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TRUMP e REAGAN
Se per il tipo di
elettorato la vittoria di Trump sembra avere molte analogie con
quella di Reagan – anche allora tutto ciò che era reazionario si
raccolse intorno a Reagan – è giusto, come dicono alcuni
osservatori, che il paragone con Reagan è più apparente che reale,
e questo proprio in uno dei concetti di fondo che invece avrebbe
dovuto legarli.
Reagan vince con un voto
reazionario ma con un'idea forza costituita dal neoliberismo.
Il
neoliberismo, che è un'espressione abbastanza superficiale, ma su
cui non insistiamo, ha caratterizzato la politica americana fino al
moderno Obama, anche se quest'ultimo si è presentato come
“correttore” del neoliberismo (vedi il fiore all'occhiello della
riforma sanitaria “Obama care”); Trump, invece, ha spinto molto
sulla tradizione americana, sul restauro e conservazione dei valori,
secondo un'ideologia da “onda lunga” che punta a cancellare dalla
storia americana tutti gli elementi di contraddizione che l'hanno
caratterizzata dal '45 in poi.
Una reazione ai cambiamenti della
società americana che va verso una restaurazione antistorica, ma
evocante tutta l'America profonda che, come abbiamo scritto in un
altro articolo, in altre elezioni era rappresentata da candidati di
estrema destra minoritari.
Per quanto sia abbastanza
illusorio che la superpotenza egemonica globale Usa possa, per così
dire, fare un grande passo indietro rispetto al ruolo che assume
oggi, e per di più poterlo fare in una fase di crisi e di acuta
contesa globale in cui si misura con un'altra potenza globale, sia
pur indebolita, la Russia, e una nuova potenza globale, la Cina,
ecc., non va affatto sottovalutato ciò che queste elezioni hanno
rappresentato per i suoi elettori che vogliono davvero un ritorno
all'indietro e che hanno vissuto ogni cambiamento come un abbandono
dei valori americani e non una loro affermazione; a cui si è
aggiunto l'effetto devastante della crisi che, al di là di quello
che dice Obama, anche nel cuore degli Usa ha colpito pesantemente.
Questo tipo di situazione,
se Trump vuole rispondere all'esigenza dei suoi elettori, non
comporta affatto un'accentuazione del neoliberismo ma una spinta
fortemente “statalista”, perchè il protezionismo tale è, il
fascismo neocorporativo all'americana tale è, il dominio assoluto
dello Stato di polizia tale è.
L'ondata rappresentata dal
voto a Trump non è la stessa da quella rappresentata da Reagan. E il fronte anti Trump ha
e deve avere caratteristiche differenti e soprattutto evitare che
finisca sotto l'egemonia dei miliardari globalizzatori e di quelle
componenti che nella crisi hanno avuto effetti minori e, di
conseguenza si è acutizzato il “divario in seno al popolo”, che
ha permesso questa volta che l'estrema destra non fosse un anello
debole dello schieramento repubblicano ma l'anello vincente.
Il socialismo è la
prospettiva anche negli Stati Uniti.
Il socialismo non è
socialdemocrazia. L'orizzonte Sanders non è la base e l'alleato
principale della battaglia proletaria, popolare, rivoluzionaria
contro Trump.
TRUMP/EUROPA-NATO/ESTREMA DESTRA EUROPEA
La vittoria di Trump
rappresenta comunque un nuovo scenario nei rapporti Europa Stati
Uniti.
La posizione su cui Trump
ha vinto le elezioni è di tipo isolazionista, e stando alle logiche
conseguenze, dovrebbe esserci una politica economica protezionista, un
minor impegno negli interventi imperialisti e un minore impegno anche
sul fronte della Nato.
Obama viene da un Vertice
Nato in cui in apparenza le cose affermate e decise vanno in
direzione opposta – vedi analisi contenuta nello speciale VERTICE NATO proletari comunisti. Di conseguenza le immediate spinte in Europa e
nei partner principali di essa vanno in direzione riprendere a
parlare di difesa europea per potere comunque garantirsi gli
strumenti necessari per proseguire nei loro piani imperialisti,
rispetto all'imperialismo russo e rispetto ai focolai di tensione nel
mondo.
Ma anche su questo
l'apparenza inganna. I cambi politici a questo livello si muovono con
tempi lunghi che vanno ben oltre le intenzioni e i programmi di Trump
stesso.
Quando Trump dice che
vuole una America più forte, intende contro nemici esterni che sono
poi nemici interni. E si accentua, quindi, la politica antimmigrazione
e la “guerra interna” al cosiddetto “terrorismo” islamico,
nella visione molto estesa che Trump e soprattutto il suo bocco
elettorale hanno.
Ma naturalmente la
superpotenza globale imperialista questa forza le serve in
funzione del suo dominio globale.
Di conseguenza l'idea
concreta che l'amministrazione di Trump sia caratterizzato da un
isolazionismo e da un minor intervento è abbastanza lontana da poter
essere realmente praticata. Così per quanto riguarda la Nato. La
Nato è strumento principe e principalmente nelle mani degli Usa per
essere lasciata in mani europee e l'imperialismo americano non può
realmente permettersi un assist ai piani di difesa europea.
Quindi, a nostro giudizio,
le decisioni al Vertice di Varsavia potranno essere adombrate da un
polverone ma non certo cambiate radicalmente.
Questo naturalmente non è
dire che non cambia nulla.
Trump ha goduto dei
favori di Putin che lo ha apertamente sostenuto nella campagna
elettorale, con mezzi pubblici e occulti. In primo luogo perchè
l'imperialismo russo ha teso ad indebolire la leadership americana in
generale; in secondo luogo per la contesa aperta in diversi
scacchieri del mondo; in terzo luogo per contrastare i piani
guerrafondai definiti al Vertice Nato di Varsavia.
La continua alternanza tra
Usa e Russia di fasi di contesa e fasi di collusione, con la
presidenza Trump, almeno a parole, si vorrebbe segnata dalla
collusione, ma tutto ciò è in contrasto col fronte elettorale che
lo ha eletto, che è una sorta di en plein di tutti i falchi
repubblicani e non, e che chiaramente non si può assolutamente
pensare che siano fautori di una politica dell'accordo con la Russia
di Putin
Quello che li unisce
davvero è la natura fascio-imperialista di entrambi.
Su questo la
sintonia con Trump è davvero grande, e si sa che nella politica
internazionale gli interessi e le scelte generali dipendenti
dall'economia e dalla strategia sono però in parte influenzate dai
personaggi che interpretano queste esigenze economiche e strategiche.
Ma una nuova collusione
non può avere come base la guerra anti Isis perchè questa è già
in atto.
Trump è la risposta alla crisi di egemonia
e di ruolo dell'imperialismo Usa. Questo spinge verso i fattori di
guerra che determinano comunque i passi effettivi che Trump dovrà
fare.
Circa i reali effetti di
questa eventuale nuova fase di collusione nei diversi scacchieri e
nei rapporti con l'Europa li affronteremo con più dettagli in
seguito, quello che invece va segnalato è un altro dato sugli
effetti politici delle elezione di Trump.
Trump ha vinto su
posizioni fascio-imperialiste e questo ha creato un'immediata
esultanza di tutti le forze e i capi di esse dei fasci-imperialisti
del mondo, che hanno visto nella vittoria di Trump la loro vittoria e
la possibilità che questo vento - legato a tutte le altre questioni
da noi analizzate all'interno dei diversi paesi sull'ascesa nella
crisi della forze fasciste e reazionarie e sul peso che ha l'ondata
migratoria – trasporti anche le loro forze al potere.
Questo da un lato dimostra
per l'ennesima volta che tutte le forze di reazione e di fascismo nei
paesi imperialisti e capitalisti europei in particolare hanno come caratteristica di essere
servi dell'imperialismo più forte e aggressivo, e pur dipingendosi
come nazionalisti e, alcune di esse, sostenitrici dell'ordine europeo
caratterizzato dalle nazioni, in realtà sono l'ultima conformazione
dei servi dei padroni e dell'imperialismo americano in primis. Un
fattore che va usato nella denuncia politica dell'azione concreta di
queste forze.
Il voto a Trump inoltre ha
molte similitudini con il Brexit-voto in Gran Bretagna, questo si spera che contribuisca ulteriormente ha chiarire che il Brexit significa
fascio-imperialismo in Inghilterra come in ogni altro paese in cui si
realizzasse una situazione simile.
Ma certamente sul fronte
degli effetti nella politica interna reazionaria, antimmigrati, anti
donne la vittoria di Trump offre uno scenario globale che alimenta
il moderno fascismo, ne consolida la presa e apre in ogni paese un
livello più alto di scontro su tutto questo. Però anche su questo
insistiamo a non essere superficiali.
L'imperialismo americano
nel mondo e soprattutto all'interno e nei confronti dei paesi imperialisti europei ha
interesse a mantenere la sua presa globale, secondo i suoi disegni e la sua
classe dominante, non si può pensare che sia favorevole
all'affermarsi in ogni paese delle forze fasciste. Quindi, i fascisti
di vario genere, o fascio-populisti che siano, che sono corsi alla
greppia della vittoria di Trump, potranno usare ad uso interno
questo, ma si illudono che questo dia vita ad un rapporto
privilegiato con gli imperialisti USA
Inoltre meno che mai
bisogna caratterizzare la situazione mondiale con un
fascio-imperialismo rappresentato da Trump con tutti i suoi alleati
in ogni paese e un fronte democratico progressista che raccoglie gli
altri paesi del mondo.
Non siamo alla seconda guerra mondiale.
Primo,
perchè la Russia è un paese imperialista, e i paesi e i governi
europei non sono paesi democratici e il moderno fascismo caratterizza
già i governi attuali in Europa, da Renzi ad Hollande,
dall'Inghilterra a tutti i governi dei paesi dell'Est, ecc.
Secondo,
perchè Putin resta in Europa un amico delle forze fasciste, i cui
leader professano quotidianamente apertura, fedeltà e perfino
ammirazione verso l'imperialismo russo. Questo imperialismo finanzia in parte le forze di destra e l'unica forza di destra che combatte è
quella ai propri confini, per i propri interessi imperiali,
rappresentata dai nazisti ucraini; per il resto la politica
imperialista russa è volta a cavalcare tutte le spinte fascio
imperialiste nel mondo, purchè siano contro l'imperialismo
avversario e purchè permettano all'imperialismo russo di mantenere
il suo ruolo.
Questo spiega perchè non
c'è nessuna possibilità di uno scenario attuale da “seconda
guerra mondiale”. E questo deve servire da orientamento e guida
nell'azione, nella lotta globale necessaria contro il
fascio-imperialismo di Trump, nella lotta all'interno dei paesi
imperialisti contro l'avanzare e l'affermarsi del moderno fascismo,
nello sviluppo delle lotte di liberazione e delle guerre popolari in
tutti i paesi oppressi dall'imperialismo.
TRUMP e ISRAELE
La vittoria di Trump ha
effetti immediati in Israele.
Trump per fini elettorali che in parte contraddice il suo credo e quello di molte delle componenti che
lo sostengono, si è molto esposto nel sostegno ad Israele e
all'azione e ai piani nazi/sionisti del suo governo attuale, e questo
non fa che incentivare l'azione aggressiva dello Stato sionista
nei confronti del popolo palestinese e la sua azione guerrafondaria
di gendarme dell'area nei confronti di tutte le masse arabe.
Recentemente lo Stato
sionista aveva avuto notevoli contrasti con l'amministrazione Obama
che, pur non avendo mai lesinato il suo appoggio, per ragioni di
immagine e di alleanza nel mondo arabo e nei disegni dell'aggressione
imperialista in corso aveva assunto una posizione più distante
dall'azione concreta dello Stato sionista e delle sue truppe.
Ora l'elezione di Trump
sembra scatenare il cane rabbioso sionista che si vedrà autorizzato
in un'azione ancor più genocida verso le masse palestinesi.
Ciononostante questa è
una pietra che può ricadere sui piedi dello Stato sionista e
dell'imperialismo Usa.
L'azione del primo non
potrà che rilanciare tra tutte le amasse arabe la portata strategica
della lotta di liberazione della Palestina, favorendone l'unità a
fronte del dispiegarsi della guerra di tutti contro tutti per
interposta persona e per conto dei diversi imperialismi che
caratterizza l'attuale situazione in tutto lo scenario medio
orientale e di tutto il mondo arabo.
Più l'azione dello Stato
sionista sarà coperta dall'imperialismo Usa, più forte sarà la
resistenza del popolo palestinese e la resistenza delle masse arabe
contro i loro nemici principali.
Questo avviene proprio
mentre Israele sta attuando con una politica di alleanze
con tutti i regimi reazionari e feudali della zona, all'insegna della
comune natura spesso e del comune interesse contro i popoli – basti
pensare ai rapporti Israele-Egitto di Al sisi, Israele-Erdogan,
Israele e la nuova politica interventista dell'Arabia saudita e, in
forme celate, Israele-Isis.
Questi rapporti in un
quadro di accentuazione dell'azione dello Stato sionista saranno resi più difficili dallo sviluppo della lotta del popolo
palestinese e dal potenziale fronte unito delle masse arabe, che
intorno alla questione palestinese ha trovato e può trovare ancora, sia pur in maniera
fragile, un'unità di fondo.
Una Israele più aggressiva
(se si può usare un tale aggettivo per questo Stato) logora tutte
le posizioni intermedie di tutti gli imperialismi, di tutte le forze
opportuniste dell'area, circa gli accordi di pace, i “due popoli,
due Stati”, compreso la posizione della leadership attuale del popolo
palestinese.