Renzi è come
Berlusconi, anzi peggio, ormai punta tutto sull’ottimismo, sulla “fiducia”,
mentre i dati reali dimostrano esattamente il contrario di ciò che dice e di
cui si vanta per “portare a termine le riforme” e cioè spianare completamente
la strada ai padroni nella possibilità di fare profitti, essere competitivi,
ecc. ecc.
I dati che smentiscono
Renzi ce li fornisce direttamente il Sole 24 Ore, il giornale dei padroni,
quelli che vogliono fare a Renzi un monumento!
E infatti l’editorialista
del 20 settembre si chiede nel titolo: “Occupazione o produttività?” e questo
lo chiama “Il rebus dell'Italia”, vediamo perché.
“Leggendo le recenti
statistiche del mercato del lavoro, - dice il giornalista - molti osservatori
si sono fatti la seguente idea: il Jobs
Act sta lentamente cambiando la qualità dell'occupazione, favorendo i passaggi
da tempo determinato a tempo indeterminato, ma non sta creando nuovi posti di
lavoro.” Non è una “idea” che si sono fatti gli osservatori è la realtà che
vediamo tutti!
Ma anche il giornalista
vuole essere ottimista: “Se però solleviamo lo sguardo dalle statistiche
dell'ultimo mese o dell'ultimo trimestre, e proviamo a guardare le cose in una
prospettiva un po' più lunga, il panorama che ci si presenta ci riserva qualche
sorpresa.” Vediamo la sorpresa.
“La crisi ha distrutto circa 1 milione di posti di lavoro, ma dalla
fine del 2013 l'occupazione totale ha ricominciato a salire, prima sotto Letta
(2013), poi sotto Renzi-1 (2014), poi sotto Renzi-2 (2015, vigente la decontribuzione). Del milione di posti di lavoro
bruciati nel quinquennio 2008-2013 ne abbiamo ricuperati 351mila (più di 1/3),
di cui 139mila sotto Letta, 88mila sotto Renzi-1, e altri 124mila sotto
Renzi-2.” Ma “Difficile dire se i 124mila posti di lavoro creati dall'inizio
del 2015, prima sotto la spinta della
decontribuzione, poi (dal 7 marzo) sotto
la spinta del Jobs Act, siano merito delle nuove regole, o costituiscano un semplice rimbalzo, che compensa il
rallentamento di fine 2014 (presumibilmente
dovuto all'attesa degli sgravi).”
A parte l’effetto
comico della conta di questo “recupero miracoloso”, salta all’occhio non la
sorpresa ma la perdita di posti di lavoro e il fatto che è solo grazie alla
decontribuzione, cioè al fatto che i padroni ricevono contributi dal governo e pagano
meno tasse, se c’è questa “ripresa”. Per non parlare del “rimbalzo” su cui
torneremo dopo.
In tutti questi dubbi
però il nostro giornalista/ottimista trova anche qualcosa di certo: “Quello che
però è certo è che, da circa 2 anni, il trend dell'occupazione totale è tornato
ad essere positivo, e il suo ritmo medio è stato di 40-50mila posti a
trimestre. Non è molto, ma è già qualcosa: se continuasse così, in 3-4 anni
torneremmo ai livelli pre-crisi.” Anche se tutta questa cretinata di conti
fosse vera, e non lo è, (il tizio parla di numeri,
come fanno sempre i padroni, invece di persone
per le quali il lavoro è vita!) lo scribacchino dimentica che il livello
pre-crisi era di circa 6 milioni di disoccupati veri!
E ora passiamo alla
precarietà, o meglio come dice in questo caso il giornalista, dalla quantità
alla qualità.
“Il quadro si fa decisamente meno confortante se, dalla
quantità di posti di lavoro, passiamo a considerare la loro qualità. Il peso dei contratti a termine era
del 13-14% prima della crisi, era al medesimo livello sotto Monti e sotto
Letta, e tale è rimasto sotto Renzi. Gli ultimi dati (2°
trimestre 2015, vigente il Jobs Act)
segnalano semmai una leggera tendenza
all'aumento rispetto a un anno prima. Quanto all'altro indicatore di precarietà, il peso del part-time involontario
sul part-time totale, la situazione è semplicemente drammatica.”
Finito l’ottimismo! Si torna
all’aumento della precarietà!
“Prima della crisi i lavoratori dipendenti che lavoravano a orario
ridotto per necessità e non per propria scelta erano circa il 40% del totale,
oggi sfiorano il 70%. Il loro peso sull'insieme dei lavoratori dipendenti
era già in aumento prima del 2007-2008, è
cresciuto smisuratamente durante gli anni della crisi, e ha continuato a farlo
sotto Letta e sotto Renzi, sia prima sia dopo il Jobs Act. Dunque: il
numero di occupati sta aumentando, ma la qualità dei contratti di lavoro no.”
E adesso torniamo al “rimbalzo”.
“Contemporaneamente,
come abbiamo segnalato in un precedente articolo, la domanda di lavoro sembra avere cambiato radicalmente le proprie
preferenze. Nel corso della crisi i
lavoratori italiani hanno perso colpi rispetto agli stranieri, i giovani
rispetto agli anziani, gli uomini rispetto alle donne, i meno istruiti rispetto
ai più istruiti, gli occupati del sud rispetto a quelli del centro-nord.” E
questa si chiama “profonda
ristrutturazione della domanda di lavoro”. Traduciamo: i padroni durante la
crisi licenziano più del necessario per cui la disoccupazione aumenta e i
padroni per farsi meglio la concorrenza e tornare a fare profitti devono
ristrutturare le fabbriche e il modo di lavorare, introducendo robot e altri
meccanismi tecnologici e “conquistando nuovi mercati” che richiedono non più
gli stessi lavoratori di prima, che magari erano più anziani e “sindacalizzati”,
ma altri!
Eppure, si lamenta il giornalista,
questa ristrutturazione in Italia “si è accompagnata ad una marcata riduzione degli investimenti,
quasi che il rilancio dell'economia italiana potesse poggiare esclusivamente su
una diversa selezione della forza lavoro, più attenta alle doti di
preparazione, esperienza, affidabilità, disponibilità al sacrificio.”
Insomma i padroni
nemmeno in questo caso hanno sborsato soldi… quelli glieli ha trovati Renzi!
Ma secondo il
giornalista questa operazione non è servita perché così non aumenta la
produttività: “Diversamente che in
passato (anni '60), la ricetta non ha funzionato. E la prova è molto
semplice, anzi impietosa: comunque la si misuri, la produttività del lavoro è
sostanzialmente ferma da una quindicina di anni. Cambiare drasticamente la composizione della forza lavoro e ridurre la
quota di Pil destinata agli investimenti hanno avuto il solo effetto di
allargare drammaticamente il divario di produttività fra l'Italia e gli altri
paesi.” Ecco perché “oggi, la politica
economica [e cioè ancora una volta il governo] si trova di fronte a un
dilemma vero. Il nostro tasso di
occupazione resta, nonostante i modesti progressi degli ultimi due anni, uno
dei più bassi fra i 34 paesi Ocse.”
E come suggerisce di
risolvere questi problemi, lo scribacchino? Con un suggerimento che sembra “logico”
ma che i padroni e il governo prenderanno come follia e non potranno attuare! Vediamo:
“Ciò suggerirebbe di puntare tutte le
carte sull'aumento dei posti di lavoro regolari, in modo da riassorbire i tre grandi mostri del
sistema-Italia: il lavoro nero, la disoccupazione, l'esercito degli scoraggiati.”
E chi li ha creati questi tre grandi
mostri del sistema-Italia? Se non i padroni e i loro governi? “Se però
guardiamo alla dinamica (ma sarebbe meglio dire alla “statica”) della
produttività del lavoro, il suo
terrificante ristagno da inizio millennio farebbe pensare che la priorità
numero uno dell'Italia sia piuttosto l'incentivazione
degli investimenti, unica via per interrompere il ristagno della
produttività.”
Ma alla fine “sincerità”
vuole che la soluzione prospettata non sia una soluzione, dato che il sistema
capitalistico si aggira tutto intorno alle contraddizioni che si possono
risolvere solo con il suo abbattimento!
Infatti il giornalista
un po’ sconsolato conclude: “Naturalmente, entrambe le politiche comportano i
loro rischi: se si incentiva la
creazione di posti di lavoro diminuisce la convenienza relativa
dell'investimento [il capitale ha la tendenza a diminuire sempre la parte
del capitale investita in salari] e la dinamica della produttività può
peggiorare ulteriormente. Se si incentivano gli investimenti i guadagni di
produttività possono rendere superflua una parte della forza lavoro, aggravando il problema occupazionale.” Insomma
decidiamoci, sembra voler dire il giornalista, perché “Il nocciolo del rebus italiano è proprio qui. Le imprese vorrebbero più produttività,
perché altrimenti non riescono a stare sul mercato. I lavoratori, effettivi e potenziali, vorrebbero più occupazione,
perché il 25% delle famiglie non arriva alla fine del mese. Hanno ragione entrambi. [e no! Questa si
chiama conciliazione di interessi tra le classi, e invece l’interesse del
proletariato e della borghesia sono inconciliabili!] Il problema è che, per
raggiungere tutti e due i risultati – più occupazione e più produttività – il
Pil deve crescere di almeno il 2-3% l'anno: un obiettivo da cui, temo, siamo ancora lontani.” Con buona pace delle
chiacchiere ottimiste di Renzi.
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