martedì 22 settembre 2015

pc 22 settembre - IL GOVERNO RENZI AUMENTA LA PRECARIETA'... PIU' CONTRATTI A TERMINE

Renzi è come Berlusconi, anzi peggio, ormai punta tutto sull’ottimismo, sulla “fiducia”, mentre i dati reali dimostrano esattamente il contrario di ciò che dice e di cui si vanta per “portare a termine le riforme” e cioè spianare completamente la strada ai padroni nella possibilità di fare profitti, essere competitivi, ecc. ecc.

I dati che smentiscono Renzi ce li fornisce direttamente il Sole 24 Ore, il giornale dei padroni, quelli che vogliono fare a Renzi un monumento!

E infatti l’editorialista del 20 settembre si chiede nel titolo: “Occupazione o produttività?” e questo lo chiama “Il rebus dell'Italia”, vediamo perché.

“Leggendo le recenti statistiche del mercato del lavoro, - dice il giornalista - molti osservatori si sono fatti la seguente idea: il Jobs Act sta lentamente cambiando la qualità dell'occupazione, favorendo i passaggi da tempo determinato a tempo indeterminato, ma non sta creando nuovi posti di lavoro.” Non è una “idea” che si sono fatti gli osservatori è la realtà che vediamo tutti!
Ma anche il giornalista vuole essere ottimista: “Se però solleviamo lo sguardo dalle statistiche dell'ultimo mese o dell'ultimo trimestre, e proviamo a guardare le cose in una prospettiva un po' più lunga, il panorama che ci si presenta ci riserva qualche sorpresa.” Vediamo la sorpresa.
La crisi ha distrutto circa 1 milione di posti di lavoro, ma dalla fine del 2013 l'occupazione totale ha ricominciato a salire, prima sotto Letta (2013), poi sotto Renzi-1 (2014), poi sotto Renzi-2 (2015, vigente la decontribuzione). Del milione di posti di lavoro bruciati nel quinquennio 2008-2013 ne abbiamo ricuperati 351mila (più di 1/3), di cui 139mila sotto Letta, 88mila sotto Renzi-1, e altri 124mila sotto Renzi-2.” Ma “Difficile dire se i 124mila posti di lavoro creati dall'inizio del 2015, prima sotto la spinta della decontribuzione, poi (dal 7 marzo) sotto la spinta del Jobs Act, siano merito delle nuove regole, o costituiscano un semplice rimbalzo, che compensa il rallentamento di fine 2014 (presumibilmente dovuto all'attesa degli sgravi).”

A parte l’effetto comico della conta di questo “recupero miracoloso”, salta all’occhio non la sorpresa ma la perdita di posti di lavoro e il fatto che è solo grazie alla decontribuzione, cioè al fatto che i padroni ricevono contributi dal governo e pagano meno tasse, se c’è questa “ripresa”. Per non parlare del “rimbalzo” su cui torneremo dopo.

In tutti questi dubbi però il nostro giornalista/ottimista trova anche qualcosa di certo: “Quello che però è certo è che, da circa 2 anni, il trend dell'occupazione totale è tornato ad essere positivo, e il suo ritmo medio è stato di 40-50mila posti a trimestre. Non è molto, ma è già qualcosa: se continuasse così, in 3-4 anni torneremmo ai livelli pre-crisi.” Anche se tutta questa cretinata di conti fosse vera, e non lo è, (il tizio parla di numeri, come fanno sempre i padroni, invece di persone per le quali il lavoro è vita!) lo scribacchino dimentica che il livello pre-crisi era di circa 6 milioni di disoccupati veri!

E ora passiamo alla precarietà, o meglio come dice in questo caso il giornalista, dalla quantità alla qualità.

“Il quadro si fa decisamente meno confortante se, dalla quantità di posti di lavoro, passiamo a considerare la loro qualità. Il peso dei contratti a termine era del 13-14% prima della crisi, era al medesimo livello sotto Monti e sotto Letta, e tale è rimasto sotto Renzi. Gli ultimi dati (2° trimestre 2015, vigente il Jobs Act) segnalano semmai una leggera tendenza all'aumento rispetto a un anno prima. Quanto all'altro indicatore di precarietà, il peso del part-time involontario sul part-time totale, la situazione è semplicemente drammatica.”

Finito l’ottimismo! Si torna all’aumento della precarietà!

Prima della crisi i lavoratori dipendenti che lavoravano a orario ridotto per necessità e non per propria scelta erano circa il 40% del totale, oggi sfiorano il 70%. Il loro peso sull'insieme dei lavoratori dipendenti era già in aumento prima del 2007-2008, è cresciuto smisuratamente durante gli anni della crisi, e ha continuato a farlo sotto Letta e sotto Renzi, sia prima sia dopo il Jobs Act. Dunque: il numero di occupati sta aumentando, ma la qualità dei contratti di lavoro no.”
E adesso torniamo al “rimbalzo”.
“Contemporaneamente, come abbiamo segnalato in un precedente articolo, la domanda di lavoro sembra avere cambiato radicalmente le proprie preferenze. Nel corso della crisi i lavoratori italiani hanno perso colpi rispetto agli stranieri, i giovani rispetto agli anziani, gli uomini rispetto alle donne, i meno istruiti rispetto ai più istruiti, gli occupati del sud rispetto a quelli del centro-nord.” E questa si chiama “profonda ristrutturazione della domanda di lavoro”. Traduciamo: i padroni durante la crisi licenziano più del necessario per cui la disoccupazione aumenta e i padroni per farsi meglio la concorrenza e tornare a fare profitti devono ristrutturare le fabbriche e il modo di lavorare, introducendo robot e altri meccanismi tecnologici e “conquistando nuovi mercati” che richiedono non più gli stessi lavoratori di prima, che magari erano più anziani e “sindacalizzati”, ma altri!

Eppure, si lamenta il giornalista, questa ristrutturazione in Italia “si è accompagnata ad una marcata riduzione degli investimenti, quasi che il rilancio dell'economia italiana potesse poggiare esclusivamente su una diversa selezione della forza lavoro, più attenta alle doti di preparazione, esperienza, affidabilità, disponibilità al sacrificio.”

Insomma i padroni nemmeno in questo caso hanno sborsato soldi… quelli glieli ha trovati Renzi!

Ma secondo il giornalista questa operazione non è servita perché così non aumenta la produttività: “Diversamente che in passato (anni '60), la ricetta non ha funzionato. E la prova è molto semplice, anzi impietosa: comunque la si misuri, la produttività del lavoro è sostanzialmente ferma da una quindicina di anni. Cambiare drasticamente la composizione della forza lavoro e ridurre la quota di Pil destinata agli investimenti hanno avuto il solo effetto di allargare drammaticamente il divario di produttività fra l'Italia e gli altri paesi.” Ecco perché “oggi, la politica economica [e cioè ancora una volta il governo] si trova di fronte a un dilemma vero. Il nostro tasso di occupazione resta, nonostante i modesti progressi degli ultimi due anni, uno dei più bassi fra i 34 paesi Ocse.”

E come suggerisce di risolvere questi problemi, lo scribacchino? Con un suggerimento che sembra “logico” ma che i padroni e il governo prenderanno come follia e non potranno attuare! Vediamo: “Ciò suggerirebbe di puntare tutte le carte sull'aumento dei posti di lavoro regolari, in modo da riassorbire i tre grandi mostri del sistema-Italia: il lavoro nero, la disoccupazione, l'esercito degli scoraggiati.” E chi li ha creati questi tre grandi  mostri del sistema-Italia? Se non i padroni e i loro governi? “Se però guardiamo alla dinamica (ma sarebbe meglio dire alla “statica”) della produttività del lavoro, il suo terrificante ristagno da inizio millennio farebbe pensare che la priorità numero uno dell'Italia sia piuttosto l'incentivazione degli investimenti, unica via per interrompere il ristagno della produttività.”

Ma alla fine “sincerità” vuole che la soluzione prospettata non sia una soluzione, dato che il sistema capitalistico si aggira tutto intorno alle contraddizioni che si possono risolvere solo con il suo abbattimento!


Infatti il giornalista un po’ sconsolato conclude: “Naturalmente, entrambe le politiche comportano i loro rischi: se si incentiva la creazione di posti di lavoro diminuisce la convenienza relativa dell'investimento [il capitale ha la tendenza a diminuire sempre la parte del capitale investita in salari] e la dinamica della produttività può peggiorare ulteriormente. Se si incentivano gli investimenti i guadagni di produttività possono rendere superflua una parte della forza lavoro, aggravando il problema occupazionale.” Insomma decidiamoci, sembra voler dire il giornalista, perchéIl nocciolo del rebus italiano è proprio qui. Le imprese vorrebbero più produttività, perché altrimenti non riescono a stare sul mercato. I lavoratori, effettivi e potenziali, vorrebbero più occupazione, perché il 25% delle famiglie non arriva alla fine del mese. Hanno ragione entrambi. [e no! Questa si chiama conciliazione di interessi tra le classi, e invece l’interesse del proletariato e della borghesia sono inconciliabili!] Il problema è che, per raggiungere tutti e due i risultati – più occupazione e più produttività – il Pil deve crescere di almeno il 2-3% l'anno: un obiettivo da cui, temo, siamo ancora lontani.” Con buona pace delle chiacchiere ottimiste di Renzi.

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