In una recente lettera circolare n. 5113 del 7 aprile il Ministero del Lavoro dispone che i controlli dell’Ispettorato del Lavoro devono limitarsi solo alla verifica del lavoro totalmente a nero, lasciando perdere tutti gli altri aspetti di irregolarità.
Azzerando completamente una precedente direttiva del marzo scorso che diceva che i controlli dovevano essere fatti “…anche al piano della corretta qualificazione dei rapporti di lavoro (autonomo-subordinato), all’elusione contributiva, al rispetto delle regole in materia di orari di lavoro, all’inserimento lavorativo dei lavoratori disabili, alla disciplina sulle pari opportunità, agli appalti, alla somministrazione di manodopera, ai distacchi, oltre alla materia della sicurezza nei luoghi di lavoro… “, con questa circolare, ora “…il ministero spiega che gli accessi ispettivi dovranno essere concentrati «esclusivamente» alla fattispecie del lavoro nero, senza allargare ulteriormente il campo di indagine ad altre problematiche ispettive, relative alla situazione complessiva dell’azienda controllata… Anche se questa situazione di irregolarità si manifesta nel mancato versamento di contributi da parte del datore di lavoro e nella perdita da parte del lavoratore dei diritti relativi all’instaurazione di un regolare contratto di lavoro” (da Il Sole 24ore del 22/4).
In concreto cosa vuol dire e che comporta?
Le aziende possono tenere lavoratori assunti con contratto a progetto, occasionali, lì dove sono a tutti gli effetti lavoratori subordinati; possono tenere lavoratori che risultano oggi regolarizzati benché abbiano lavorato per mesi, anni a nero; possono tenere lavoratori a part time benché lavorino a tempo pieno; possono far fare straordinari senza neanche registrarli e pagarli; possono non versare i contributi per i lavoratori; possono non garantire i salari previsti dai CCNL, possono non pagare 13°, 14°, assegni familiari; possono impedire che i lavoratori usufruiscano di ferie, riposi; possono dare ‘buste paga’ irregolari; possono fare discriminazioni verso le lavoratrici; possono violare la normativa sugli appalti; ecc. ecc.
e non succederà loro nulla di nulla; non verranno sanzionate.
I diritti essenziali dei lavoratori diventano “secondari” (“Quanto alle altre questioni che riguardano «la situazione complessiva dell’azienda verificata», vanno in secondo piano…”) (idem); il Ministero viola apertamente le leggi e si fa portavoce dei padroni che dicono che dovrebbero essere “ringraziati” per il solo fatto che non hanno lavoratori a nero, tutto il resto è optional, è un di più…
Questa direttiva è di fatto l’applicazione in tema di controlli della “liberalizzazione”, cioè del via libera alla violazione dei diritti sanciti dalle leggi, portata avanti dal piano Marchionne. Essa vuole esplicitamente tutelare le grandi aziende, dove il fenomeno del lavoro completamente sommerso non c’è solo perché il lavoro “sporco” viene scaricato sull’appalto e il subappalto; mentre ci sono tutte le altre violazioni, in primis quelle alle norme di sicurezza, sugli orari, riposi, ecc.
Ma la cosa più grave riguarda gli effetti di questa direttiva sulla sicurezza del lavoro. Gli ispettori anche nei cantieri edili dovranno chiudere un po’ gli occhi di fronte a violazioni delle norme di sicurezza che troppo spesso provocano la morte dei lavoratori e in particolare negli ultimi tempi dei lavoratori immigrati.
Sarà un caso, ma la direttiva del Ministero del lavoro sembra indirettamente una risposta anticipata, alla sentenza sulla Thyssen. A fronte di una sentenza che dice che i padroni sono colpevoli di omicidio doloso per la mancanza dei sistemi di sicurezza; il governo dice che non solo i padroni non sono colpevoli, ma non vanno neanche controllati e sanzionati! Oggi con questa direttiva se venisse fatto un controllo in un’azienda tipo Thyssen, dove i problemi non sono certo i lavoratori in nero ma ben altri, l’azienda ne uscirebbe “pulita”, regolare!
Il ministro Sacconi presenta questa direttiva come utile a “concentrare quanto più possibile gli interventi su quelle aziende maggiormente a rischio di fenomeni di lavoro sommerso, diminuendo, conseguentemente, gli interventi non produttivi di risultati sotto il profilo dell’efficacia dell’azione ispettiva” (idem); ma la realtà è una aperta indicazione a lasciare in pace le aziende, tanto che subito dopo la circolare aggiunge che in questo modo si evitano “… visite inutili e controlli sovrapposti, che gravano sulle spalle degli imprenditori” (Idem).
Queste affermazioni, tradotte in lettera-circolare agli enti di controllo, fanno, d’altra parte, il paio con le recenti affermazioni di Tremonti secondo cui i controlli fiscali dovrebbero essere limitati perché vi sarebbe un’eccessiva oppressione fiscale nei confronti delle imprese – vale a dire proprio lì dove si concentrano già i più significativi sgravi fiscali e/o dove c’è in varie forme l’evasione fiscale più pesante.
La Marcegaglia subito plaude: “…in Italia ci sono troppi enti, più di dieci, da Equitalia alle Asl, fanno controlli sovrapposti, rendono difficile la vita delle imprese” (idem). E chiede in questo senso al governo l’approvazione subito del decreto sulle “semplificazioni”, che tradotto vuol dire “basta controlli”.
Ma, per fortuna, a fronte di ispettori che già prima di questa direttiva chiudevano uno o tutte e due gli occhi, come, per tornare al tragico esempio della Thyssen, gli ispettori della Asl, ve ne sono altri che "boicottano" di fatto la linea del Ministro Sacconi, continuando a controllare ogni violazione ai diritti di legge e contrattuali dei lavoratori.
Ma questi ispettori devono essere molti, ma molti di più e devono anche dare battaglia aperta al governo Berlusconi, primo violatore delle leggi, e della Costituzione.
SLAI COBAS per il sindacato di classe
ISPETTORATO DEL LAVORO - TARANTO
venerdì 22 aprile 2011
pc 21-22 aprile - Si estende l'aggressione alla Libia... gli USA passano all'uso dei droni, Italia e Francia avviano l'intervento da terra
A fronte della resistenza dell'esercito libico davanti alla aggressione imperialista l'imperialismo alza il tiro del suo intervento. Gli usa annunciano nuovi criminali bombardamenti con i droni, Italia e Francia avviano un intervento da terra con istruttori per i gruppi filoimperialismo occidentale della ribellione al regime reazionario di Gheddafi.
Va quindi intensificata e proseguita la mobilitazione antimperialista contro la guerra e l'intervento imperialista USA-Francia-GB con il coinvolgimento sempre più esteso dell'imperialismo italiano, con il governo che agisce in questo caso sotto una egida obiettivamente bipartizan.
La manifestazione nazionale di Napoli è stato un primo passo e un primo segnale positivo di questa mobilitazione; ora è sul piano locale e utilizzando anche le scadenze del 25 aprile, 1 maggio, sciopero generale del 6 maggio, che va proseguita ed estesa la mobilitazione.
Ma naturalmente bisogna preparare le condizioni per un salto di qualità e quantità della mobilitazione nazionale - e soprattutto se si andrà all'intervento di terra, le basi militari del sud restano la prima trincea di questa lotta.
Via le truppe imperialiste dalla Libia-stop all'intervento imperialista e neocoloniale dell'Italia.
Si ad un fronte nazionale antimperialista in libia per respingere l'aggressione e andare avanti lungo una rivolta popolare che metta anche fine al regime di Gheddafi, per una rivoluzione di nuova democrazia.
Proletari comunisti
22 aprile 2011
Va quindi intensificata e proseguita la mobilitazione antimperialista contro la guerra e l'intervento imperialista USA-Francia-GB con il coinvolgimento sempre più esteso dell'imperialismo italiano, con il governo che agisce in questo caso sotto una egida obiettivamente bipartizan.
La manifestazione nazionale di Napoli è stato un primo passo e un primo segnale positivo di questa mobilitazione; ora è sul piano locale e utilizzando anche le scadenze del 25 aprile, 1 maggio, sciopero generale del 6 maggio, che va proseguita ed estesa la mobilitazione.
Ma naturalmente bisogna preparare le condizioni per un salto di qualità e quantità della mobilitazione nazionale - e soprattutto se si andrà all'intervento di terra, le basi militari del sud restano la prima trincea di questa lotta.
Via le truppe imperialiste dalla Libia-stop all'intervento imperialista e neocoloniale dell'Italia.
Si ad un fronte nazionale antimperialista in libia per respingere l'aggressione e andare avanti lungo una rivolta popolare che metta anche fine al regime di Gheddafi, per una rivoluzione di nuova democrazia.
Proletari comunisti
22 aprile 2011
pc 21-22 aprile - orribile uccisione di una donna a Ascoli.. partire dalla svastica
Siamo tutti sgomenti di fronte all'ennesima uccisione di una donna ad Ascoli.
Un delitto orribile condito da sevizie. Ma quello che ci sembra importante e in qualche misura differente in questa ennesima uccisione, è il fatto che sia stata impressa una svastica sul corpo della donna.
Stampa e organi inquirenti hanno naturalmente notato e informato sul fatto ma nel complesso non viene dato a questo simbolo nazista il rilievo che merita.
Si tratta comunque un delitto di stampo neonazista e l'accanimento nelle sevizie
appartiene al DNA di questa ideologia e dei suoi esponenti.
Occorre insistere e premere affinchè in questa direzione vengano fatte le dovute indagini.
Un delitto orribile condito da sevizie. Ma quello che ci sembra importante e in qualche misura differente in questa ennesima uccisione, è il fatto che sia stata impressa una svastica sul corpo della donna.
Stampa e organi inquirenti hanno naturalmente notato e informato sul fatto ma nel complesso non viene dato a questo simbolo nazista il rilievo che merita.
Si tratta comunque un delitto di stampo neonazista e l'accanimento nelle sevizie
appartiene al DNA di questa ideologia e dei suoi esponenti.
Occorre insistere e premere affinchè in questa direzione vengano fatte le dovute indagini.
pc 21-22 aprile - sbirri assassini..richiesti solo 12 anni
*Picchiarono a morte un clochard, chiesti 12 anni per i due agenti
Polfer
Il pm ha derubricato il reato da omicidio volontario a
preterintenzionale. Non convince la ricostruzione. I fatti in stazione
centrale il 6 settembre 2008*
MILANO - Non omicidio volontario, ma preterintenzionale. Insomma, quando
l'hanno picchiato non volevano ucciderlo, ma soltanto «dargli una
lezione». Quindi, 12 anni di reclusione. Questa, a sorpresa, la
richiesta del pm di Milano Isidoro Palma al termine della sua
requisitoria al processo ai due agenti della Polfer accusati di aver
pestato a morte un clochard il 6 settembre del 2008. Secondo l'accusa, i
due poliziotti avrebbero picchiato con violenza, fino a ucciderlo, il
senzatetto Giuseppe Turrisi di 58 anni, all'interno degli uffici della
Polfer alla Stazione Centrale di Milano. Stando alle indagini i due
agenti, per alcuni diverbi avuti in precedenza con l'uomo, quella sera
avrebbero portato il senzatetto negli uffici e lo avrebbero pestato
provocandogli la rottura della milza. Poi l'uomo, a seguito di un
versamento di sangue nell'addome, è morto.
REATO DERUBRICATO - I due giovani poliziotti, Domenico Romitaggio, e
Emiliano D'Aguanno, erano stati arrestati il primo aprile 2009, con
l'accusa di omicidio volontario, un'accusa che è rimasta a carico dei
due giovani per tutto il dibattimento, ma oggi il pm, concludendo la
requisitoria, ha derubricato il reato in omicidio preterintenzionale. Lo
stesso avevano fatto, due anni fa, _i giudici del Tribunale della
Libertà_
,
affermando che il quadro indiziario non consente di sostenere che ci sia
stata un'effettiva previsione, da parte degli indagati, della morte come
possibile conseguenza dei colpi sferrati. I due avevano così ottenuto
gli arresti domiciliari.
LA RICOSTRUZIONE - I due agenti si sono sempre difesi sostenendo di non
aver mai aggredito il senzatetto. Hanno detto di averlo accompagnato
perché ubriaco al commissariato, dopo aver ricevuto una segnalazione da
parte di alcuni viaggiatori su una discussione animata vicino a piazza
IV Novembre. Poi hanno ammesso solo una breve colluttazione con il
58enne, perché avrebbe estratto un taglierino che poi è stato
effettivamente sequestrato, ma che alla procura non risulta aver
impugnato in quella occasione. Oggi il pm ha definito la versione degli
imputati un'«alterazione della verità». Falsi sarebbero i rapporti stesi
sull'intervento, sull'orario e sul coltello di Turrisi. L'accusa ha
sottolineato che i filmati della telecamera comunale puntata sulla
piazza quella sera mostrano un gruppo di persone accanto a delle
bottiglie. Tra loro lo stesso Turrisi, noto per trascorrere le sue
giornate alla stazione Centrale e le notti al dormitorio di viale
Ortles. Sempre i filmati mostrano i due poliziotti avvicinarsi e
indicare le bottiglie durante una discussione. Quindi uno dei due fa un
cenno al senzatetto che si allontana con gli agenti. Tre minuti dopo il
terzetto riappare nei filmati di un'altra telecamera puntata
sull'ingresso del commissariato, mentre entra nell'edificio. La stessa
telecamera 35 minuti dopo mostra Turrisi uscire dalla stessa porta su
una barella. Nella notazione di servizio gli agenti hanno poi scritto di
aver chiamato il 118 perché il 58enne, dopo la colluttazione, avrebbe
lamentato dei dolori al cuore. Ma l'esame autoptico ha rilevato che
aveva la milza spappolata.
L'AUTOPSIA - «Se non fosse stata disposta l'autopsia dal pm di turno,
oggi non saremo qui a processo - ha spiegato il pm nella requisitoria -,
perché nell'annotazione redatta dai due agenti su quella sera si dava
notizia solo di un barbone che si era sentito male e poi era morto». Il
pm ha chiesto che i giudici della prima Corte d'Assise non concedano le
attenuanti generiche ai due imputati, accusati anche di falso e
calunnia. Il magistrato ha riportato anche una frase che, stando ad una
testimonianza, uno dei due poliziotti avrebbe detto riferendosi al
clochard, che da 3 anni circa passava le sue giornate alla Stazione
Centrale: «Questo coglione mi ha rotto le palle». Il prossimo 29 aprile
parlerà il legale delle parti civili (il figlio, la sorella e lo zio del
clochard) e del responsabile civile (il Ministero dell'Interno). Il 17
maggio la parola alle difese e il 17 giugno potrebbe arrivare la sentenza.
Polfer
Il pm ha derubricato il reato da omicidio volontario a
preterintenzionale. Non convince la ricostruzione. I fatti in stazione
centrale il 6 settembre 2008*
MILANO - Non omicidio volontario, ma preterintenzionale. Insomma, quando
l'hanno picchiato non volevano ucciderlo, ma soltanto «dargli una
lezione». Quindi, 12 anni di reclusione. Questa, a sorpresa, la
richiesta del pm di Milano Isidoro Palma al termine della sua
requisitoria al processo ai due agenti della Polfer accusati di aver
pestato a morte un clochard il 6 settembre del 2008. Secondo l'accusa, i
due poliziotti avrebbero picchiato con violenza, fino a ucciderlo, il
senzatetto Giuseppe Turrisi di 58 anni, all'interno degli uffici della
Polfer alla Stazione Centrale di Milano. Stando alle indagini i due
agenti, per alcuni diverbi avuti in precedenza con l'uomo, quella sera
avrebbero portato il senzatetto negli uffici e lo avrebbero pestato
provocandogli la rottura della milza. Poi l'uomo, a seguito di un
versamento di sangue nell'addome, è morto.
REATO DERUBRICATO - I due giovani poliziotti, Domenico Romitaggio, e
Emiliano D'Aguanno, erano stati arrestati il primo aprile 2009, con
l'accusa di omicidio volontario, un'accusa che è rimasta a carico dei
due giovani per tutto il dibattimento, ma oggi il pm, concludendo la
requisitoria, ha derubricato il reato in omicidio preterintenzionale. Lo
stesso avevano fatto, due anni fa, _i giudici del Tribunale della
Libertà_
affermando che il quadro indiziario non consente di sostenere che ci sia
stata un'effettiva previsione, da parte degli indagati, della morte come
possibile conseguenza dei colpi sferrati. I due avevano così ottenuto
gli arresti domiciliari.
LA RICOSTRUZIONE - I due agenti si sono sempre difesi sostenendo di non
aver mai aggredito il senzatetto. Hanno detto di averlo accompagnato
perché ubriaco al commissariato, dopo aver ricevuto una segnalazione da
parte di alcuni viaggiatori su una discussione animata vicino a piazza
IV Novembre. Poi hanno ammesso solo una breve colluttazione con il
58enne, perché avrebbe estratto un taglierino che poi è stato
effettivamente sequestrato, ma che alla procura non risulta aver
impugnato in quella occasione. Oggi il pm ha definito la versione degli
imputati un'«alterazione della verità». Falsi sarebbero i rapporti stesi
sull'intervento, sull'orario e sul coltello di Turrisi. L'accusa ha
sottolineato che i filmati della telecamera comunale puntata sulla
piazza quella sera mostrano un gruppo di persone accanto a delle
bottiglie. Tra loro lo stesso Turrisi, noto per trascorrere le sue
giornate alla stazione Centrale e le notti al dormitorio di viale
Ortles. Sempre i filmati mostrano i due poliziotti avvicinarsi e
indicare le bottiglie durante una discussione. Quindi uno dei due fa un
cenno al senzatetto che si allontana con gli agenti. Tre minuti dopo il
terzetto riappare nei filmati di un'altra telecamera puntata
sull'ingresso del commissariato, mentre entra nell'edificio. La stessa
telecamera 35 minuti dopo mostra Turrisi uscire dalla stessa porta su
una barella. Nella notazione di servizio gli agenti hanno poi scritto di
aver chiamato il 118 perché il 58enne, dopo la colluttazione, avrebbe
lamentato dei dolori al cuore. Ma l'esame autoptico ha rilevato che
aveva la milza spappolata.
L'AUTOPSIA - «Se non fosse stata disposta l'autopsia dal pm di turno,
oggi non saremo qui a processo - ha spiegato il pm nella requisitoria -,
perché nell'annotazione redatta dai due agenti su quella sera si dava
notizia solo di un barbone che si era sentito male e poi era morto». Il
pm ha chiesto che i giudici della prima Corte d'Assise non concedano le
attenuanti generiche ai due imputati, accusati anche di falso e
calunnia. Il magistrato ha riportato anche una frase che, stando ad una
testimonianza, uno dei due poliziotti avrebbe detto riferendosi al
clochard, che da 3 anni circa passava le sue giornate alla Stazione
Centrale: «Questo coglione mi ha rotto le palle». Il prossimo 29 aprile
parlerà il legale delle parti civili (il figlio, la sorella e lo zio del
clochard) e del responsabile civile (il Ministero dell'Interno). Il 17
maggio la parola alle difese e il 17 giugno potrebbe arrivare la sentenza.
pc 21-22 aprile - alla Fiat Sata gli operai dicono NO a marchionne- alla magneti marelli arriva il piano
Fiat Sata
gli operai dicono NO
"Tra martedì 19 e mercoledì 20 aprile si sono svolte le assemblee della
Fiom-Cgil presso lo stabilimento Sata di Melfi per esaminare l'ipotesi
d'accodo del 31 marzo sull'introduzione dell'Ergo-Uas e il taglio dei 10
minuti di pausa a partire dal 1° gennaio 2012."
"Sull'ipotesi di intesa, la Fiom ha sospeso il giudizio e ha inviato una
lettera, condivisa unanimemente da tutte le Rsu elette nella lista della
Fiom-Cgil alla Fiat-Sata, nella quale si chiedeva all'Azienda chiarimenti
sull'effettiva sperimentazione dell'accordo del 31 marzo."
"Come è noto, la risposta della Fiat-Sata è stata negativa e ha esplicitato
che i 10 minuti di pausa saranno comunque tagliati a partire dal 1° gennaio
2012."
"Alle assemblee hanno partecipato circa 2.000 lavoratrici e lavoratori dello
stabilimento. Al termine è stato chiesto loro se condividessero la scelta
della Fiom di non procedere alla firma dell'intesa vista l'assenza di una
effettiva e agibile sperimentazione sull'Ergo-Uas e sul taglio dei 10 minuti
di pausa."
"Le assemblee hanno votato all'unanimità il consenso alla Fiom di non
firmare conclusivamente l'accordo."
"Con queste assemblee si conferma la volontà dei lavoratori, che già con
2.984 firme avevano sostenuto la posizione della Fiom di non peggiorare le
condizioni di lavoro, ma di aprire una discussione generale sui piani
produttivi e gli investimenti per lo stabilimento Sata di Melfi."
magneti marelli sulmona
arriva il piano marchionne con il si dei sindacati del padrone
Da 15 a 18 turni lavorativi a settimana, con aumento del monte ore per gli straordinari, durante il quale sarà vietato lo sciopero e le relazioni sindacali verranno «blindate». Questi i punti cardine dell'accordo sulla produzione della Nuova Panda, che riguarderà solo 96 operai su 719 della Magneti Marelli di Sulmona. Si tratta di una firma separata, però, visto il «no» della Fiom-Cgil, che non ha sottoscritto il documento, presentato ieri a Confindustria L'Aquila.
Il tanto discusso modello di Pomigliano d'Arco, quindi, tocca solo di striscio lo stabilimento sulmonese, che si appresta a produrre da ottobre i pezzi della nuova utilitaria di casa Fiat. Il patto, che detterà ritmi e umori nel più grande stabilimento del Centro Abruzzo, prevede per la produzione il quasi raddoppio dell'investimento (da 5 a 9 milioni) sulle linee produttive, ma anche l'aumento dei lavoratori impiegati, che salgono da 40 a 96. A regime saranno prodotti bracci e traverse (basi del motore) per 1.300 auto al giorno. Numeri importanti, che potranno inaugurare una nuova stagione nella fabbrica, che viene da tre anni di cassa integrazione ininterrotta. Anche se solo la metà degli operai che ora sono in fermo produttivo forzato (200 persone) saranno ricollocati al lavoro.
Dal punto di vista sindacale, invece, le novità principali riguardano i turni lavorativi, che inglobano il sabato, salendo da 15 a 18 a settimana, per tre fasce giornaliere. Poi gli straordinari, con un'aggiunta di 24 ore a disposizione dell'azienda, sulle 40 stabilite dal contratto nazionale. Periodo durante il quale sarà vietato lo sciopero. Condizioni inaccettabili per la Fiom-Cgil, che punta il dito sulla clausola di responsabilità, (già estesa a Mirafiori e Pomigliano), che vincola sindacati, Rsu e lavoratori al rispetto di tutte le clausole del contratto, pena la perdita di contributi e permessi sindacali.
«Riteniamo inaccettabile la proposta», sostiene Alfredo Fegatelli, «perché fortemente lesiva dei diritti fondamentali dei lavoratori. Si apre la strada pericolosa a una disparità di trattamenti con lavoratori che a parità di turnazioni avranno retribuzioni diverse». Di tutt'altro spirito le dichiarazioni della Fim e della Uilm, che si dicono soddisfatte. «L'investimento milionario sul sito sulmonese», dice Roberto Di Pardo (Uilm), «testimonia l'interesse che si ha nei suoi confronti. Rappresenta inoltre una scommessa per il futuro, ci aspettiamo infatti che la produzione aumenti anche con nuove commesse legate a Mirafiori». «Siamo soddisfatti perchè l'azienda ha già iniziato i lavori sulle linee», conclude Dante Carrabia (Fim Cisl), «segno che l'impegno è concreto».
gli operai dicono NO
"Tra martedì 19 e mercoledì 20 aprile si sono svolte le assemblee della
Fiom-Cgil presso lo stabilimento Sata di Melfi per esaminare l'ipotesi
d'accodo del 31 marzo sull'introduzione dell'Ergo-Uas e il taglio dei 10
minuti di pausa a partire dal 1° gennaio 2012."
"Sull'ipotesi di intesa, la Fiom ha sospeso il giudizio e ha inviato una
lettera, condivisa unanimemente da tutte le Rsu elette nella lista della
Fiom-Cgil alla Fiat-Sata, nella quale si chiedeva all'Azienda chiarimenti
sull'effettiva sperimentazione dell'accordo del 31 marzo."
"Come è noto, la risposta della Fiat-Sata è stata negativa e ha esplicitato
che i 10 minuti di pausa saranno comunque tagliati a partire dal 1° gennaio
2012."
"Alle assemblee hanno partecipato circa 2.000 lavoratrici e lavoratori dello
stabilimento. Al termine è stato chiesto loro se condividessero la scelta
della Fiom di non procedere alla firma dell'intesa vista l'assenza di una
effettiva e agibile sperimentazione sull'Ergo-Uas e sul taglio dei 10 minuti
di pausa."
"Le assemblee hanno votato all'unanimità il consenso alla Fiom di non
firmare conclusivamente l'accordo."
"Con queste assemblee si conferma la volontà dei lavoratori, che già con
2.984 firme avevano sostenuto la posizione della Fiom di non peggiorare le
condizioni di lavoro, ma di aprire una discussione generale sui piani
produttivi e gli investimenti per lo stabilimento Sata di Melfi."
magneti marelli sulmona
arriva il piano marchionne con il si dei sindacati del padrone
Da 15 a 18 turni lavorativi a settimana, con aumento del monte ore per gli straordinari, durante il quale sarà vietato lo sciopero e le relazioni sindacali verranno «blindate». Questi i punti cardine dell'accordo sulla produzione della Nuova Panda, che riguarderà solo 96 operai su 719 della Magneti Marelli di Sulmona. Si tratta di una firma separata, però, visto il «no» della Fiom-Cgil, che non ha sottoscritto il documento, presentato ieri a Confindustria L'Aquila.
Il tanto discusso modello di Pomigliano d'Arco, quindi, tocca solo di striscio lo stabilimento sulmonese, che si appresta a produrre da ottobre i pezzi della nuova utilitaria di casa Fiat. Il patto, che detterà ritmi e umori nel più grande stabilimento del Centro Abruzzo, prevede per la produzione il quasi raddoppio dell'investimento (da 5 a 9 milioni) sulle linee produttive, ma anche l'aumento dei lavoratori impiegati, che salgono da 40 a 96. A regime saranno prodotti bracci e traverse (basi del motore) per 1.300 auto al giorno. Numeri importanti, che potranno inaugurare una nuova stagione nella fabbrica, che viene da tre anni di cassa integrazione ininterrotta. Anche se solo la metà degli operai che ora sono in fermo produttivo forzato (200 persone) saranno ricollocati al lavoro.
Dal punto di vista sindacale, invece, le novità principali riguardano i turni lavorativi, che inglobano il sabato, salendo da 15 a 18 a settimana, per tre fasce giornaliere. Poi gli straordinari, con un'aggiunta di 24 ore a disposizione dell'azienda, sulle 40 stabilite dal contratto nazionale. Periodo durante il quale sarà vietato lo sciopero. Condizioni inaccettabili per la Fiom-Cgil, che punta il dito sulla clausola di responsabilità, (già estesa a Mirafiori e Pomigliano), che vincola sindacati, Rsu e lavoratori al rispetto di tutte le clausole del contratto, pena la perdita di contributi e permessi sindacali.
«Riteniamo inaccettabile la proposta», sostiene Alfredo Fegatelli, «perché fortemente lesiva dei diritti fondamentali dei lavoratori. Si apre la strada pericolosa a una disparità di trattamenti con lavoratori che a parità di turnazioni avranno retribuzioni diverse». Di tutt'altro spirito le dichiarazioni della Fim e della Uilm, che si dicono soddisfatte. «L'investimento milionario sul sito sulmonese», dice Roberto Di Pardo (Uilm), «testimonia l'interesse che si ha nei suoi confronti. Rappresenta inoltre una scommessa per il futuro, ci aspettiamo infatti che la produzione aumenti anche con nuove commesse legate a Mirafiori». «Siamo soddisfatti perchè l'azienda ha già iniziato i lavori sulle linee», conclude Dante Carrabia (Fim Cisl), «segno che l'impegno è concreto».
pc 21-22 aprile - manduria .. partono centinaia di migranti.. ma altri ne restano
cosa dice la stampa e cosa è vero
le cifre che comunica la polizia non corrispondono spesso al vero
per verifica diretta si tratta di cifre gonfiate
la stampa scrive
'E' cominciata l'operazione di svuotamento della tendopoli di Manduria, dove dalla fine di marzo sono ospitati immigrati tunisini provenienti da Lampedusa.
Nelle ultime 48 ore circa 500 migranti hanno lasciato la tendopoli, col permesso di soggiorno temporaneo e il titolo di viaggio, e sono stati accompagnati alla stazione ferroviaria di Taranto dove hanno acquistato un biglietto abbandonando la Puglia. La Questura di Taranto, che sta coordinando le operazioni di sgombero del Centro di accoglienza temporaneo di Manduria, conta di poter svuotare completamente la struttura entro Pasqua.'
la mancanza di soldi blocca la partenza
in due occasioni ci sono state proteste degli immigrati presenti al campo
la stampa scrive
'Resta da capire cosa ne sarà della struttura, tenuto conto che sono stati ultimati anche i lavori riguardanti le infrastrutture, quali gli allacciamenti idrici e fognari e la rete di recinzione lungo il perimetro della tendopoli.'
il campo si svuota ma le strutture si potenziano
è evidente l'intenzione di trasformarlo in campo permanente, non si capisce ancora se CIE o NO
l'azione dello slai cobas per il sindacato di classe di taranto
Nella giornata di mercoledì siamo stati come, molte altre volte al campo di
Manduria, per incontrare gli immigrati e fare con loro il punto della
situazione, erano presenti all'esterno del campo, anche altre realtà
antirazziste.
Ancora una volta consideriamo illegittimo e sbagliato che non ci venga
permesso di entrare nel campo e incontrare gli immigrati e che siamo
costretti a svolgere questo lavoro necessario e legittimo per una
organizzazione sindacale come pure per le associazioni antirazziste
impegnate nella solidarietà, in condizioni inadeguate e sotto l'occhio
altrettanto illegittimo e interessato, degli agenti della DIGOS.
Tutti gli immigrati ci hanno esposto una richiesta:
la questione del biglietto di viaggio per raggiungere le località dove
vogliono andare, una volta in possesso del permesso di soggiorno temporaneo.
Il governo, le istituzioni nazionali e locali, le ferrovie dello Stato
devono farsi carico di questo problema senza ipocrisie, palleggiamenti di
responsabilità e invio ad altri centri di accoglienza
per venire incontro a coloro che non hanno soldi e non possono farleli
mandare dalle famiglie,
se si vogliono mantenere gli impegni di 'svuotare la tendopoli' entro Pasqua
Per questo, anche a nome di altri antirazzisti e realtà presenti,
richiediamo un intervento immediato in merito
Saremo alla tendopoli anche nei prossimi giorni per contribuire a monitorare
e risolvere questo
problema
slai cobas per il sindacato di classe
taranto
22-4-2011
pc 21-22 aprile - lavoratori immigrati schiavizzati in Puglia
Lavoratori-schiavi
nel fotovoltaico:
9 arresti nel Salento
LECCE - Sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione e al mantenimento in schiavitù, estorsione, favoreggiamento della condizione di clandestinità di cittadini extracomunitari e truffa aggravata ai danni dello Stato le persone nei confronti delle quali stamane militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Brindisi e agenti della Squadra Mobile della Questura di Lecce hanno eseguito ordinanze di custodia cautelare in carcere nell’ambito di una inchiesta che ha riguardato il settore del fotovoltaico.
Quindici i provvedimenti emessi complessivamente dal gip del Tribunale di Lecce su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia e della Procura della Repubblica di Brindisi. Nove in tutto quelli eseguiti: quattro dalla Squadra Mobile nei confronti di un ghanese, una cubana, un marocchino e uno spagnolo; cinque dal Comando provinciale della Guardia di Finanza di Brindisi a carico di altrettanti cittadini italiani residenti in provincia.
Altri quattro spagnoli e due colombiani sono irreperibili e sono ricercati dalla Polizia di Lecce. Si tratta di soci, amministratori e capicantiere di una nota società italo-iberica di impianti fotovoltaici con sede a Brindisi, responsabili di avere assunto cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno e di aver favorito la loro permanenza irregolare nel territorio dello Stato occupandoli, in condizione di asservimento alle dipendenze della stessa società. Sono state inoltre sottoposte a sequestro preventivo le quote sociali, l’intero compendio aziendale e tutte le attrezzature, i materiali e i mezzi riconducibili all’impresa. La società, che ha 800 dipendenti, ha realizzato 17 impianti fotovoltaici nel Salento. Infine le fiamme gialle di Brindisi stanno eseguendo sequestri preventivi 'per equivalentè nei confronti di quattro delle persone colpite da ordinanza per un valore complessivo di circa 275 mila euro pari ai contributi previdenziali ed assistenziali evasi.
BRINDISI - Erano costretti a lavorare 12 ore al giorno per due euro l'ora, quando venivano pagati. Non potevano nè ammalarsi nè farsi male, altrimenti perdevano il posto di lavoro.
E non importava se i loro piedi affondavano nel fango o se la loro testa veniva tormentata dal sole cocente. Perchè i lavoratori - secondo l'accusa - erano ridotti in schiavitù. Proprio per liberare glischiavi del fotovoltaico, polizia e guardia di finanza hanno arrestato nel Salento nove persone mentre altre sei sono tuttora ricercate. I 15 indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere, riduzione in schiavitù, estorsione, favoreggiamento della condizione di clandestinità di cittadini extracomunitari e truffa aggravata ai danni dello Stato. Le vittime dei reati sono - stando alle indagini - il 90% degli 800 dipendenti della Tecnova, azienda che nel Salento ha realizzato in subappalto 17 importanti impianti fotovoltaici. Si tratta di cittadini extracomunitari che spesso non avevano neppure il permesso di soggiorno e che, per questo, se osavano lamentarsi o ammalarsi, scattava per loro la minaccia del licenziamento. Erano loro - secondo le procure di Brindisi e Lecce - gli schiavi del fotovoltaico dei quali si sono spesso occupati negli ultimi mesi la stampa e le forze di polizia. L'ordinanza di custodia cautelare riguarda soci, amministratori e capi cantiere dell'azienda spagnola Tecnova, con sede a Brindisi ma facente capo ad una associazione temporanea di imprese, composta da diverse ditte catalane. Una vera e propria scatola cinese, è stato detto in conferenza stampa. Oltre agli arresti, sono state sequestrate le quote sociali, l'intero compendio aziendale e tutte le attrezzature, i materiali e i mezzi riconducibili alla società. Inoltre, sono stati eseguiti sequestri preventivi nei confronti di quattro degli arrestati per un valore complessivo di circa 275.000 euro, pari ai contributi previdenziali ed assistenziali evasi. L'indagine è partita nel novembre 2010 dalla procura di Brindisi dopo le denunce di numerosi lavoratori che operavano nei 17 cantieri di fotovoltaico sparsi tra le province di Brindisi e Lecce. Tra i destinatari del provvedimento restrittivo ci sono l'amministratore unico della Tecnova, il 28enne Luis Miguel Nunez Gutierrez, l'amministratore unico dell'azienda di consulenza Db Consulting, Cosima De Michele, e della factotum della Tecnova, la 24enne brindisina Manuela Costabile.
Ecco i nomi degli arrestati:
Marco Damiano Bagnulo, di 22 anni, di Brindisi
Anna Maria Bonetti, di 27 anni, di Putignano
Manuela Costabile, di 25 anni, di Brindisi
Cosima De Michele, 57 anni, di Brindisi
Martin Denowebu, 34 anni, nato in Ghana e residente a Lecce
Veronica Yanette Guibert Alonso, 34 anni, nata a Marianao (Cuba)
Luiz Manuel Gutierrez Nunez, di 38 anni, nato a Cacabelos-Leon (Spagna)
Brahim Lebhihe, di 26 anni, nato in Marocco
Tatiana Tedesco, di 26 anni, di Brindisi
Gli irreperibili sono:
Luis Miguel Cardenas Castellanos, di 33 anni, nato a Manizales (Colombia)
Laura Martin Garcia, di 32 anni, nata a Zamora (Spagna)
Didier Gutierrez Canedo, nato a Morges (Spagna)
Andres Felipe Higuera Castellanos, di 33 anni, nato in Colombia
Francisco Josè Luque Jimenez, di 35 anni
Josè Fernando Martinez Bascunana, di 38 anni, nato a Cartagena e domiciliato a Brindisi
BRINDISI – Numerosi sono stati i retroscena relativi alla vicenda degli “schiavi del fotovoltaico” e all'operazione che ha portato all'arresto di 13 persone.
I lavoratori non avevano alcun tipo di tutela, come raccontato oggi in conferenza stampa. Non solo non avrebbero ricevuto nessun tipo di assistenza in caso di infortunio o malattia, ma dormivano presso la Caritas di Brindisi così da far risparmiare l'azienda.
Ma il retroscena più agghiacciante riguarda le calzature che gli extracomunitari indossavano per lavorare. I responsabili dell'azienda, infatti, avevano acquistato partite di stivali dalla taglia 40-41, ma si trattava di misure che in molti casi non facevano al caso degli immigrati, molti dei quali portavano un 44-45. Così, alle scarpe veniva tagliata la punta e gli extracomunitari – se non volevano andare a piedi nudi nel fango – erano costretti a indossare scarpe più piccole e completamente rotte.
giovedì 21 aprile 2011
mercoledì 20 aprile 2011
pc 20 aprile - Gheddafi e Siria regimi antimperialisti.. ma per favore
La questione non è quella, giusta e sacrosanta, che 'L'elemento generico della rivolta non è sufficiente da solo a creare un processo rivoluzionario. Per cui l'appoggio alle rivolte non può essere generalizzato ed incondizionato'; ma il fatto che l'appoggio alle rivolte è messo in seconda istanza e via via assente, che la questione libica viene separata dal contesto generale delle rivolte arabe e Golfo persico, e che esiste tutta questa "puzza al naso" sulle rivolte arabe e golfo persico in corso, pur nelle loro differenze. Rivolte che sono appunto tali e non rivoluzioni, rivolte che sono al primo stadio. Mentre si definiscono senza alcun dubbio "regimi antimperialisti" Libia e Siria, questione non dimostrata da nessuna analisi sociale e politica sull'effettiva natura di questi regimi, sia pure diversa da altri dell'area; regimi che invece vanno combattuti e rovesciati, se si vuol stare nel campo del proletariato e delle masse popolari.
Tutta questa "puzza al naso" e distinguo rispetto alle rivolte giovanili e popolari nel mondo arabo e golfo persico, a cui bisogna fare l'analisi del sangue del loro grado di antimperialismo, è sbagliata. Se si usasse questi criteri, non potremmo appoggiare neanche la lotta del popolo palestinese dato che Al Fatah è filoccidentale e Hamas è guidata da programmi dell'integralismo islamico che sono reazionari e non progressivi.
Nessuna lotta antimperialista nel mondo, tranne quelle guidate da partiti comunisti autentici, per noi India, Filippine, Nepal nella fase fino a pochi anni fa, Perù, ecc, oggi potrebbe essere appoggiata "in maniera generalizzata e incondizionata" per stare a questo ragionamento, eppure su tutte queste non si hanno dubbi, eppure anche su queste ci sono i giochi e gli scontri tra le potenze imperialiste, URSS, CINA comprese - cosa naturalmente diversa dal sostegno e guida esplicita dell'imperialismo che si esercita nel caso della Libia.
L'imperialismo certamente fa il suo mestiere e denunciarne azione e funzione è necessario, ma il problema è che le forze proletarie devono fare il loro, di questo si tratta.
E sicuramente dare la patente di regimi antimperialisti a Gheddafi e Siria è tutto il contrario dell'interesse dei proletari e dei popoli della zona e del mondo.
Proletari comunisti
ro.red@libero.it
----- Original Message -----
From: "Firenzeprecaria"
To:
Sent: Wednesday, April 20, 2011 10:02 AM
La prima domanda è: esiste al momento una rivoluzione libica? No, dal momento che il controllo a Bengasi è stato preso da settori filoimperialisti, non esiste più una rivoluzione libica.
La seconda domanda è: può esistere una rivoluzione popolare nell'area mediorientale che non si ponga in antagonismo con l'imperialismo? No, non può esistere, perché è l'imperialismo ad imporre, in complicità con settori interni, la situazione attuale di subordinazione e sfruttamento, e le forze imperialiste non intendono accettare cambiamenti, ma al contrario vogliono sfruttare le rivolte per conquistare nuove posizioni.
La terza domanda è: devono i rivoluzionari lavorare per la caduta dei regimi anti-imperialisti (Libia, Siria, etc.) allo stesso modo in cui lavorano per la caduta dei regimi filo-imperialisti (Egitto,Tunisia,etc.)? No, la tragica esperienza della Libia insegna che bisogna distinguere perché, fermo restando il fatto che, in ultima istanza, tutti questi regimi dovranno essere rovesciati dalle masse, non tutti sono reazionari nella stessa misura.
La crisi dei regimi antimperialisti spalanca le porte all'imperialismo e crea le condizioni per l'instaurazione di regimi più reazionari, nelle mani di settori integralisti alleati dell'imperialismo. In questi paesi bisogna lavorare accortamente, perché è necessario sia che la rivolta popolare trovi piena soddisfazione nelle proprie richieste, sia che i settori reazionari non prendano il sopravvento nella direzione della rivolta stessa, compromettendo il processo rivoluzionario. Al contrario, nei paesi filoimperialisti, bisogna puntare a radicalizzare la rivolta popolare oltre i limiti che le forze al momento predominanti (anch'esse alleate dell'imperialismo, come i fratelli musulmani egiziani) vogliono imporre al processo rivoluzionario, fino a mettere in discussione la continuità del potere statale che invece queste forze ricercano.
L'elemento generico della rivolta non è sufficiente da solo a creare un processo rivoluzionario. Per cui l'appoggio alle rivolte non può essere generalizzato ed incondizionato.
Il giorno 20 aprile 2011 07:57, procomta ha scritto:
Esponenti del movimento contro la guerra anche alla assemblea nazionale di Napoli del 16 aprile, insistono su un punto giusto: non si può essere equidistanti tra Libia e attacco imperialista alla Libia, non si può sostenere la parola d'ordine "nè con Gheddafi, nè con l'imperialismo".
Ma qualcosa deve pur essere aggiunta a queste affermazioni per noi scontate.
Se l'imperialismo attacca, la Libia va sostenuta con il suo legittimo governo; ma non esiste solo questo. I regimi arabi e del Maghreb e Golfo persico, da Mubarak a Ben Ali, da Buteflika ai sauditi, dal regime siriano a quelle del Barhein, sono tutti regimi reazionari al servizio delle borghesie nazionali e compradore dell'area - servivano già l'imperialismo nell'area, prima come pedine del socialimperialismo sovietico, oggi nel complesso equilibrio multipolare dell'area.
Tutti questi regimi debbono essere rovesciati dai proletari e delle masse e ad essi deve andare il massimo sostegno dei comunisti, degli antimperialisti coerenti in tutto il mondo e anche nel nostro paese.
La questione principale, quindi, non è l'aggressione imperialista alla Libia ma le rivolte giovanili e popolari in tutta l'area.
ll regime di Gheddafi è stato in questi ultimi anni al servizio degli interessi economici e politici dei governi occidentali e del governo italiano in particolare, con accordi sullo sfruttamento energetico, forniture di armamenti, controllo e mercato dell'immigrazione. e lo continuerà ad essere anche in futuro.
Se sono certamente ambigui e falso antimperialisti coloro che dicono a fronte di una aggressione come quella della libia, "non si può dire nè con Gheddafi, nè con la Nato" e non combattono coerentemente contro di essa e contro il ruolo in essa dell'imperialismo italiano in concorrenza collusione con gli altri imperialismi, in prima fila USA, Francia, Gran Bretagna; lo sono anche coloro che non colgono in questa fase la priorità del sostegno rivoluzionario alle rivolte giovanili e popolari come aspetto principale della contesa nell'area.
I comunisti marxisti-leninisti-maoisti sono in italia e nel mondo l'unico punto di vista coerente nella situazione attuale.
Proletari comunisti
ro.red@libero.it
20 aprile 2011
Tutta questa "puzza al naso" e distinguo rispetto alle rivolte giovanili e popolari nel mondo arabo e golfo persico, a cui bisogna fare l'analisi del sangue del loro grado di antimperialismo, è sbagliata. Se si usasse questi criteri, non potremmo appoggiare neanche la lotta del popolo palestinese dato che Al Fatah è filoccidentale e Hamas è guidata da programmi dell'integralismo islamico che sono reazionari e non progressivi.
Nessuna lotta antimperialista nel mondo, tranne quelle guidate da partiti comunisti autentici, per noi India, Filippine, Nepal nella fase fino a pochi anni fa, Perù, ecc, oggi potrebbe essere appoggiata "in maniera generalizzata e incondizionata" per stare a questo ragionamento, eppure su tutte queste non si hanno dubbi, eppure anche su queste ci sono i giochi e gli scontri tra le potenze imperialiste, URSS, CINA comprese - cosa naturalmente diversa dal sostegno e guida esplicita dell'imperialismo che si esercita nel caso della Libia.
L'imperialismo certamente fa il suo mestiere e denunciarne azione e funzione è necessario, ma il problema è che le forze proletarie devono fare il loro, di questo si tratta.
E sicuramente dare la patente di regimi antimperialisti a Gheddafi e Siria è tutto il contrario dell'interesse dei proletari e dei popoli della zona e del mondo.
Proletari comunisti
ro.red@libero.it
----- Original Message -----
From: "Firenzeprecaria"
To:
Sent: Wednesday, April 20, 2011 10:02 AM
La prima domanda è: esiste al momento una rivoluzione libica? No, dal momento che il controllo a Bengasi è stato preso da settori filoimperialisti, non esiste più una rivoluzione libica.
La seconda domanda è: può esistere una rivoluzione popolare nell'area mediorientale che non si ponga in antagonismo con l'imperialismo? No, non può esistere, perché è l'imperialismo ad imporre, in complicità con settori interni, la situazione attuale di subordinazione e sfruttamento, e le forze imperialiste non intendono accettare cambiamenti, ma al contrario vogliono sfruttare le rivolte per conquistare nuove posizioni.
La terza domanda è: devono i rivoluzionari lavorare per la caduta dei regimi anti-imperialisti (Libia, Siria, etc.) allo stesso modo in cui lavorano per la caduta dei regimi filo-imperialisti (Egitto,Tunisia,etc.)? No, la tragica esperienza della Libia insegna che bisogna distinguere perché, fermo restando il fatto che, in ultima istanza, tutti questi regimi dovranno essere rovesciati dalle masse, non tutti sono reazionari nella stessa misura.
La crisi dei regimi antimperialisti spalanca le porte all'imperialismo e crea le condizioni per l'instaurazione di regimi più reazionari, nelle mani di settori integralisti alleati dell'imperialismo. In questi paesi bisogna lavorare accortamente, perché è necessario sia che la rivolta popolare trovi piena soddisfazione nelle proprie richieste, sia che i settori reazionari non prendano il sopravvento nella direzione della rivolta stessa, compromettendo il processo rivoluzionario. Al contrario, nei paesi filoimperialisti, bisogna puntare a radicalizzare la rivolta popolare oltre i limiti che le forze al momento predominanti (anch'esse alleate dell'imperialismo, come i fratelli musulmani egiziani) vogliono imporre al processo rivoluzionario, fino a mettere in discussione la continuità del potere statale che invece queste forze ricercano.
L'elemento generico della rivolta non è sufficiente da solo a creare un processo rivoluzionario. Per cui l'appoggio alle rivolte non può essere generalizzato ed incondizionato.
Il giorno 20 aprile 2011 07:57, procomta
Esponenti del movimento contro la guerra anche alla assemblea nazionale di Napoli del 16 aprile, insistono su un punto giusto: non si può essere equidistanti tra Libia e attacco imperialista alla Libia, non si può sostenere la parola d'ordine "nè con Gheddafi, nè con l'imperialismo".
Ma qualcosa deve pur essere aggiunta a queste affermazioni per noi scontate.
Se l'imperialismo attacca, la Libia va sostenuta con il suo legittimo governo; ma non esiste solo questo. I regimi arabi e del Maghreb e Golfo persico, da Mubarak a Ben Ali, da Buteflika ai sauditi, dal regime siriano a quelle del Barhein, sono tutti regimi reazionari al servizio delle borghesie nazionali e compradore dell'area - servivano già l'imperialismo nell'area, prima come pedine del socialimperialismo sovietico, oggi nel complesso equilibrio multipolare dell'area.
Tutti questi regimi debbono essere rovesciati dai proletari e delle masse e ad essi deve andare il massimo sostegno dei comunisti, degli antimperialisti coerenti in tutto il mondo e anche nel nostro paese.
La questione principale, quindi, non è l'aggressione imperialista alla Libia ma le rivolte giovanili e popolari in tutta l'area.
ll regime di Gheddafi è stato in questi ultimi anni al servizio degli interessi economici e politici dei governi occidentali e del governo italiano in particolare, con accordi sullo sfruttamento energetico, forniture di armamenti, controllo e mercato dell'immigrazione. e lo continuerà ad essere anche in futuro.
Se sono certamente ambigui e falso antimperialisti coloro che dicono a fronte di una aggressione come quella della libia, "non si può dire nè con Gheddafi, nè con la Nato" e non combattono coerentemente contro di essa e contro il ruolo in essa dell'imperialismo italiano in concorrenza collusione con gli altri imperialismi, in prima fila USA, Francia, Gran Bretagna; lo sono anche coloro che non colgono in questa fase la priorità del sostegno rivoluzionario alle rivolte giovanili e popolari come aspetto principale della contesa nell'area.
I comunisti marxisti-leninisti-maoisti sono in italia e nel mondo l'unico punto di vista coerente nella situazione attuale.
Proletari comunisti
ro.red@libero.it
20 aprile 2011
pc 20 aprile - muore un immigrato.. per mancato soccorso sanitario
"O paga il ticket di 15 euro oppure deve andare al pronto soccorso". Una guardia medica ha rifiutato di visitare un paziente pachistano nell'ambulatorio di San Pietro in Casale e per questo è indagato di omicidio colposo. Perché, dopo quella mancata visita, solo pochissime ore dopo, lo straniero è morto per un attacco di cuore.
E' accaduto tutto in una notte, tra sabato 9 e domenica 10 aprile. Attorno alle 23, il medico di turno quella sera, in quel momento da solo, ha sentito suonare all'ambulatorio, ha aperto la porta e si è trovato davanti due stranieri. Uno di loro, Mohamed Arsad, 52 anni, pachistano, residente a Prato, si sentiva poco bene. Il medico gli comunicava che, non essendo residente in provincia di Bologna, per essere visitato avrebbe dovuto pagare un ticket di 15 euro, come prescritto dalle regole dell'Ausl. Ne nacque un diverbio.
Il medico avrebbe detto che il caso non gli sembrava urgente e che comunque era necessario andare all'ospedale. "Il medico - spiega l'avvocato Gennaro Lupo, che lo difende - ha invitato la persona ad andare al pronto soccorso, perché ha ritenuto che il caso non fosse in quel momento urgente. Adesso va stabilito se quella visita richiesta avrebbe evitato la morte". Il paziente dopo un po' si è sentito meglio e ha rinunciato ad andare al pronto soccorso (il più vicino sarebbe stato ad una decina di chilometri, presso l'ospedale di Bentivoglio).
La mattina dopo l'amico ha scoperto sconvolto che Mohamed era a letto morto e ha chiamato i carabinieri della stazione di San Pietro in Casale, i quali subito accorsi hanno svolto i primi rilievi. Ai militari l'amico ha raccontato della mancata visita della sera precedente e che l'amico era malato da tempo. La pm Alessandra Serra ha notificato l'avviso di garanzia al medico, come atto dovuto per l'autopsia eseguita dalla dottoressa Nicoletta Morganti, che ha stabilito la causa della morte in un problema cardiaco. "In termini astratti e al di là delle conseguenze penali, il codice deontologico impone che il medico prima si occupi della persona e poi degli aspetti burocratici", afferma il presidente dell'ordine Giancarlo Pizza
E' accaduto tutto in una notte, tra sabato 9 e domenica 10 aprile. Attorno alle 23, il medico di turno quella sera, in quel momento da solo, ha sentito suonare all'ambulatorio, ha aperto la porta e si è trovato davanti due stranieri. Uno di loro, Mohamed Arsad, 52 anni, pachistano, residente a Prato, si sentiva poco bene. Il medico gli comunicava che, non essendo residente in provincia di Bologna, per essere visitato avrebbe dovuto pagare un ticket di 15 euro, come prescritto dalle regole dell'Ausl. Ne nacque un diverbio.
Il medico avrebbe detto che il caso non gli sembrava urgente e che comunque era necessario andare all'ospedale. "Il medico - spiega l'avvocato Gennaro Lupo, che lo difende - ha invitato la persona ad andare al pronto soccorso, perché ha ritenuto che il caso non fosse in quel momento urgente. Adesso va stabilito se quella visita richiesta avrebbe evitato la morte". Il paziente dopo un po' si è sentito meglio e ha rinunciato ad andare al pronto soccorso (il più vicino sarebbe stato ad una decina di chilometri, presso l'ospedale di Bentivoglio).
La mattina dopo l'amico ha scoperto sconvolto che Mohamed era a letto morto e ha chiamato i carabinieri della stazione di San Pietro in Casale, i quali subito accorsi hanno svolto i primi rilievi. Ai militari l'amico ha raccontato della mancata visita della sera precedente e che l'amico era malato da tempo. La pm Alessandra Serra ha notificato l'avviso di garanzia al medico, come atto dovuto per l'autopsia eseguita dalla dottoressa Nicoletta Morganti, che ha stabilito la causa della morte in un problema cardiaco. "In termini astratti e al di là delle conseguenze penali, il codice deontologico impone che il medico prima si occupi della persona e poi degli aspetti burocratici", afferma il presidente dell'ordine Giancarlo Pizza
pc 20 aprile - ma il destino degli immigrati nel nostro paese è solo morire in qualche modo ?
Sempre più immigrati muoiono sul lavoro
Ma è come se non esistessero!
Sindacati confederali e di base fanno poco o nulla per questo; a parte le reazioni territoriali il giorno dopo, nulla di nulla.
La Rete nazionale per la sicurezza sul posto di lavoro si muove da sempre isolata su questo. A Roma la realtà della Rete - il Comitato 5 aprile - si è mossa per l'immigrato morto alla Sapienza, dando spessore e continuità all'iniziativa.
Ma serve una grossa iniziativa nazionale.
Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro
bastamortesullavoro@gmail.com
3471102638
LANCIANO. La Procura di Lanciano ha iscritto nel registro degli indagati quattro persone in relazione al decesso di due operai avvenuto ieri in un cantiere edile privato nella città frentana. Nel crollo di una parete in legno sono morti Jaroslaw Ivakhnyuk, 34 anni, ucraino residente ad Altino (Chieti), e l'albanese Gramoz Metushi (41), residente a Casoli (Chieti), dipendenti regolari della Legnotek di Casoli. Per omicidio colposo sono indagati il committente dei lavori, il direttore dei lavori, il responsabile della ditta e il gruista. E' stata avviata anche un'indagine amministrativa degli ispettori Asl del servizio sicurezza sui luoghi di lavoro. Le autopsie, effettuate oggi, hanno stabilito che il decesso in entrambi i casi è avvenuto per choc traumatico da schiacciamento.
Due operai morti il tragico bilancio di un normale pomeriggio di lavoro,a Re di Coppe. Un ucraino e un albanese stavano montando una parete in legno di una casa
prefabbricata, quando il pesante blocco si è ribaltato travolgendoli. Un terzo operaio è illeso.
Un lavoro che forse avevano fatto tante volte Yaroslaw Ivakhnyuk, 34 anni, nato in Albania e residente ad Altino, e Gramoz Metushi, 41 anni, ucraino residente a Casoli.
I due operai stranieri erano all'opera in un cantiere edile in contrada Re di Coppe, a qualche centinaia di metri dall'autoparco comunale, per la demolizione e la ricostruzione di un'abitazione civile. I due erano dipendenti della ditta Industrie Legnotek di Casoli.
In tre erano occupati ad innalzare una parete di legno della casa prefabbricata. L'avevano fissata con le cinghie ad una grù e ancorata a terra. Nel momento di sollevarlo però il blocco pesante diversi quintali, probabilmente non fissato bene nel terreno, si è ribaltato finendo addosso agli operai. In due sono stati travolti e sono rimasti schiacciati. Per Ivakhnyuk non c'è stato nulla da fare: è deceduto nel cantiere, poco dopo l'incidente.
Le condizioni di Metushi sono parse subito disperate. Oltre alle ambulanze accorse sul posto, il 118 ha inviato l'elisoccorso, atterrato nel vicino campo sportivo. Ma il trasporto in elicottero non è stato possibile: l'uomo ha avuto bisogno di un massaggio cardiaco lungo la disperata corsa all'ospedale Renzetti, con l'ambulanza scortata da una pattuglia dei carabinieri, dove però è giunto senza vita. Illeso, invece, il terzo operaio che era a lavoro con loro.
Le cause e la dinamica del grave incidente sono comunque al vaglio. Le indagini sono affidate alla compagnia dei carabinieri di Lanciano, coordinati dal capitano Geremia Lugibello. È probabile che i due operai siano morti per un trauma da schiacciamento:
I lavoratori erano regolarmente assunti dalla ditta di Casoli e, dai primi rilievi dei carabinieri, risultavano anche a posto con le attrezzature di sicurezza. «Erano iscritti al registro di prevenzione», conferma il capitano Lugibello, «potrebbe essersi trattata di una mera fatalità». La Procura ha disposto il sequestro del cantiere. Sull'accaduto saranno comunque inviati rapporti alla magistratura e all'ispettorato del lavoro.
Ma è come se non esistessero!
Sindacati confederali e di base fanno poco o nulla per questo; a parte le reazioni territoriali il giorno dopo, nulla di nulla.
La Rete nazionale per la sicurezza sul posto di lavoro si muove da sempre isolata su questo. A Roma la realtà della Rete - il Comitato 5 aprile - si è mossa per l'immigrato morto alla Sapienza, dando spessore e continuità all'iniziativa.
Ma serve una grossa iniziativa nazionale.
Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro
bastamortesullavoro@gmail.com
3471102638
LANCIANO. La Procura di Lanciano ha iscritto nel registro degli indagati quattro persone in relazione al decesso di due operai avvenuto ieri in un cantiere edile privato nella città frentana. Nel crollo di una parete in legno sono morti Jaroslaw Ivakhnyuk, 34 anni, ucraino residente ad Altino (Chieti), e l'albanese Gramoz Metushi (41), residente a Casoli (Chieti), dipendenti regolari della Legnotek di Casoli. Per omicidio colposo sono indagati il committente dei lavori, il direttore dei lavori, il responsabile della ditta e il gruista. E' stata avviata anche un'indagine amministrativa degli ispettori Asl del servizio sicurezza sui luoghi di lavoro. Le autopsie, effettuate oggi, hanno stabilito che il decesso in entrambi i casi è avvenuto per choc traumatico da schiacciamento.
Due operai morti il tragico bilancio di un normale pomeriggio di lavoro,a Re di Coppe. Un ucraino e un albanese stavano montando una parete in legno di una casa
prefabbricata, quando il pesante blocco si è ribaltato travolgendoli. Un terzo operaio è illeso.
Un lavoro che forse avevano fatto tante volte Yaroslaw Ivakhnyuk, 34 anni, nato in Albania e residente ad Altino, e Gramoz Metushi, 41 anni, ucraino residente a Casoli.
I due operai stranieri erano all'opera in un cantiere edile in contrada Re di Coppe, a qualche centinaia di metri dall'autoparco comunale, per la demolizione e la ricostruzione di un'abitazione civile. I due erano dipendenti della ditta Industrie Legnotek di Casoli.
In tre erano occupati ad innalzare una parete di legno della casa prefabbricata. L'avevano fissata con le cinghie ad una grù e ancorata a terra. Nel momento di sollevarlo però il blocco pesante diversi quintali, probabilmente non fissato bene nel terreno, si è ribaltato finendo addosso agli operai. In due sono stati travolti e sono rimasti schiacciati. Per Ivakhnyuk non c'è stato nulla da fare: è deceduto nel cantiere, poco dopo l'incidente.
Le condizioni di Metushi sono parse subito disperate. Oltre alle ambulanze accorse sul posto, il 118 ha inviato l'elisoccorso, atterrato nel vicino campo sportivo. Ma il trasporto in elicottero non è stato possibile: l'uomo ha avuto bisogno di un massaggio cardiaco lungo la disperata corsa all'ospedale Renzetti, con l'ambulanza scortata da una pattuglia dei carabinieri, dove però è giunto senza vita. Illeso, invece, il terzo operaio che era a lavoro con loro.
Le cause e la dinamica del grave incidente sono comunque al vaglio. Le indagini sono affidate alla compagnia dei carabinieri di Lanciano, coordinati dal capitano Geremia Lugibello. È probabile che i due operai siano morti per un trauma da schiacciamento:
I lavoratori erano regolarmente assunti dalla ditta di Casoli e, dai primi rilievi dei carabinieri, risultavano anche a posto con le attrezzature di sicurezza. «Erano iscritti al registro di prevenzione», conferma il capitano Lugibello, «potrebbe essersi trattata di una mera fatalità». La Procura ha disposto il sequestro del cantiere. Sull'accaduto saranno comunque inviati rapporti alla magistratura e all'ispettorato del lavoro.
pc 20 aprile - ..l'aspetto principale da sostenere è quello delle rivolte popolari
Compagni sono completamente d'accordo, dialetticamente bisogna dire qual'è l'aspetto principale da sostenere è quello delle rivolte popolari. Esse sono una premessa indispensabile per la ripresa del Movimento Comunista in quest'area. Ricostruzione che non può non basarsi sull'assunzione del marxismo - leninismo - maoismo.
Che vuol dire questo? Che anche una rivoluzione democratica che rompa l'imperialismo in quest'area non può avere come direzione frazioni borghesi o perggio feudali (come quelle islamiche), ma deve essere proletaria basata sulla punta più avanzata dell'ideologia del proletariato.
Questo non è dogamtismo, ma è basarsi sul bilancio dell'esperienza. In Medio Oriente c'èera la presenza di forti partiti comunisti, ma guidati da una linea revisioni si erano ridotti a essere la sinistra dei fronti borghesi nazionalisti portando alla fine ogni credibilità fra le masse popolari e finendo massacrati prima dai regimi nazionalisti borghesi e poi dagli islamici.
La ricostruzione di partiti comunisti basati sul marxismo leninimo maoismo che comincino a sviluppare la guerra popolare di lunga durata in questa zona è una necessità oggettiva per l'emanciapzione dei proletari e delle masse popolari in questa zona come per quelle di tutto il mondo.
Sacchi Marco
Che vuol dire questo? Che anche una rivoluzione democratica che rompa l'imperialismo in quest'area non può avere come direzione frazioni borghesi o perggio feudali (come quelle islamiche), ma deve essere proletaria basata sulla punta più avanzata dell'ideologia del proletariato.
Questo non è dogamtismo, ma è basarsi sul bilancio dell'esperienza. In Medio Oriente c'èera la presenza di forti partiti comunisti, ma guidati da una linea revisioni si erano ridotti a essere la sinistra dei fronti borghesi nazionalisti portando alla fine ogni credibilità fra le masse popolari e finendo massacrati prima dai regimi nazionalisti borghesi e poi dagli islamici.
La ricostruzione di partiti comunisti basati sul marxismo leninimo maoismo che comincino a sviluppare la guerra popolare di lunga durata in questa zona è una necessità oggettiva per l'emanciapzione dei proletari e delle masse popolari in questa zona come per quelle di tutto il mondo.
Sacchi Marco
pc 20 aprile - ancora un immigrato tunisino ucciso sulla strada
arrivare con un barcone essere deportato e rinchiuso e poi morire sulla
strada
dopo la morte del tunisino asulla strada oria-manduria
un altro tunisino muore investito
slai cobas per il sindacato di classe taranto
Morte annunciata sulla statale
investito un tunisino del Cara
L'incidente è avvenuto poco prima della mezzanotte. La vittima è un
cittadino tunisino di 34 anni ospite del Cara. Come nel caso dell'immigrato
morto a Manduria, gli allarmi per la sicurezza dei migranti sulle strade
hanno preceduto la sciagura
Travolto e ucciso mentre camminava, poco prima di mezzanotte, diretto a
sud, sul bordo della corsia della tangenziale di Bari. La vittima è un
cittadino tunisino di 34 anni che risiedeva nel Cara, il centro per
richiedenti asilo di Bari-Palese, dove evidentemente stava tornando per
trascorrere la notte. Secondo accertamenti fatti dalla polizia stradale,
l'extracomunitario è stato investito dapprima da una Fiat Punto quindi da
una Chrysler Voyager, che seguiva l'utilitaria. Il conducente non è riuscito
a evitare l'impatto con il corpo dell'uomo. Uno degli automobilisti si è
fermato e gli ha prestato soccorso ma per lui non c'è stato nulla da fare.
Con sè la vittima aveva il tesserino del centro di accoglienza che si trova
nei pressi dell'aeroporto di Palese, non a grande distanza dal luogo
dell'incidente, nel quale però Imadi Choaib, queste le generalità ritrovate
sul documento, non si presentava più dal 30 marzo scorso.
L'incidente segue un altro investimento di un tunisino avvenuto lungo la
provinciale che collega la tendopoli di Manduria al centro di Oria. E
proprio come in quel caso, la sciagura era stata anticipata dalle polemiche
sulla sicurezza dei migranti senza senza mezzi di spostamento che a piedi
rischiavano ogni giorno lungo le strade pericolose. Nel caso di Manduria,
l'incidente è avvenuto dopo la soppressione del bus navetta allestito per
gli ospiti del centro di identificazione e accoglienza di contrada Paione
dopo le proteste dei cittadini di Oria. Ma anche nel caso dell'ultima
vittima, a Bari, non erano mancate le prese di posizione.
A segnalare il rischio che i migranti corrono sulle strade erano stati,
circa un mese fa, gli automobilisti ma anchee soprattutto gli autisti dell'
Amtab. E la polizia municipale aveva deciso di intervenire con una pattuglia
fissa all'altezza dello svincolo B di via Napoli, sulla statale 16, dalle 8
alle 20. "Non è colpa degli immigrati. Ma loro non possono conoscere la
viabilità della nostra città", spiegava Bartolomeo Lanzolla, rappresentante
della Faisa Cisal all' Amtab. Può capitare così che, anche nelle ore serali,
gli ospiti del Cara attraversino la statale 16, mettendo a rischio la
propria vita e quella degli automobilisti. Partendo dal lato mare,
scavalcano lo spartitraffico, per raggiungere la fermata dell'Amtab: "I
nostri autisti hanno segnalato il problema che riguarda la sicurezza di
questi migranti e degli automobilisti", la conferma di Di Matteo, presidente
dell' Amtab.
Al Cara dopo l'ondata di sbarchi a Lampedusa il numero dei migranti è
cresciuto. Sono soprattutto giovani che, a Bari, hanno fatto richiesta di
riconoscimento dello status di rifugiati politici e che adesso attendono la
risposta della commissione. Dalla struttura possono uscire. Lo fanno a
gruppi, spesso recandosi nel centro cittadino. Accanto ai vigili urbani, era
stato previsti anche un potenziamento dei controlli predisposto dalla
polizia stradale. I migranti raggiungono la città con una navetta, un
servizio organizzato in passato dalla prefettura. Ma il bus si ferma vicino
alle piscine comunali e i migranti per raggiungere il centro cittadino sono
costretti a salire su altri autobus dell' Amtab, magari già pieni. Oppure
può accadere che altri cittadini non trovino posto perché gli ospiti del
centro immigrati si spostano in gruppi sempre più numerosi. E allora la
convivenza può diventare complicata. Questo il timore del presidente
dell'Amtab Di Matteo che ha scitto anche al prefetto lanciando un vero e
proprio appello: "È necessario intervenire immediatamente perché questa
situazione può generare atti di razzismo
strada
dopo la morte del tunisino asulla strada oria-manduria
un altro tunisino muore investito
slai cobas per il sindacato di classe taranto
Morte annunciata sulla statale
investito un tunisino del Cara
L'incidente è avvenuto poco prima della mezzanotte. La vittima è un
cittadino tunisino di 34 anni ospite del Cara. Come nel caso dell'immigrato
morto a Manduria, gli allarmi per la sicurezza dei migranti sulle strade
hanno preceduto la sciagura
Travolto e ucciso mentre camminava, poco prima di mezzanotte, diretto a
sud, sul bordo della corsia della tangenziale di Bari. La vittima è un
cittadino tunisino di 34 anni che risiedeva nel Cara, il centro per
richiedenti asilo di Bari-Palese, dove evidentemente stava tornando per
trascorrere la notte. Secondo accertamenti fatti dalla polizia stradale,
l'extracomunitario è stato investito dapprima da una Fiat Punto quindi da
una Chrysler Voyager, che seguiva l'utilitaria. Il conducente non è riuscito
a evitare l'impatto con il corpo dell'uomo. Uno degli automobilisti si è
fermato e gli ha prestato soccorso ma per lui non c'è stato nulla da fare.
Con sè la vittima aveva il tesserino del centro di accoglienza che si trova
nei pressi dell'aeroporto di Palese, non a grande distanza dal luogo
dell'incidente, nel quale però Imadi Choaib, queste le generalità ritrovate
sul documento, non si presentava più dal 30 marzo scorso.
L'incidente segue un altro investimento di un tunisino avvenuto lungo la
provinciale che collega la tendopoli di Manduria al centro di Oria. E
proprio come in quel caso, la sciagura era stata anticipata dalle polemiche
sulla sicurezza dei migranti senza senza mezzi di spostamento che a piedi
rischiavano ogni giorno lungo le strade pericolose. Nel caso di Manduria,
l'incidente è avvenuto dopo la soppressione del bus navetta allestito per
gli ospiti del centro di identificazione e accoglienza di contrada Paione
dopo le proteste dei cittadini di Oria. Ma anche nel caso dell'ultima
vittima, a Bari, non erano mancate le prese di posizione.
A segnalare il rischio che i migranti corrono sulle strade erano stati,
circa un mese fa, gli automobilisti ma anchee soprattutto gli autisti dell'
Amtab. E la polizia municipale aveva deciso di intervenire con una pattuglia
fissa all'altezza dello svincolo B di via Napoli, sulla statale 16, dalle 8
alle 20. "Non è colpa degli immigrati. Ma loro non possono conoscere la
viabilità della nostra città", spiegava Bartolomeo Lanzolla, rappresentante
della Faisa Cisal all' Amtab. Può capitare così che, anche nelle ore serali,
gli ospiti del Cara attraversino la statale 16, mettendo a rischio la
propria vita e quella degli automobilisti. Partendo dal lato mare,
scavalcano lo spartitraffico, per raggiungere la fermata dell'Amtab: "I
nostri autisti hanno segnalato il problema che riguarda la sicurezza di
questi migranti e degli automobilisti", la conferma di Di Matteo, presidente
dell' Amtab.
Al Cara dopo l'ondata di sbarchi a Lampedusa il numero dei migranti è
cresciuto. Sono soprattutto giovani che, a Bari, hanno fatto richiesta di
riconoscimento dello status di rifugiati politici e che adesso attendono la
risposta della commissione. Dalla struttura possono uscire. Lo fanno a
gruppi, spesso recandosi nel centro cittadino. Accanto ai vigili urbani, era
stato previsti anche un potenziamento dei controlli predisposto dalla
polizia stradale. I migranti raggiungono la città con una navetta, un
servizio organizzato in passato dalla prefettura. Ma il bus si ferma vicino
alle piscine comunali e i migranti per raggiungere il centro cittadino sono
costretti a salire su altri autobus dell' Amtab, magari già pieni. Oppure
può accadere che altri cittadini non trovino posto perché gli ospiti del
centro immigrati si spostano in gruppi sempre più numerosi. E allora la
convivenza può diventare complicata. Questo il timore del presidente
dell'Amtab Di Matteo che ha scitto anche al prefetto lanciando un vero e
proprio appello: "È necessario intervenire immediatamente perché questa
situazione può generare atti di razzismo
pc 20 aprile - con Firenze antifascista il 25 aprile
25 APRILE 2011: CONTRO LA GUERRA IMPERIALISTA
PER LA LIBERTA' E L' AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI
Il 25 Aprile la Firenze antifascista sarà ancora una volta in Piazza S.
Spirito per festeggiare l’anniversario della Liberazione dal
nazifascismo: sarà una giornata di mobilitazione per ribadire ancora
oggi l’attualità dei valori della Resistenza.
In gran parte d'Italia, così come a Firenze, il fascismo fu combattuto e
sconfitto da coloro che decisero di costituire le Brigate Partigiane,
dai giovani che si unirono a loro sulle montagne per non servire i
traditori della repubblica fantoccio di Salò, dalla lotta clandestina
dei GAP nelle città, dagli operai che nelle fabbriche si organizzarono
nelle SAP per portare a termine azioni di sabotaggio del regime e di
sostegno alla lotta di liberazione, e da tutti coloro che decisero di
appoggiarli, nasconderli anche a prezzo della loro vita.
Da anni ormai, anche con la responsabilità di ampi settori del centro
sinistra, assistiamo al tentativo di equiparare fascisti e repubblichini
ai Partigiani, relegando la Resistenza ad un fatto storico al fine di
svuotarlo di quegli ideali di libertà, uguaglianza e giustizia che la
ispirarono e che sono oggi più che mai attuali.
Se da una parte si occulta con ogni mezzo il filo nero che lega il
fascismo di ieri con quello odierno, dall'altra si cerca di far passare
come assassini coloro che fin da subito lo videro e che vedendo girare
nuovamente indisturbati picchiatori, aguzzini, repubblichini e sbirri,
responsabili e complici delle peggiori efferatezze, decisero che con il
25 Aprile la Resistenza non doveva smobilitare.
Oggi possiamo dire che avevano ragione! La vergognosa proposta di legge
del Pdl di cancellare il divieto di riorganizzazione del Partito
Fascista tra i cui firmatari troviamo Achille Totaro, lo stesso che ha
infangato la memoria di Fanciullacci definendolo un “vigliacco
assassino”, l'aperto finanziamento con milioni di euro pubblici delle
organizzazioni giovanili di estrema destra grazie anche alla politica di
sostegno alle “Comunità giovanili” del ministro Meloni, la proposta di
istituzione di una Milizia regionale pronta ad intervenire in caso di
calamità naturali, emergenze e gestione dell’ordine pubblico, non sono
un salto indietro di 80 anni, ma la realtà del nostro presente!
Oggi come allora la realtà che viviamo è quella di un paese in guerra
dove il futuro di giovani e lavoratori è sempre più compromesso e dove
le risorse disponibili sono dirottate verso l'industria bellica e
l'apparato militare necessari a nuove imprese “coloniali”, spese che la
popolazione è costretta a pagare complessivamente ben 25.000.000.000 di
euro all'anno. Il nostro stesso territorio è occupato da basi USA e Nato
da dove partono le azioni militari che permettono di esercitare meglio
la pressione per imporre l'egemonia economica e politica
dell'imperialismo nel Mediterraneo e nel resto del mondo.
Oggi come ieri Resistenza significa affermare che solo con
l'abbattimento delle ragioni storiche che hanno generato il fascismo,
che lo hanno foraggiato, protetto ed infine amnistiato, renderemo il
giusto onore a chi lo ha combattuto, e creeremo le condizioni perché
esso venga una volta per tutte cancellato. In un paese dove chi
giustamente si ribella, viene represso con l' applicazione di misure
restrittive, come “avvisi orali” e “sorveglianza speciale”, che non a
caso ancora oggi derivano dall'applicazione del codice penale fascista,
il nostro impegno deve essere quello di proseguire la lotta contro il
fascismo di oggi, in tutte le sue forme, contrastando con ogni mezzo il
suo ripresentarsi. Dalla lotta contro l'apertura di sedi di
organizzazioni fasciste nelle nostre città a quella in difesa di scuola
e Università pubbliche e libere, dalla difesa del territorio da
speculazione e nocività all'appoggio agli operai che continueranno a
dire NO al Marchionne di turno, dal sostegno agli immigrati che
rivendicano i propri diritti e organizzano le rivolte nei CIE alla
mobilitazione contro le vecchie e nuove guerre dobbiamo avere la
capacità di attualizzare il significato della Resistenza. Solo così
potremo degnamente festeggiarla.
Il nemico in casa nostra non sono gli immigrati ma i governi della
guerra e della disoccupazione, i capitalisti che sfruttano i lavoratori
italiani e stranieri, le istituzioni che tollerano e proteggono i fascisti!
ORA E SEMPRE RESISTENZA
Firenze Antifascista
PER LA LIBERTA' E L' AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI
Il 25 Aprile la Firenze antifascista sarà ancora una volta in Piazza S.
Spirito per festeggiare l’anniversario della Liberazione dal
nazifascismo: sarà una giornata di mobilitazione per ribadire ancora
oggi l’attualità dei valori della Resistenza.
In gran parte d'Italia, così come a Firenze, il fascismo fu combattuto e
sconfitto da coloro che decisero di costituire le Brigate Partigiane,
dai giovani che si unirono a loro sulle montagne per non servire i
traditori della repubblica fantoccio di Salò, dalla lotta clandestina
dei GAP nelle città, dagli operai che nelle fabbriche si organizzarono
nelle SAP per portare a termine azioni di sabotaggio del regime e di
sostegno alla lotta di liberazione, e da tutti coloro che decisero di
appoggiarli, nasconderli anche a prezzo della loro vita.
Da anni ormai, anche con la responsabilità di ampi settori del centro
sinistra, assistiamo al tentativo di equiparare fascisti e repubblichini
ai Partigiani, relegando la Resistenza ad un fatto storico al fine di
svuotarlo di quegli ideali di libertà, uguaglianza e giustizia che la
ispirarono e che sono oggi più che mai attuali.
Se da una parte si occulta con ogni mezzo il filo nero che lega il
fascismo di ieri con quello odierno, dall'altra si cerca di far passare
come assassini coloro che fin da subito lo videro e che vedendo girare
nuovamente indisturbati picchiatori, aguzzini, repubblichini e sbirri,
responsabili e complici delle peggiori efferatezze, decisero che con il
25 Aprile la Resistenza non doveva smobilitare.
Oggi possiamo dire che avevano ragione! La vergognosa proposta di legge
del Pdl di cancellare il divieto di riorganizzazione del Partito
Fascista tra i cui firmatari troviamo Achille Totaro, lo stesso che ha
infangato la memoria di Fanciullacci definendolo un “vigliacco
assassino”, l'aperto finanziamento con milioni di euro pubblici delle
organizzazioni giovanili di estrema destra grazie anche alla politica di
sostegno alle “Comunità giovanili” del ministro Meloni, la proposta di
istituzione di una Milizia regionale pronta ad intervenire in caso di
calamità naturali, emergenze e gestione dell’ordine pubblico, non sono
un salto indietro di 80 anni, ma la realtà del nostro presente!
Oggi come allora la realtà che viviamo è quella di un paese in guerra
dove il futuro di giovani e lavoratori è sempre più compromesso e dove
le risorse disponibili sono dirottate verso l'industria bellica e
l'apparato militare necessari a nuove imprese “coloniali”, spese che la
popolazione è costretta a pagare complessivamente ben 25.000.000.000 di
euro all'anno. Il nostro stesso territorio è occupato da basi USA e Nato
da dove partono le azioni militari che permettono di esercitare meglio
la pressione per imporre l'egemonia economica e politica
dell'imperialismo nel Mediterraneo e nel resto del mondo.
Oggi come ieri Resistenza significa affermare che solo con
l'abbattimento delle ragioni storiche che hanno generato il fascismo,
che lo hanno foraggiato, protetto ed infine amnistiato, renderemo il
giusto onore a chi lo ha combattuto, e creeremo le condizioni perché
esso venga una volta per tutte cancellato. In un paese dove chi
giustamente si ribella, viene represso con l' applicazione di misure
restrittive, come “avvisi orali” e “sorveglianza speciale”, che non a
caso ancora oggi derivano dall'applicazione del codice penale fascista,
il nostro impegno deve essere quello di proseguire la lotta contro il
fascismo di oggi, in tutte le sue forme, contrastando con ogni mezzo il
suo ripresentarsi. Dalla lotta contro l'apertura di sedi di
organizzazioni fasciste nelle nostre città a quella in difesa di scuola
e Università pubbliche e libere, dalla difesa del territorio da
speculazione e nocività all'appoggio agli operai che continueranno a
dire NO al Marchionne di turno, dal sostegno agli immigrati che
rivendicano i propri diritti e organizzano le rivolte nei CIE alla
mobilitazione contro le vecchie e nuove guerre dobbiamo avere la
capacità di attualizzare il significato della Resistenza. Solo così
potremo degnamente festeggiarla.
Il nemico in casa nostra non sono gli immigrati ma i governi della
guerra e della disoccupazione, i capitalisti che sfruttano i lavoratori
italiani e stranieri, le istituzioni che tollerano e proteggono i fascisti!
ORA E SEMPRE RESISTENZA
Firenze Antifascista
pc 20 aprile - nuovo processo a Molfetta per la strage della cisterna ..imputato qui è l'ENI
info a cura della Rete nazionale sicurezza sui posti di lavoro - Taranto
bastamortesullavoro@gmail.com
347-1102638
Importante in questo processo l'incriminazione dell'ENI, ottenuta anche grazie all'azione dei familiari delle vittime e della Rete che con un esposto denuncia l'ha pone sul banco degli inquisiti anche a Taranto - inchiesta in corso.
Il 3 marzo 2008 il titolare dell'azienda e quattro operai morirono asfissiati per le esalazioni provenienti da una cisterna che stavano lavando. Dei 20 imputati, 15 sono accusati di omicidio colposo aggravato plurimo e lesioni colpose.
Il gup del Tribunale di Trani, Margherita Grippo, ha ammesso la costituzione di parte civile della Regione Puglia (rappresentata dall'avvocato Giuseppe Losappio) e del Comune di Molfetta (avvocato Francesco Logrieco) nei confronti delle 17 persone fisiche imputate nel procedimento-bis per la tragedia alla Truck Center di Molfetta, dove il 3 marzo 2008 il titolare dell'azienda e quattro operai morirono asfissiati per le esalazioni provenienti da una cisterna che stavano lavando.
La decisione è stata presa al termine della seconda udienza preliminare svoltasi oggi al Tribunale di Trani. Il giudice non ha invece ammesso la costituzione di parte civile della Regione Puglia nei confronti delle tre persone giuridiche imputate nello stesso procedimento, ovvero le società Eni spa, Nuova Solmine spa e Meleam Puglia srl.
L'udienza è stata aggiornata al 22 luglio prossimo. Dei 20 imputati, 15 sono accusati di omicidio colposo aggravato plurimo e lesioni colpose. Si tratta di amministratori e dirigenti delle tre società coinvolte nell'inchiesta. Le società rispondono di illecito amministrativo e un imputato di sola falsa testimonianza.
Il primo processo si concluse il 26 ottobre 2009 con la condanna a quattro anni di reclusione dei dirigenti della Fs Logistica Alessandro Buonopane e Mario Castaldo e di Pasquale Campanile, dirigente della società 'La 5 Biotrans', incaricata del trasporto della cisterna.
bastamortesullavoro@gmail.com
347-1102638
Importante in questo processo l'incriminazione dell'ENI, ottenuta anche grazie all'azione dei familiari delle vittime e della Rete che con un esposto denuncia l'ha pone sul banco degli inquisiti anche a Taranto - inchiesta in corso.
Il 3 marzo 2008 il titolare dell'azienda e quattro operai morirono asfissiati per le esalazioni provenienti da una cisterna che stavano lavando. Dei 20 imputati, 15 sono accusati di omicidio colposo aggravato plurimo e lesioni colpose.
Il gup del Tribunale di Trani, Margherita Grippo, ha ammesso la costituzione di parte civile della Regione Puglia (rappresentata dall'avvocato Giuseppe Losappio) e del Comune di Molfetta (avvocato Francesco Logrieco) nei confronti delle 17 persone fisiche imputate nel procedimento-bis per la tragedia alla Truck Center di Molfetta, dove il 3 marzo 2008 il titolare dell'azienda e quattro operai morirono asfissiati per le esalazioni provenienti da una cisterna che stavano lavando.
La decisione è stata presa al termine della seconda udienza preliminare svoltasi oggi al Tribunale di Trani. Il giudice non ha invece ammesso la costituzione di parte civile della Regione Puglia nei confronti delle tre persone giuridiche imputate nello stesso procedimento, ovvero le società Eni spa, Nuova Solmine spa e Meleam Puglia srl.
L'udienza è stata aggiornata al 22 luglio prossimo. Dei 20 imputati, 15 sono accusati di omicidio colposo aggravato plurimo e lesioni colpose. Si tratta di amministratori e dirigenti delle tre società coinvolte nell'inchiesta. Le società rispondono di illecito amministrativo e un imputato di sola falsa testimonianza.
Il primo processo si concluse il 26 ottobre 2009 con la condanna a quattro anni di reclusione dei dirigenti della Fs Logistica Alessandro Buonopane e Mario Castaldo e di Pasquale Campanile, dirigente della società 'La 5 Biotrans', incaricata del trasporto della cisterna.
pc 20 aprile - contro la guerra imperialista in Libia, ma non solo per favore !!!
Contro la guerra imperialista in Libia, ma non solo, per favore!!!
Esponenti del movimento contro la guerra anche alla assemblea nazionale di Napoli del 16 aprile, insistono su un punto giusto: non si può essere equidistanti tra Libia e attacco imperialista alla Libia, non si può sostenere la parola d'ordine "nè con Gheddafi, nè con l'imperialismo".
Ma qualcosa deve pur essere aggiunta a queste affermazioni per noi scontate.
Se l'imperialismo attacca la Libia, essa va sostenuta con il suo legittimo governo. Ma non esiste solo questo.
I regimi arabi e del Maghreb e Golfo persico, da Mubarak a Ben Ali, da Buteflika ai sauditi, dal regime siriano a quelle del Barhein, sono tutti regimi reazionari al servizio delle borghesie nazionali e compradore dell'area - servivano già l'imperialismo, prima come pedine del socialimperialismo sovietico, oggi nel complesso equilibrio multipolare dell'area.
Tutti questi regimi debbono essere rovesciati dai proletari e delle masse e a questo deve andare il massimo sostegno dei comunisti, degli antimperialisti coerenti in tutto il mondo e anche nel nostro paese. La questione principale non è l'aggressione imperialista alla Libia ma le rivolte giovanili e popolari in tutta l'area.
ll regime di Gheddafi è stato in questi ultimi anni al servizio degli interessi economici e politici dei governi occidentali e del governo italiano in particolare, con accordi sullo sfruttamento energetico, forniture di armamenti, controllo e mercato dell'immigrazione; e lo continuerà ad essere anche in futuro.
Se sono certamente ambigui e falso antimperialisti coloro che dicono, a fronte di una
aggressione come quella alla Libia, non si può dire nè con Gheddafi, nè con la Nato, e non combattono coerentemente contro di essa e contro il ruolo in esso dell'imperialismo italiano, in concorrenza collusione con gli altri imperialismi, in prima fila USA, Francia, Gran Bretagna; lo sono anche coloro che non colgono in questa fase la priorità del sostegno rivoluzionario alle rivolte giovanili e popolari come aspetto principale della contesa nell'area.
I comunisti marxisti-leninisti-maoisti sono in Italia e nel mondo l'unico punto di vista coerente nella situazione attuale.
Proletari comunisti
ro.red@libero.it
20 aprile 2011
Esponenti del movimento contro la guerra anche alla assemblea nazionale di Napoli del 16 aprile, insistono su un punto giusto: non si può essere equidistanti tra Libia e attacco imperialista alla Libia, non si può sostenere la parola d'ordine "nè con Gheddafi, nè con l'imperialismo".
Ma qualcosa deve pur essere aggiunta a queste affermazioni per noi scontate.
Se l'imperialismo attacca la Libia, essa va sostenuta con il suo legittimo governo. Ma non esiste solo questo.
I regimi arabi e del Maghreb e Golfo persico, da Mubarak a Ben Ali, da Buteflika ai sauditi, dal regime siriano a quelle del Barhein, sono tutti regimi reazionari al servizio delle borghesie nazionali e compradore dell'area - servivano già l'imperialismo, prima come pedine del socialimperialismo sovietico, oggi nel complesso equilibrio multipolare dell'area.
Tutti questi regimi debbono essere rovesciati dai proletari e delle masse e a questo deve andare il massimo sostegno dei comunisti, degli antimperialisti coerenti in tutto il mondo e anche nel nostro paese. La questione principale non è l'aggressione imperialista alla Libia ma le rivolte giovanili e popolari in tutta l'area.
ll regime di Gheddafi è stato in questi ultimi anni al servizio degli interessi economici e politici dei governi occidentali e del governo italiano in particolare, con accordi sullo sfruttamento energetico, forniture di armamenti, controllo e mercato dell'immigrazione; e lo continuerà ad essere anche in futuro.
Se sono certamente ambigui e falso antimperialisti coloro che dicono, a fronte di una
aggressione come quella alla Libia, non si può dire nè con Gheddafi, nè con la Nato, e non combattono coerentemente contro di essa e contro il ruolo in esso dell'imperialismo italiano, in concorrenza collusione con gli altri imperialismi, in prima fila USA, Francia, Gran Bretagna; lo sono anche coloro che non colgono in questa fase la priorità del sostegno rivoluzionario alle rivolte giovanili e popolari come aspetto principale della contesa nell'area.
I comunisti marxisti-leninisti-maoisti sono in Italia e nel mondo l'unico punto di vista coerente nella situazione attuale.
Proletari comunisti
ro.red@libero.it
20 aprile 2011
pc 20 aprile - il governo rinuncia alle nuove centrali nucleari ?
Il governo annuncia la rinuncia al nuovo piano di costruzione delle centrali nucleari..effetto Fukushima ma anche una mossa tattica per rendere inutile il referendum e la sua quasi certa vittoria dell'abrogazione
E' comunque una vittoria del movimento antinucleare..
Il nucleare risponde agli interessi economici dei padroni sia della riduzione in questa forma dei costi energetici sia come grande business e volano di un’economia sempre più nuclearizzata e di guerra che dà più profitti ed è la vera uscita dalla crisi per il capitale, sia nel quadro geostrategico di ridurre la dipendenza dalla aree turbolenti del petrolio. In Italia esiste una lobby affaristica, corrotta e mafiosa che ha il centro in questo governo ma che è trasversale e comprende ministri, forze dell’”opposizione”, banchieri, scienziati.
Pensiamo che questa lobby non rinuncerà e farà affidamento su un nuovo governo dei padroni - sostenuto dalle attuali forze dell'opposizione parlamentare, PD in testa, per ritornare alla carica, svanito l'effetto Fukushima
proletari comunisti
20 aprile 2011
E' comunque una vittoria del movimento antinucleare..
Il nucleare risponde agli interessi economici dei padroni sia della riduzione in questa forma dei costi energetici sia come grande business e volano di un’economia sempre più nuclearizzata e di guerra che dà più profitti ed è la vera uscita dalla crisi per il capitale, sia nel quadro geostrategico di ridurre la dipendenza dalla aree turbolenti del petrolio. In Italia esiste una lobby affaristica, corrotta e mafiosa che ha il centro in questo governo ma che è trasversale e comprende ministri, forze dell’”opposizione”, banchieri, scienziati.
Pensiamo che questa lobby non rinuncerà e farà affidamento su un nuovo governo dei padroni - sostenuto dalle attuali forze dell'opposizione parlamentare, PD in testa, per ritornare alla carica, svanito l'effetto Fukushima
proletari comunisti
20 aprile 2011
pc 20 aprile - la Rete per la sicurezza sui posti di lavoro contro il sistema ERGO-UAS alla Fiat Sata Melfi
IL SISTEMA ERGO-UAS ALLA FIAT DI MELFI
.
Tale metodo, di fatto contrario ai principi stabiliti dalla normativa di tutela della salute dei lavoratori, consente di spingere al massimo la cadenza della linea e di ridurre le pause per i lavoratori fino al massimo consentito dalla fisiologia umana.
Da tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro voglio mettere in evidenza gli aspetti decisamente negativi che tale metodologia ha sulla salute dei lavoratori delle linee di produzione.
Già oggi, da un’ inchiesta della FIOM basata su interviste realizzate con 100.000 operai, risulta che il 68% degli intervistati lamenta movimenti ripetuti delle braccia e delle mani, mentre il 32% (ma la percentuale sale al 44% tra gli operai di 3° livello) lamenta posizioni disagiate che provocano dolore. Soprattutto, il 40% degli intervistati, 47% tra le donne, ritiene che la propria salute sia stata compromessa dalla condizione di lavoro.
Teoricamente la metodologia ERGO-UAS dovrebbe consentire di valutare il rischio da sovraccarico biomeccanico di tutto il corpo, mediante un sistema molto sofisticato, in modo da definire il tempo esatto che una certa funzione richiede e il tempo di riposo necessario per evitare di pesare sulla salute degli operai.
In realtà tale metodo ha il solo obiettivo di far lavorare di più gli operai, riducendo i tempi morti o quelle operazioni “a non valore aggiunto”, pesando alla fine moltissimo sulla salute.
Per capire il problema è sufficiente un esempio: applicando il sistema ERGO-UAS la Fiat arriva a ridurre le pause a 30 minuti nell’ arco delle 8 ore lavorative. Secondo un altro modello, l’ OCRA (OCcupational Ripetitive Actions), le pause dovrebbero essere di 10 minuti ogni 50 minuti continuativi di lavoro, quindi almeno il doppio.
Voglio ricordare che relativamente alla normativa di tutela della salute dei lavoratori rispetto alla movimentazione manuale dei carichi, gli obblighi per il datore di lavoro sono sanciti, all’ interno del Titolo VI “Movimentazione manuale dei carichi” del D.Lgs.81/08, dall’ articolo 168, che recita:
“1. Il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie e ricorre ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori.
2. Qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, tenendo conto dell’ allegato XXXIII, ed in particolare:
a) organizza i posti di lavoro in modo che detta movimentazione assicuri condizioni di sicurezza e salute;
b) valuta, se possibile anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di salute connesse al lavoro in questione tenendo conto dell’ allegato XXXIII;
c) evita o riduce i rischi, particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando le misure adeguate, tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle caratteristiche dell’ ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività comporta, in base all’ allegato XXXIII;
d) sottopone i lavoratori alla sorveglianza sanitaria di cui all’ articolo 41, sulla base della valutazione del rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all’ allegato XXXIII.
3. Le norme tecniche costituiscono criteri di riferimento per le finalità del presente articolo e dell’ allegato XXXIII, ove applicabili. Negli altri casi si può fare riferimento alle buone prassi e alle linee guida.”
Il richiamato allegato XXXIII riporta le seguenti indicazioni.
“ALLEGATO XXXIII MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI
La prevenzione del rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari, connesse alle attività lavorative di movimentazione manuale dei carichi dovrà considerare, in modo integrato, il complesso degli elementi di riferimento e dei fattori individuali di rischio riportati nel presente allegato.
ELEMENTI DI RIFERIMENTO
1. Caratteristiche del carico.
La movimentazione manuale di un carico può costituire un rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari nei seguenti casi:
il carico è troppo pesante;
è ingombrante o difficile da afferrare;
è in equilibrio instabile o il suo contenuto rischia di spostarsi;
è collocato in una posizione tale per cui deve essere tenuto o maneggiato a una certa distanza dal tronco o con una torsione o inclinazione del tronco;
può, a motivo della struttura esterna e/o della consistenza, comportare lesioni per il lavoratore, in particolare in caso di urto.
2. Sforzo fisico richiesto.
Lo sforzo fisico può presentare rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari nei seguenti casi:
è eccessivo;
può essere effettuato soltanto con un movimento di torsione del tronco;
può comportare un movimento brusco del carico;
è compiuto col corpo in posizione instabile.
3. Caratteristiche dell’ ambiente di lavoro.
Le caratteristiche dell’ ambiente di lavoro possono aumentare le possibilità di rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari nei seguenti casi:
lo spazio libero, in particolare verticale, è insufficiente per lo svolgimento dell’ attività richiesta;
il pavimento è ineguale, quindi presenta rischi di inciampo o è scivoloso
il posto o l’ ambiente di lavoro non consentono al lavoratore la movimentazione manuale di carichi a un’ altezza di sicurezza o in buona posizione;
il pavimento o il piano di lavoro presenta dislivelli che implicano la manipolazione del carico a livelli diversi;
il pavimento o il punto di appoggio sono instabili;
la temperatura, l’ umidità o la ventilazione sono inadeguate.
4. Esigenze connesse all’ attività.
L’ attività può comportare un rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari se comporta una o più delle seguenti esigenze:
sforzi fisici che sollecitano in particolare la colonna vertebrale, troppo frequenti o troppo prolungati;
pause e periodi di recupero fisiologico insufficienti;
distanze troppo grandi di sollevamento, di abbassamento o di trasporto;
un ritmo imposto da un processo che non può essere modulato dal lavoratore.
FATTORI INDIVIDUALI DI RISCHIO
Fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in tema di tutela e sostegno della maternità e di protezione dei giovani sul lavoro, il lavoratore può correre un rischio nei seguenti casi:
inidoneità fisica a svolgere il compito in questione tenuto altresì conto delle differenze di genere e di età;
indumenti, calzature o altri effetti personali inadeguati portati dal lavoratore;
insufficienza o inadeguatezza delle conoscenze o della formazione o dell’ addestramento
RIFERIMENTI A NORME TECNICHE
Le norme tecniche della serie ISO 11228 (parti 1-2-3) relative alle attività di movimentazione manuale (sollevamento, trasporto, traino, spinta, movimentazione di carichi leggeri ad alta frequenza) sono da considerarsi tra quelle previste all’ articolo 168, comma 3. “
La non osservanza dei commi 1 e 2 dell’ articolo 168 del D.Lgs.81/08 è punito penalmente dall’ articolo 170 del medesimo Decreto con l’ arresto da tre a sei mesi o con l’ ammenda da 2.500 a 6.400 euro.
Ovviamente, se dalla non osservanza degli obblighi sopra citati derivano danni alla salute dei lavoratori, il reato diventa quello di lesioni personali colpose, come sancito dall’ articolo 590 del Codice Penale:
“Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a 309 euro. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 123 a 619 euro; se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da 309 a 1.239 euro. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da 500 a 2.000 euro e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni”.
E’ evidente che quanto proposto da Fiat, cioè di adottare la metodologia ERGO-UAS per aumentare le cadenze produttive è in palese violazione con quanto stabilito dall’ articolo 168 e dall’ allegato XXXIII del Testo Unico.
Innanzitutto la metodologia ERGO-UAS proposta (a proprio uso e consumo) da Fiat non rientra tra quelle previste dal comma 3 dell’ articolo 168 e indicate nell’ allegato XXXIII, che sono invece le norme della famiglia ISO 11228 (parti 1-2-3), all’ interno delle quali rientra la metodologia OCRA sopra richiamata.
A parte l’ aspetto formale, da un punto di vista sostanziale la metodologia ERGO-UAS sottostima il rischio da movimentazione ripetuta degli arti superiori rispetto al metodo OCRA.
Oltre a questo, il concetto proposto da Fiat è in totale disaccordo col principio di riduzione continua del rischio grazie all’ evoluzione della tecnica, richiamato dal comma 2 dell’ articolo 168, che impone che “il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi”.
Secondo tale principio, prima di tutto occorre valutare l’ attuale situazione di rischio per la movimentazione manuale dei carichi lungo le linee di produzione degli stabilimenti Fiat, secondo metodiche consolidate e richiamate dal testo di legge
Tenendo conto dei dati sopra riportati, tale rischio è evidentemente alto. Come d’ altro canto è confermato da quanto affermato dall’ allegato XXXIII del Testo Unico, quando specifica che “L’ attività può comportare un rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari se comporta una o più delle seguenti esigenze: sforzi fisici che sollecitano in particolare la colonna vertebrale troppo frequenti o troppo prolungati; pause e periodi di recupero fisiologico insufficienti; un ritmo imposto da un processo che non può essere modulato dal lavoratore”.
A seguito di fattori di rischio alti per la salute dei lavoratori, Fiat dovrebbe adottare tecnologie per ridurre o eliminare la movimentazione dei carichi (cioè investimenti negli impianti) o, in alternativa, ridurre la velocità della linea. Infatti è evidente che il rischio da movimentazione è direttamente proporzionale alla frequenza dei movimenti e quindi alla cadenza produttiva della linea.
Quello che propone Fiat è invece l’ esatto contrario: aumentare la cadenza della linea, fino ad arrivare a raggiungere il massimo sforzo ammissibile per i lavoratori, utilizzando, tra l’ altro, per valutare tale massimo sforzo, metodiche non riconosciute a livello scientifico, né normativo.
E’ evidente che la filosofia Fiat di sfruttare i lavoratori fino al massimo consentito dall’ organismo umano è assolutamente contrario, oltre che a ogni principio etico e morale (ma nessuno dubita che Marchionne e soci conoscano questi termini), anche a quanto previsto dalle leggi dello Stato e dalle Direttive comunitarie.
Marco Spezia
rete sicurezza sui posti di lavoro
.
Tale metodo, di fatto contrario ai principi stabiliti dalla normativa di tutela della salute dei lavoratori, consente di spingere al massimo la cadenza della linea e di ridurre le pause per i lavoratori fino al massimo consentito dalla fisiologia umana.
Da tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro voglio mettere in evidenza gli aspetti decisamente negativi che tale metodologia ha sulla salute dei lavoratori delle linee di produzione.
Già oggi, da un’ inchiesta della FIOM basata su interviste realizzate con 100.000 operai, risulta che il 68% degli intervistati lamenta movimenti ripetuti delle braccia e delle mani, mentre il 32% (ma la percentuale sale al 44% tra gli operai di 3° livello) lamenta posizioni disagiate che provocano dolore. Soprattutto, il 40% degli intervistati, 47% tra le donne, ritiene che la propria salute sia stata compromessa dalla condizione di lavoro.
Teoricamente la metodologia ERGO-UAS dovrebbe consentire di valutare il rischio da sovraccarico biomeccanico di tutto il corpo, mediante un sistema molto sofisticato, in modo da definire il tempo esatto che una certa funzione richiede e il tempo di riposo necessario per evitare di pesare sulla salute degli operai.
In realtà tale metodo ha il solo obiettivo di far lavorare di più gli operai, riducendo i tempi morti o quelle operazioni “a non valore aggiunto”, pesando alla fine moltissimo sulla salute.
Per capire il problema è sufficiente un esempio: applicando il sistema ERGO-UAS la Fiat arriva a ridurre le pause a 30 minuti nell’ arco delle 8 ore lavorative. Secondo un altro modello, l’ OCRA (OCcupational Ripetitive Actions), le pause dovrebbero essere di 10 minuti ogni 50 minuti continuativi di lavoro, quindi almeno il doppio.
Voglio ricordare che relativamente alla normativa di tutela della salute dei lavoratori rispetto alla movimentazione manuale dei carichi, gli obblighi per il datore di lavoro sono sanciti, all’ interno del Titolo VI “Movimentazione manuale dei carichi” del D.Lgs.81/08, dall’ articolo 168, che recita:
“1. Il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie e ricorre ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori.
2. Qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, tenendo conto dell’ allegato XXXIII, ed in particolare:
a) organizza i posti di lavoro in modo che detta movimentazione assicuri condizioni di sicurezza e salute;
b) valuta, se possibile anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di salute connesse al lavoro in questione tenendo conto dell’ allegato XXXIII;
c) evita o riduce i rischi, particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando le misure adeguate, tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle caratteristiche dell’ ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività comporta, in base all’ allegato XXXIII;
d) sottopone i lavoratori alla sorveglianza sanitaria di cui all’ articolo 41, sulla base della valutazione del rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all’ allegato XXXIII.
3. Le norme tecniche costituiscono criteri di riferimento per le finalità del presente articolo e dell’ allegato XXXIII, ove applicabili. Negli altri casi si può fare riferimento alle buone prassi e alle linee guida.”
Il richiamato allegato XXXIII riporta le seguenti indicazioni.
“ALLEGATO XXXIII MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI
La prevenzione del rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari, connesse alle attività lavorative di movimentazione manuale dei carichi dovrà considerare, in modo integrato, il complesso degli elementi di riferimento e dei fattori individuali di rischio riportati nel presente allegato.
ELEMENTI DI RIFERIMENTO
1. Caratteristiche del carico.
La movimentazione manuale di un carico può costituire un rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari nei seguenti casi:
il carico è troppo pesante;
è ingombrante o difficile da afferrare;
è in equilibrio instabile o il suo contenuto rischia di spostarsi;
è collocato in una posizione tale per cui deve essere tenuto o maneggiato a una certa distanza dal tronco o con una torsione o inclinazione del tronco;
può, a motivo della struttura esterna e/o della consistenza, comportare lesioni per il lavoratore, in particolare in caso di urto.
2. Sforzo fisico richiesto.
Lo sforzo fisico può presentare rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari nei seguenti casi:
è eccessivo;
può essere effettuato soltanto con un movimento di torsione del tronco;
può comportare un movimento brusco del carico;
è compiuto col corpo in posizione instabile.
3. Caratteristiche dell’ ambiente di lavoro.
Le caratteristiche dell’ ambiente di lavoro possono aumentare le possibilità di rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari nei seguenti casi:
lo spazio libero, in particolare verticale, è insufficiente per lo svolgimento dell’ attività richiesta;
il pavimento è ineguale, quindi presenta rischi di inciampo o è scivoloso
il posto o l’ ambiente di lavoro non consentono al lavoratore la movimentazione manuale di carichi a un’ altezza di sicurezza o in buona posizione;
il pavimento o il piano di lavoro presenta dislivelli che implicano la manipolazione del carico a livelli diversi;
il pavimento o il punto di appoggio sono instabili;
la temperatura, l’ umidità o la ventilazione sono inadeguate.
4. Esigenze connesse all’ attività.
L’ attività può comportare un rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari se comporta una o più delle seguenti esigenze:
sforzi fisici che sollecitano in particolare la colonna vertebrale, troppo frequenti o troppo prolungati;
pause e periodi di recupero fisiologico insufficienti;
distanze troppo grandi di sollevamento, di abbassamento o di trasporto;
un ritmo imposto da un processo che non può essere modulato dal lavoratore.
FATTORI INDIVIDUALI DI RISCHIO
Fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in tema di tutela e sostegno della maternità e di protezione dei giovani sul lavoro, il lavoratore può correre un rischio nei seguenti casi:
inidoneità fisica a svolgere il compito in questione tenuto altresì conto delle differenze di genere e di età;
indumenti, calzature o altri effetti personali inadeguati portati dal lavoratore;
insufficienza o inadeguatezza delle conoscenze o della formazione o dell’ addestramento
RIFERIMENTI A NORME TECNICHE
Le norme tecniche della serie ISO 11228 (parti 1-2-3) relative alle attività di movimentazione manuale (sollevamento, trasporto, traino, spinta, movimentazione di carichi leggeri ad alta frequenza) sono da considerarsi tra quelle previste all’ articolo 168, comma 3. “
La non osservanza dei commi 1 e 2 dell’ articolo 168 del D.Lgs.81/08 è punito penalmente dall’ articolo 170 del medesimo Decreto con l’ arresto da tre a sei mesi o con l’ ammenda da 2.500 a 6.400 euro.
Ovviamente, se dalla non osservanza degli obblighi sopra citati derivano danni alla salute dei lavoratori, il reato diventa quello di lesioni personali colpose, come sancito dall’ articolo 590 del Codice Penale:
“Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a 309 euro. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 123 a 619 euro; se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da 309 a 1.239 euro. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da 500 a 2.000 euro e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni”.
E’ evidente che quanto proposto da Fiat, cioè di adottare la metodologia ERGO-UAS per aumentare le cadenze produttive è in palese violazione con quanto stabilito dall’ articolo 168 e dall’ allegato XXXIII del Testo Unico.
Innanzitutto la metodologia ERGO-UAS proposta (a proprio uso e consumo) da Fiat non rientra tra quelle previste dal comma 3 dell’ articolo 168 e indicate nell’ allegato XXXIII, che sono invece le norme della famiglia ISO 11228 (parti 1-2-3), all’ interno delle quali rientra la metodologia OCRA sopra richiamata.
A parte l’ aspetto formale, da un punto di vista sostanziale la metodologia ERGO-UAS sottostima il rischio da movimentazione ripetuta degli arti superiori rispetto al metodo OCRA.
Oltre a questo, il concetto proposto da Fiat è in totale disaccordo col principio di riduzione continua del rischio grazie all’ evoluzione della tecnica, richiamato dal comma 2 dell’ articolo 168, che impone che “il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi”.
Secondo tale principio, prima di tutto occorre valutare l’ attuale situazione di rischio per la movimentazione manuale dei carichi lungo le linee di produzione degli stabilimenti Fiat, secondo metodiche consolidate e richiamate dal testo di legge
Tenendo conto dei dati sopra riportati, tale rischio è evidentemente alto. Come d’ altro canto è confermato da quanto affermato dall’ allegato XXXIII del Testo Unico, quando specifica che “L’ attività può comportare un rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari se comporta una o più delle seguenti esigenze: sforzi fisici che sollecitano in particolare la colonna vertebrale troppo frequenti o troppo prolungati; pause e periodi di recupero fisiologico insufficienti; un ritmo imposto da un processo che non può essere modulato dal lavoratore”.
A seguito di fattori di rischio alti per la salute dei lavoratori, Fiat dovrebbe adottare tecnologie per ridurre o eliminare la movimentazione dei carichi (cioè investimenti negli impianti) o, in alternativa, ridurre la velocità della linea. Infatti è evidente che il rischio da movimentazione è direttamente proporzionale alla frequenza dei movimenti e quindi alla cadenza produttiva della linea.
Quello che propone Fiat è invece l’ esatto contrario: aumentare la cadenza della linea, fino ad arrivare a raggiungere il massimo sforzo ammissibile per i lavoratori, utilizzando, tra l’ altro, per valutare tale massimo sforzo, metodiche non riconosciute a livello scientifico, né normativo.
E’ evidente che la filosofia Fiat di sfruttare i lavoratori fino al massimo consentito dall’ organismo umano è assolutamente contrario, oltre che a ogni principio etico e morale (ma nessuno dubita che Marchionne e soci conoscano questi termini), anche a quanto previsto dalle leggi dello Stato e dalle Direttive comunitarie.
Marco Spezia
rete sicurezza sui posti di lavoro
pc 20 aprile - SENTENZA THYSSEN KRUPP: UN IMPORTANTE PUNTO DI PARTENZA, MA NON BASTA!
SENTENZA THYSSEN KRUPP: UN IMPORTANTE PUNTO DI PARTENZA, MA NON BASTA!
E’ nota ormai a tutti l’ importantissima sentenza della Corte di Assise di Torino per il primo grado di processo per l’ eccidio della Thysenn Krupp.
Per l’ incidente della notte del 6 dicembre 2007 sulla linea 5 dello stabilimento Thysenn Krupp di Torino che costò la vita a 7 operai, la condanna è stata esemplare.
L’ amministratore delegato della Thysenn Krupp Herald Espenhahn è stato infatti condannato a 16 anni e mezzo di reclusione per il reato di omicidio volontario con dolo eventuale, mentre altri cinque dirigenti (Marco Pucci, Cosimo Cafueri, Giuseppe Salerno, Gerald Priegnitz e Daniele Moroni) sono stati condannati a pene detentive comprese tra i 10 e i 13 anni per il reato di omicidio colposo.
E’ sicuramente una sentenza molto importante per vari motivi, ma al di là di un primo momento di soddisfazione, occorre analizzare non solo i risvolti positivi che essa potrà fornire nella lotta per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, ma anche che cosa ancora rimane da fare.
Partiamo dalla consistenza della pena per l’ Amministratore Delegato e per i dirigenti della Thyssen Krupp. Per la prima volta in Italia viene comminata una pena detentiva superiore ai dieci anni per un infortunio mortale sul lavoro e questo è sicuramente un enorme passo in avanti rispetto a pene di pochi anni di reclusione. Per le pene comminate inoltre non si può applicare la sospensione condizionale e quindi esse dovrebbero essere effettive.
Ma l’ aspetto più importante è che per la prima volta in Italia un omicidio sul lavoro è stato rubricato, almeno per l’ amministratore delegato, come “volontario” e con dolo e non come semplice “colposo”.
Questo costituisce una novità epocale che potrebbe dare vita a un nuovo corso nel giudizio di datori di lavoro colpevoli di omicidio o lesioni sui luoghi di lavoro.
Ma al di là di questi dati sicuramente positivi, occorre avere il coraggio di esaminare anche i limiti e l’ ambito di questa sentenza.
Innanzitutto, al contrario di quanto scritto da qualcuno, questa sentenza non fa giurisprudenza. Per poterlo fare occorrerà attendere tutti i gradi del processo fino alla sentenza definitiva della Corte di Cassazione. E conoscendo la giustizia italiana, non dobbiamo meravigliarci se fino ad allora non succederà qualcosa che permetta ai padroni della Thyssen di pararsi il culo.
Ma anche se le condanne venissero confermate fino alla Cassazione, siamo sicuri che faranno veramente scuola in tutti i processi relativi a infortuni sul lavoro ?
Non dimentichiamoci che la strage della Thyssen Krupp, per il numero di morti e per le modalità stesse dell’ incidente, ha avuto un enorme risvolto mediatico, come assolutamente non hanno gli altri infortuni che comportano la morte di quattro lavoratori ogni giorno.
Sull’ aula della Corte di Assise di Torino erano puntati gli occhi di tutta Italia, grazie anche alla forte presenza delle associazioni che si battono per la salvaguardia dei lavoratori.
Non dimentichiamoci ancora che il PM titolare è stato il dottor Raffaele Guariniello, da sempre in primo piano nella lotta per la tutela della giustizia.
Purtroppo però per le migliaia di altri processi in corso non ci saranno le telecamere presenti a Torino, non ci saranno come PM persone come Guariniello, non ci saranno per motivi oggettivi le associazioni che lottano per la tutela dei lavoratori.
Non solo, il progetto destabilizzante del governo, volto a salvare il presidente del Consiglio da possibili condanne per i procedimenti penali in cui è e sarà coinvolto, stravolgerà l’ andamento di tantissimi processi per infortuni sul lavoro, col rischio di prescrizione degli indagati.
Ma, oltre a quanto sopra, il vero problema è un altro.
E’ giusto e sacrosanto che chi, per la ricerca del proprio interesse, si macchia di delitti contro i lavoratori paghi con il massimo possibile della pena. Ma qualunque pena venga comminata, essa non ridarà la vita o la salute ai lavoratori infortunati o ammalati.
Non si può agire solo sulla pesantezza della pena a seguito dell’ incidente mortale o lesivo.
Occorre preventivamente impedire agli imprenditori di fare lavorare in condizioni che potenzialmente comportano un elevato rischio di infortuni e di malattie professionali.
Le leggi per fare questo ci sono. Il D.Lgs.81/08, nonostante i peggioramenti introdotti dal correttivo del governo Berlusconi, se applicato con rigore permetterebbe veramente di fare prevenzione e ridurre alla fonte le situazioni di rischio.
Il problema è che sull’ osservanza di tale testo normativo i controlli sono scarsissimi per la endemica carenza degli organici degli enti pubblici di controllo.
I padroni sono liberi di disattendere la normativa nella certezza che la probabilità di incappare in un controllo e in una sanzione è bassissima (oggi solo il 3% delle aziende viene controllato dalle ASL).
Ma anche in caso di controllo e di contestazione, il reato penale viene estinto a seguito del pagamento di una sanzione che, in proporzione al rischio potenziale, è irrisoria.
Oggi in Italia si contano ogni giorno 4 infortuni mortali e migliaia di infortuni spesso pesantemente invalidanti.
Solo l’ incremento dei controlli e l’ inasprimento delle pene in caso di inadempienza al Testo Unico possono scoraggiare veramente l’ attività delinquenziale dei datori di lavoro che omettono le misure di prevenzione e protezione dei lavoratori.
Assistiamo invece da un lato a una riduzione dell’ apparato sanzionatorio (vedi il D.Lgs.106/09 del governo Berlusconi che ha ridotto in maniera generalizzata le sanzioni previste inizialmente dal D.Lgs.81/08 a carico di datori di lavoro e dirigenti) da un altro a un mancato potenziamento degli organi ispettivi.
E proprio a commento della sentenza Thyssen Krupp, il Ministro del Lavoro Sacconi ha ipotizzato l’ accentramento delle attività di vigilanza, affermando che “dovremo in ogni caso riflettere, a fini di maggiore omogeneità ed efficacia, sull' opportunità di riportare alle funzioni centrali tutta la competenza in materia di salute e sicurezza nel lavoro e la relativa attività di controllo come era disposto dalla riforma costituzionale che non superò l' esame referendario”.
Il che vorrebbe dire un controllo diretto del Ministero di Sacconi sulle attività ispettive con le conseguenze facilmente immaginabili.
In conclusione se da un lato dobbiamo considerare positivamente la sentenza Thyssen Krupp che per i contenuti potrebbe diventare una svolta epocale nel giudizio di reati conto la salute e la sicurezza dei lavoratori, dall’ altro dobbiamo essere convinti che tale sentenza non può essere il punto di arrivo della battaglia contro gli infortuni e le malattie professionale.
Deve essere al contrario un punto di partenza per intensificare tale battaglia !
Marco Spezia
rete nazionale sicurezza sui posti di lavoro
E’ nota ormai a tutti l’ importantissima sentenza della Corte di Assise di Torino per il primo grado di processo per l’ eccidio della Thysenn Krupp.
Per l’ incidente della notte del 6 dicembre 2007 sulla linea 5 dello stabilimento Thysenn Krupp di Torino che costò la vita a 7 operai, la condanna è stata esemplare.
L’ amministratore delegato della Thysenn Krupp Herald Espenhahn è stato infatti condannato a 16 anni e mezzo di reclusione per il reato di omicidio volontario con dolo eventuale, mentre altri cinque dirigenti (Marco Pucci, Cosimo Cafueri, Giuseppe Salerno, Gerald Priegnitz e Daniele Moroni) sono stati condannati a pene detentive comprese tra i 10 e i 13 anni per il reato di omicidio colposo.
E’ sicuramente una sentenza molto importante per vari motivi, ma al di là di un primo momento di soddisfazione, occorre analizzare non solo i risvolti positivi che essa potrà fornire nella lotta per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, ma anche che cosa ancora rimane da fare.
Partiamo dalla consistenza della pena per l’ Amministratore Delegato e per i dirigenti della Thyssen Krupp. Per la prima volta in Italia viene comminata una pena detentiva superiore ai dieci anni per un infortunio mortale sul lavoro e questo è sicuramente un enorme passo in avanti rispetto a pene di pochi anni di reclusione. Per le pene comminate inoltre non si può applicare la sospensione condizionale e quindi esse dovrebbero essere effettive.
Ma l’ aspetto più importante è che per la prima volta in Italia un omicidio sul lavoro è stato rubricato, almeno per l’ amministratore delegato, come “volontario” e con dolo e non come semplice “colposo”.
Questo costituisce una novità epocale che potrebbe dare vita a un nuovo corso nel giudizio di datori di lavoro colpevoli di omicidio o lesioni sui luoghi di lavoro.
Ma al di là di questi dati sicuramente positivi, occorre avere il coraggio di esaminare anche i limiti e l’ ambito di questa sentenza.
Innanzitutto, al contrario di quanto scritto da qualcuno, questa sentenza non fa giurisprudenza. Per poterlo fare occorrerà attendere tutti i gradi del processo fino alla sentenza definitiva della Corte di Cassazione. E conoscendo la giustizia italiana, non dobbiamo meravigliarci se fino ad allora non succederà qualcosa che permetta ai padroni della Thyssen di pararsi il culo.
Ma anche se le condanne venissero confermate fino alla Cassazione, siamo sicuri che faranno veramente scuola in tutti i processi relativi a infortuni sul lavoro ?
Non dimentichiamoci che la strage della Thyssen Krupp, per il numero di morti e per le modalità stesse dell’ incidente, ha avuto un enorme risvolto mediatico, come assolutamente non hanno gli altri infortuni che comportano la morte di quattro lavoratori ogni giorno.
Sull’ aula della Corte di Assise di Torino erano puntati gli occhi di tutta Italia, grazie anche alla forte presenza delle associazioni che si battono per la salvaguardia dei lavoratori.
Non dimentichiamoci ancora che il PM titolare è stato il dottor Raffaele Guariniello, da sempre in primo piano nella lotta per la tutela della giustizia.
Purtroppo però per le migliaia di altri processi in corso non ci saranno le telecamere presenti a Torino, non ci saranno come PM persone come Guariniello, non ci saranno per motivi oggettivi le associazioni che lottano per la tutela dei lavoratori.
Non solo, il progetto destabilizzante del governo, volto a salvare il presidente del Consiglio da possibili condanne per i procedimenti penali in cui è e sarà coinvolto, stravolgerà l’ andamento di tantissimi processi per infortuni sul lavoro, col rischio di prescrizione degli indagati.
Ma, oltre a quanto sopra, il vero problema è un altro.
E’ giusto e sacrosanto che chi, per la ricerca del proprio interesse, si macchia di delitti contro i lavoratori paghi con il massimo possibile della pena. Ma qualunque pena venga comminata, essa non ridarà la vita o la salute ai lavoratori infortunati o ammalati.
Non si può agire solo sulla pesantezza della pena a seguito dell’ incidente mortale o lesivo.
Occorre preventivamente impedire agli imprenditori di fare lavorare in condizioni che potenzialmente comportano un elevato rischio di infortuni e di malattie professionali.
Le leggi per fare questo ci sono. Il D.Lgs.81/08, nonostante i peggioramenti introdotti dal correttivo del governo Berlusconi, se applicato con rigore permetterebbe veramente di fare prevenzione e ridurre alla fonte le situazioni di rischio.
Il problema è che sull’ osservanza di tale testo normativo i controlli sono scarsissimi per la endemica carenza degli organici degli enti pubblici di controllo.
I padroni sono liberi di disattendere la normativa nella certezza che la probabilità di incappare in un controllo e in una sanzione è bassissima (oggi solo il 3% delle aziende viene controllato dalle ASL).
Ma anche in caso di controllo e di contestazione, il reato penale viene estinto a seguito del pagamento di una sanzione che, in proporzione al rischio potenziale, è irrisoria.
Oggi in Italia si contano ogni giorno 4 infortuni mortali e migliaia di infortuni spesso pesantemente invalidanti.
Solo l’ incremento dei controlli e l’ inasprimento delle pene in caso di inadempienza al Testo Unico possono scoraggiare veramente l’ attività delinquenziale dei datori di lavoro che omettono le misure di prevenzione e protezione dei lavoratori.
Assistiamo invece da un lato a una riduzione dell’ apparato sanzionatorio (vedi il D.Lgs.106/09 del governo Berlusconi che ha ridotto in maniera generalizzata le sanzioni previste inizialmente dal D.Lgs.81/08 a carico di datori di lavoro e dirigenti) da un altro a un mancato potenziamento degli organi ispettivi.
E proprio a commento della sentenza Thyssen Krupp, il Ministro del Lavoro Sacconi ha ipotizzato l’ accentramento delle attività di vigilanza, affermando che “dovremo in ogni caso riflettere, a fini di maggiore omogeneità ed efficacia, sull' opportunità di riportare alle funzioni centrali tutta la competenza in materia di salute e sicurezza nel lavoro e la relativa attività di controllo come era disposto dalla riforma costituzionale che non superò l' esame referendario”.
Il che vorrebbe dire un controllo diretto del Ministero di Sacconi sulle attività ispettive con le conseguenze facilmente immaginabili.
In conclusione se da un lato dobbiamo considerare positivamente la sentenza Thyssen Krupp che per i contenuti potrebbe diventare una svolta epocale nel giudizio di reati conto la salute e la sicurezza dei lavoratori, dall’ altro dobbiamo essere convinti che tale sentenza non può essere il punto di arrivo della battaglia contro gli infortuni e le malattie professionale.
Deve essere al contrario un punto di partenza per intensificare tale battaglia !
Marco Spezia
rete nazionale sicurezza sui posti di lavoro
pc 20 aprile - IL SISTEMA ERGO-UAS ALLA FIAT DI MELFI nella denuncia della Cub campania
Sistema ERGO-UAS: più ore di permesso per i delegati, meno minuti di pausa per gli operai
"A Melfi il 31 marzo 2011 tra SATA e Fiat Automobiles SpA, alla presenza di Confindustria Basilicata e FIM, FIOM, UILM, FISMIC, UGL Metalmeccanici nazionali e territoriali di Potenza e la RSU di stabilimento SATA di Melfi si è raggiunta la seguente intesa . . .".
Così comincia il testo dell’ accordo che introduce il sistema ERGO-UAS firmato a Melfi da tanti dirigenti del sindacato, tantissimi RSU e i responsabili della Fiat SATA.
Cos’ è questo accordo ?
Se lo chiedono tanti operai come noi.
Forse la Fiat dopo gli scioperi contro l’ aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro, i licenziamenti, dopo aver preso atto che nello stabilimento di Melfi e in quello dell’ ex ITCA ci sono circa 2.000 operai ammalati e circa 200 lavoratori incollocabili a causa del continuo aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro vuole migliorare le nostre condizioni di lavoro ?
Dopo aver verificato che noi operai stiamo avanzando con l’ età, forse la Fiat introduce il nuovo sistema di lavoro ERGO-UAS e mette da parte il vecchio sistema TMC2 perché ci vuole bene ?
Magari fosse così !
C’ è ne accorgeremmo subito. La Fiat ci aumenterebbe le pause, i salari. Diminuirebbero i ritmi e i carichi di lavoro. Invece questo non succede. Succede altro.
Si firma e si peggiorano le condizioni degli operai per continuare a tenere i privilegi sindacali.
Nel testo dell’ accordo che hanno firmato i "sindacalisti di mestiere" c’ è scritto: "a far data dal 1° gennaio 2012", previa effettuazione della verifica prevista nel mese di novembre 2011, "le soluzioni ergonomiche derivanti dall’ applicazione del sistema ERGO-UAS permettono sulle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo, un regime di tre pause di 10 minuti ciascuna", fruite in modo collettivo, nell’ arco del turno di lavoro".
Hanno già stabilito e firmato che a partire dal 1° gennaio 2012: i 40 minuti di pausa saranno eliminati e si concederanno agli operai solo 30 minuti di pausa.
I delegati RSU della UILM-FIMFISMIC e UGL vanno dicendo che per gli operai fino al 1° gennaio non cambierà quasi nulla.
E’ vero ci sarà solo una piccola modifica sulle pause a partire dal 12 Aprile 2011: 2 pause da 15 minuti e 1 da 10 minuti. Non dicono però che hanno già firmato la cambiale della riduzione
delle pause a partire dal 1° Gennaio 2012 e che in cambio per loro ci saranno ore di permessi
sindacali a caterva per poter continuare ad andare in giro nello stabilimento.
Anche molti delegati della FIOM scalpitano e vorrebbero firmare. Lo avrebbero già fatto se non fossero stati fermati all’ ultimo minuto dal segretario nazionale Maurizio Landini che è in difficoltà per quello che è successo a Pomigliano e Mirafiori. Il lavoro di linea per molti di loro delegati RSU è mal digerito ! Altri delegati della FIOM, seppur con il mal di pancia,
firmerebbero lo stesso.
A nostro parere sbagliano a firmare..
"A Melfi il 31 marzo 2011 tra SATA e Fiat Automobiles SpA, alla presenza di Confindustria Basilicata e FIM, FIOM, UILM, FISMIC, UGL Metalmeccanici nazionali e territoriali di Potenza e la RSU di stabilimento SATA di Melfi si è raggiunta la seguente intesa . . .".
Così comincia il testo dell’ accordo che introduce il sistema ERGO-UAS firmato a Melfi da tanti dirigenti del sindacato, tantissimi RSU e i responsabili della Fiat SATA.
Cos’ è questo accordo ?
Se lo chiedono tanti operai come noi.
Forse la Fiat dopo gli scioperi contro l’ aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro, i licenziamenti, dopo aver preso atto che nello stabilimento di Melfi e in quello dell’ ex ITCA ci sono circa 2.000 operai ammalati e circa 200 lavoratori incollocabili a causa del continuo aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro vuole migliorare le nostre condizioni di lavoro ?
Dopo aver verificato che noi operai stiamo avanzando con l’ età, forse la Fiat introduce il nuovo sistema di lavoro ERGO-UAS e mette da parte il vecchio sistema TMC2 perché ci vuole bene ?
Magari fosse così !
C’ è ne accorgeremmo subito. La Fiat ci aumenterebbe le pause, i salari. Diminuirebbero i ritmi e i carichi di lavoro. Invece questo non succede. Succede altro.
Si firma e si peggiorano le condizioni degli operai per continuare a tenere i privilegi sindacali.
Nel testo dell’ accordo che hanno firmato i "sindacalisti di mestiere" c’ è scritto: "a far data dal 1° gennaio 2012", previa effettuazione della verifica prevista nel mese di novembre 2011, "le soluzioni ergonomiche derivanti dall’ applicazione del sistema ERGO-UAS permettono sulle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo, un regime di tre pause di 10 minuti ciascuna", fruite in modo collettivo, nell’ arco del turno di lavoro".
Hanno già stabilito e firmato che a partire dal 1° gennaio 2012: i 40 minuti di pausa saranno eliminati e si concederanno agli operai solo 30 minuti di pausa.
I delegati RSU della UILM-FIMFISMIC e UGL vanno dicendo che per gli operai fino al 1° gennaio non cambierà quasi nulla.
E’ vero ci sarà solo una piccola modifica sulle pause a partire dal 12 Aprile 2011: 2 pause da 15 minuti e 1 da 10 minuti. Non dicono però che hanno già firmato la cambiale della riduzione
delle pause a partire dal 1° Gennaio 2012 e che in cambio per loro ci saranno ore di permessi
sindacali a caterva per poter continuare ad andare in giro nello stabilimento.
Anche molti delegati della FIOM scalpitano e vorrebbero firmare. Lo avrebbero già fatto se non fossero stati fermati all’ ultimo minuto dal segretario nazionale Maurizio Landini che è in difficoltà per quello che è successo a Pomigliano e Mirafiori. Il lavoro di linea per molti di loro delegati RSU è mal digerito ! Altri delegati della FIOM, seppur con il mal di pancia,
firmerebbero lo stesso.
A nostro parere sbagliano a firmare..
pc 20 aprile - 'processo breve' la denuncia di Magistratura Democratica
IMPUNITA’: QUESTO IL VOSTRO PROCESSO BREVE VERGOGNA !
Le associazioni delle vittime dei crimini ambientali e del lavoro hanno manifestato davanti al Parlamento dove si discuteva e si approvava la proposta di legge sul processo breve. Passata alla Camera dei deputati, facilmente passerà al Senato.
VERGOGNA è la parola che più a gran voce è gridata dalle associazioni e dal movimento delle vittime è stata pronunciata nei confronti di chi ha voluto e votato il processo breve.
VERGOGNA ripetiamo anche noi che di quel grande movimento facciamo parte.
Si è voluto far credere che la nuova legge sulla prescrizione dei reati di chi è “incensurato” non cambia nulla o quasi. Elementare chiedersi e chiedere perché allora è stata fatta. Il taglio della prescrizione riguarda per primo Silvio Berlusconi che ancora una volta passerà indenne da un processo in cui sono stati riconosciuti i corrotti.
Ma libererà dalle condanne anche molti altri, in particolare coloro che sono imputati di reati che
riguardano le vittime dei disastri. Processi iniziati in istruttoria, complessi e lunghi in sé, che divengono ancora più lunghi e difficile per il lavoro che faranno (stanno già facendo) gli avvocati delle difese. Processi che potranno essere annullati da altre misure legislative che verranno prese se mai si arrivasse vicino alle sentenze.
Si veda il processo in corso contro alcuni ammiragli della Marina Militare dove, nel corso del processo, il governo ha fatto approvare una legge dal Parlamento che vorrebbe liberarli dalla responsabilità dei morti per amianto di cui sono stati accusati, quali “datori di lavoro”.
L’ impunità fondata sulla corruzione e sulla compra vendita, domina la vita politica e vuole piegare a sé anche la giustizia, inquina le istituzioni e destruttura la coscienza sociale dei cittadini.
Ogni limite morale viene annullato. Tutto diventa merce.
VERITA’ E GIUSTIZIA E SALVAGUARDIA DELLA COSTITUZIONE RICHIEDONO UNA LOTTA MOLTO PIU’ TENACE.
SOLO CHI HA SUBITO, CHI SUBISCE, CHI AL TEMPO STESSO HA COSCIENZA DI SE’ E DELLO STATO DELLE COSE PRESENTI, PUO’ OPPORSI E CAMBIARE.
Milano, 15 aprile 2011
Medicina Democratica
Movimento di lotta per la salute
Le associazioni delle vittime dei crimini ambientali e del lavoro hanno manifestato davanti al Parlamento dove si discuteva e si approvava la proposta di legge sul processo breve. Passata alla Camera dei deputati, facilmente passerà al Senato.
VERGOGNA è la parola che più a gran voce è gridata dalle associazioni e dal movimento delle vittime è stata pronunciata nei confronti di chi ha voluto e votato il processo breve.
VERGOGNA ripetiamo anche noi che di quel grande movimento facciamo parte.
Si è voluto far credere che la nuova legge sulla prescrizione dei reati di chi è “incensurato” non cambia nulla o quasi. Elementare chiedersi e chiedere perché allora è stata fatta. Il taglio della prescrizione riguarda per primo Silvio Berlusconi che ancora una volta passerà indenne da un processo in cui sono stati riconosciuti i corrotti.
Ma libererà dalle condanne anche molti altri, in particolare coloro che sono imputati di reati che
riguardano le vittime dei disastri. Processi iniziati in istruttoria, complessi e lunghi in sé, che divengono ancora più lunghi e difficile per il lavoro che faranno (stanno già facendo) gli avvocati delle difese. Processi che potranno essere annullati da altre misure legislative che verranno prese se mai si arrivasse vicino alle sentenze.
Si veda il processo in corso contro alcuni ammiragli della Marina Militare dove, nel corso del processo, il governo ha fatto approvare una legge dal Parlamento che vorrebbe liberarli dalla responsabilità dei morti per amianto di cui sono stati accusati, quali “datori di lavoro”.
L’ impunità fondata sulla corruzione e sulla compra vendita, domina la vita politica e vuole piegare a sé anche la giustizia, inquina le istituzioni e destruttura la coscienza sociale dei cittadini.
Ogni limite morale viene annullato. Tutto diventa merce.
VERITA’ E GIUSTIZIA E SALVAGUARDIA DELLA COSTITUZIONE RICHIEDONO UNA LOTTA MOLTO PIU’ TENACE.
SOLO CHI HA SUBITO, CHI SUBISCE, CHI AL TEMPO STESSO HA COSCIENZA DI SE’ E DELLO STATO DELLE COSE PRESENTI, PUO’ OPPORSI E CAMBIARE.
Milano, 15 aprile 2011
Medicina Democratica
Movimento di lotta per la salute
pc 20 aprile - EXPO MILANO: la sicurezza dei lavoratori è competitività per le imprese!!!
Questo è lo slogan che si trova sul sito dell'Inail e leggendo questo articolo significa che si mette in conto il prezzo di sangue dei lavoratori che ci sarà per la realizzazzione della "grande opera" Expo, con il beneplacido di padroni e istituzioni compreso i sindacati confederali tutti uniti per soddisfare gli interessi della borghesia sulla pelle dei proletari......
Patto Inail-sindacati sulla sicurezza Sconti sulle tariffe assicurative Inail (fino al 65% in meno) perle aziende "virtuose" che, impegnate nella realizzazione di Expo 2015, adotteranno iniziative per migliorare la sicurezza e prevenire gli infortuni sul lavoro. L`agevolazione è prevista dalle Linee guida per il progetto «Sicurezza e prevenzione Expo 2015». Il documento è allegato al protocollo sottoscritto ieri a Milano da Inail, Expo 2015 Spa, Cgil, Cisl e Uil. Sul fronte del sito espositivo, ieri il gruppo Cabassi ha concesso il diritto di opzione di acquisto dei terreni di sua proprietà da parte della newco. [.]
E' l'obiettivo di Inail, Expo 2015 s.p.a., Cgil, Cisl e Uil. Lotito, presidente del Consiglio d'indirizzo e vigilanza dell'Inail: “Vogliamo azzerare gli incidenti mortali, ma anche sperimentare un nuovo modello di prevenzione replicabile"
Il progetto prevede diversi tipi d'intervento: le aziende che adotteranno iniziative di formazione e comunicazione sui temi della sicurezza avranno la possibilità di avere sconti fino al 65% sui premi da pagare all'Inail. “Oggi, con le aziende virtuose, possiamo arrivare al massimo fino al 30%” commenta Marco Sartori, presidente dell'Inail.
Verso il 2015
«Incidenti zero per l' Expo»
Senza interventi su misura boom di infortuni Lunedì sarà firmato un protocollo speciale L' Inail: «Moratti chieda un decreto ad hoc»
Grande opportunità, l' Expo. Soprattutto sul fronte dell' occupazione. Nel 2013 e nel 2014, con i cantieri a pieno regime, ci saranno oltre 130 mila persone al lavoro. Niente male in tempi di crisi. Certo, ogni opportunità comporta l' assunzione di un rischio. Soprattutto sul fronte sicurezza. Senza interventi preventivi, nel 2016 il bilancio dell' evento potrebbe essere severo. Le stime dell' Inail (prudenziali) danno da pensare: 20 mila infortuni in più in Lombardia da qui al 2016, di cui 1.700 con conseguenze invalidanti. E 41 morti. Il bilancio è contenuto nei testi preparatori del protocollo «Sicurezza e prevenzione Expo 2015» messo a punto da Inail insieme con Expo spa, Cgil, Cisl e Uil. Gli inviti per la firma ufficiale dell' intesa che contiene una serie di misure di prevenzione sono già stati inviati. Ma non tutto è scontato. Nel sindacato serpeggia ancora qualche dubbio. Soprattutto rispetto alla mancata definizione delle modalità di formazione e informazione di lavoratori. «Per quanto ci riguarda questa è una criticità importante - sottolinea Antonio Lareno, che per la Cgil segue la trattativa -. A oggi la formazione e informazione dei lavoratori è solo un auspicio scritto sulla carta» L' obiettivo dell' intesa è intervenire con misure straordinarie di sicurezza prima che sia troppo tardi. Come? Primo: una sede Inail presso il sito di Rho-Pero «per le piccole e micro imprese e per i lavoratori autonomi, sicuramente meno strutturati delle medie e grandi aziende». Secondo: ambulatori di primo soccorso attivi 24 ore, allestiti e gestiti da Expo spa e vigilati dalla Asl, per assicurare un primo intervento in caso di incidenti (Gli ambulatori offriranno soccorso immediato agli infortunati e si occuperanno anche delle pratiche burocratiche legate ad ogni infortunio, come l'emissione del certificato di inabilità al lavoro o viceversa di idoneità alla ripresa del lavoro.). Terzo (e di particolare rilievo): sconti sui premi da pagare all' Inail per le aziende che attuano particolari forme di prevenzione dei rischi. Già oggi Inail pratica degli «sconti» a fronte della prevenzione che superano talvolta il 20%. Ma per le aziende che faranno l' Expo si potrà arrivare anche al 60%. Quanto vale l' insieme di queste iniziative di prevenzione? Un paio di milioni di euro? «Molto, molto di più. A oggi è ancora impossibile quantificare», risponde Franco Lotito, presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell' Inail. Certo è che il protocollo è solo l' inizio. Per tradursi in atti concreti di prevenzione i principi scritti nell' intesa hanno bisogno di ulteriori interventi. «Serve, in particolare, un decreto ministeriale per consentire all' istituto di applicare sconti più consistenti alle aziende virtuose - spiega Lotito -. Se si vogliono accorciare i tempi tocca al sindaco di Milano chiedere al governo di fare presto». L' intenzione è di estendere anche alla Regione il protocollo alla firma lunedì prossimo. La gestione delle opere collegate all' Expo è infatti di competenza del Pirellone. Sullo sfondo resta aperta un' altra questione cruciale per la sicurezza sul lavoro nei cantieri: la catena degli appalti. La normativa attuale parla già di «responsabilità solidale» di chi appalta i lavori con chi li porta a termine in concreto (il subappaltatore). Nei fatti i primi anelli della catena fanno firmare impegni a rispettare le regole a chi svolgerà il lavoro ben sapendo che - quando i margini sono ridotti all' osso - gli impegni non saranno rispettati. Liberandosi così di ogni responsabilità. Come si comporterà Expo Spa a questo proposito? Applicherà una catena degli appalti corta o lunga? E con quali regole? Contattata, per ora la società non risponde.
Rita Querzé rquerze@corriere.it
Lavori al via Il sito dove sorgerà Expo (foto) è a ridosso della periferia Nord-Ovest, nella zona della Fiera di Rho. Entro giugno partiranno le gare d' appalto, poi in autunno è previsto (salvo ulteriori ritardi) l' avvio dei lavori. IL SITO DI RHO Linee 4 e 5 Non solo area espositiva. All' Expo sono connesse diverse opere, tra le quali le nuove metropolitane. La linea 5 (foto) da Bignami a San Siro, e la linea 4 che collegherà Linate al Lorenteggio METRO' STRADE Tangenziale I cantieri della Pedemontana sono già avviati (foto). Insieme ci saranno anche la nuova Brebemi da Brescia a Bergamo fino a Milano, e la tangenziale esterna (Tem) che aiuteranno a snellire il traffico * *
martedì 19 aprile 2011
pc 19 aprile - studenti palestinesi della federico II di Napoli per vittorio arrigoni
dell’università degli studi Federico II sulla criminale uccisione dell’attivista Vittorio Arrigoni
بيان الطلبة الفلسطينيين بجامعة فيدريك الثاني نابولي بشأن جريمة قتل الناشط المتضامن فيتوريو أريغوني
“ندين ونطالب بالعدالة لفيتوريو”
“Condanniamo e chiediamo giustizia per Vittorio”
In questi giorni siamo rimasti colpiti dalla criminale uccisione di Vittorio Arrigoni, noi studenti palestinesi all’Università Degli Studi Federico II Napoli desideriamo esperimere le nostre condoglianze alla famiglia di Vittorio ed a tutti gli italiani che hanno creduto e credono ancora nella nostra giusta casua.
L’uccsione di Vittorio ci addolera sopratutto perchè lui era considerato uno di noi ‘palestinesi’, lui raccontava al mondo, con parole e immagini, indipendenti e imparziali, la vita vera e la lotta per la sopravvivenza di due milioni di persone rinchiuse a Gaza (Palestina), assediate, bombardate, affamate, umiliate.
Condanniamo questo macabro omicidio che non riflette in nessun modo la fede religiosa, i valori, i costumi e le tradizioni del popolo palestinese sopratutto in confronti dei volontari ed attivisti internazionali che sono stati da sempre tra noi e non hanno mai subito questa violenza e si sono sempre sentiti come se fossero a casa loro. La nostra religione, la nostra cultura e le nostre tradizioni ci hanno insegnato di onorare, proteggere, rispettare ed ospitare questi attivisti volontari o coloro che ha bisogno o di passaggio, le testimonianze non mancano di chi è stato in Palestina “occupata” sulla generosa ospitalità del popolo palestinese. Inoltre, chiediamo all’autorità palestinese di fare “giustizia per Vittorio, trovare i responsabili e punirli” per l’assassinio, per non lasciare la Striscia di Gaza nel buio in cui qualcuno ha tentato di relegarla assassinando un sostenitore dei nostri diritti.
Vi ricordiamo che : “Vittorio aveva scelto di stare all’inferno per aiutare chi dall’inferno non poteva andarsene a rompere il silenzio indifferente sulla Striscia di Gaza, diventata un buco nero nella cronaca e nella politica, una gigantesca macchia oscura nell’etica e nella morale collettiva, impastata di indifferenza e di complicità con l’orrore.
Vittorio viveva a Gaza da anni. Aveva scelto di stare lì, con i suoi occhi testimoni e il suo corpo solidale, perché aveva visto il furto di terra, di acqua, la demolizione di case, la distruzione di coltivazioni e di barche di pescatori (era stato anche ferito mentre li accompagnava a pescare cercando di proteggerli con il suo corpo dagli attacchi armati dell’esercito israeliano, proprio come Rachel Corrie, uccisa a Rafha perché aveva interposto il suo corpo tra un bulldozer e una casa).
Vittorio aveva visto i malati di cancro rimandati indietro “per questioni di sicurezza” al valico di Eretz tra Gaza e Israele, aveva visto palestinesi trattati con disprezzo, picchiati, umiliati. Aveva visto la disperazione dei pescatori a cui veniva impedito di pescare e aveva visto la disperazione dei contadini abbracciati a un albero di olivo mentre un bulldozer glielo porta via. Aveva visto donne partorire dietro un masso per l’impossibilità di raggiungere un ospedale. Aveva visto la paura e il terrore negli occhi dei bambini e delle bambine e i loro corpi spezzati. Aveva visto morire neonati prematuri perché in ospedale è mancata l’elettricità per trenta minuti. Aveva conosciuto bambini e bambine che non hanno avuto altro che dolore da quando sono nati. Aveva sentito il freddo che penetra nelle ossa nelle notti gelide di Gaza senza riscaldamento, e senza luce: Aveva assistito a Gaza durante Piombo fuso (dicembre 2008 – gennaio 2009) alla distruzione di migliaia di case e all’uccisione più di tremila persone tra cui centinaia di bambini che certo non tiravano razzi.” (citato da: Coordinamento Comasco per la Pace)
In seguito l’ultimo racconto e testimonianza di Vittorio del 13/04/2011 sulla dolorosa sofferenza e realtà del popolo palestinese a Gaza:
“4 lavoratori sono morti ieri notte per via del crollo di uno dei tunnel scavati dai palestinesi sotto il confine di Rafah.
Tramite i tunnel passano tutti i beni necessari che hanno permesso la sopravvivenza della popolazione di Gaza strangolata da 4 anni dal criminale assedio israeliano. Dai tunnel riescono a entrare nella Striscia beni principali quali alimenti, cemento, bestiame. Anche gli ospedali della Striscia si approvvigionano dal mercato nero dei tunnel. Dall’inizio dell’assedio a oggi più di 300 palestinesi sono morti al lavoro sotto terra per permettere ad una popolazione di quasi 2 milioni di persone di sfamarsi. E’ una guerra invisibile per la sopravvivenza.
I nomi degli ultimi martiri sono: Abdel Halim e suo fratello Samir Abd al-Rahman Alhqra, 22 anni e 38 anni, Haitham Mostafa Mansour, 20 anni, e Abdel-Rahman Muhaisin 28 anni.
Restiamo Umani – Vik da Gaza city 13/04/2011“
Ecco perché è morto Vittorio, chi ha eseguito questo crimine potrebbe essere palestinese di nascita ma sicuramente non di religione, cultura, cuore ed appartenenza, chi l’ha mandato sicuramente una persona che non ha nulla a che far con gli interessi del popolo palestinese e con la loro GIUSTA lotta e resistenza contro l’occupazione e con il loro diritto di avere un loro stato ed ESSERE LIBERI.
الطلبة الفلسطينيين – جامعة فيدريك الثاني نابولي
Gli Studenti Palestinesi
Università Degli Studi Federico II Napoli
18/04/2011 – Napoli
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بيان الطلبة الفلسطينيين بجامعة فيدريك الثاني نابولي بشأن جريمة قتل الناشط المتضامن فيتوريو أريغوني
“ندين ونطالب بالعدالة لفيتوريو”
“Condanniamo e chiediamo giustizia per Vittorio”
In questi giorni siamo rimasti colpiti dalla criminale uccisione di Vittorio Arrigoni, noi studenti palestinesi all’Università Degli Studi Federico II Napoli desideriamo esperimere le nostre condoglianze alla famiglia di Vittorio ed a tutti gli italiani che hanno creduto e credono ancora nella nostra giusta casua.
L’uccsione di Vittorio ci addolera sopratutto perchè lui era considerato uno di noi ‘palestinesi’, lui raccontava al mondo, con parole e immagini, indipendenti e imparziali, la vita vera e la lotta per la sopravvivenza di due milioni di persone rinchiuse a Gaza (Palestina), assediate, bombardate, affamate, umiliate.
Condanniamo questo macabro omicidio che non riflette in nessun modo la fede religiosa, i valori, i costumi e le tradizioni del popolo palestinese sopratutto in confronti dei volontari ed attivisti internazionali che sono stati da sempre tra noi e non hanno mai subito questa violenza e si sono sempre sentiti come se fossero a casa loro. La nostra religione, la nostra cultura e le nostre tradizioni ci hanno insegnato di onorare, proteggere, rispettare ed ospitare questi attivisti volontari o coloro che ha bisogno o di passaggio, le testimonianze non mancano di chi è stato in Palestina “occupata” sulla generosa ospitalità del popolo palestinese. Inoltre, chiediamo all’autorità palestinese di fare “giustizia per Vittorio, trovare i responsabili e punirli” per l’assassinio, per non lasciare la Striscia di Gaza nel buio in cui qualcuno ha tentato di relegarla assassinando un sostenitore dei nostri diritti.
Vi ricordiamo che : “Vittorio aveva scelto di stare all’inferno per aiutare chi dall’inferno non poteva andarsene a rompere il silenzio indifferente sulla Striscia di Gaza, diventata un buco nero nella cronaca e nella politica, una gigantesca macchia oscura nell’etica e nella morale collettiva, impastata di indifferenza e di complicità con l’orrore.
Vittorio viveva a Gaza da anni. Aveva scelto di stare lì, con i suoi occhi testimoni e il suo corpo solidale, perché aveva visto il furto di terra, di acqua, la demolizione di case, la distruzione di coltivazioni e di barche di pescatori (era stato anche ferito mentre li accompagnava a pescare cercando di proteggerli con il suo corpo dagli attacchi armati dell’esercito israeliano, proprio come Rachel Corrie, uccisa a Rafha perché aveva interposto il suo corpo tra un bulldozer e una casa).
Vittorio aveva visto i malati di cancro rimandati indietro “per questioni di sicurezza” al valico di Eretz tra Gaza e Israele, aveva visto palestinesi trattati con disprezzo, picchiati, umiliati. Aveva visto la disperazione dei pescatori a cui veniva impedito di pescare e aveva visto la disperazione dei contadini abbracciati a un albero di olivo mentre un bulldozer glielo porta via. Aveva visto donne partorire dietro un masso per l’impossibilità di raggiungere un ospedale. Aveva visto la paura e il terrore negli occhi dei bambini e delle bambine e i loro corpi spezzati. Aveva visto morire neonati prematuri perché in ospedale è mancata l’elettricità per trenta minuti. Aveva conosciuto bambini e bambine che non hanno avuto altro che dolore da quando sono nati. Aveva sentito il freddo che penetra nelle ossa nelle notti gelide di Gaza senza riscaldamento, e senza luce: Aveva assistito a Gaza durante Piombo fuso (dicembre 2008 – gennaio 2009) alla distruzione di migliaia di case e all’uccisione più di tremila persone tra cui centinaia di bambini che certo non tiravano razzi.” (citato da: Coordinamento Comasco per la Pace)
In seguito l’ultimo racconto e testimonianza di Vittorio del 13/04/2011 sulla dolorosa sofferenza e realtà del popolo palestinese a Gaza:
“4 lavoratori sono morti ieri notte per via del crollo di uno dei tunnel scavati dai palestinesi sotto il confine di Rafah.
Tramite i tunnel passano tutti i beni necessari che hanno permesso la sopravvivenza della popolazione di Gaza strangolata da 4 anni dal criminale assedio israeliano. Dai tunnel riescono a entrare nella Striscia beni principali quali alimenti, cemento, bestiame. Anche gli ospedali della Striscia si approvvigionano dal mercato nero dei tunnel. Dall’inizio dell’assedio a oggi più di 300 palestinesi sono morti al lavoro sotto terra per permettere ad una popolazione di quasi 2 milioni di persone di sfamarsi. E’ una guerra invisibile per la sopravvivenza.
I nomi degli ultimi martiri sono: Abdel Halim e suo fratello Samir Abd al-Rahman Alhqra, 22 anni e 38 anni, Haitham Mostafa Mansour, 20 anni, e Abdel-Rahman Muhaisin 28 anni.
Restiamo Umani – Vik da Gaza city 13/04/2011“
Ecco perché è morto Vittorio, chi ha eseguito questo crimine potrebbe essere palestinese di nascita ma sicuramente non di religione, cultura, cuore ed appartenenza, chi l’ha mandato sicuramente una persona che non ha nulla a che far con gli interessi del popolo palestinese e con la loro GIUSTA lotta e resistenza contro l’occupazione e con il loro diritto di avere un loro stato ed ESSERE LIBERI.
الطلبة الفلسطينيين – جامعة فيدريك الثاني نابولي
Gli Studenti Palestinesi
Università Degli Studi Federico II Napoli
18/04/2011 – Napoli
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pc 19 aprile - thyssenkrupp..dopo la sentenza ricatti sui lavoratori
Il lupo perde il pelo ma non il vizio: la ThyssenKrupp persiste nel suo comportamento arrogante e ricattatorio.
Anziché fare un passo indietro e ammettere le proprie responsabilità, ormai chiarissime, le scarica sulla sentenza (assolutamente commisurata alla gravità dei fatti e dei reati contestati) emessa dalla Corte d’Assise, ritenuta “troppo dura”, e sui lavoratori ternani, definendo le pene accessorie eccessivamente “punitive” e dalle conseguenze “preoccupanti” per la ricaduta occupazionale, ora messa in discussione.
Non accettiamo la logica della “guerra fra poveri” fra lavoratori: esprimiamo quindi la massima solidarietà ai lavoratori di Terni (ma non al sindacato ternano…che ancora non si è accorto della strage del 2007 a Torino? come già avvenuto durante la dura vertenza del magnetico nel 2005 affrontata dai lavoratori ternani per cui facemmo allora diversi scioperi, mentre a Terni le Rsu e le OO.SS. Fim-Fiom-Uilm, non ne proclamarono nemmeno uno per la nostra vertenza nella primavera del 2007, che pur decretò la chiusura dello stabilimento di Torino.
Così come non accettiamo il coro di voci, giunto da più parti, che minimizza le responsabilità dell’Azienda e la condotta degli imputati “prima e durante” il processo.
In questo senso sono sconcertanti le dichiarazioni e le finalità strumentali a cui si vuole sottointendere (facendo sponda all’Azienda rispetto all’eventualità di un disimpegno in Italia da parte di TK, assolutamente fantasiose e pretestuose rilasciate dal Sindaco di Terni e dal Presidente della Provincia di Terni, che respingiamo su tutta la linea e piuttosto invitiamo ad occuparsi del rappresentare al meglio gli interessi dei Cittadini da loro amministrati e non aspettarsi pacche sulla spalla dal management TK o chissà altro….diversamente dovremmo pensare, rispetto alle Istituzioni ternane, a quanti cittadini/lavoratori della territorio sarebbero disposti a “sacrificare ed immolare” dentro lo stabilimento di Terni di TK!!!
Ricordiamo per chi se ne fosse dimenticato inoltre, che TK Italia deve risarcire lo Stato Italiano di circa 50 milioni di euro per infrazioni delle regole comunitarie, dal 2007 sanzionata per cui, nell’ interesse dei cittadini di Terni, sarebbe auspicabile oltreché doveroso che gli Enti locali ternani si attivino verso il Governo per applicare l’esazione di tale sanzione per investirla sul proprio territorio.
Se vi è stata una particolare attenzione da parte dei media sulla vicenda ThyssenKrupp, fino a farla diventare una questione politica, non vanno dimenticati il costante impegno e la mobilitazione dei familiari delle vittime, degli operai torinesi, dell’opinione pubblica e della società civile, che mai hanno fatto calare l’attenzione su una vicenda così drammatica e dolorosa non solo per Torino ma per tutto il Paese. Neppure si possono tralasciare e ignorare: le gravissime carenze della sicurezza all’interno dello stabilimento, che hanno poi portato alla morte atroce dei nostri 7 compagni di lavoro (ed esponendo altri al rischio di fare la stessa terribile fine) che gli imputati hanno da subito cercato di occultare ricorrendo alle false testimonianze di una decina di ex lavoratori, assortiti tra
Quadri/Impiegati ed Operai ( per i quali verrà istruito un nuovo processo); il nuovo filone d’inchiesta per 4 ispettori Asl, che avvertivano preventivamente l’Azienda dei controlli; il rinvio a giudizio di 4 testimoni della difesa per i reati di falsa testimonianza e omicidio colposo; il vergognoso ricatto perpetrato a danno dei lavoratori, ricollocati solo a patto di accettare “volontariamente” la rinuncia dalla costituzione di Parte Civile nel procedimento (80 operai così esclusi dalla costituzione di Parte Civile); la discriminazione adottata nei confronti degli ultimi
13 lavoratori ancora in cassa integrazione (quasi tutti costituiti Parte Civile nel processo), mai ricollocati dall’Azienda e dagli Enti locali come invece avvenuto per altri operai, nessuno dei quali costituito nel processo.
Nonostante le gravissime colpe accertate prima e durante il processo gli imputati sono ancora a piede libero, come se nulla fosse. Useranno ancora questo lasso di tempo prima del processo di Appello per cercare di inquinare ulteriormente le prove?
Un imprenditore e/o un’azienda che si definiscono perbene non hanno nulla da temere da questa sentenza: semmai è una esortazione a fare ancora di più per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, visto il numero inquietante di morti, infortuni, invalidi da lavoro e colpiti da malattie professionali nel nostro Paese, che ci relega agli ultimi posti in Europa in fatto di sicurezza e tutela della salute nei luoghi di lavoro. Chi interpreta questa sentenza, che dovrebbe ridare speranza ai lavoratori e
far riflettere gli imprenditori, in maniera negativa, è in malafede, così come il tentativo di delegittimarla, disonorando la memoria delle vittime e la terribile sofferenza patita dai familiari.
Anche gli operai, mandati in guerra senza che venisse detto loro, pretendono giustizia: che i risarcimenti ottenuti dagli Enti locali costituiti come Parti Civili nel processo vengano utilizzati per creare nuovi posti di lavoro per tutti quelli che, come noi, hanno dovuto subire simili ingiustizie.
Torino, 19 aprile 2011
Associazione Legami d’Acciaio Onlus
Anziché fare un passo indietro e ammettere le proprie responsabilità, ormai chiarissime, le scarica sulla sentenza (assolutamente commisurata alla gravità dei fatti e dei reati contestati) emessa dalla Corte d’Assise, ritenuta “troppo dura”, e sui lavoratori ternani, definendo le pene accessorie eccessivamente “punitive” e dalle conseguenze “preoccupanti” per la ricaduta occupazionale, ora messa in discussione.
Non accettiamo la logica della “guerra fra poveri” fra lavoratori: esprimiamo quindi la massima solidarietà ai lavoratori di Terni (ma non al sindacato ternano…che ancora non si è accorto della strage del 2007 a Torino? come già avvenuto durante la dura vertenza del magnetico nel 2005 affrontata dai lavoratori ternani per cui facemmo allora diversi scioperi, mentre a Terni le Rsu e le OO.SS. Fim-Fiom-Uilm, non ne proclamarono nemmeno uno per la nostra vertenza nella primavera del 2007, che pur decretò la chiusura dello stabilimento di Torino.
Così come non accettiamo il coro di voci, giunto da più parti, che minimizza le responsabilità dell’Azienda e la condotta degli imputati “prima e durante” il processo.
In questo senso sono sconcertanti le dichiarazioni e le finalità strumentali a cui si vuole sottointendere (facendo sponda all’Azienda rispetto all’eventualità di un disimpegno in Italia da parte di TK, assolutamente fantasiose e pretestuose rilasciate dal Sindaco di Terni e dal Presidente della Provincia di Terni, che respingiamo su tutta la linea e piuttosto invitiamo ad occuparsi del rappresentare al meglio gli interessi dei Cittadini da loro amministrati e non aspettarsi pacche sulla spalla dal management TK o chissà altro….diversamente dovremmo pensare, rispetto alle Istituzioni ternane, a quanti cittadini/lavoratori della territorio sarebbero disposti a “sacrificare ed immolare” dentro lo stabilimento di Terni di TK!!!
Ricordiamo per chi se ne fosse dimenticato inoltre, che TK Italia deve risarcire lo Stato Italiano di circa 50 milioni di euro per infrazioni delle regole comunitarie, dal 2007 sanzionata per cui, nell’ interesse dei cittadini di Terni, sarebbe auspicabile oltreché doveroso che gli Enti locali ternani si attivino verso il Governo per applicare l’esazione di tale sanzione per investirla sul proprio territorio.
Se vi è stata una particolare attenzione da parte dei media sulla vicenda ThyssenKrupp, fino a farla diventare una questione politica, non vanno dimenticati il costante impegno e la mobilitazione dei familiari delle vittime, degli operai torinesi, dell’opinione pubblica e della società civile, che mai hanno fatto calare l’attenzione su una vicenda così drammatica e dolorosa non solo per Torino ma per tutto il Paese. Neppure si possono tralasciare e ignorare: le gravissime carenze della sicurezza all’interno dello stabilimento, che hanno poi portato alla morte atroce dei nostri 7 compagni di lavoro (ed esponendo altri al rischio di fare la stessa terribile fine) che gli imputati hanno da subito cercato di occultare ricorrendo alle false testimonianze di una decina di ex lavoratori, assortiti tra
Quadri/Impiegati ed Operai ( per i quali verrà istruito un nuovo processo); il nuovo filone d’inchiesta per 4 ispettori Asl, che avvertivano preventivamente l’Azienda dei controlli; il rinvio a giudizio di 4 testimoni della difesa per i reati di falsa testimonianza e omicidio colposo; il vergognoso ricatto perpetrato a danno dei lavoratori, ricollocati solo a patto di accettare “volontariamente” la rinuncia dalla costituzione di Parte Civile nel procedimento (80 operai così esclusi dalla costituzione di Parte Civile); la discriminazione adottata nei confronti degli ultimi
13 lavoratori ancora in cassa integrazione (quasi tutti costituiti Parte Civile nel processo), mai ricollocati dall’Azienda e dagli Enti locali come invece avvenuto per altri operai, nessuno dei quali costituito nel processo.
Nonostante le gravissime colpe accertate prima e durante il processo gli imputati sono ancora a piede libero, come se nulla fosse. Useranno ancora questo lasso di tempo prima del processo di Appello per cercare di inquinare ulteriormente le prove?
Un imprenditore e/o un’azienda che si definiscono perbene non hanno nulla da temere da questa sentenza: semmai è una esortazione a fare ancora di più per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, visto il numero inquietante di morti, infortuni, invalidi da lavoro e colpiti da malattie professionali nel nostro Paese, che ci relega agli ultimi posti in Europa in fatto di sicurezza e tutela della salute nei luoghi di lavoro. Chi interpreta questa sentenza, che dovrebbe ridare speranza ai lavoratori e
far riflettere gli imprenditori, in maniera negativa, è in malafede, così come il tentativo di delegittimarla, disonorando la memoria delle vittime e la terribile sofferenza patita dai familiari.
Anche gli operai, mandati in guerra senza che venisse detto loro, pretendono giustizia: che i risarcimenti ottenuti dagli Enti locali costituiti come Parti Civili nel processo vengano utilizzati per creare nuovi posti di lavoro per tutti quelli che, come noi, hanno dovuto subire simili ingiustizie.
Torino, 19 aprile 2011
Associazione Legami d’Acciaio Onlus
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