagrande.
http://fortresseurope.blogspot.com/
mercoledì 20 luglio 2011
pc 21 luglio - femminicidio di Melania Rea... il marciume "dell'onore" dell'Esercito
Vergognosi tentativi di deviare l'attenzione dall'orrendo femminicidio messo in atto da Parolisi che l'ordinanza di custodia cautelare ricostruisce con elementi agghiaccianti come la possibile richiesta alla moglie di avere un rapporto sessuale prima di ucciderla alle spalle con gli slip ancora abbassati!
Vergognosi tentativi di deviare l'attenzione dagli orrendi particolari che invece stanno iniziando a venire fuori in merito al mondo militare maschilista e sessista che Melania forse aveva scoperto diventando una reale minaccia alla salvaguardia "dell'onore" dell'arma.
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Le punizioni e le iniziazioni sessuali delle soldatesse nella caserma di Parolisi - 20 luglio 2011
Notti brave e ricatti nelle serate tra caporali e reclute.
Ne parla Carlo Bonini su Repubblica, che racconta una serie di aneddoti non confermati sulla vita in caserma delle reclute donne. La Emidio Clementi, secondo quanto si scrive, sarebbe un posto dove le soldatesse venivano più o meno costrette a riti di iniziazione alla vita militare e dovevano anche prestarsi a favori sessuali in cambio di licenze:
È un capitolo della storia di cui tutti parlano mal volentieri. Che ha un incipit suggestivo. Un paio di anni fa. Una recluta viene sottoposta a un umiliante rito di passaggio e iniziazione. Un “codice rosso”, per dirla con il gergo della truppa. Una donna punisce un’altra donna. Nel corpo e nel rispetto delle altre. La responsabile viene congedata con disonore. Ma non se ne sa nulla, finché Melania non muore e i carabinieri non cominciano a ficcare il naso nei conciliaboli e le confidenze che si incrociano nella piazza d’armi.
I racconti sono negli interrogatori dei carabinieri ai graduati: la sproporzione tra il numero delle reclute (tutte donne) e il quadro ufficiali e sottufficiali (per lo più uomini), trasformati tre mesi di addestramento in una “caccia grossa”. Dove il gallismo dei maschi si esalta nella sudditanza normalmente imposta alle reclute. Ascoltato come testimone, uno dei caporali addestratori del 235esimo racconta che, alla “Clementi”, c’è chi vanta «strisce importanti ». «Fino a trenta reclute in un anno». Perché ogni notte con una “volontaria” diversa diventa una tacca nel bastone del comando.
Parolisi era della partita. Ludovica Perrone non era stata la prima e non era l’ultima. Come del resto accerta l’indagine individuando almeno un’altra recluta che, alla fine del 2009, si congeda dal corso addestramento dopo essere passata tra le sue mani.
Nell’articolo si parla anche di un luogo ben preciso dove consumare i rapporti:
La “Casa vacanza Dimora di Morgiano”, una locanda a pochi chilometri da Ascoli. In un borgo rurale del 1500, lungo le pendici che rimontano il monte dell’Ascensione. Il proprietario si era dimostrato ragionevole. Nessuna registrazione, nessuna domanda agli uomini e alle donne della “Clementi” che, introdotti, la frequentavano. Tra i 25 e i 30 euro per una notte. Le reclute lasciavano la caserma per 36 ore, con permessi che indicavano le ragazze in visita alle famiglie in qualche parte d’Italia. Semplice e innocuo, almeno fino a quando quel “segreto” non comincia a fiorire sulle labbra di troppi e di troppe, nel reggimento…
pc 21 luglio - Continua la protesta degli operai Fincantieri di Palermo
Fincantieri/ Palermo, operai in rivolta:"Vogliamo risposte certe"
Dipendenti in agitazione dopo annullamento commessa da 70 milioni
postato 2 ore fa da TMNews
Prosegue a Palermo la protesta degli operai della Fincantieri, in agitazione da una otto giorni dopo la cancellazione di una commessa, mai ufficializzata dall'azienda cantieristica, con la compagnia Costa per un valore di 70 milioni di euro. Alcuni operai sono saliti sul tetto del cantiere palermitano, esibendo striscioni con su scritto "lavoro" e "aiuto", e annunciando di non scendere sino a quando non riceveranno rassicurazioni sul loro futuro. Intanto questa mattina i rappresentanti sindacali sono stati ricevuti dalla Terza Commissione delle Attività produttive all'Ars, ma dall'incontro non sembra essere ancora giunta una risposta chiara. "Fincantieri ha ipotizzato l'arrivo di una commessa per lo stabilimento, però allo stato è soltanto un'ipotesi - spiega un delegato sindacale -. Con queste condizioni non siamo in grado di sospendere l'agitazione. Per farlo abbiamo bisogno di conferme, di atti visibili, che ci facciano considerare il fatto che riprendono seriamente le attività lavorative all'interno dello stabilimento di Palermo". Per venerdì è in programma in Prefettura un incontro con i vertici nazionali di Fincantieri; un incontro dal quale i dipendenti dello stabilimento, e dell'indotto, sperano giungano risposte chiare e definitive sul futuro di Fincantieri a Palermo.
pc 21 luglio - Donne in rosso a Genova
Come tutti, abbiamo subito il violento e massiccio attacco dall'armata alla sudamericana messa in campo dal governo Berlusconi per difendere la cupola imperiale; ma (naturalmente) verso le donne questa aggressione non potè non tingersi anche di odiosa e schifosa violenza e molestia di tipo sessuale.
Tante testimonianze, soprattutto di compagne straniere, in particolare dalla camera di tortura di Bolzaneto lo denunciarono.
Questa doppia violenza è stata, ancor di più, messa nel dimenticatoio.
Noi invece, che oggi torniamo con più forza e convinzione a Genova, vogliamo parlare anche di questa realtà delle donne, sia per la ribellione portata a Genova che per la doppia violenza subita.
Ma vogliamo parlare, pure delle altre donne a Genova, quelle del femminismo filo-istituzionale, del ceto politico e sindacale, che poterono farsi tranquillamente la loro assemblea e il loro corteo festoso, senza che nessun poliziotto le disturbasse ...
Lo ricordiamo perché anche quest'anno si è ripetuta, in peggio, la stessa storia: una due giorni - con la presenza inevitabile della Camusso - da cui si sono lanciati messaggi di pacificazione, proprio nel momento in cui sulle donne ricade il doppio attacco dei padroni, del governo e nel momento in cui migliaia di donne nei paesi arabi fanno le rivolte e in paesi come l'India sono in prima fila nella guerra di popolo.
Per questo porteremo a Genova il mini dossier in allegato: "Donne in rosso contro i padroni del mondo" e chiamiamo tutte le compagne a riprodurlo e a diffonderlo.
Arrivederci a Genova 2011!
MFPR
pc 19-20 luglio - donne no tav e la violenza.. foto e lettere
Correva l’anno 1982, era primavera. Un’amica di Torino, conosciuta a Vienna nel 1971, non si era vista a Genova per il corso di aggiornamento organizzato dal Goethe Institut. La chiamai a casa, ma non c’era; chiamai sua madre, mi disse che il marito/padre era mancato da poco tempo, per questo motivo la figlia non era presente a Genova, e che di lì a breve sarebbe arrivata. E fui invitata ad andare anch’io nel luogo dove lei risiedeva. Percorso da seguire: Genova-Torino; Torino-Susa. E fu così che misi per la prima volta piede in questa valle, dove ho passato alcuni dei momenti più belli della mia vita. Giocosi e profondi allo stesso tempo. Un soggiorno là, che si ripeteva un paio di volte l’anno, mi ha sempre aperto vasti orizzonti, tirando il fiato lontana dalla vita tumultuosa di Milano; ho avuto la fortuna di conoscere la sapienza della gente della valle, l’amore per la loro terra, la cura della persona e dell’ambiente, della vita nel suo più profondo senso, innestata sul naturale ciclo delle stagioni, la loro generosissima ospitalità . E anche di sperimentare in loco le proprietà mediche delle erbe. Sono quasi trent’anni di frequentazione e di loro ora si dice che siano diventati terroristi. Chi li avesse conosciuti da vicino, saprebbe senza ombra di dubbio che non può essere vero, che non è vero. E’ gente dignitosa, che ha sempre portato avanti i propri impegni seriamente e che ora lotta per una causa che sente giusta, una causa suffragata oltre che dalla loro personale esperienza anche da studi universitari approfonditi. Chi è responsabile della situazione che si è creata? Loro o quelli che invece di ascoltarli proseguono nella loro marcia forsennata?
Lia (insegnante di scuola superiore)
3 luglio 2011, la manifestazione inizia con un lunghissimo e colorato corteo che occupa interamente la strada centrale della valle, decine e decine di migliaia di persone… E’ la prima volta che vengo in Val di Susa e cammino fra i valligiani e i molti, moltissimi, venuti come me a portare la loro solidarietà da ogni parte d’Italia, un’infinità di giovani ma anche un’infinità di famiglie, bambini e persone di ogni età ; il corteo si ramifica, continua al centro e sui sentieri, l’idea è quella di circondare simbolicamente il sito dei cantieri ormai sigillati da sbarramenti quasi di guerra con filo spinato (dopo lo sgombero brutale della settimana prima e la distruzione del campo di ‘resistenza’ pacifica organizzato dai Valsusini), mi sembra vedendo la gente allargarsi allegramente sulle pendici e fra le minuscole frazioni di avvolgere la valle in un abbraccio.
Una presenza umana che osa porre ancora il dubbio, desiderare e immaginare un presente e un futuro diverso e possibile, che osa pensare che la Tav non sia l’unico futuro, che osa dire l’inutilità di quest’opera immane e la sua distruttività dell’ambiente naturale, geologico, umano e spirituale: la questione è grande, è immensa, è terrestre, globale, nel senso buono e vero della parola, se la vita di ogni angolo del pianeta si ripercuote sul pianeta intero e il suo riverbero interessa tutti..le scelte quindi devono essere di tutti, valutate e condivise con nuova intelligenza. Se vogliamo preservare i beni comuni, patrimonio dell’umanità intera, le decisioni devono essere comuni e non sottoposte agli interessi di pochi o alle visioni di pochi … forse proprio questo ha portato qui tanti giovani, loro sono i primi interessati e attivi in questo cambiamento totale di prospettiva, loro hanno diritto a un pianeta su cui vivere e non sopravvivere fra rischi di ogni sorta, abbiamo mai chiesto alle nuove generazioni su quale terra vorrebbero vivere, li abbiamo mai ascoltati? …forse è questo che dovremmo cominciare a fare, ascoltare la gente della Val di Susa e i giovani con loro.
Rita (maestra elementare)
pc 19-20 luglio - mentre prosegue l'assedio, i No tav ricordano Genova 2001
Submitted by admin on 19 luglio 2011 – 09:44No Comment.Ancora una notte di assedio in val di Susa al campeggio no tav. Una prima improvvisa battitura alle ore 20.oo modifica i piani di sicurezza ma dopo poco la battitura rientra. Alle ore 23.00 però la battitura riprende e si allarga anche oltre i confini dell’ingresso principale, lungo i sentieri nei boschi. Qui la polizia sembra impazzire e inizia freneticamente a muovere i mezzi e a puntere i fari cercando i no tav. Poi arriva la decisione di chiudere anche la A32 Torino Bardonecchia. Dopo un paio d’ore di assedio si ritorna quindi al campeggio no tav ritandosi appuntamento per la sera seguente. Tempi duri nel fortino…
Per ricordare genova 2001
A Genova, il 21 luglio 2001, ci andammo anche noi, quasi un migliaio di persone, dalla Valle di Susa. Era il giorno dopo l’assassinio di Carlo. La nostra opposizione al TAV durava già da oltre dieci anni. Andammo a Genova contro i potenti della Terra, contro quei grandi interessi che, in nome del profitto, volevano trasformare i luoghi della nostra esistenza in corridoi di traffico per le merci e i viaggiatori del mercato globale, desolati inferni di ferro e cemento, dove tutto passa e nulla rimane, negati agli esseri viventi, alla socialità, al lavoro buono e liberato.
Ci andammo anche contro la repressione, le cui immagini ci venivano rimbalzate dai telegiornali. La notizia del giovane ammazzato dalle “forze dell’ordine” aggiunse dolore, indignazione e partecipanti al nostro viaggio .
Tra di noi non c’erano solo militanti, ma anche e soprattutto persone comuni, quelli che, attraverso la lotta contro il TAV, avevano acquisito forza , consapevolezza e generosità.
I robot in assetto antisommossa che battevano a file serrate le strade di Genova li conoscevamo già: li avevamo sperimentati mesi prima, il 29 gennaio, a Torino. Era il giorno in cui i Governi Italiano e Francese si sarebbero incontrati, a Palazzo Reale di Torino, per siglare il trattato sulla linea TAV Torino-Lione. Contro quel trattato eravamo scesi in seimila dalla Valle, con treni e pullman: un’ eterogenea, colorata moltitudine: donne e uomini di tutte le età, compresi i bambini, sindaci in fascia tricolore, striscioni, palloncini, personaggi in costume. Le truppe in assetto antisommossa ci piombarono addosso come un nuvolone, blindandoci lungo via Roma e distribuendo manganellate alla prima fila che premeva contro le transenne. Ai palazzi del potere non giunse neppure l’eco delle nostre voci .
Di quel giorno a Genova nulla abbiamo dimenticato: i blindati ad aspettarci all’arrivo, il popolo di volti e voci che scendeva verso il mare, il solleone e il refrigerio dell’acqua spruzzata dai balconi, il corteo interrotto da un esercito di celerini; poi le manganellate, le grida, la nebbia dei lacrimogeni. Ci trovammo in fondo al corteo, a procedere alla cieca, la gola e gli occhi in fiamme, le gambe sempre più pesanti, e loro dietro, mascherati dalla nube tossica, e il rimbombo cadenzato dei loro passi, il battito funebre dei manganelli sugli scudi. Sopra di noi il rombo dell’elicottero, a tener d’occhio le nostre bandiere NO TAV nuove di zecca, inaugurate a Genova.
Tornati a casa, sentimmo della scuola Diaz, di Bolzaneto, della repressione battente e incontrollata; e tutto questo a protezione di un potere subdolo e violento che fa delle istituzioni il ricettacolo e lo strumento dei propri affari e le usa contro il popolo e il futuro di tutti.
Da allora la nostra lotta continua, si è rafforzata , diventando un segno di speranza che va ben oltre la Valle e parla di liberazione dell’uomo e della natura; la sua forza sta nella concretezza, nella volontà di non delegare la difesa dei beni comuni e del futuro di tutti, nella consapevolezza che non esistono mediazioni possibili tra sfruttatori e sfruttati, sui territori come nei posti di lavoro.
Ora stiamo cercando di riprenderci quella che per quarantacinque giorni è stata la libera repubblica della Maddalena, nel territorio di Chiomonte, e che è diventata il fortino di chi difende l’ordine del capitale: la Valle di Susa torna qd essere, come nel 2005 a Mompantero, zona di occupazione militare: cancelli, filo spinato, truppe in assetto antisommossa impediscono l’accesso alle case, alle vigne, ai prati di lavanda, alla cantina sociale, ai luoghi di un lavoro sicuro ed appagante, su cui vivono decine di famiglie. Il museo archeologico, che ospita reperti di seimila anni fa, ritrovati in loco, è diventato una caserma. Le tombe del sepolcreto neolitico sono sprofondate sotto i cingoli dei mezzi militari. La vita animale e vegetale sta morendo per effetto dei lacrimogeni lanciati a migliaia, ad altezza d’uomo, contro la popolazione che il 27 giugno, dalle barricate, cercò di fermare le truppe di occupazione e, il 3 luglio diede inizio all’assedio del fortino.
In quei momenti di grande resistenza popolare, avvelenati dai lacrimogeni urticanti ( vere e proprie armi chimiche, vietate dalle convenzioni internazionali, ma usate contro le popolazioni), sotto i colpi delle ruspe che abbattevano le difese su cui erano abbarbicati donne e uomini di ogni età, assordati dal frastuono degli elicotteri, abbiamo ripensato a Genova. E abbiamo capito che le istanze di allora per un mondo diverso possibile continuavano concretamente con la nostra resistenza.
Abbiamo sentito Carlo con noi e abbiamo gridato anche il suo nome, insieme ai nomi e alle canzoni partigiane, in faccia ai robot che ci assalivano.
Al nostro fianco c’erano ragazzi generosi, venuti da altri luoghi per la resistenza collettiva; alcuni di loro sono stati feriti e incarcerati. Li consideriamo tutti figli nostri, perché con noi hanno condiviso l’esperienza di una società e di un’umanità diversa, con noi l’hanno difesa.
I media di regime, come sempre forti con i deboli e deboli con i forti, hanno tentato le consuete criminalizzazioni, dividendo tra “buoni “ e “cattivi”, “nonviolenti” e “violenti”. Rifiutiamo tali divisioni.
La violenza c’era, pesante, praticata da coloro che ci tagliavano sotto i piedi le barricate, ci inseguivano nei boschi a suon di manganelli e lacrimogeni, usavano botte e paura contro i feriti e i fermati; era prima di tutto nei loro mandanti, gli uomini delle istituzioni, perfettamente trasversali, proprio come il partito degli affari.
Violenza sulle persone e violenza sulle cose: le tende, gli zaini, i libri, gli indumenti di chi per più di un mese aveva difeso quei luoghi sono stati stracciati, lordati di feci e di urina.
Contro tale violenza rivendichiamo il diritto all’autodifesa, popolare, determinata, serena, perché ha la forza della ragione, del cuore, del futuro.
Nicoletta Dosio
pc 19-20 luglio - berlino. Carlo Giuliani vive, Polizia assassina
Submitted by anonimo on Tue, 07/19/2011 - 23:04 berlin clashes riot after demonstrationinternazionalerepost da altri mediarepressione
Violent riots took place in the night of 17th July between left wing groups and the police. They startet after an unannounced demonstration in memory of Carlo Giuliani, who was shot by the police during the G8 protests in Genoa in 2001. The Protesters attacked the police with stones, bottles and Molotov cocktails. The riots lasted far into the night. Policemen were very brutal towards the press. Several journalists were attacked with pepper spray, one was arrested.
http://www.demotix.com/news/759132/riots-berlin-after-demonstration
press:
http://www.rbb-online.de/abendschau/archiv/archiv.media.%21etc%21mediali...
http://www.flickr.com/photos/65016751@N07/sets/72157627210884510/
http://www.flickr.com/photos/boeseraltermannberlin/sets/72157627210830362/
http://www.flickr.com/photos/mikaelzellmann/sets/72157627086672849/
http://www.flickr.com/photos/pm_cheung/sets/72157627210835678/
http://www.flickr.com/photos/andreas-potzlow/sets/72157627212165660/
http://www.flickr.com/photos/rassloff/sets/72157627088819699/
http://just.ekosystem.org/BLOG/?=2421
http://www.youtube.com/watch?v=YarrHK3lR5c
pc 19-20 luglio - Napoli, superpoliziotto,supercorrotto
Pisani aveva rinunziato questa mattina al ricorso al Riesame per la mole, hanno spiegato i suoi legali, dei nuovi atti depositati dalla Procura, che vale la pena approfondire. Ha rinunziato al Riesame anche l'altro indagato Bruno Potenza, esponente di una famiglia che ha accumulato un enorme tesoro con l'usura.
La decisione di rinunciare è stata formalizzata questa mattina nel corso dell'udienza dai difensori di Pisani, avvocati Rino Nugnes e Vanni Cerino. La procura, infatti, in vista dell'udienza fissata per oggi aveva depositato nuovi atti di indagine, che i legali intendono studiare.
"Si ritiene a questo punto - scrivono i legali in una nota - di rinunciare al riesame e di proporre le proprie ed adeguate argomentazioni difensive, che dovranno essere supportate da ulteriore documentazione non immediatamente reperibile, nelle fasi successive del procedimento, che saranno ritenute le più idonee". La scorsa settimana una richiesta di revoca della misura cautelare era stata respinta dal gip Maria Vittoria Foschini
pc 19-20 luglio - genova per loro.. genova per noi
Gli organizzatori del primo decennale presentano il programma di manifestazioni: Sabato sono attese migliaia di manifestanti lungo il percorso da piazza Montano a Caricamento: "Il nostro obiettivo è quello di costruire una memoria collettiva che lenisca le ferite di quei giorni" Rita Lavaggi, coordinatrice e portavoce del comitato Verso Genova 2011
Sono attesa 10 mila persone sabato prossimo al corteo per i dieci anni dal G8. La manifestazione partirà alle 17 da piazza Montano, a Sampierdarena e si concluderà in piazza Caricamento, con un grande concerto a partire dalle 18. Oltre al corteo, a cui parteciperanno manifestanti da tutta italia e dall'estero e una delegazione del movimento spagnolo degli indignados, sabato prossimo nel capoluogo ligure saranno allestite quattro piazze tematiche sui beni comuni, la pace e la guerra, i migranti ed il lavoro.
Le iniziative entreranno nel vivo già da domani pomeriggio, a Palazzo Rosso, con l'assemblea nazionale delle associazioni antirazziste e dei migranti. La stessa sera è in programma una street parade che partirà da piazza Posta Vecchia e attraverserà i vicoli del centro storico.
Mercoledì 20 luglio, in occasione dell'anniversario della morte di Carlo Giuliani, in piazza Alimonda, dal pomeriggio, è stata organizzata un'iniziativa collettiva con interventi, memorie, testimonianze e spettacoli teatrali.
Giovedì 21 luglio, per ricordare la violenta irruzione della polizia nella scuola Diaz, ex sede del Genoa social forum, è prevista una fiaccolata con partenza alle 20 e 30 da piazza Caricamento.
"L'obiettivo - spiega Rita Lavaggi, coordinatrice e portavoce del comitato 'Verso Genova 2011' - è quello di provare a riaggregare quello che è stato il movimento del 2001, capire cosa è cambiato e soprattutto incontrare le nuove realtà e le nuove generazioni che si muovono nelle piazze e nei conflitti in italia, in europa e in tutto il mondo. Prevediamo che alemno 3 o 4 mila giovani arriveranno da fuori città".
Ai genovesi che hanno ancora negli occhi le immagini del 2001 "diciamo che per quanto ci riguarda saranno giornate di festa e che possono stare tranquilli perché oggi i processi dichiarano la nostra verità. Il nostro obiettivo - conclude la portavoce del coordinamento - è quello di costruire una memoria collettiva che lenisca le ferite di quei giorni".
genova per noi
pc 19-20 luglio - strage del 2 agosto, responsabili morali e politici di allora al governo di adesso -
"Né soldati né ministri per il 2 agosto"Il titolare della Difesa smonta la tesi del parlamentare pdl di "tensioni ideologiche permanenti" a Bologna: "Per una manifestazione così bastano polizia e carabinieri. Ma anche quest'anno la cerimonia verrà strumentalizzata"di LUIGI SPEZIA
Macché soldati. Parola di Ignazio La Russa, il ministro della Difesa: "Per una manifestazione come quella che si tiene il 2 Agosto non serve fare intervenire l'Esercito, bastano polizia e carabinieri. Sono più che sufficienti e competenti per gestire l'ordine pubblico". E' la risposta del governo alla idea di Fabio Garagnani di far intervenire i militari a Bologna a causa di "tensioni ideologiche permanenti".
Così il ministro del Pdl blocca le velleità di Fabio Garagnani, coordinatore di Bologna del suo stesso partito, che aveva invocato l'arrivo dei soldati per tamponare "il clima di scontro ideologico che caratterizza Bologna" e che teme si aggravi prima e durante le celebrazioni del trentunesimo anniversario della strage. Spiega La Russa: "L'Esercito non è mai intervento per queste manifestazioni, non si usa nemmeno mai per l'occasione di un giorno solo, ma semmai per lunghi periodi. Poi ci sono problemi legati alla legge che dispone l'impiego dei soldati, dovrebbero essere usati agli ordine del Prefetto... no, io credo che carabinieri e polizia siano perfettamente in grado di svolgere il compito istituzionale che è loro affidato, i soldati andrebbero ad aggiungersi in ogni caso al loro lavoro".
Garagnani aveva chiesto di dirottare a Bologna i soldati che La Russa ha ritirato da Milano (350 soldati in meno), provocando la reazione polemica di Giuliano Pisapia, secondo il quale questa è stata una "vendetta" di La Russa dopo la sconfitta elettorale. La Russa ha rivendicato al sua scelta, ma i soldati non servono a Bologna: "Semmai, se Garagnani ritiene che esistano dei pericoli per l'ordine pubblico, faccia intervenire il Ministro dell'Interno". Già fatto: Garagnani ha inviato una interpellanza a Maroni segnalando rischi dovuti secondo lui al clima di ideologizzazione che porta allo scontro: sono degni di nota per lui in tal senso due episodi, il lancio di monetine contro il capogruppo della Lega Nord Manes Bernardini e il ritrovamento di alcuni manifestini islamici in un negozio di musulmani. Due episodi molto diversi che Garagnani però, da una parte, collega tra loro e poi collega a possibili rischi rispetto alle celebrazioni del 2 agosto. Il sindaco Virginio Merola era intervenuto per dire che Garagnani "farnetica" e "parla a vanvera".
Il ministro della Difesa ha risposto anche alla domanda se quest'anno, per la seconda volta, il governo non manderà nessun rappresentante a parlare dal palco di Piazza Medaglie d'Oro. L'anno scorso la spiegazione dell'assenza fu trovata nelle contestazioni, nei i fischi che negli anni invariabilmente hanno accolto il ministro di turno. La Russa sembra confermare che anche quest'anno non verrà nessuno: "Dipende da quel che fanno... le faccio io una domanda: pensa che quest'anno la manifestazione non verrà come al solito strumentalizzata? Si dia una risposta e poi capirà che fa il governo".
pc 19-20 luglio - a Genova chiudono la scuola diaz per impedire le proteste
Sbarrata la scuola del blitz:
«Per problemi di personale»
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La preside Castelli e il provveditore agli studi Pagano ieri a colloquio con il prefetto
Genova - La scuola Diaz, che è sede del liceo sociopedagogico Pertini, è chiusa da ieri mattina. E fino a lunedì.
Famiglie e studenti che devono ancora vedere i quadri della maturità, ritirare documenti per le più diverse attività - dall’iscrizione, allo spostamento in altre scuole - trovano un cartello con la scritta “La segreteria è chiusa per motivo tecnico-organizzativi fino a lunedi 25”.
Panico delle famiglie, e di chi, dovendo ritirare documenti prima di andare in ferie, vive questo spostamento come una jattura.
La preside Carla Castelli (non direttamente perché ieri non era rintracciabile) fa sapere che c’è un problema di turn over degli impiegati in segreteria, ma ieri nel tardo pomeriggio era a colloquio con il Prefetto Musolino. Affiancata dal provveditore agli Studi Sara Pagano.
La quale intercettata alla fine del colloquio, dice «non mi risulta che questa chiusura sia collegabile con la settimana di rievocazione del G8, la preside mi ha parlato di problemi di personale. E comunque il Prefetto ci ha dato garanzie in merito alla sicurezza. Insomma: non c’è niente da temere, non si prevede alcun tipo di problemi riguardo la scuola Diaz-Pertini».
Nelle scuole la crisi del personale amministrativo, vittima dei tagli ministeriali, non è cosa campata per aria, ma che diventi emergenza proprio in questa settimana e proprio in questa scuola, quando centinaia di famiglie hanno ancora bisogno di usufruire del servizio, suona come una coincidenza davvero strana. E perché la convocazione dal Prefetto?
La scuola di Albaro verrà solo lambita da una fiaccolata nella serata di giovedì, ma per la preside Carla Castelli che dirigeva questa scuola anche dieci anni fa quando successe il finimondo, è un deja-vu che scatena ansie e induce a superare questi giorni, sprangando ogni ingresso.
martedì 19 luglio 2011
pc 19-20 luglio - Continua la protesta alla Fincantieri di Palermo
LA PROTESTA
Rsu Fincantieri: operai sulla gru
in fiamme auto e cassonetti
La decisione è stata presa nel corso dell’assemblea generale di questa mattina. Al centro della protesta la mancata acquisizione della commessa della Costa Romantica. Occupati gli uffici della direzione dello stabilimento. Gli operai proclamano sciopero di fame e sete
Cassonetti dei rifiuti dati alle fiamme. Incendiata anche un'automobile. La protesta delle sigle sindacali Ugl, Fim e Uilm dello stabilimento Fincantieri di Palermo, dove questa mattina è scattata un'affollata assemblea delle tute blu dell'azienda e dell'indotto, si fa sempre più rovente. In precedenza i lavoratori avevano occupato gli uffici della direzione dello stabilimento, ed erano saliti sulla gru del cantiere della portata di 200 tonnellate in segno di protesta, chiedendo un incontro urgente all'amministratore delegato del Gruppo, Giuseppe Bono.
Lo ha reso noto il segretario provinciale Ugl Metalmeccanici Palermo, Gabriele Specchiarello, il quale ha evidenziato come "la mancata acquisizione della commessa Costa Romantica è solo l'ultimo episodio nella crisi del lento stillicidio del cantiere palermitano. Senza una chiara definizione dei carichi di lavoro e degli ordini, non abbiamo futuro. Con lo sciopero e le proteste di questi giorni - ha concluso il sindacalista - chiediamo all'azienda, una volta per tutte, risposte serie per i lavoratori, e alle istituzioni locali e al Governo di fare la propria parte per salvaguardare il patrimonio della cantieristica siciliana". Proclamato anche lo sciopero di fame e sete.
All'assemblea ha partecipato anche Mimmo di Matteo, segretario provinciale della Cisl: "Chiediamo un intervento immediato delle istituzioni - ha detto di Matteo - per sollecitare Fincantieri a mantenere gli impegni assunti sul cantiere di Palermo. E' una stranezza l'assegnazione al cantiere di Genova della commessa destinata al capoluogo siciliano che fino ad ora non ha trovato alcuna spiegazione". Di Matteo ha rilanciato ancora "la richiesta rivolta alla Regione di sollecitare subito un tavolo al Ministero delle attività produttie per discutere del vero rilancio della cantieristica navale e della salvaguardia dei posti di lavoro".
I lavoratori si erano riuniti alle 8.30 di questa mattina in un’assemblea generale alla presenza dei segretari di Cgil, Cisl e Uil di Palermo, Maurizio Calà, Mimmo Milazzo e Antonio Ferro. Davanti ai cancelli si erano ritrovati più di mille lavoratori, dei Cantieri e dell'indotto, e via dei Cantieri, nell'ultimo tratto, è stata chiusa al traffico. "All'ordine del giorno di questa assemblea - ha detto Calà - c'è la mancata acquisizione della commessa della Costa Romantica da parte di Fincantieri. Sindacati e lavoratori sono in allarme: oltre al dramma occupazionale per migliaia di famiglie di lavoratori, a Palermo è in discussione il futuro stesso del cantiere, con la possibilità di andare incontro a una chiusura".
palermo.repubblica.it
lunedì 18 luglio 2011
pc18 luglio - La sentenza del Tribunale di Torino su accordo Fiat Pomigliano
pc 19 luglio - da brescia a rimini: Basta aggressioni razziste
Il ragazzo aggredito si trovava nel famoso locale della città “Rose and Crwon” e non stava facendo altro che parlare con due suoi amici, un ragazzo e una ragazza. Erano quasi le quattro, quando un gruppo di 10 ragazzi è entrato nel locale e ha preso posto a un tavolo: unica caratteristica comune era quella di avere le teste perfettamente rasate, segno tipico dei naziskin.
Durante la sera non hanno fatto nient’altro che parlare tra di loro, ma quando il giovane magrebino si è alzato per andare in bagno, due skinhead l’hanno seguito con l’intenzione di minacciarlo e ferirlo. In qualche modo la vittima è riuscita a uscire dalla toilette, ritornando tra i tavoli del locale, ma senza che i due gemelli lo lasciassero in pace.
A quel punto la sicurezza e la gestione del pub si sono accorti della situazione e senza sapere quale fosse il vero motivo del litigio, ha spinto il gruppo di nazi e il povero giovane a uscire dal locale. Lì, la situazione, non è affatto cambiata, anzi: arrivati per strada i due aggressori hanno iniziato a pestare il ragazzo davanti ai suoi due amici che hanno provato, invano, a salvarlo dalle percosse.
I titolari del locale, quando hanno visto che il gruppo di teste rasate ha iniziato a picchiare con pugni e calci il giovane, non hanno esitato a chiamare la polizia e l’ambulanza prima che il ragazzo subisse danni seri e irreparabili. Fortunatamente, arrivato in ospedale, non ha dimostrato niente più che una serie di lividi e abrasioni, soprattutto sul volto, ma niente di grave.
I due ragazzi, invece, sono stati immediatamente identificati dalle forze dell’ordine, grazie alle descrizioni dettagliate ottenute dagli altri presenti nell’edificio, durante la lite. Nonostante i restanti naziskin fossero già andati via, i due marchigiani sono stati invece fermati e denunciati per lesioni aggravate in concorso, rissa con l’aggravante di motivi razziali e porto d’oggetti atti a offendere, con precisione un tirapugni e due coltelli a serramanico.
Sono adesso in corso le ricerche per gli altri otto membri del gruppo, mentre i due già condotti in questura dalle autorità, dovranno adesso contrattare un’ordinanza di reclusione in carcere tra i 12 e i 30 mesi.
Tommaso Paolo Dattoma
BRESCIA: NUOVA DISCRIMINAZIONE DELLA POLIZIA LOCALE? LA STORIA DI SERIGNE CHIEDE CHIAREZZA.
Nuova denuncia di discriminazione contro la Polizia Locale di Brescia. Serigne Modou Diop, senegalese, 36 anni, in Italia da 5 con permesso di soggiorno, ha convocato assieme alla comunità senegalese oggi i giornalisti nei nostri studi per far conoscere quanto accadutogli lo scorso 27 giugno. Il 36enne si trovava all’Italmark di via Vivanti a vendere alcuni oggetti, in accordo con il supermercato.
Improvvisamente due vigili in borghese lo avvicinano per identificarlo, e mentre controllano i documenti iniziano a portargli via la merce. “Ho protestato- racconta Serigne- quindi uno dei due mi ha spinto, gettandomi a terra. Ho urlato, i passanti hanno chiesto di chiamare l’ambulanza, la gli agenti mi hanno trascinato al comando in via Donegani”.
Una volta qui scatta la denuncia per resistenza, ma Serigne non si rassegna, rivolgendosi tramite la comunità senegalese all’associazione Diritti per Tutti.
Per l’avvocato dell’associazione, Sergio Pezzucchi, si può già parlare di “sequestro anomalo della merce, poiché gli oggetti venduti da Serigne paiono essere spariti e non c’è nessun verbale. Abbiamo inoltre presentato denuncia di lesioni ai carabinieri. Ora attendiamo l’esito dell’indagine, aspettandoci chiarezza”.
pc 18 luglio - la Tunisia torna in fiamme, a Sidi Bouzid un ragazzino ucciso
ragazzino ucciso da pallottola vagante
I timori di un rinvio delle elezioni, fissate per il 23 ottobre, spinge la gente a tornare in piazza. Violenti scontri nella notte nella cittadina dove ebbe inizio la "rivoluzione dei gelsomini". Il capo della polizia: "Il ragazzo colpito di rimbalzo da un proiettile. Abbiamo sparato per rispondere al lancio di bottiglie incendiarie"
TUNISI - Un ragazzo di 14 anni è morto la scorsa notte nel corso di scontri violentissimi tra manifestanti e polizia a Sidi Bouzid, la città dove il 17 dicembre scorso 1 un giovane commerciante ambulante, Mohammed Bouazizi, si diede fuoco dando inizio alla "rivoluzione dei gelsomini" che ha portato alla caduta del presidente Ben Ali 2, al potere da 23 anni 3 e condannato in contumacia a 35 anni di carcere 4.
Il ragazzo si chiamava Thabet Belkacem e, secondo quanto riferisce il capo della polizia della città all'agenzia tunisina Tap, sarebbe stato ucciso da un proiettile vagante. Secondo fonti sanitarie citate dall'agenzia France Presse, il ragazzo è spirato nell'ospedale di Sidi Bouzid. Il suo corpo è stato portato nell'istituto di medicina legale dell'ospedale di Sfax, dove sarà eseguita l'autopsia. Altre due persone sono rimaste seriamente ferite. Una, in gravi condizioni, è stata trasferita dall'ospedale di Sidi Bouzid a quello di Sfax.
Stando a quanto riferito dalla Tap, la polizia ha aperto il fuoco rispondendo al lancio di bottiglie incendiarie contro alcuni agenti. Gli scontri sono andati avanti
per quasi tutta la notte e nove dimostranti sono stati arrestati.
Come detto, fu proprio a Sidi Bouzid che ebbe inizio la "rivoluzione dei gelosomini", con il gesto disperato di Mohammed Bouazizi, giovane laureato senza lavoro datosi fuoco per protestare contro la revoca della sua licenza da ambulante e per denunciare la miseria dilagante nel Paese maghrebino. Sette mesi dopo, nonostante la caduta del regime di Ben Ali, la gente torna a protestare nelle piazze.
Il timore, espresso anche da Maya Jribi, segretario generale del Partito democratico progressista tunisino è che possano essere rinviate le elezioni, fissate per il 23 ottobre: "La rivoluzione dei gelsomini ha realizzato i sogni di libertà e di cambiamento del popolo tunisino. La rivoluzione ha dimostrato al popolo che quel sogno poteva essere realizzato. Ora, per raggiungere il nostro obiettivo fino in fondo, non ci resta che andare alle elezioni".
La leader politica ritiene legittimi i timori di chi teme che ci possa essere un rinvio delle elezioni, "ma noi siamo ottimisti - afferma - perché crediamo che un popolo in grado di far cadere un dittatore sia in grado anche di superare queste difficoltà". "Purtroppo di recente c'è chi ha chiesto il rinvio delle elezioni - spiega ancora la Jribi - Si tratta di persone che non vogliono andare al voto e pongono degli ostacoli spingendo le istituzioni del paese a scontrarsi". A proposito dell'operato
pc 18 luglio - libertà per i compagni canadesi arrestati..ultime notizie
I quattro compagni arrestati e incriminati sono comparsi in Tribunale mercoledì 13 luglio.
Il pubblico ministero ha illustrato le prove a carico degli imputati e ha richiesto un inasprimento delle condizioni per la loro libertà. L'udienza è stata poi rinviata a lunedì 18 luglio.
Montrèal, 5 luglio.
Il 29 giugno 2011 la squadra anti-bande della divisione anti-crimine organizzato della polizia di Montréal ha arrestato quattro attivisti politici, tra cui Patrice Legendre, un operaio comunista sostenitore del PCR. La polizia ha perquisito le loro case e li ha arrestati in relazione alla manifestazione del primo maggio scorso, organizzata dalla Convergenza Anticapitalista di Montréal (CLAC). Circa 30 agenti sono stati coinvolti nell'operazione, che si è svolta all’alba.
Secondo il funzionario di polizia che diretto l'operazione durante gli scontri del primo maggio nove agenti rimasero feriti, alcuni gravemente. Maggiori informazioni sulla manifestazione sono disponibili nel numero 3 del giornale comunista Partisan.
I quattro attivisti arrestati sono stati rilasciati su promessa a comparire il 13 luglio alle ore 9 presso il tribunale di Montréal. Sono stati accusati di una serie di reati, da "assalto con arma" a "aggressione a ufficiale di polizia", "ostacolo alla giustizia" e "possesso di arma con l'intento di causare danni".
Durante la manifestazione del Primo Maggio per le strade di Montréal, cui parteciparono quasi 1.500 persone, la polizia provocò tafferugli, cercando di arrestare, senza alcuna spiegazione, un militante molto noto per essere il fotografo del giornale Partisan.
Come era da aspettarsi, decine di manifestanti risposero affrontando i poliziotti e intimandogli di lasciar andare l'attivista che stavano cercando di arrestare. Chiaramente impreparati, i poliziotti scelsero di ritirarsi.
L'operazione il 29 giugno è stata chiaramente realizzata su basi di fatto molto esigue. Il contenuto dell'interrogatorio a cui sono stati sottoposti gli attivisti arrestati, nonché la presenza di un
investigatore della “Integrated National Security Enforcement Team” lascia pensare che dietro l'operazione ci siano altri motivi.
In primo luogo, si può ritenere che gli arresti siano mossi da spirito di vendetta, la vendetta che i poliziotti cercano sempre di prendersi contro quelli che li sconfiggono sul campo, come nel caso della manifestazione del Primo Maggio, dove i dimostranti impedirono l'arresto arbitrario e ingiustificabile di uno degli attivisti presenti. I poliziotti avevano ricevuto un uovo in faccia e qualcuno doveva pagare per questo. Senza alcuna prova per procedere, la polizia ha deciso di perseguire alcuni noti attivisti, tra cui certi che esprimono apertamente le proprie posizioni. La manifestazione è servita da pretesto per criminalizzare il loro impegno politico e, soprattutto, le posizioni comuniste che difendono. Ricordiamo che nelle ultime settimane, il PCR ha iniziato a pubblicare un giornale bisettimanale bilingue, Partisan, in distribuzione nelle principali città di Ontario e Québec, e ha anche iniziato a organizzare i lavoratori nel Movimento Operaio Rivoluzionario (Mouvement Ouvrier Révolutionnaire, MOR). La lotta contro il capitalismo e lo sfruttamento che il partito porta avanti sta prendendo nuove forme e sta avanzando. Possiamo immaginare che la polizia non ne sia entusiasta.
Gli inquirenti hanno anche detto che subito dopo la manifestazione del primo maggio è stata posta sotto attenzione la Maison Norman Bethune, una libreria gestita dall’Information Bureau del PCR. Molti attivisti frequentano la libreria, partecipando alle iniziative e impegnandosi per la causa della rivoluzione. Sembra perciò che la polizia abbia organizzato "una battuta di pesca" per trovare qualcuno colpevole di qualcosa in modo da distrarre l'attenzione dal comportamento infantile e provocatorio da essi tenuto alla manifestazione del Primo Maggio.
Inoltre, informazioni raccolte dall’Information Bureau del PCR riferiscono che il poliziotto che ha effettuato questi arresti aveva già cercato di implicare il PCR, e Patrice Legendre in particolare, in tre precedenti episodi, tra cui uno accaduto un anno fa a Trois-Rivières, dove un ordigno esplosivo ridusse in frantumi la porta di un ufficio di reclutamento delle forze armate canadesi. Un gruppo che si autodefinì "Resistenza Internazionalista" rivendicò la responsabilità dell’azione e da allora la polizia non ha ancora risolto il caso.
Curiosamente, il giorno dopo gli arresti di Montréal, l'Integrated National Security Enforcement Team per tre giorni si è istallato a Trois-Rivières di fronte all'ufficio di reclutamento, allo scopo, hanno dichiarato, "di raccogliere nuove informazioni e confermare alcuni indizi definiti 'molto gravi '". La polizia ha perfino mostrato foto dei quattro attivisti arrestati alla gente di Trois-Rivières, sperando che qualcuno li potesse coinvolgere in un modo o nell'altro.
L'operazione del 29 giugno non è stata casuale. Essa giunge in un momento in cui lo Stato borghese Canadese è all'offensiva nella criminalizzazione della lotta politica e degli attivisti impegnati in essa. Per provarlo basta riandare al vertice del G20 del giugno 2010 a Toronto, dove oltre un migliaio di persone sono state arrestate illegalmente. Negli ultimi anni sono decine gli attivisti, tra cui alcuni del PCR, che sono stati perseguitati a casa e sul posto di lavoro lavoro da parte del famigerato "Integrated National Security Enforcement Team."
Il Partito Comunista Rivoluzionario condanna duramente questa vile operazione, che ha motivazione politica. Essa è destinata a fallire e a ritorcersi contro chi l’ha pianificata. Il PCR sta facendo campagna attiva per denunciare gli arresti e ottenere la liberazione piena e incondizionata degli arrestati. Ringraziamo i molti individui e gruppi che hanno già espresso la loro indignazione e la solidarietà dopo gli arresti 29 giugno.
DENUNCIAMO L’INTIMIDAZIONE POLITICA!
DIFENDIAMO IL NOSTRO DIRITTO A LOTTARE CONTRO LA BORGHESIA E IL SUO STATO!
LA SOLIDARIETA’ E’ LA NOSTRA ARMA!
Information Bureau
RCP, Canada
pc 18 luglio - 'suicida' il factotum di Don Verzè - un criminale nero in tonaca uomo del Vaticano e di Berlusconi
uno degli uomini in nero di questo paese.
Don Verzè e il suo San Raffaele attualmente sono sostenuti a spada tratta e in tutti i modi da Vendola in Puglia, con lui tutto il centro sinistra, il sindaco Stefano di Taranto ecc.
Questo è bene che si sappia e si denunci.
pc 18 luglio - Genova g8. Mortola 'io voglio il processo ' ... l'avrai, l'avrai prima o poi l'avrai..
G8 Genova - Il primo strappo, dopo l’inchiesta del Secolo XIX sui ritardi artificiosi per garantire l’impunità ai protagonisti del massacro alla Diaz, lo compie uno dei superfunzionari più noti nelle inchieste sul G8. È l’ex dirigente responsabile della Digos genovese, recentemente promosso questore, Spartaco Mortola: nessuna speranza di prescrizione - fa sapere - semmai il desiderio di essere processato davvero anche in ultimo grado, perché questa vicenda finisca. Con una precisazione: se ci sono state perdite di tempo apparentemente strumentali da parte di alcuni imputati (ma viene respinto il termine «complotto»), che rischiano di mandare a monte il terzo grado e quindi la verità, non riguardano Mortola stesso.
Il quale non escluderebbe al momento addirittura di rinunciarci, alla prescrizione.
Le precisazioni sono espresse dal suo legale storico, Piergiovanni Junca. E rappresentano un dettaglio importantissimo a ventiquattr’ore dalla rivelazione del dossier raccolto dai giudici del capoluogo ligure, proprio sul caso Diaz.
I magistrati hanno infatti documentato una serie di episodi «anomali», che stanno facendo slittare in modo forse irreparabile il verdetto della Suprema Corte sul raid compiuto nell’istituto dove alloggiavano i noglobal nel luglio 2001, e sulla falsificazione delle prove per giustificare i pestaggi. L’Appello, nel maggio 2010, aveva condannato picchiatori e superdirigenti, ma la Cassazione non è stata fissata. E se si tarda ancora un po’ c’è il concreto pericolo che si finisca con un nulla di fatto. Decisivi, nel dilatare i tempi, si sono rivelati gli incredibili “problemi” nella consegna ai protagonisti del processo di vari atti (se tutte le parti non hanno ogni singolo documento, non si può cominciare). Cambi continui d’indirizzo da parte dei dirigenti e degli agenti alla sbarra, notifiche rispedite misteriosamente al mittente o rimpallate fra ufficiali giudiziari davvero poco desiderosi di eseguirle, oltre che copie di dossier dimenticate nei cassetti, stanno pregiudicando la scrittura del capitolo finale. Ed è chiaro che lo tsunami della prescrizione cancellerebbe d’incanto una macchia pesantissima per personaggi assai in carriera, che hanno riportato sull’affaire Diaz condanne gravi: dall’attuale capo della Divisione centrale anticrimine Francesco Gratteri (4 anni per falso, firmò il verbale in cui si diceva che i dimostranti custodivano nell’istituto le molotov introdotte al contrario dalle forze dell’ordine), al capo-analista dei servizi segreti Giovanni Luperi (3 anni e 8 mesi per falso), senza dimenticare il direttore del Servizio centrale operativo Gilberto Caldarozzi (stessa pena e stesso reato).
Pure Mortola ha subito la medesima pena per la Diaz - oltre a un anno e 2 mesi per i depistaggi successivi, nel processo in cui era imputato con l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, a sua volta condannato - ma oggi il difensore Junca la mette giù dura: «I miei assistiti (è consulente pure di Carlo Di Sarro, ex funzionario ala Digos di Genova con 3 anni e otto mesi sul groppone) non hanno mai modificato l’indirizzo, tecnicamente definito “domicilio”, cui inviare la corrispondenza giudiziaria, non creando così alcun intoppo o ritardo (l’opposto, per esempio, ha fatto l’ex comandante dei picchiatori Vincenzo Canterini, ndr) . E siamo noi stessi sorpresi dei tempi lunghi, poiché ci riterremmo danneggiati dal mancato svolgimento delle udienze in Cassazione». Junca aggiunge un dettaglio cruciale: «Il giorno in cui Mortola e Di Sarro hanno depositato il loro ricorso, hanno allegato all’istanza originale, come da norma, le copie per tutte le parti del processo, spendendo mille euro a testa con l’unico obiettivo di snellire le procedure». Il contrario di quanto fatto dall’ex poliziotto Luigi Fazio, oggi in pensione. Il quale, oltre ad aver assoldato un docente di diritto per formulare l’istanza in Cassazione nonostante una mini-condanna per percosse già prescritta, ha “dimenticato” di allegare le stesse copie. Facendo perdere mesi e nonostante lo sollecitasssero. Sono stati episodi come questi a istillare nelle toghe che avevano emesso la condanna in Appello (e a distanza di un anno non vedono fissato l’ultimo round davanti alla Suprema Corte) il dubbio d’una strategia. O perlomeno l’idea che gli imputati, ancorché uomini dello Stato, stiano sguazzando nelle lungaggini ben felici di non farsi giudicare. Junca (e il suo assistito Mortola) si smarcano: «I problemi degli altri funzionari non mi riguardano
pc 18 luglio - la diaz .. come lo stato prima massacra poi trama e trucca per assicurarsi impunità e promozioni.. pagherete caro, pagherete tutto !
Nessuno paghi per la Diaz
15 luglio 2011 | Graziano Cetara e Matteo Indice
l’inserto del Secolo XIX sul G8
G8
Genova - La notte «che disonorò l’Italia agli occhi del mondo intero», come scrissero i giudici; quella notte di dieci anni fa in cui «i diritti fondamentali dell’uomo furono sospesi» tra le quattro mura d’una scuola dormitorio a Genova, diventata la scena d’un massacro fuori dal tempo, ancora non è finita. E non solo perché nessuno ha mai chiesto scusa per il sangue con cui furono impastate le coperte di chi dormiva e graffiate le pareti. E nemmeno perché i responsabili, uomini dello Stato, hanno continuato a fare orecchie da mercante, impedendo l’accertamento della verità in ogni modo, distruggendo le prove e organizzando depistaggi a tavolino fino al punto di addomesticare i testimoni. No. La notte della vergogna alla Diaz continua perché la polizia, o meglio certa polizia, ha deciso che nessuno dovrà pagare per il massacro dei 93 noglobal sorpresi nel sonno, dentro l’edificio loro destinato dall’organizzazione del G8 2001. Erano le 23 circa del 21 luglio.
E’ una decisione vera, presa smascherando di fatto, ma senza dichiararlo apertamente, l’ipocrisia della prima ora: «I responsabili saranno puniti dopo una sentenza definitiva di condanna» diceva l’allora capo della polizia Gianni De Gennaro (che oggi coordina i servizi segreti con una pena di un anno e sei mesi sul groppone, inflitta proprio per i depistaggi sul G8) di fronte al fioccare degli avvisi di garanzia spediti agli agenti picchiatori, e ai capi che li avevano legittimati se non spinti apertamente. La gran parte di quei poliziotti è stata promossa e neppure sfiorata dalla possibilità d’un procedimento disciplinare. Ma ora si vuole di più. Adesso si punta alla totale impunità. Perché una condanna definitiva raderebbe al suolo carriere di primissimo piano.
La scelta è nei fatti, all’indomani della sentenza di secondo grado che ha condannato tutti, il braccio e la mente della «macelleria messicana» - così definì la scena che gli si parò davanti il funzionario Michelangelo Fournier, anch’egli impegnato nel rastrellamento - a un totale di 98 anni e 3 mesi di carcere. Una scelta più o meno deliberata di alcuni degli imputati, tra cui Vincenzo Canterini, l’ex capo dei violenti della Celere di Roma, entrati come Terminator nell’istituto. Ma all’insabbiamento contribuiscono altri personaggi minori, disposti a intralciare in ogni modo la macchina della giustizia, già abbastanza imballata. Come? Semplicemente non facendosi trovare, cambiando domicilio in modo inopinato e inutile, magari pretendendo l’invio degli atti in un alloggio di servizio abbandonato di lì a poco per andare in pensione; atti che per tutto il decorso delle indagini venivano inoltrati con successo ai propri difensori.
Tutto questo si somma alle voragini della burocrazia, nella migliore delle ipotesi sottovalutata. Perché ci sono ufficiali giudiziari romani che si rimpallano in modo incredibile, e per mesi, una consegna che nessuno evidentemente vuole portare a termine. Oppure ricevute di notifica che spariscono, come quelle arrivate in tempi record ai difensori delle vittime. Devono essere reinviate, con evidente e ulteriore ritardo.
CANCELLARE LE CONDANNEE SALVARE LE CARRIERE
Il processo di Cassazione così, conseguenza diretta dell’ostruzionismo vagamente legalizzato, sta slittando in silenzio tra il secondo e l’ultimo grado di giudizio. Sta scivolando di mese in mese e ormai da più di un anno verso la ghigliottina della prescrizione, già calata proprio nelle ultime settimane sulle lesioni più gravi subite dai manifestanti addormentati alla Diaz. E destinata, se si continuerà a perdere tempo, a cancellare persino i reati più infamanti per i vertici della polizia: i falsi, le accuse inventate ad arte, costruite a tavolino per sostenere l’obbrobrio di 93 arresti illegittimi, diventati quasi all’istante proscioglimenti di persone con la testa e le ossa rotte.
Cosa sta avvenendo esattamente? Succede che dopo i primi ritardi nella notifica ai 28 imputati delle 310 pagine di sentenza, operazione ciclopica cui ha lavorato la cancelleria della terza sezione della Corte di appello di Genova, ora stanno girando per l’Italia i duplicati dei ricorsi in Cassazione di ciascuna delle parti del processo, 3700 documenti. Tutti devono avere una copia di tutto, altrimenti l’ultimo grado non si può celebrare. E ciascuno deve riceverla a un indirizzo preciso, fornito in precedenza. Con un’avvertenza. Gli imputati hanno diritto a cambiare domicilio per l’invio della corrispondenza giudiziaria. E a comunicarlo per tempo. Solo che tra ufficiali giudiziari in carenza perenne di organico e spedizioni multiple con inevitabili (involontari?) errori, se le variazioni si ripetono con una certa insistenza e a macchia di leopardo - spuntando persino vie e piazze fantasma - l’effetto complessivo è solo uno: la paralisi. Le copie rimbalzano da Genova verso mezzo Paese e ritorno senza l’avvenuta consegna, l’appuntamento in Cassazione ritarda ancora e la prescrizione avanza. Ed è proprio quanto sta avvenendo in gran segreto. Gli indirizzi subiscono strane metamorfosi o non si trovano, le spedizioni saltano a ogni intoppo. Per ripartire daccapo.
Aldilà dell’innegabile sfacelo burocratico, esiste una strategia deliberata da parte d’un (ristretto) nucleo di imputati, appartenenti alla polizia? Il sospetto ha fatto breccia all’interno della Corte di appello di Genova, che ha in mano il pallino delle notifiche. Tanto è vero che i giudici autori della sentenza di condanna hanno chiesto ai cancellieri un rapporto finale, da inviare alla Suprema Corte insieme al resto delle carte, cosicché chi dovrà prendere l’ultima decisione sappia proprio ogni cosa. Il dossier è pronto e Il Secolo XIX, oggi, è in grado di anticipare nel dettaglio i contenuti.
I DOMICILI FANTASMADEI PICCHIATORI
Sono cinque i casi «eclatanti» che i magistrati hanno inserito nella loro informativa, sebbene uno dei legali della polizia (si leggerà nel seguito dell’inchiesta) sostenga addirittura siano di più. Situazioni al limite della fantascienza che hanno sortito un effetto senza dubbio comune: dilatare i tempi dell’ultimo, e fondamentale, verdetto in modo forse irreparabile.
Uno dei nomi cerchiati in neretto nell’incartamento è quello di Vincenzo Canterini. Personaggio-clou dell’ affaire G8, era il comandante del Reparto mobile di Roma che fece irruzione per primo nella scuola manganellando alla cieca, e che da allora ha avuto una carriera roboante: prima trasferito a Bucarest (!) dove in teoria si occupava d’inchieste sul traffico internazionale di organi, quindi in pensione con il remunerativo grado di questore. E avvistato pure sul social network “Badoo”, dove da un villaggio turistico di Santo Domingo si proponeva per «conoscenze con donne colte». Ebbene, le notifiche all’imputato Canterini (5 anni in Appello per lesioni e falso) sono andate alquanto a rilento, con ripercussioni sui tempi del processo a carico di tutti. Il generale , come lui stesso amava definirsi on-line, ha sempre indicato quale luogo dove notificare gli atti, lo studio genovese dei suoi legali storici Silvio e Rinaldo Romanelli (padre e figlio). All’indomani della sentenza d’appello decide di cambiare. È sua facoltà, ma è perlomeno singolare. Perché pur mantenendo gli stessi difensori modifica l’indirizzo dove da Genova dovranno aggiornarlo sulla questione Diaz. E, lo ricordiamo ancora, se tutti i partecipanti al processo non ricevono tutti gli atti, i tempi s’allungano. Quindi. Canterini indica come “nuovo” indirizzo via San Francesco 3, a Pisa, alloggi per le forze dell’ordine. Ma il 17 agosto dello scorso anno le carte a lui destinate tornano indie tro: «Omessa notifica», il ricevente non è più rintracciabile. Il motivo? «Si è congedato dalla polizia». Ma allora, se sapeva che di lì a poco quel riferimento toscano sarebbe diventato inutile, perché Canterini lo ha indicato? I giorni passano, uno dei reati per cui è imputato (le lesioni) ha scadenza piuttosto vicina. E recentemente è sfumato causa prescrizione per lui e per gli altri ai quali era stato addebitato.
A Genova optano per una soluzione estrema. Se il domicilio dichiarato dall’imputato non serve, si torna ai difensori. E mentre Silvio Romanelli firma la “ricevuta” della notifica il 13 settembre 2010, il figlio Rinaldo non lo fa. Sostiene che i carteggi dovrebbero marciare verso Pisa. E ci vogliono altri tre mesi e mezzo affinché, dopo l’ennesimo rimbalzo, pure lui riceva ufficialmente il dossier. Risultato: i fascicoli che Canterini avrebbe potuto avere il 17 agosto, gli sono definitivamente notificati il 22 dicembre. Oltre quattro mesi di ritardo per fare cosa? Un gioco di cambi e rifiuti in cui è difficile vedere altri obiettivi se non la melina. «Nessuna tattica almeno da parte nostra – avverte Silvio Romanelli – anzi, a noi interessa farlo questo processo». E i rimpalli e gli inseguimenti al suo assistito? «A fine processo, prima di andare in pensione fui io a invitarlo a farsi spedire tutto a casa. Siccome è uno che ha sempre girato il mondo e non avrei saputo come beccarlo, non volevo che fosse responsabilità mia se non avesse ricevuto gli atti». Difatti, gli atti alla fine sono tornati giusto all’avvocato... «Vero, ma non per colpa mia. Ci sono stati errori da parte di cancellerie e ufficiali giudiziari. A trarne vantaggio non siamo stati noi, dal momento che i nostri reati sono prescritti da un anno, nonostante lo sbaglio di calcolo di ben tre anni contenuto nella stessa sentenza di appello. A cambiare di continuo domicilio mi risulta siano quelli del gruppo dei falsi e delle calunnie, per loro la prescrizione deve ancora arrivare».
La clessidra non si ferma e la prescrizione ha già graziato uno dei vecchi sottoposti di Canterini, Pietro Stranieri. Condannato in secondo grado a quattro anni per lesioni, Stranieri ha cambiato il suo domicilio il 12 ottobre 2010, comunicandolo all’ «ufficio ruolo» di Genova. Siccome la burocrazia non va alla velocità della luce, e gli addetti ai lavori lo sanno benissimo, gli impiegati che materialmente dovevano spedirgli gli atti, lavorando all’«ufficio ricorsi» cioè una sezione diversa, lo hanno saputo solo il 16 dicembre. Peccato che nel frattempo gli avessero notificato documentazione assortita al vecchio indirizzo, che ormai non andava più bene. E così s’è dovuto rifare tutto daccapo, con il cambio in corsa (lecito) che ha infine determinato un ritardo di tre mesi.
QUEL RICORSO “PER PRINCIPIO”PAGATO A PESO D’ORO
Da manuale è il caso di Luigi Fazio; un cortocircuito - inclusivo di misteriose dimenticanze - che in concreto produce uno stallo di sei mesi. Chi è Luigi Fazio? È uno degli imputati minori; uno che - punito in primo grado con un mese per percosse - ha già visto la sua micro-condanna prescritta in Appello. È ormai in pensione, Fazio, non c’è più pericolo che lo condannino e può dormire sonni tranquilli. Ma tant’è. Decide pure lui di pagarsi un fior di consulente, di fare ricorso e si trasforma in un granello che inceppa, parecchio, un meccanismo già abbastanza perverso. Facendo trottare verso la prescrizione la spada di Damocle che incombe su (ex) colleghi ben più blasonati, e necessariamente interessati.
Accade infatti che il 28 agosto 2010, da Genova, spediscano il cosiddetto «estratto contumaciale di sentenza» al “prescritto” Fazio. In poche parole, gli devono notificare il giudizio che lo riguarda. E dal giorno in cui riceve quel documento, lui come tutti ha un mese e mezzo per rivolgersi alla Cassazione. Quando il plico raggiunge la capitale, finisce nelle mani degli ufficiali giudiziari. I quali lo dovrebbero consegnare all’indirizzo che Fazio ha dichiarato come luogo in cui recapitare ogni corrispondenza, ovvero quello di casa sua. I funzionari però rimandano tutto a Genova, per «omessa notifica». Risulta cioè impossibile recapitare. Perché? La via sarebbe «inesistente» sul territorio di loro competenza, e semmai dovrebbero provvedere i colleghi di Velletri. Le carte ri-approdano quindi nel capoluogo ligure, che le re-invia a Velletri. Ce la fanno? Assolutamente no. Altra «omessa notifica».
I DOCUMENTI SPARITIIN POCHE CENTINAIA DI METRI
La via fantasma di sicuro non è nella giurisdizione di Velletri, rispondono da lì, e il pacco riprende mestamente il cammino per la Liguria. A questo punto la legge, lo abbiamo visto con Canterini, dà la possibilità di notificare ai difensori, ovunque essi siano. Quelli di Fazio risultano uno a Genova (Gianfranco Pagano, e ce la si fa il 5 gennaio), l’altro a Roma. Si chiama Giovanni Destito ed è nel suo studio che gli ufficiali giudiziari romani dovrebbero consegnare l’ormai leggendaria sentenza. Ci riescono? Proprio no. Perché ritornano per errore all’indirizzo fantasma, e un’altra volta il carteggio rimbalza all’ombra della Lanterna. Al quarto tentativo (la busta era partita, lo ricordiamo, il 28 agosto) Fazio è «ufficialmente» informato. Ma nel frattempo siamo arrivati al 3 febbraio 2011 e la prescrizione incombe.
Non è finita, poiché ancora Fazio ha 45 giorni per appellarsi alla Cassazione. E finché il suo ricorso, come tutti gli altri, non sarà notificato a ognuna delle parti coinvolte (circa 180), il processo di terzo grado, l’ultimo capitolo che dovrà stabilire se i mostri sacri della polizia possono tenersi addosso la divisa, non può cominciare. L’istanza pro-Fazio è presentata addirittura da un docente universitario di diritto penale, Leonardo Mazza. Il quale lo deposita a Genova (da qui lo spediranno in Cassazione) il 24 febbraio scorso. La regola vuole che, contestualmente all’ “originale”, si consegnino tutte le copie per le altre parti. In modo che vengano notificate subito e i tempi accelerino. Ma siccome quelle copie non ci sono - il difensore ha dimenticato di allegarle - si blocca tutto. La cancelleria genovese, risulta dallo screening di cui diamo conto oggi, sollecita tre volte Mazza: «In due occasioni telefonicamente, una per iscritto». Ostruzionismo? Banale dimenticanza? Al terzo richiamo le benedette copie compaiono e così la macchina, dopo la battuta d’arresto, riparte. Intanto s’è fatto il 28 aprile, un salto in avanti di altri due mesetti. «Non c’è nulla di anomalo – spiega l’avvocato Destito, che con Mazza ha preparato il carteggio per la Cassazione – solo servivano molti duplicati...».Proprio nulla di strumentale, nel fatto che un pensionato, con mini-condanna prescritta e nessun possibile contraccolpo dalla Cassazione, decida di fare un mastodontico ricorso su quesitoni di puro principio, assoldando addirittura un professore della Sapienza? Gianfranco Pagano è il legale genovese che ha assistito Fazio in Appello: «Parlando con il collega di Roma – dice oggi – si convenne che rivolgersi alla Suprema Corte sarebbe stato tanto inutile quanto faticoso (e costoso). Perciò si decise di evitare. Non sapevo fosse stata adottata infine una scelta diversa, appoggiandosi perdipiù a un terzo legale.
L’ultima défaillance su cui s’appunta l’attenzione dei giudici riguarda 13 notifiche da trasferire all’avvocato Laura Tartarini, assistente di altrettante parti civili. La quale firma l’avvenuta consegna e quelle ricevute devono tornare al palazzo di giustizia di Genova. Il problema è che scompaiono. Dove sono finite? Gli ufficiali giudiziari, lo scriveranno in una comunicazione al tribunale, ammettono che «con ogni probabilità si sono smarrite» durante il (breve) tragitto di ritorno. E allora bisogna ri-procedere, perdendo due mesi.
Perché sono successe queste cose? C’è un filo che lega la catena di ritardi da cui rischia d’essere vanificato forse il più importante giudizio sull’operato della polizia italiana negli ultimi anni? O si tratta solo di coincidenze? Soprattutto: capita sempre così, nei processi un po’ corposi, o l’affare Diaz rappresenta un’anomalia?
Il meccanismo delle notifiche impossibili non è una novità nella storia giudiziaria italiana, ma non può valere il principio del mal comune mezzo gaudio. Perché nel mare magnum dei ritardi biblici sguazzano statisticamente gli esponenti della criminalità organizzata in fuga dai processi, che tra l’altro molti degli accusati per il massacro del G8 hanno contribuito ad arrestare fregiandosi tuttora di quegli allori. E ancora. L’ostruzionismo della polizia di Stato di fronte all’incedere delle accuse è un elemento che ha contraddistinto l’intera storia delle inchieste prima, e delle udienze poi, per il disastro del 2001, almeno quelle sulle responsabilità delle forze dell’ordine.
Iniziarono i giudici di primo grado, che pure non calcarono la mano, a stigmatizzare «l’omertà» di ufficiali e sottufficiali nei momenti chiave della ricerca della verità e delle singole responsabilità. Non furono consegnati gli elenchi degli agenti schierati sul campo la notte del raid. Nemmeno la pattuglia che s’inventò la presunta sassaiola da cui l’operazione avrebbe avuto origine (circostanza poi smentita) fu identificata. Non sono stati individuati i celerini che ridussero in fin di vita il giornalista inglese Mark Covell, vittima d’un tentato omicidio, conseguenza «di condotte violente sadicamente ripetute fino alla perdita dei sensi», a qualche decina di metri dall’istituto. E così non è mai saltato fuori l’autore della quindicesima firma sul verbale con cui venivano sequestrate le famigerate molotov, trovate in un’aiuola dall’altra parte della città e posizionate nel cortile della scuola per incastrare i dimostranti. Quelle bottiglie comparvero al mattino sul tavolo della conferenza stampa in questura, con cui si dava lustro agli arresti che avrebbero dovuto coprire i pestaggi. E le “bombe”, simbolo dell’intera storia, sono sparite dall’armadietto dei corpi di reato a processo in corso, ufficialmente distrutte per errore, forse portate via da due uomini della Digos genovese rimasti senza un nome: «Mi hanno messo in bocca i cavalli» ripeteva in dialetto sardo, intercettato al telefono con il fratello, l’artificiere Marcellino Melis incaricato di custodirle. Come a dire che aveva dovuto mentire per spiegarne la sparizione. Le bottiglie sono diventate l’emblema della nebbia fatta calare ad arte sulle indagini del G8, e la pietra dello scandalo che ha trascinato verso la condanna (anch’essa in attesa della Cassazione) a un anno e mezzo nientemeno che l’ex capo della polizia De Gennaro, lo squalo ora al comando dei servizi segreti con sostegno bipartisan. Secondo i giudici fu lui a ispirare il dietrofront del testimone Francesco Colucci, il questore di Genova nei giorni della guerriglia, chiamato in udienza a confermare che tutto quanto avvenne era legittimato dalle decisioni dei vertici. In aula Colucci ribaltò la propria versione, finendo indagato per falsa testimonianza. E dalle intercettazioni disposte per scoprire dov’erano finite le famose molotov, si scoprì incidentalmente come e perché lo fece, ispirato parecchio dall’alto.
NEUTRALIZZARE LA VERITA’ SULLE PROVE “FABBRICATE”
Gli accertamenti condotti da due pubblici ministeri genovesi scomodi e isolati all’interno del loro ufficio, Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini, e poi i processi avevano in teoria scolpito nell’ultima sentenza i fatti. Si era arrivati alla condanna, insieme ai picchiatori, dell’ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini a 5 anni; dell’attuale capo dell’anticrimine (l’Fbi italiano) Francesco Gratteri, e dell’ex vicedirettore dell’Ucigos (ancora in carica come super-analista della nostra intelligence) Giovanni Luperi, a 4 anni ciascuno; dell’ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola (divenuto nel frattempo questore) e dell’ex vicecapo dello Sco Gilberto Caldarozzi (il superfunzionario che coordina i pool d’indagine sui delitti più misteriosi) entrambi a 3 anni e 8 mesi; e del dirigente Pietro Troiani, promosso mentre l’accusavano di aver materialmente introdotto le molotov nell’istituto, a 3 anni e 9 mesi.
La polizia, avrebbero stabilito i giudici, doveva riscattare il fallimento dell’ordine pubblico durante le manifestazioni di piazza. E allora decise di fare irruzione nella sede del Genoa social forum per portare via tutti, ci fossero o meno i black bloc non importava. Quello che avvenne fu un massacro. Ma è ciò che fu fatto dopo per giustificarlo a lasciare ancora senza parole. La fabbricazione di prove farlocche in primis, mentre il sangue sparso nel dormitorio, secondo le forze dell’ordine, era il frutto di «ferite pregresse» subite durante gli scontri di piazza. La conferenza stampa a poche ore dall’irruzione si rivelò una messinscena imbarazzante: nessuna domanda, la verità preconfezionata era contenuta nel comunicato letto in mondovisione da un funzionario locale, nessun “big” a metterci la faccia. La vera verità sarebbe venuta fuori dopo, nel corso delle indagini. Ed è per neutralizzare questa realtà inconfessabile che le udienze contro la polizia devono essere fermate prima che si scriva il capitolo finale. Ma è davvero legale il sistema delle notifiche impossibili? Quando le garanzie per un giusto processo diventano strumento per pratiche ostruzionistiche votate alla ricerca della prescrizione? E perché, davanti alla riottosità della polizia stessa nel farsi giudicare, lo Stato non ha saputo adottare adeguate contromisure, far sì che i tempi delle notifiche e infine della Cassazione fossero più ragionevoli, mettendoci al riparo da un inaccettabile nulla di fatto? Sulla carta la melina parrebbe lecita. Ma una sentenza della Suprema Corte pronunciata a sezioni unite il 1° giugno scorso (presidente Giuseppe Cosentino) fa chiarezza sugli «obblighi di lealtà e correttezza» imposti agli imputati e ai loro difensori. A maggior ragione, verrebbe da dire, se sono tutori dell’ordine, dello Stato e in definitiva di noi tutti. Si parla del caso d’un rapinatore che chiede la nullità della condanna a due anni e due mesi, perché in appello non potè partecipare, non avvisato, uno dei suoi due avvocati. I magistrati sono lapidari quando parlano del «dovere di collaborazione dei difensori al regolare svolgimento del processo». E non lesinano stoccate: «Una norma processuale non può essere utilizzata, e quindi anche interpretata, per raggiungere finalità diverse da quelle per le quali è stata dettata, con il risultato non solo di tutelare interessi non meritevoli di protezione, ma anche di ledere interessi costituzionalmente protetti».
COSI’ LA CASSAZIONE CONTESTA L’OSTRUZIONISMO
Gli obiettivi fondamentali devono essere insomma lo svolgimento concreto del processo e la verità, non la perdita di tempo. «La lealtà - prosegue la Cassazione - non implica collaborazione con l’autorità giudiziaria per il raggiungimento d’uno scopo comune, ma certamente comporta che anche l’attività della difesa debba convergere verso la finalità d’un procedimento di ragionevole durata». Significa che accusatori e accusati sono contrapposti, e va bene. Ma pure i secondi devono fare in modo che il processo si faccia, non che slitti. Assodata la scarsa collaborazione degli imputati (tutti servitori, o ex, del nostro Paese), perché la Giustizia non è riuscita a contenere la perdita di tempo? Davvero quel ginepraio di notifiche partite da Genova era necessario? La Corte d’Appello del capoluogo ligure (sulle incredibili lungaggini del terzo grado Diaz intervenne, stigmatizzandole, pure il procuratore generale Luciano Di Noto) poteva attivarsi maggiormente e contenere di più lo stillicidio di ritardi? Lo abbiamo chiesto a Mario Torti, che dell’Appello a Genova è il presidente e avrebbe tutto l’interesse affinché il verdetto scritto dai “suoi” giudici sia sottoposto all’ultimo vaglio: «Sapevo di alcuni intoppi - spiega - ho girato alle cancellerie la sollecitazione del procuratore generale. Poi non ho ricevuto altre informazioni. Il terzo grado non è stato ancora fissato? Chiederò cosa sta accadendo....».
L’ITALIA PUNITA DALL’EUROPA PER ABUSO DI PRESCRIZIONE
C’è un ultimo dato, importantissimo, da sottolineare, sebbene sia passato molto sotto silenzio negli ultimi mesi. Mentre fior di poliziotti italiani tergiversano per scampare al giudizio più imbarazzante (la Diaz), l’Europa ha già condannato l’Italia per l’abuso della prescrizione, in particolare nei processi sulle forze dell’ordine. E lo ha fatto con autentiche sentenze, emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ci ha multato per centinaia di migliaia di euro. L’ultimo caso risale alla primavera scorsa, con l’imposizione d’un risarcimento ai familiari di un albanese ucciso nel 1997 da un poliziotto a Milano, “graziato” in Italia dai tempi lunghi e il cui processo non è mai finito. I pronunciamenti europei rappresentano uno dei pilastri sui quali si sono incardinati i ricorsi della Procura sia sui fatti della Diaz che sui pestaggi nella caserma di Bolzaneto. Strasburgo ribadisce che la scadenza dei termini impedisce in molti casi di rendere «giustizia» alle vittime. E rimarca come nel caso di reati compiuti da uomini in divisa, la prescrizione sia un ostacolo gravissimo all’adozione di provvedimenti disciplinari (esattamente quel che sta accadendo per la Diaz). Per questo, proprio per questo, abbiamo già subito delle sanzioni. E allora. La Cassazione dice che gli imputati non devono mestare nel torbido, approfittando dei buchi del sistema per dilatare i tempi, ottenendo così che non s’arrivi mai a una sentenza. L’Europa ha condannato l’Italia a pagare per l’“abuso” della prescrizione. E il codice del nostro Paese prevede che, in uno slancio di trasparenza, gli imputati possano addirittura rinunciare al bonus. Le forze dell’ordine italiane, nel caso Diaz, scappano invece dal processo e dal verdetto, rincorrendo l’agognata prescrizione con i sistemi svelati da questo dossier. E le promesse di «punire i responsabili», sbandierate dieci anni fa e ribadite di recente dal nuovo capo della polizia Antonio Manganelli, suonano semplicemente come una violentissima presa in giro
pc 18 luglio - ennesimo pestaggio di immigrati di sbirri razzisti a roma
Stasera intorno alle 23.40, nel piazzale della Stazione Tiburtina di Roma, un ragazzo rumeno, dopo aver fotografato il pestaggio di un connazionale da parte dei carabinieri, è a sua volta aggredito da questi ultimi. Gli viene trattenuta (e poi riconsegnata) la macchina fotografica. Disperato nella colluttazione, il ragazzo si taglia le vene con un collo di bottiglia. Alcuni cittadini italiani hanno assistito dai balconi di casa alle scene e, urlando, hanno implorato i carabinieri di smettere. I passanti sbalorditi, che chiedevano spiegazione ai CC per l'evidente abuso di potere, sono stati insultati dal cittadino italiano coinvolto nella colluttazione che si è conclusa col primo pestaggio. Costui si è rivolto ai passanti e agli abitanti attoniti con frasi dal chiaro contenuto politico e razzista. "Siete solo zecche ed è per questo che questo paese è nella merda. Andate a fanculo assieme a quella merda di D'Alema! Questi ci invadono e voi state a sindacare sull'operato dei carabinieri".
Il ragazzo con la macchina fotografica con braccia e gambe piene di sangue è stato medicato e portato al policlinico con l'ambulanza, seguita dai carabinieri per ordini superiori.
pc 18 luglio - Fincantieri: sciopero a Palermo, delegati rsu protestano su gru
Roma, 18 lug. - (Adnkronos) - Ancora scioperi e proteste allo stabilimento Fincantieri di Palermo. Alcuni delegati sindacali della rsu, riferisce il segretario nazionale della Uilm Mario Ghini, hanno deciso di salire sulla gru del cantiere della portata di 200 tonnellate in segno di protesta, chiedendo un incontro urgente all'amministratore delegato del gruppo, Giuseppe Bono. ''Oggi il sito della Fincantieri di Palermo e' in sciopero. Gli operai si sono riuniti davanti i cancelli della fabbrica dove e' in corso un'assemblea. E' il quinto giorno lavorativo consecutivo di mobilitazione: la protesta e' cominciata la scorsa settimana dopo che i sindacati hanno appreso che era sfumata la commessa per la riparazione di una nave da crociera, assegnata a un cantiere di Genova''. Il nuovo carico di lavoro, secondo Fim Fiom e Uilm, avrebbe alleggerito la situazione nel cantiere navale, dove al momento sono in cassa integrazione 220 persone, a fronte di un organico di poco piu' di 500 dipendenti. ''La situazione nel gruppo cantieristico -sottolinea Ghini- sta diventando difficile ed i motivi della protesta sono condivisibili. Occorrono investimenti, commesse ed un piano industriale coerente che tuteli i livelli di produzione e l'occupazione. Attendiamo a questo proposito un'iniziativa del governo su nuove commesse pubbliche che da tempo abbiamo sollecitato'' .
(18 luglio 2011 ore 12.48)
pc 18 luglio - sostegno alla guerriglia turca-kurda, onore ai compagni caduti
pc 18 luglio - editoriale - contro la manovra economica del governo antipopolare e approvata con metodo moderno fascista
Il Presidente Napolitano ha attuato una forzatura della Costituzione - lui che si fa a parole, paladino della stessa - ha attuato una sorta di golpe bianco inserendosi in una situazione di crisi profonda del governo Berlusconi dentro una tormenta economica che risucchia l'Italia in forme diverse nell'onda lunga della crisi, che vede come epicentro la Grecia, come scenario l'intera Europa e come terminale finale gli stessi Stati Uniti .
Il governo, ignobile e improponibile, è stato questa volta di fatto commissariato da un asse che ha visto protagonisti Tremonti e la cosiddetta “opposizione parlamentare” Bersani, Casini, Di Pietro ecc. Tutti sono andati ben oltre i limiti della democrazia parlamentare, l'hanno messa fuori causa e hanno realizzato in quattro e quattro otto una manovra pesante di salvataggio - salvataggio per modo di dire dato che essi stessi dicono: “forse sarà necessaria un'altra manovra”.
Le misure prese sono ampiamente descritte da tutta la stampa e varrebbe la pena di analizzarle una per una, ma in questa nota partiamo dalla sintesi: essa costa 1184 euro a famiglia, come scrivono alcuni giornali; in un paese in cui contemporaneamente aumenta l'impoverimento e la povertà assoluta e sempre più famiglie vivono molto al di sotto dei 1000 euro al mese (come, peraltro, la stessa Istat dichiara), di lavori ultraprecari e sottopagati, di cassintegrazione, ecc., in cui aumentano i disoccupati e i licenziati.
Il “miracolo” di cui questo servitore al di sopra delle parti del capitale, Napolitano, parla, è quello di essere riusciti questa volta a fare davvero le cose per bene: pagano solo i proletari e i poveri!
Per i padroni, i ricchi, i benestanti in genere, il costo di un caffè; per i lavoratori, le masse popolari, i poveri un salasso odioso che mette in discussione perfino la possibilità di portare, se non hai i soldi pronti, un bambino al pronto soccorso.
Negli altri paesi (vedi la Grecia) intorno a misure più o meno come queste sono in corso rivolte sociali prolungate. Esiste un'opposizione, anche se non quella proletaria e di classe che ci vorrebbe, esistono dei sindacati che dichiarano ripetuti scioperi.
In Italia abbiamo invece Bersani e la CGIL della Camusso (CISL-UIL_UGL da tempo sono solo agenzie di padroni e governo) prontissimi a raccogliere l'appello di Napolitano e di dimostrare che contano, certo solo quando c'è da salvare l'economia dei padroni, il governo dei padroni, e per PD-DiPietro di essere il vero “partito dei responsabili” di cui il governo Berlusconi ha bisogno, molto di più di quelle grottesche macchiette di delinquenti,arraffasoldi e poltrone che si fregiano di questo nome in parlamento e garantiscono la maggioranza parlamentare a Berlusconi.
In questa occasione, l'asse Napolitano, Bersani, Camusso ha, come si può dire, reso un vero servigio allo Stato borghese e al capitale, ricevendone da essi elogi entusiasti.
Ma forse non è del tutto vero che la democrazia parlamentare è stata messa in mora. I parlamentari hanno lavorato alacremente, con sedute notturne per tenersi fuori da provvedimenti “demagogici” annunciati per tentare di dare una parvenza di giustizia alla manovra, sui cosiddetti “infiniti costi” della politica, parlamenti ridotti a caste, che è sono a fondo del fatto che i parlamentari poi sono per la maggior parte dei delinquenti, dei corrotti, dei furbi, dei servi, come mai si era verificato in queste forme nella storia del nostro paese.
Il governo Berlusconi-Scilipoti ha trovato quindi in questa occasione il Pres. Napolitano-Scilipoti, il segr. Barsani-Scilipoti, che hanno realizzato il”miracolo” di salvare il governo, scaricare la crisi sulle masse popolari, consegnare la gestione del governo reale al potere reale, Confindustria, Min. del Tesoro, dentro il'governo dell'emergenza in atto a direzione tedesca nell'Europa del capitale, che cerca di evitare l'effetto devastante per il capitale della crisi.
C'è, però, qualcosa in più, di diverso del nostro paese rispetto agli altri. Questo governo, questo parlamento nelle stesse ore in cui approva la manovra, e quasi con la stessa rapidità, cerca di evitare che Berlusconi paghi la montagna di soldi trafficata, di evitare l'arresto di un anello chiave della P4, Papa, del braccio affaristico operativo del Ministero del tesoro Milanese e le dimissioni di un ministro della mafia.
Que in luce la natura, dentro dinamiche presenti anche in altri paesi, specifica del governo Berlusconi e del parlamento italiano che già da tempo richiedebbe una sua rimozione istituzionale o una sua cacciata a furor di popolo - modello 'Parma', ad esempio.
Ora più che mai, quindi, è la rivolta proletaria, popolare, politica e sociale l'azione necessaria, conseguente, a tutela delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari, ma anche dei diritti, della democrazia, della stessa Costituzione. Anzi, nel nostro paese la rivolta popolare esigerebbe anche la sua fusione con forme di giustizia sommaria che aderissero alla natura specifica del regime esistente attualmente nel nostro paese.
Le rivolte nel mondo arabo hanno indicato una strada che, in condizioni in parte differenti servirebbe, nel contesto della situazione politica attuale del nostro paese.
Facciamo appello ai proletari e alle masse popolari a scendere in piazza in tutte le forme contro questo governo, questa manovra, contro governo e opposizione unite nello scaricare la crisi sulle masse, contro un sistema che dalla massima autorità fino all'ultimo consigliere comunale, assume i caratteri odiosi di una casta di ricchi ostentati e privilegiati.
Trasformare ogni forma di protesta e ribellione in una rivolta sociale è il lavoro da fare.
proletari comunisti
18 luglio 2011
17.7.11
pc 18 luglio - 18 punti dell'attuale sinistra nepalese
(The Next Front)
Qualche giorno fa il capo dell'ala rivoluzionaria del Partito compagno Mohan Baidhya Kiran ha distribuito un documento in 18 punti tra i quadri.
1. Eclettismo in filosofia,
2. Sul fronte politico, si muove dal centrismo opportunista verso il riformismo di destra e il capitolazionismo nazionale
3. Dahal riconosce che la contraddizione principale del partito è con l'India, i suoi agenti e le forze locali feudali, ma in pratica agisce proprio al contrario,
4. Dahal si concentra sulla cooperazione con le forze locali che favoriscono
l'espansionismo indiano e i suoi agenti in Nepal,
5. A parole Dahal sottolinea la cooperazione con i nazionalisti, comunisti e
repubblicani, ma in pratica ha collaborato con i fautori dell'espansionismo indiano e i loro accoliti,
6. In un momento in cui i nostri territori subiscono continuamente l'invasione fisica e demografica Dahal ha reso la cittadinanza un processo flessibile,
7. Dahal ha sostenuto gli investimenti indiani nei progetti idroelettrici di Alta Karnali e Arun-III.
8. Dahal sta impedendo relazioni fraterne di partito con le forze rivoluzionarie internazionali mentre ha sempre mantenuto i rapporti con i nemici di classe e a maggior danno, con agenti dei servizi segreti indiani,
9. Sulla questione della disciplina finanziaria, [Dahal] è incline alla corruzione. [Dahal] ha la tendenza a fare qualsiasi cosa – sia morale che immorale. - per mantenere il potere, il denaro e il prestigio. [Dahal] ha volutamente lasciato il partito senza un sistema di contabilità e abusato di mezzi finanziari e di risorse in modo individualistico,
10. Dahal ha deviato dagli obiettivi ideologici del partito non lanciando programmi adeguati per contrastare il "nemico principale" – l'India – ed è accusato di estendere i rapporti con i simpatizzanti dell'espansionismo indiano e la sua classe compradora.
11. Nonostante sia stato detto che saremmo andati verso un sistema federale con autonomiaper le etnie, [Dahal] ha posto l'accento su un sistema unitario e centralizzato,Dahal è per la "Repubblica democratica federale" al posto della linea del Partito che è tutt'ora per "Repubblica Popolare federale democratica"
12. Irregolarità finanziarie e uso improprio delle risorse,
13. "Tendenza fascista", intolleranza verso coloro che esprimono dissenso abusando del suo potere per mettere a tacere le loro voci.
14. Tendenza individualistica auto-centrica,
15. Estensione dei rapporti con le agenzie di intelligence indiane,
16. Disarmo dell'EPL e svuotamento degli acquartieramenti in nome della "raggruppamento" senza forgiare una politica nazionale di sicurezza, senza controllo delle frontiere aperte e senza creazione di una forza di sicurezza delle frontiere.
17. La teoria borghese della separazione dei poteri, minimizzando la partecipazione del popolo nel campo giudiziario con il pretesto degli atti giudiziari con il pretesto dell'indipendenza dei guidici, invece di potenziare l'Assemblea del popolo.
18. Accettare di effettuare le nomine dei giudici da parte di una commissione, non dall'Assemblea federale come richiesto dal partito.