Oggi a Roma il governo incontra ArcelorMittal sull'immunità penale. Salvini vuole mantenerla ed estenderla, Di Maio anche questa volta dirà: volevo ma non posso...?
Riportiamo pezzi della lunga Ordinanza del Gip Ruberto del Tribunale di Taranto che dimostra l'assoluta incostituzionalità dell'immunità penale.
Nello stesso tempo smonta la giustificazione degli attuali padroni indiani di non poter essere loro "responsabili" per situazioni avvenuti prima della loro acquisizione dell'Ilva.
Abbiamo segnalato in neretto i passaggi principali dell'Ordinanza-su cui la Corte Costituzionale si pronuncerà (troppo tardi...) ad ottobre.
Ma c'è da aggiungere che proprio in queste ore Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, in televisione riferendosi all'ArcelorMittal, ha dichiarato:
"Il governo non può chiedere ai nuovi arrivati responsabilità che sono stati del passato".
Mentre gli operai oggi fanno sciopero contro l'arroganza e i ricatti di ArcelorMittal, questi padroni trovano una grossa sponda proprio in Landini.
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Le
norme in questione presentano evidenti profili di criticità e di
incompatibilità con i valori costituzionali, ritenendosi
pertanto doveroso sollevare la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 2 co.5 e co.6 d.l. 1/2015.
Con
il decreto legge 5 gennaio 2015, n.l, convertito con modifiche dalla
L. 4 marzo 2015 n. 20,
1'ILVA
viene fatta rientrare nell'amministrazione straordinaria delle grandi
imprese in crisi; viene
previsto
(articolo 1 comma 4) che il commissario straordinario individui
"l'affittuario o l'acquirente,
a trattativa privata, tra i soggetti che garantiscono, a seconda dei
casi, la continuità nel
medio periodo del relativo servizio pubblico essenziale ovvero la
continuità produttiva dello stabilimento
industriale di interesse strategico nazionale anche con riferimento
alla garanzia di adeguati
livelli occupazionali"... Al comma 5 dell'att. 2 viene dettata
la seguente disposizione "Il piano di cui al D.P.C.M. 14 marzo
2014 si intende attuato se entro il 31 luglio 2015 sia stato
realizzato, almeno nella misura dell'80 per cento, il numero di
prescrizioni in scadenza a quella data.
Senonché
il decreto legge 9 giugno 2016 n. 98, convertito con modifiche dalla
L. l agosto 2016 n. 151
ha ulteriormente modificato il citato articolo 2 comma 5 del d.l.
L/2015, prorogando il termine ultimo di messa a norma degli impianti
che ad oggi è fissata al 23 agosto 2023, nonostante lo stesso
legislatore l'abbia ritenuta fonte di "pericoli gravi e
rilevanti per l'integrità dell'ambiente e della salute" (art. l
co. l d.l. 61/2013).
(Così)
l'attività produttiva, quand'anche cagioni fenomeni di inquinamento
e sforamenti dei livelli
di emissione nonché contaminazioni dell'aria, della falda e del
territorio circostante lo stabilimento,
ponendo potenzialmente in pericolo la vita dei lavoratori e degli
abitanti, la loro salute e
l'ambiente, deve ritenersi autorizzata fino all'agosto 2023; ciò
comporta, inevitabilmente, che condotte che potrebbero acquisire
rilievo penale, non lo sono perché sono state autorizzate per questo lunghissimo arco di tempo.
Le
condotte su cui si sta indagando o che potrebbero essere oggetto di
potenziali nuove indagini
non sono esclusivamente quelle poste in essere nel biennio 2014-2015,
ma riguardano anche il 2016 e, astrattamente, anche gli anni
successivi, ove si consideri che si tratta di condotte riguardanti reati permanenti, la cui consumazione è strettamente connessa al
ciclo produttivo dello stabilimento, di fatto mai interrotto...
I1
secondo aspetto da prendere in considerazione è quello, strettamente
correlato alla prosecuzione
dell'attività
produttiva, riguardante la esenzione da responsabilità penale dei
gestori dello stabilimento
(e dei soggetti da essi delegati).
Con
l'art. 2 comma 6 del decreto legge 5 gennaio 2015 n. 1, vige una
vera e propria presunzione iuris et de iure di conformità e di
legalità circa le azioni (ed omissioni) del Commissario p.t. e
degli altri soggetti menzionati nel testo della norma impegnati,
trattandosi di condotte che, secondo l'insindacabile giudizio ex ante
dell'Esecutivo costituirebbero l'adempimento delle"migliori
regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e
dell'incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro"; il
rischio ambientale e tecnologico legato a tali attività viene
inquadrato in via presuntiva nel cosiddetto rischio consentito; le
condotte dei soggetti che si muovono per l'attuazione del piano delle
misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria approvato,
sono sostanzialmente sottratte al sindacato del giudice penale; a
riguardo si è, non a torto, parlato di una vera e propria
"immunità penale" concessa ai predetti soggetti.
Gli
eventi dannosi che, comunque, l'attuazione del Piano potrebbe
determinare vengono considerati ex
lege un male necessario. Una vera e propria
deresponsabilizzazione degli autori di eventuali, tra gli altri,
disastri ambientali o delle situazioni di pericolo per la salute dei
lavoratori dell'impresa.
Si
è voluto stabilire una presunzione di liceità delle condotte
poste in essere in attuazione del "Piano ambientale".
Con
la sentenza n. 58 del 2018, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale dell'art. 3 d.l. 92/2015, nonché degli artt. l comma
2 e 21-octies L. 132/2015, che consentivano all'impresa di continuare
a servirsi di impianti sottoposti a sequestro anche quando lo stesso
si riferiva ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei
lavoratori.
Il
legislatore aveva concesso un termine (36 mesi) per consentire
all'impresa di adeguare la propria attività all'AIA riesaminata,
senza stabilire "alcuna immunità penale" poiché la norma
"rinvia esplicitamente sia alle sanzioni penali previste
dall'ordinamento per i reati ambientali, sia all'obbligo di
trasmettere, da parte delle autorità addette alla vigilanza ed ai
controlli, le eventuali notizie di reato all'autorità competente";
l'attività poteva continuare a condizione che l'autorità
amministrativa e giudiziaria potessero controllare l'osservanza delle
prescrizioni "con tutte le conseguenze giuridiche previste in
generale dalle leggi vigenti per i comportamenti illecitamente lesivi
della salute e dell'ambiente ".
il
Giudice costituzionale avesse tracciato dei precisi paletti... la
prosecuzione dell'attività dello stabilimento ILVA a certe
condizioni, in uno "scenario temporale massimo (36 mesi)" e
con lo scopo di rimuovere le cause dell'inquinamento ambientale e dei
rischi per la salute dei lavoratori e della popolazione.
Questi
paletti, sostanziali e temporali, vengono, ad avviso dell'odierno
giudicante, disinvoltamente oltrepassati, in prima battuta con la
dilatazione dell'attività autorizzata ben oltre il limite di 36
mesi; conseguentemente, da un lato l'attività produttiva
inquinante (pericolosa e nociva per la salute e l'ambiente) è
proseguita indisturbata, dall'altro non è mai spirato il termine per
la deresponsabilizzazione delle condotte realizzate nella
conduzione dello stabilimento. Come si è già sottolineato, per i
nuovi acquirenti ed i soggetti da essi delegati il termine di
operatività dell'esimente è stato differito ai diciotto mesi
successivi all'entrata in vigore del DPCM del 29 settembre 2017,
secondo l'avvocatura di Stato coincide addirittura con la scadenza dell'autorizzazione integrata ambientale (23.08.2023), ma nulla
impedisce al legislatore una ulteriore proroga di queste scadenze.
Ciò
significa che per undici anni dal sequestro dello stabilimento - 25
luglio 2012 - quell'impresa (che lo si ripete, è stata già ritenuta
pericolosissima per la salute della popolazione, dei lavoratori e dell'ambiente circostante) è stata messa nelle condizioni di
continuare a produrre, con la garanzia, per i suoi gestori (e
soggetti da essi delegati), di non dover essere chiamati a rispondere
dei reati eventualmente commessi in violazione delle norme, di
diritto comune, poste a presidio della salute, dell'incolumità
pubblica e della sicurezza sul lavoro!
E
questo sebbene anche la Commissione
Europea abbia ritenuto, invece, che in riferimento alla attività
produttiva di quello stabilimento "L'operatore rimane
l'unico responsabile di eventuali danni causati a terzi o
all'ambiente”
Viene
da chiedersi se, attualmente, sia proprio l'interesse economico ad
essere divenuto "tiranno" rispetto al diritto alla salute,
che pure il legislatore Costituente aveva definito "fondamentale
diritto dell'individuo e interesse della collettività" . E che
il legislatore abbia finito con il privilegiare in modo eccessivo
l'interesse alla prosecuzione dell'attività produttiva, trascurando
del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili quali la
salute e la vita stessa, nonché il diritto al lavoro in ambiente
sicuro e non pericoloso.
Le
norme oggi impugnate presentano, allora, evidenti profili di
contrasto innanzitutto con l'art. 3
della
Costituzione, ossia con il principio di uguaglianza, dal momento che
identici fatti-reato se commessi da alcune imprese, possono
determinare il blocco dell'attività produttiva e la responsabilità
dei loro massimi dirigenti o proprietari, se commessi, invece, dai
soggetti preposti allo stabilimento ILVA di Taranto non comportano
analogo effetto, determinandosi in questo modo, una
inammissibile disparità di trattamento.
Nel
caso di specie la impugnata disciplina contrasterebbe con il
principio di eguaglianza, in quanto sottrae ai criteri di ordinaria
perseguibilità di un reato commesso nella gestione di uno
stabilimento industriale, per un prolungato lasso di tempo,
esclusivamente i proprietari e i commissari dello stabilimento ILVA
di Taranto (ovvero i loro delegati), mentre lascia assoggettabili a
sanzioni penali tutti i dirigenti e/o proprietari di altre imprese
che, nelle stesse condizioni, esercitino un'attività economica
potenzialmente pericolosa per la salute pubblica (ma analogamente
importante per l'economia e/o i livelli occupazionali di un
territorio).
Se,
infatti, è sufficiente il rispetto delle prescrizioni del Piano
ambientale per considerare lecita l'attività
produttiva e "irresponsabili" i proprietari/gestori dello
stabilimento, in tal modo autorizzati a
porre in essere condotte che potenzialmente pericoloso per l'ambiente
e la salute e che altrove sarebbero
perseguite anche penalmente, in forza delle norme di "diritto
comune".
Quelle
norme appaiono un ingiustificato privilegio concesso esclusivamente
ad una sola realtà produttiva, nell'adeguamento agli standard di
sicurezza per la salute dei lavoratori e dei cittadini, rispetto alla
generalità delle altre imprese.
Solamente
lo stabilimento ILVA di Taranto può proseguire così a lungo
l'attività produttiva pur in presenza di impianti palesemente
inquinanti e soltanto i suoi proprietari e/o dirigenti possono godere di quella scriminante speciale.
La
Corte Costituzionale nella sentenza n. 80 del 1969, nel delineare i
profili di legittimità delle "leggi
singolari" ha rilevato che esse devono corrispondere a una
obiettiva diversità della situazione considerata,
rispetto a realtà omogenee, la quale giustifichi razionalmente la
disciplina differenziata
Ove
queste condizioni non esistano si determineranno ingiustificate
condizioni di vantaggio o di svantaggio per i soggetti della
situazione e del rapporto regolato dalla legge, in relazione ai
soggetti della serie delle situazioni o dei rapporti che ne sono
stati esclusi". Nel caso di specie, si è provveduto in
merito a una situazione singola, che risulta non obiettivamente
diversa da altre situazioni, con conseguente violazione dell'art. 3
della Costituzione.
Appare
altresì violato l'art. 41 della Costituzione, che impone
all'attività di impresa di non recare danno alla sicurezza, alla
libertà ed alla dignità umana. Non poter perseguire, per un lasso
di tempo potenzialmente indefinito, i soggetti che espongono a
pericolo la salute, l'incolumità e la vita dei lavoratori e della
popolazione che vive in prossimità dello stabilimento confligge
apertamente con il dettato costituzionale, non potendo l'attività
produttiva essere esente da controlli giurisdizionali e dovendo
essere attenta alle esigenze basilari della persona.
Di
fronte dunque ad un rischio produttivo e tecnologico e a disastri
che, per legge, non possono essere
sanzionati penalmente, il diritto alla salute, all'ambiente salubre,
ad un lavoro sicuro vengono seriamente
compromessi, per tutelare una realtà economica.
Da
ultimo, le norme censurate si pongono in evidente contrasto con
l'art. 117 della Costituzione perché violano gli obblighi
internazionali assunti dall'Italia, con l'adesione alla Convenzione
europea sui diritti umani e, segnatamente, quelli derivanti dagli
artt. 2 ("il diritto alla vita
di ogni persona è protetto dalla legge"), 8 ("ogni persona
ha diritto al rispetto della propria vita
privata e familiare, nel proprio domicilio':) e 13 ("ogni
persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti
nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un
ricorso effettivo davanti a un'istanza
nazionale")...