La nuova riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, «imprescindibile dopo la riforma delle pensioni», serve a liberare energie positive ma da sola non basterà per la crescita del Paese. Per far tornare l'economia italiana sulla strada dello sviluppo non basta combattere la precarietà e l'esclusione, deve aumentare stabilmente l'occupazione di qualità e la produttività di tutti i fattori, perché sono queste le uniche leve su cui si può contare in un Paese penalizzato da una transizione demografica più intesa rispetto a quella degli altri partner europei.
Ieri Elsa Fornero ha parlato dell'importanza strategica della riforma su cui è impegnata ormai da mesi in termini generali e in un'occasione particolarissima, la sesta edizione della cerimonia per il Premio Marco Biagi, organizzata dal Resto del Carlino a Bologna in coincidenza con il decennale dell'assassinio del giuslavorista autore del Libro Bianco da cui è scaturita la legge 30 del 2003. Chiamando in causa il professore ucciso da un commando Br il 19 marzo 2002, il ministro s'è detta convinta che in questa riforma «non c'è un'assenza di Marco Biagi, anzi c'é continuità in molti aspetti, gli stessi che noi cerchiamo di portare negli accordi coi sindacati». L'auspicio, in queste ultime fasi della trattativa, è che prevalga la concordia: «vogliamo andare ad un accordo che superi le divisioni e le impostazioni un pò ideologiche», ha aggiunto Fornero, sapendo che in questo momento esistono le circostante favorevoli per una riforma di ampia portata. Se ne riparlerà oggi a Milano, nel corso di un incontro informale con tutte le rappresentanze delle parti sociali.
Ieri il ministro ha anche messo in guardia sul carico eccessivo di aspettative che si sono cumulate nelle ultime settimane: «quasi che la riforma fosse la soluzione taumaturgica di ogni male, la medicina risolutiva». I nostri «mali italiani sono profondi – ha poi aggiunto – e hanno bisogno di medicine diverse e a diverso grado di contrasto della malattia». Tra i diversi capitoli della riforma Fornero ha scelto la nuova Assicurazione sociale per l'impiego (Aspi), l'ammortizzatore universale contro il rischio disoccupazione, per descrivere come grazie a strumenti come questo si possa uscire da uno schema di regole «che oggi non tutela i lavoratore ma spesso, come nel caso della mobilità, lo tiene legato a un'impresa in crisi che non ha più futuro».
Poi, rivolgendosi al presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani, che è anche il numero uno della Conferenza delle Regioni, il ministro ha chiesto il massimo sforzo per l'adeguamento di tutta la struttura delle politiche attive per il lavoro e anche delle nuove regole dell'apprendistato, sui cui è in corso la definizione delle offerte formative previste dal nuovo Testo unico approvato con il decreto legislativo dell'anno scorso.
Le Regioni sono impegnate in questo sforzo per un riformismo non generico «ma coraggioso e responsabile», ha risposto Errani aggiungendo che «il cambiamento in questo Paese riguarda tutti, e nessuno può dire di averlo già fatto. Lei sa - ha chiarito rivolgendosi alla Fornero - di poter contare su questo sforzo». Ec rispetto all'appello alla concordia lanciato precedentemente dal ministro del Lavoro, Errani ha ribadito: «È arrivato davvero il momento della concordia, di uscire tutti insieme dal '900 ed entrare nel nuovo secolo».
Licenziamenti: le regole attuali e le modifiche
DISCRIMINAZIONI
COME È OGGI
Tutele alle idee dentro e fuori l'ambiente di lavoro
Secondo lo Statuto dei lavoratori è nullo qualsiasi atto o patto diretto a «licenziare un lavoratore a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero», nonché sono nulli i licenziamenti attuati «a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua e di sesso». Il lavoratore può scegliere l'indennizzo o il reintegro
COSA CAMBIERÀ
Anche dopo la riforma non ci saranno modifiche
Durante le trattative tra governo, imprenditori e sindacati, questo punto non è stato messo in discussione. «La reintegra serve per i licenziamenti discriminatori, in tutti gli altri casi ci vuole un indennizzo», ha detto la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. I licenziamenti discriminatori non saranno consentiti e sarà sempre previsto il reintegro in azienda
MOTIVI DISCIPLINARI
COME È OGGI
Se non ci sono violazioni gravi scatta l'obbligo di reintegro
Nel caso in cui il dipendente abbia commesso abusi e delle inadempienze particolarmente gravi o dei reati, il datore di lavoro lo può licenziare «con giusta causa». I fatti, tuttavia, vanno individuati in modo preciso e l'addebito va contestato il prima possibile. Se il giudice accerta l'illegittimità del provvedimento, attualmente scatta il reintegro
COSA CAMBIERÀ
Al giudice la scelta tra reintegro ed equo indennizzo
Nel caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo soggettivo, legato cioè a motivi disciplinari, si lascia al giudice la scelta tra il reintegro o l'equo indennizzo. Questo cambiamento è però contestato dalla Cgil, che vorrebbe mantenere l'obbligo di reintegro. Mentre Confindustria spinge per limitare quest'ultimo solo ai casi eccezionalmente gravi
CRISI AZIENDALI
COME È OGGI
Riassunzione se la ragione economica non è fondata
Se si verificano, per esempio, la chiusura di una attività produttiva o l'introduzione di nuovi macchinari che necessitano di minori interventi umani, il datore di lavoro può chiedere il licenziamento del dipendente interessato. Se tuttavia il lavoratore ricorre al giudice e questo verifica che la ragione del licenziamento non c'è, si precede al reintegro
COSA CAMBIERÀ
Solo un indennizzo economico se la misura è illegittima
Quando il giudice accerta che un licenziamento di un dipendente è avvenuto da parte del datore di lavoro senza giustificato motivo oggettivo – cioè senza i cosiddetti motivi economici, legati a ragioni organizzative o produttive dell'azienda – è previsto solo un indennizzo economico. Su questo aspetto la Cgil ha mostrato meno resistenze
Ecco come cambierà l'articolo 18
Davide Colombo
Confronto fino all'ultimo minuto, mediazione laddove possibile. Ma nessun passo indietro sull'impianto d'insieme della riforma. Il Governo intende difendere in sede di trattativa finale tutti i punti di «equilibrio più avanzato» che sono stati raggiunti sia sulla flessibilità in ingresso sia sul ridisegno delle regole per il licenziamento sia sul nuovo sistema degli ammortizzatori sociali.
Per l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori lo schema d'intervento viene giudicato adeguato e ragionevole, inimmaginabile solo un mese fa. Secondo i tecnici più vicini al ministro Fornero e al presidente del Consiglio, Mario Monti, il tabù è rotto. E la soluzione trovata, così vicina al modello tedesco, verrà difesa nonostante le forti perplessità di parte del sindacato. Nessun cambiamento delle tutele contro i licenziamenti nulli o discriminatori, affidamento al giudice della scelta tra reintegro e indennizzo nel caso dei licenziamenti disciplinari (senza giusta causa e giustificato motivo soggettivo) e ipotesi di indennizzo con un tetto, tra i 20 e 24 mensilità, nei casi di licenziamenti per motivi economici. A questo schema verrà affiancato l'impegno concreto a intervenire per rendere più brevi (e certi) i tempi di una causa da lavoro.
Fermezza anche sulla scelta di rendere più onerosi i contratti a tempo determinato, con l'aliquota aggiuntiva dell'1,4% per finanziare l'Assicurazione sociale per l'impiego (Aspi), anche se su questo punto è aperta una riflessione sulle imprese minori, per le quali i maggiori oneri contributivi potrebbero trovare una forma di compensazione. La «flessibilità cattiva», come è stata iconizzata fin dall'inizio di questa lunga concertazione, dev'essere combattuta sia facendo pagare un po' di più questi contratti a termine (fatti salvi i casi dei contratti stagionali) sia con i maggiori controlli introdotti con i nuovi obblighi di comunicazione amministrativa in caso di rinnovo o cambiamento delle clausole del contratto e con i nuovi vincoli sui rinnovi. E fermezza anche sulle false partite Iva, dietro le quali si nasconde il precariato più disagiato. Nel caso il rapporto di lavoro con lo stesso committente abbia una durata superiore a sei mesi l'anno e se il lavoratore ottiene il 75% dei propri corrispettivi da questo rapporto e se, ancora, la posizione di lavoro è presso lo stesso committente, allora scatterà (salvo prova contraria) la presunta subordinazione e la sanzione.
L'apprendistato deve essere il contratto d'ingresso tipico per i giovani, e agli apprendisti ora viene estesa la protezione dell'Aspi in caso di perdita del lavoro. Ma le aziende potranno assumere più apprendisti solo quando dimostreranno che ne hanno «stabilizzati» un certo numero nel passato recente; perché non si deve più abusare di un contratto i cui sgravi contributivi valgono da soli quasi il 40% della spesa totale per le politiche attive per il lavoro.
Il ragionamento sui contratti d'ingresso che si ripete nelle stanze del Governo non cambia: in Europa ci chiedono quanti contratti non standard sono stati cancellati e la risposta è nessuno perché tutti hanno una loro ragion d'essere. Per questo bisogna vigilare perché non se ne faccia più un uso scorretto.
Infine i nuovi ammortizzatori sociali. In attesa dell'indicazione delle risorse (e delle loro fonti di finanziamento strutturale) che il Governo è pronto a mettere in campo, si conferma la forza del nuovo sussidio «universale» disegnato per assicurare la tutela dal rischio disoccupazione del maggior numero possibile di lavoratori.
Il giorno dopo il vertice politico a Palazzo Chigi con i segretari di Pdl, Pd e Udc, ai quali non sono stati solo illustrati i contenuti della riforma ma se ne è discusso il merito, il ministro Elsa Fornero rispetta la consegna del silenzio sui contenuti di tutti i dossier. Silenzio anche davanti al comunicato unitario di tutte le organizzazioni produttive che premono per ottenere modifiche. Sul merito dei vari capitoli della riforma si tornerà a discutere oggi a Milano, dove il ministro e il presidente del Consiglio parteciperanno alla seconda giornata del Convegno «cambia Italia», organizzato da Confindustria. All'assise ci sono i rappresentanti di tutte le parti sociali che partecipano al tavolo negoziale. Un'occasione per un nuovo scambio di vedute informale prima della convocazione di martedì prossimo a Palazzo Chigi. Sarà questa la sede in cui «si tireranno le somme del lavoro fatto» per capire se sarà possibile l'accordo cui punta in Governo. Il giorno dopo seguirà il direttivo convocato dalla Cgil.
17 marzo 2012 sole24ore