mercoledì 7 dicembre 2011

pc 8 dicembre - Mumia Abu-Jamal deve uscire dal braccio della morte delle galere USA!

























Mumia Abu-Jamal, uno dei più conosciuti prigionieri politici al mondo, militante delle Pantere Nere, la "voce dei senza voce" è da trent'anni che l'imperialismo USA lo ha "sequestrato" nelle galere della Pennsylvania dopo un processo politico razzista che lo aveva condannato a morte già prima che comparisse davanti alla corte.
Nell'agosto del 1995 una campagna si è sviluppata a livello internazionale per sottrarlo alla sedia elettrica.
Ora il tribunale di Philadelphia ha annullato la condanna a morte e la pena è stata tramutata in ergastolo. E' con grande gioia che salutiamo la notizia che non subirà l'esecuzione di stato.
Ma è evidente l'identica natura persecutoria di questo provvedimento perchè è un'altra forma di condanna a morte!
Per trent'anni Abu-Jamal è stato costretto a sopportare la tortura dell'isolamento in una cella senza finestre dalle dimensioni di un piccolo bagno. Per trenta anni non ha potuto abbracciare i suoi figli, la moglie, la famiglia, o gli amici.
Anche se i boia al servizio dell'imperialismo lo hanno seppellito nelle galere non lo hanno mai piegato e dal braccio della morte Mumia non ha mai smesso di fare sentire la sua voce al fianco degli oppressi, contro le guerre imperialiste, contro la falsa democrazia yankee, in solidarietà internazionalista con i prigionieri politici, per i diritti civili.
Ed è per questo che la tigre di carta USA, attraverso le sue leggi, vuole annientare questo prigioniero-simbolo della ribellione al sistema nel vano tentativo di cancellare le sue idee di rivolta che sono le idee delle masse rivoluzionarie: "tutto il potere al popolo", "il potere nasce dalla canna del fucile", "una sola scintilla può incendiare una prateria".
La lotta deve continuare fino alla sua liberazione!

pc 7 dicembre - genova - verso la rivolta.. operai della fincantieri

Fincantieri, lunedì sciopero
gli operai bloccheranno la cittàDopo l'incontro a Roma con l'azienda che ha annunciato la cassa integrazione per tutti i dipendenti reazione durissima dei lavoratori, che marceranno sulla Prefettura


Una manifestazione dei lavoratori Fincantieri
Otto ore di sciopero e corteo fino alla Prefettura. I lavoratori della Fincantieri di Sestri scendono in piazza contro l'ipotesi sempre più probabile di chiusura del cantiere. Lunedì, quindi, sciopero contro la manovra ma anche contro le fabbriche messe sempre più a rischio. Al prefetto i sindacati chiedono una convocazione urgente da parte del ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera.
Se non c'è più nulla da costruire, allora l'unica prospettiva possibile è quella della cassa integrazione per tutti. Fincantieri si "cautela" di fronte alla prospettiva sempre più nitida di non avere più niente da fare a Sestri da marzo del prossimo anno, quando sarà partita la "Oceania Riviera". Così, di fronte ai sindacati, annuncia la sua intenzione di chiedere al ministero la cassa integrazione straordinaria per due anni per tutti i 741 dipendenti di Sestri. è il picco massimo previsto ed è compreso all'interno di un quadro nazionale, ufficializzato ieri a Roma al comitato consultivo paritetico, che prevede cassa integrazione straordinaria per 3.670 unità.

L'azienda, però, di fronte ai sindacati presenti per statuto, precisa che per quanto riguarda i carichi di lavoro bisogna distinguere fra utilizzo medio (il dato nazionale scende allora a 2.233 unità e a 518 per Sestri) e possibile picco. Tutto quindi dipenderà dalle prossime commesse, ma proprio questo è il punto più dolente per Sestri. L'azienda non ha fatto annunci in proposito (assente l'a. d. Bono, era rappresentata dai direttori Colombo e Sorrentino), ha sfruttato il tavolo per comunicare la procedura di apertura della Cigs, visto che la cassa ordinaria da fine anno è senza copertura, ma non ha lesinato qualche critica al passato governo che, di fatto, avrebbe costretto Fincantieri a congelare il vecchio piano industriale.

Il quadro, da allora, non è cambiato. Anzi, è cambiato in peggio, come dimostrerà fra breve anche lo studio commissionato all'advisor Roland Berger: tutta la cantieristica soffre, così come tutti gli altri settori produttivi. La crisi non risparmia proprio nessuno. Fincantieri resiste grazie a una ritrovata leadership mondiale nel settore delle navi da crociera e un buon carico di ordini sul militare. Ma chiaramente questo non basta per mantenere in piedi l'intero impianto, fanno capire i rappresentanti del gruppo. Da qui la richiesta al governo di sostenere per altri due anni le difficoltà del gruppo. Sestri, da questo punto di vista, rischia di pagare il prezzo più alto, insieme ad Ancona e a Castellammare. Ma anche Marghera andrà incontro a una lunga stagione di sacrifici.

"L'incontro è andato davvero male - commenta rientrando da Roma il segretario genovese della Fiom-Cgil Bruno Manganaro - Bono c'era sempre stato, finora, a questi incontri, ma stavolta ha preferito delegare ad altri. Per Sestri si parla di 741 dipendenti in cassa integrazione, vale a dire tutti quanti. La cassa media? Staremo a vedere, per il momento la richiesta al ministero del Lavoro è per 741 persone. C'è un'altra cosa inquietante in quell'elenco che ci è stato letto, che è quello degli esuberi. Per Sestri la casella è bianca, non c'è un numero e senza lavoro potrebbero anche qui essere tutti quanti".

Spaventano soprattutto certe affermazioni, a margine della richiesta ufficiale, raccolte dai rappresentanti dei lavoratori. "Quel piano industriale presentato e poi bloccato - continua Manganaro - oggi è diventato soltanto "sospeso" e torna quindi di attualità. L'azienda dice di averlo accantonato per le pressioni del vecchio governo, ma la situazione non è affatto cambiata. Che dire? Andremo al confronto con il nuovo governo, cominciando dal ministero del Lavoro per arrivare a quello dello Sviluppo Economico". Oggi assemblea in fabbrica, con sciopero. In attesa di una convocazione da Roma. Ma le speranze di salvare il cantiere di Sestri, assicurandogli nuovo lavoro dopo marzo, oggi sono un po' più flebili.
(mas. m.)
(07 dicembre 2011)

pc 7 dicembre - Mumia abu jamal vince una parte della sua battaglia - niente più pena di morte


Svolta nel caso di Mumia Abu-Jamal
niente pena di morte per la Pantera neraL'attivista e giornalista afroamericano era stato condannato nel 1982 alla sedia elettrica per la morte di un poliziotto. Il suo caso, raccontato dallo stesso detenuto in un libro best-seller, era diventato il simbolo della battaglia contro la pena capitale
PHILADELPHIA - L'attivista delle Pantere Nere, lo scrittore e giornalista Mumia Abu-Jamal, uno dei prigionieri politici più conosciuti al mondo, non sarà giustiziato. Il tribunale di Philadelphia ha annullato la condanna a morte dopo trent'anni di battaglia legale. Abu-Jamal era stato condannato alla pena capitale per la morte del poliziotto Daniel Faulkner nel dicembre del 1981. Secondo la legge della Pennsylvania, la pena è tramutata ora in ergastolo. I sostenitori del 57enne attivista di colore, da Amnesty International al Nobel per la pace Desmond Tutu, hanno sempre sostenuto che Jamal abbia subito un processo ingiusto.

Mumia Abu Jamal, il cui caso è divenuto un emblema per gli oppositori della pena capitale in tutto il mondo, era stato condannato nel 1982 alla sedia elettrica per aver ucciso il 9 dicembre 1981 un agente di polizia a Filadelfia. Il poliziotto, Daniel Faulkner, 25 anni, fu assassinato a colpi d'arma da fuoco mentre stava arrestando il fratello di Abu Jamal. Nella sparatoria fu ferito anche lo stesso Mumia. Tre persone testimoniarono di aver visto Abu Jamal sparare all'agente che aveva fermato suo fratello per una contravvenzione stradale.

Abu Jamal, il cui vero nome è Wesley Cook, ha 57 anni (è nato il 24 aprile 1954). Aveva 15 anni quando fondò la sezione delle Pantere Nere di Filadelfia. Negli anni Settanta divenne uno dei più noti giornalisti radiofonici di colore. In carcere ha scritto "Live from death row", testimonianza diretta delle condizioni di vita nel braccio della morte. Per la sua salvezza in questi anni hanno lanciato appelli numerose organizzazioni umanitarie e movimenti politici, ma anche capi di Stato e Parlamenti.

Nell'ottobre scorso la Corte suprema aveva respinto una richiesta dei procuratori di Philadelphia che volevano reimporre la pena di morte per Abu Jamal dopo che nella primavera scorsa una corte d'appello federale aveva deciso che la condanna dell'esponente nero doveva essere rivista.Oggi la svolta decisiva perchè i procuratori hanno fatto sapere di non voler più fare appello contro la decisione.
(07 dicembre 2011)

pc 7 dicembre - QUANDO I PROFITTI STUPISCONO...

La crisi da sovrapproduzione che a cascata tocca tutti i paesi del mondo non fa scemare il livello dei profitti della maggior parte delle grandi aziende, e ciò stupisce i borghesi stessi, perché naturalmente non capiscono niente della crisi di cui tanto parlano e sulla quale versano fiumi di inchiostro, come si suol dire.

Da un articoletto, intitolato “Quando i profitti stupiscono”, del sole24ore-Plus24 del 3 dicembre 2011 veniamo a sapere, infatti, che “Pochi giorni fa il Department of Commerce americano ha rilasciato la prima stima dei profitti delle società Usa nel terzo trimestre di quest'anno. Stime più economicamente significative rispetto a quelle desumibili dai bilanci societari, che sono redatti con criteri puramente contabili: per esempio registrano gli ammortamenti al costo storico e non a quello di sostituzione (lo stesso dicasi per la valutazione delle rimanenze) […] Ebbene, i profitti non cessano di stupire. Sono ancora aumentati nel terzo trimestre di quest’anno e, in percentuale del Pil e nella versione netta (dopo l’imposta, che è la grandezza più significativa al fine dell’accostamento agli indici di Borsa), sono al livello più alto da quando, nel 1947, è iniziata la contabilità nazionale trimestrale…”

Stiamo parlando di circa 1.500 miliardi di dollari di profitti delle aziende solo negli Stati Uniti!

D’altronde:

Se gli operai nelle fabbriche dei padroni continuano a produrre nel proprio paese e all'estero è perché producono profitti.

Le banche continuano a dichiarare enormi profitti.

Che cosa nasconde l'immensa evasione fiscale se non i profitti?

Che cosa ricicla la mafia e la malavita in generale se non i profitti?

Lo strozzinaggio legalizzato e illegale produce enormi profitti.

Se non ci fossero profitti i ricchi non potrebbero diventare più ricchi come ci racconta anche l’ultima indagine dell’Ocse [Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico] che smentisce una infinità di chiacchiere di partiti politici, esperti e sindacati, sulle ricadute positive dello “sviluppo economico sugli svantaggiati” e che “più sono grandi le ineguaglianze maggiore è la mobilità sociale”.

“In Italia sale il divario sociale”, “I ricchi più ricchi”, “L’1% possiede il 10% del reddito nazionale”, così intitolano alcuni giornali.

Con le chiacchiere sulla crisi i borghesi che diventano sempre più ricchi provano a far passare l’immagine di un paese povero che per riprendersi ha bisogno di sacrifici…

Vediamo con i numeri delle statistiche ufficiali che cosa significa:

60.000.000 circa è la popolazione italiana

24.000.000 circa sono i lavoratori dipendenti

17.000.000 circa sono i pensionati

3.500.000 circa sono i lavoratori in nero

2.500.000 circa sono i disoccupati (e lasciamo da parte per ora quelle “in cerca di occupazione”!)

Già solo con queste cifre siamo a circa 50.000.000, e a fronte di queste circa 600.000 persone, cioè la popolazione di una sola città come Genova, in questo paese ha nelle mani il 10% di tutto il reddito nazionale: se nel 2010 questo reddito ai prezzi di mercato è stato pari a 1.548.816 milioni di euro…

pc 7 dicembre - TRUCK CENTER, VERGOGNOSO! ASSOLTI I DIRIGENTI ENI

Operai della Truck center uccisi 2 volte. "Assolti perchè il fatto non sussiste"! Così 7 dirigenti dell'ENI di Taranto sono stati vergognosamente assolti nel processo bis per la strage del 3 marzo 2008 in cui 5 operai morirono soffocati dall'acido solfidrico nella maledetta cisterna a Molfetta. La giudice di Trani, Maria Grazia Caserta, che chi la conosce dice che si trova in quel posto non certo per meriti professionali, non si è neanche presa la briga di leggersi le migliaia di fogli, documenti che dimostrano in maniera evidente la responsabilità dell'Eni in questa strage, perchè come ha sostenuto il PM Maralfa "non ha evitato che lo zolfo fuso caricato dai serbatoi della raffineria di Taranto fosse messo in circolazione senza una preventiva valutazione dei pericoli"; responsabilità per cui il PM aveva chiesto 3 anni e 4 mesi di reclusione per i 7 dirigenti e un grosso risarcimento all'Eni.
Una sentenza spudoratamente di parte padronale, che offende profondamente i familiari che, soprattutto i genitori di Biagio Sciancalepore, dal 3 marzo 2008 stanno continuando a battersi per la verità e la giustizia, affinchè i veri colpevoli paghino per quegli assassini.
Altrettanto grave è l'altra decisione presa dal Tribunale di Taranto. Quasi contemporaneamente alla sentenza di Trani, il tribunale di Taranto ha archiviato l'esposto contro l'ENI fatto nel 2009 dallo Slai cobas per il sindacato di classe di Taranto nel'ambito della campagna fatta dalla Rete per la sicurezza sui posti di lavoro. Dopo aver tenuto per più di 2 anni nel cassetto quell'esposto, il Tribunale lo tira fuori per archiviarlo giusto pochi giorni prima della sentenza di Trani. Questa coincidenza non può essere un caso!

Come diceva il padre di Biagio Sciancalepore, non possiamo fermarci! E' necessario lottare più di prima. E a gennaio, alla ripresa del processo per gli imputati "minori" delle altre ditte, la battaglia contro l'ENI va ripresa!

Riportiamo stralci dell'Esposto fatto dallo Slai cobas per il sindacato di classe che dimostra in sintesi le precise responsabilità dell'ENI:

"...presso la Raffineria di Taranto il trasportatore riceve solo “la scheda per il conducente” che indica le modalità di trasporto, mentre non riceve “la scheda 16 punti sicurezza e ambiente” che si riferisce al contenuto trasportato.
Questa scheda è essenziale per conoscere esattamente la composizione quantitativa e qualitativa della sostanza trasportata, la percentuale di acido solfidrico contenuta nello zolfo; e, quindi, per adottare le misure di sicurezza relative, per tutta la procedura di carico, scarico/trasporto/bonifica, pulizia cisterne...
L'ENI si limita a far firmare ogni 5 anni la 'scheda sicurezza e ambiente', allorquando devono essere aggiornati i dati. Ma da testimonianze degli autisti emerge che lo stesso aggiornamento va anche oltre i 5 anni, tenuto conto che, nel 2008, era dal 2000 che la stessa non veniva aggiornata.
Anche allorquando viene firmata, gli autisti non sono messi nelle condizioni di leggere tutto il contenuto della scheda. A detta di questi, infatti, la direzione dell'ENI di Taranto mostra loro il documento piegato e chiede di firmare; senza quindi, preventiva lettura...
l'operazione di carico nelle cisterne di sostanze infiammabili viene fatta in assenza di personale addetto dell'ENI...
la vasca di degassificazione contenente zolfo non viene controllata costantemente, e quindi non vengono controllate le percentuali di acido solfidrico contenute nello zolfo...
Una pericolosa conseguenza di questo mancato controllo ricade anche sull'ambiente, dato che dalle vasche vengono immessi nell'aria gas tossici.
Da qui anche l'odore forte di zolfo che a volte si sente nella nostra città. Una pericolosità quindi sia per i lavoratori che operano nell'area dell'ENI che per la popolazione di Taranto, che non viene neanche informata del grado di pericolosità delle sostanze che sono costrette a respirare, anche per intere giornate...
la raffineria Eni di Taranto viola stabilmente le norme di sicurezza per i lavoratori e di tutela ambientale...
l'Eni è responsabile di infortuni mortali avvenuti in questi anni (come la morte dei 5 operai della Truck Center di Molfetta), o di intossicazione alla popolazione.
...Chiediamo di voler accertare se l'omissione delle procedure di controllo e di documentazione prevista, in particolare la mancata consegna agli autisti trasportatori della scheda di sicurezza e ambiente, abbia un fine di lucro consistente nell'abbassare il costo del trasporto ai fini fiscali..."

pc 7 dicembre - a Napoli contro il No marchionne day

In direzione ostinata e contraria… verso il “NO MARCHIONNE DAY”
Martedì 06 Dicembre 2011 13:41 cau . “Finalmente” Monti ha parlato e quello che è uscito della prima riunione del Consiglio dei Ministri davvero operativa, non lascia presagire nulla di buono; ma in fondo ce l’aspettavamo e, come da copione, non ci sono state particolari sorprese. Tra una lacrima e l’altra del Ministro Fornero, è stata pronunciata la magica parola che, sola, condensa il programma del nuovo Governo e la “cura” per l’Italia: sacrifici. Ma sacrifici per chi? È fin troppo scontata la risposta: per i soliti, per chi non ha nulla, per i lavoratori.

Una risposta tanto scontata quanto complessa da elaborare, perché complesso risulta leggere nell’insieme i cambiamenti in atto, cercando di capire come l’uno sia complementare all’altro e quanto possa risultare almeno riduttivo provare a leggerli come pezzi separati. È per questo che, proprio mentre il Governo elencava le misure e i provvedimenti che da subito intende mettere in campo, a Napoli, all’Università Orientale, abbiamo deciso di convocare un primo momento pubblico di dibattito ma anche di lancio di una opposizione sociale che sola, può provare a bloccare questo processo.

Un’opposizione che, come ha detto Francesco Piccioni (giornalista de Il manifesto), con noi in collegamento da Roma, deve fin da subito provare ad essere di massa, coinvolgere ampi strati della popolazione. Insomma, ancora una volta teoria e prassi, smontare l’impianto ideologico predisposto ad arte per convincere tutti a “fare sacrifici in nome del benessere generale”, indicare precisamente da che parte stiamo, spiegare come tutti i provvedimenti siano inseriti in una cornice che può essere, semplificando, “attacco al lavoro in tutte le sue forme”, scendere in campo per opporci a tutto questo e, contemporaneamente, conquistare, con la lotta, quei diritti calpestati che già ora ci appaiono sempre più lontani ed inaccessibili.

È per questo che come campagna “Eat the rich”, abbiamo individuato e condiviso pubblicamente la necessità di costruire una prima giornata di mobilitazione cittadina e generalizzata, in occasione della visita di Marchionne ed Elkann a Napoli, per l’inaugurazione, tra il 14 e 15 Dicembre, della Nuova Panda, che verrà prodotta nei prossimi anni a Pomigliano d’Arco.

Perché Marchionne? Perché rappresenta, in una fase in cui i padroni provano a fare terra bruciata dei diritti dei lavoratori, a comprimere al massimo il salario in tutte le sue forme (diretto, attraverso tagli agli stipendi e aumento delle ore di lavoro; indiretto, attraverso i tagli al welfare e la privatizzazione dei servizi sociali; differito, attraverso l’aumento dell’età pensionabile e la fine del sistema retributivo), la punta avanzata di questo processo, l’apripista a una nuova forma delle relazioni industriali che, anestetizzando ulteriormente i sindacati e provando a eliminare definitivamente quelli più conflittuali, mira alla totale compatibilità tra lavoro e capitale, riducendo al minimo gli spazi nei quali il conflitto può inserirsi, rendendo palesi le contraddizioni e mostrando l'inconciliabilità degli interessi in campo.

Noi non ci stiamo e ribadiamo quello che con la campagna “Eat the Rich” abbiamo fin’ora detto e che, adesso, proveremo a mettere in pratica da subito:
- recuperiamo l'evasione fiscale - ben 120 miliardi evasi ogni anno dai padroni, speculatori, palazzinari!
- facciamo una patrimoniale seria, attacchiamo le rendite e i conti in banca dei milionari e di chi in questi anni si è arricchito alle nostre spalle!
- basta con le agevolazioni alle imprese (circa 30 miliardi all'anno), che prendono i soldi pubblici e poi magari dichiarano fallimento, dando bonus di milioni di euro ai dirigenti!
- tagliamo le spese militari, che producono solo distruzione e morte!
- facciamo pagare l'ICI alle proprietà ecclesiastiche ed il Vaticano, tagliamo i privilegi ed i fondi che gli dà lo Stato!
- tagliamo i costi della politica: vogliamo che ogni parlamentare guadagni quanto un operaio o un precario!
- vogliamo casa, lavoro, pensioni. Servizi sociali, trasporti, sanità, scuola e università pubblici, liberi, gratuiti e di qualità

Al termine dell’assemblea, partecipata da più di un centinaio di persone, siamo scesi in piazza con un mini corteo che per le vie del centro storico ha volantinato e provato a ritagliarsi un primo momento di comunicazione con la città.

Nei prossimi giorni ribadiamo il nostro massimo impegno alla costruzione di una giornata di mobilitazione contro Marchionne e contro questo Governo, partendo dai momenti assembleari che toccheranno tutte le realtà sociali in lotta sul nostro territorio: da Pomigliano, ai lavoratori delle società municipalizzate in mobilitazione, dai disoccupati agli studenti, passando per tutte le altre realtà lavorative in lotta con le quali siamo venuti in contatto nelle scorse settimane, negli scorsi mesi.

EAT THE RICH! CHE I SACRIFICI LI FACCIANO I PADRONI!

pc 7 dicembre - la manovra di Monti - si al taglio delle pensioni no al taglio delle spesi militari - F35 in testa -

Sprechi militari,ogni F35 che acqusteremo 15 mialrdi di euro. Ne abbiamo ordinati 131
Sprechi militari L'impegno dell'Italia nella produzione e nell'acquisto (ne ha ordinati 131 senza sapere quanto salato sarà il prezzo finale) dell'aereo Lockheed Martin. Un pozzo senza fondo

Un programma costosissimo, sostenuto da uno schieramento bipartisan, che il governo Monti non metterà in discussione visto che il ministro della Difesa ne è il maggiore sostenitore La crisi economica, documenta il Censis, ha colpito in Italia soprattutto i giovani, un milione dei quali ha perso il lavoro negli ultimi tre anni. Aumentano quindi le preoccupazioni per il futuro. Tranquilli, a loro e ai loro figli ci pensa la Lockheed Martin: «Proteggere le generazioni di domani - assicura nella sua pubblicità - significa impegnarsi per la quinta generazione di oggi». Si riferisce all'F-35 Lightning II, «l'unico velivolo di quinta generazione in grado di garantire la sicurezza delle nuove generazioni».
Sono stati dunque lungimiranti i governi che hanno deciso di far partecipare l'Italia alla realizzazione di questo caccia (prima denominato Joint Strike Fighter) della statunitense Lockheed Martin. Con il sostegno di uno schieramento bipartisan, il primo memorandum d'intesa venne firmato al Pentagono nel 1998 dal governo D'Alema; il secondo, nel 2002, dal governo Berlusconi; il terzo, nel 2007, dal governo Prodi. E nel 2009 è stato di nuovo un governo Berlusconi a deliberare l'acquisto di 131 caccia che, a onor del vero, era già stato deciso dal governo Prodi. L'Italia partecipa al programma dell'F-35 come partner di secondo livello, contribuendo allo sviluppo e alla costruzione del caccia.
Vi sono impegnate oltre venti industrie: Alenia Aeronautica, Galileo Avionica, Datamat e Otomelara di Finmeccanica e altre tra cui la Piaggio. Negli stabilimenti Alenia verranno prodotte oltre mille ali dell'F-35. Presso l'aeroporto militare di Cameri (Novara) sarà realizzata una linea di assemblaggio e collaudo dei caccia per i paesi europei, che verrà poi trasformata in centro di manutenzione, revisione, riparazione e modifica. A tale scopo sono stati stanziati oltre 600 milioni di euro, presentandolo come un grande affare per l'Italia. Ma non si dice quanto verranno a costare i pochi posti di lavoro creati in questa industria bellica. Non si dice che, mentre i miliardi dei contratti per l'F-35 entreranno nelle casse di aziende private, i miliardi per l'acquisto dei caccia usciranno dalle casse pubbliche.
Per partecipare al programma, l'Italia si è impegnata a versare un miliardo di euro, cui si aggiungerà la spesa per l'acquisto dei 131 caccia. Allo stato attuale, essa può essere quantificata in circa 15 miliardi di euro. Va inoltre considerato che l'aeronautica sta acquistando anche un centinaio di caccia Eurofighter Typhoon, costruiti da un consorzio europeo, il cui costo attuale è quantificabile in oltre 10 miliardi di euro. E, come avviene per tutti i sistemi d'arma, l'F-35 verrà a costare più del previsto.

Il prezzo dei primi caccia prodotti - documenta la Corte dei conti Usa - è risultato quasi il doppio rispetto a quello preventivato. Il costo complessivo del programma, previsto in 382 miliardi di dollari per 2.443 caccia che saranno acquistati dagli Usa e da otto partner internazionali, sarà dunque molto più alto. Perfino il senatore John McCain, noto «falco», ha definito «vergognoso» il fatto che il prezzo dei primi 28 aerei sfori di 800 milioni di dollari quello preventivato. Nessuno sa con esattezza quanto verrà a costare l'F-35. La Lockheed aveva parlato di un prezzo medio di 65 milioni per aereo, al valore del dollaro 2010, ma poi è stato chiarito che il prezzo non comprendeva il motore né i costosissimi sistemi elettronici e all'infrarosso (come andare ad acquistare un'auto, scoprendo che nel prezzo non sono compresi il motore e la centralina elettronica).

L'Italia si è dunque impegnata ad acquistare 131 caccia F-35 senza sapere quale sarà il prezzo finale. Anche perché differisce a seconda delle varianti: a decollo/atterraggio convenzionale, per le portaerei, e a decollo corto/atterraggio verticale. L'Italia ne acquisterà 69 della prima variante e 62 della terza, che saranno usati anche per la portaerei Cavour. E, una volta acquistati, dovrà pagare altri miliardi per ammodernarli con i sistemi che la Lockheed produrrà. Un pozzo senza fondo, che inghiottirà altro denaro pubblico, facendo crescere la spesa militare, già salita a 25 miliardi annui.

Non ci si può illudere che il governo Monti cambi rotta, sganciando l'Italia da questo costosissimo programma. L'ammiraglio Di Paola, oggi ministro della difesa, è il maggiore sostenitore dell'F-35: fu lui, in veste di direttore nazionale degli armamenti, a firmare al Pentagono, il 24 giugno 2002, il memorandum d'intesa che impegnava l'Italia a partecipare al programma come partner di secondo livello. E l'F-35 Lightning (Fulmine) - che, assicura la Lockeed, «come un fulmine colpisce il nemico con forza distruttiva e inaspettatamente» - è il sistema d'arma ideale per la strategia enunciata da Di Paola quando era capo di stato maggiore della difesa: trasformare le forze armate in uno «strumento proiettabile», dotato di spiccata capacità «expeditionary» coerente col «livello di ambizione nazionale». Che l'F-35 garantirà insieme alla «sicurezza delle nuove generazioni».

Manlio Dinucci
Fonte: www.ilmanifest.it

proletari comunisti alla manifestazione di novara di novembre


1000 persone in piazza a novara, ottimo intervento del movimento no tav,
ottima accoglienza per la delegazione di proletari comunisti presente

proletari comunisti aderisce alla manifestazione contro gli F35

perche siamo contro le guerre imperialiste di aggressione, contro gli stati
e i governi imperialisti USA-Europa- italia che usano questi strumenti di
morte
per imporre ai popoli rapina sfruttamento,oppressione, repressione
perchè come dice l'appello per la manifestazione del 12 novembre 2011 a
Novara:
"Mentre si tagliano spese sociali, sanità, pensioni, scuola, ecc., si
spendono venti miliardi di euro per produrre strumenti di morte e
distruzione (131 sono i cacciabombardieri che saranno acquistati
dall'Italia)"
Il settore degli armamenti non vanno mai in crisi , anzi
l'industria bellica viene considerata uno strumento della ripresa..
Non è vero che sul territorio producono bnessere e occupazione
producono, ma solo economia drogata e militarizzazione.
la lotta sul territorio deve assumere i caratteri popolari e di massa che ha
assunto il movimento no tav
ma anche le forme di lotta che questo movimento ha attuato, senza buoni e
cattivi, costringendo il governo
sulla difensiva e smascherando come polizia e militarizzazzione sono al
servizio dei padroni e non dei bisogni ed esigenze dei proletari e delle
masse sul territorio
Governi di centro destra come di centro sinistra sono tutti d'accordo
nello sviluppo basato sugli F35 e sostengono i profitti dell'industria
bellicaper questo la lotta contro gli f35 è anche lotta politica e sociale
contro questi governi
l'ampiezza del movimento va legata alla chiarezza
proletari comunisti è qui con una piccola delegazione, perchè considera
questa battaglia come un pezzo importante della battaglia
generale e nazionale

proletari comunisti ro.red@libero.it

pc 7 dicembre - 1000 in corteo a viareggio contro la strage e le morti sul lavoro, contro il licenziamento di riccardo antonini


Viareggio - Mille al corteo contro il licenziamento di Riccardo Antonini
6 Dicembre 2011

Viareggio – Questa mattina un corteo e uno sciopero indetto dalla Cgil e dalla Fiom per chiedere l'immediato reintegro di Riccardo Antonini, il ferroviere consulente di parte nel processo per la strage di Viareggio, licenziato lo scorso 7 novembre dalle Ferrovie dello Stato.

In mille – studenti, lavoratori, familiari delle vittime della strage, gente comune – sono scesi in piazza; il corteo è partito dalla Casina dei Ricordi, proprio vicino via Ponchielli, teatro della strage del 29 giugno del 2009, il lungo serpentone ha poi attraversato le strade cittadine per arrivare fino alla stazione ferroviaria.

Tanti striscioni in solidarietà a Riccardo, per chiedere più sicurezza sui treni e verità e giustizia per la strage di Viareggio; "Mauro Moretti, mettitelo in testa, Viareggio non si piega, continua la protesta" è uno degli slogan che hanno accompagnato la manifestazione, ancora una volta quindi la città si scaglia contro l'amministratore delegato di ferrovie dello Stato, indagato nel processo per la strage.

A fine corteo è Riccardo Antonini a prendere parola: "non mi tapperanno la bocca , sono al fianco dei familiari delle vittime della strage e faremo il possibile perché non venga dimenticata come tante altre stragi italiane rimaste impunite''. Riccardo ha poi ricordato che oggi è il quarto anniversario della Thyssen Krupp di Torino e ha aggiunto che negli ultimi quattro anni in ferrovia ci sono state 33 vittime sul lavoro, una strage alla quale dire basta.

Ha poi preso la parola Daniela Rombi, una dei familiari delle vittime; Daniela ha ricevuto un'offerta di 480.000 euro per rinunciare alla costituzione di parte civile nel processo, soldi che non ha accettato, affermando che sarebbe bene che venissero investiti nella sicurezza dei treni affinchè stragi come quella di Viareggio non avvengano mai più.

Un'intera città ha mostrato oggi la volontà di non arrendersi davanti all'arroganza di chi vorrebbe perseguire la strada delle stragi impunite riducendole a "spiacevoli episodi" (così l'ad Mauro Moretti ha definito la strage del 29 giugno 2009).
Viareggio si è stretta ancora una volta attorno ai familiari delle vittime e a Riccardo Antonini, che insieme a tanti altri lavoratori, lotta giorno dopo giorno per la sicurezza sui treni. La battaglia per il reintegro di Riccardo è una battaglia per i diritti che va portata avanti collettivamente proprio come ha dimostrato Viareggio oggi.

VIDEO :

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=-HUUnsu49vw

pc 7 dicembre - 6.12.2011 Atene ricorda alexis


6.12.2011 Atene ricorda alexis

- 23:01 scontri con la polizia antisommossa.
Protestano gli studenti delle scuole lanciando pietre e bottiglie durante gli scontri con la polizia Martedì durante una manifestazione per celebrare il terzo anniversario dell'uccisione da parte della polizia di un adolescente nel centro di Atene.
Il corteo di studenti, sindacati di base e anarchici è stato organizzato per il terzo anniversario della morte di Alexis Grigoropoulos, il quindicenne ucciso da un proiettile mentre protestava con altri ragazzi contro la riforma dell’università. A ucciderlo a colpi di pistola è stato un poliziotto. «Gli agenti sostengono» «che la banda abbia aggredito a sassate la loro auto durante il turno di pattuglia, ma testimoni oculari parlano soltanto di insulti dei manifestanti contro la polizia».

VideoScontri
http://www.youtube.com/watch?v=sVtfOqxnrGQ&feature=channel_video_title

http://www.youtube.com/watch?v=u78SqzJqknE&feature=channel_video_title

pc 7 dicembre - NO TAV che la festa ricominci - massimo sostegno da proletari comunisti

NO TAV] 8 dicembre 2005 – 8 dicembre 2011 LA RESISTENZA CONTINUA
Nel giorno dell’anniversario della ripresa della piana di Venaus, il movimento No Tav risponde alla militarizzazione della valle con 4 straordinari giorni di impegno e presenza. Reti, Muri, Forze dell’ordine non ci fermano e non ci fermeranno: Continuiamo a denunciare e a opporci pacificamente e con determinazione alla vergognosa militarizzazione della valle con alti costi che ogni giorno pesano sulle tasche dei cittadini italiani.

Mentre stringono noi cittadini nella morsa di un debito che non ci appartiene, tentano di imporre altri sprechi sicura fonte di tangenti e garanzia di profitti privati a discapito dei beni comuni. Non ci stancheremo mai di ripetere che il TAV è un’opera inutile, devastante e dai costi insostenibili; e intanto il dissesto idrogeologico provocato dalla mala politica distrugge vite e famiglie, trascina nel fango e nella disperazione interi paesi.

Stringiamoli noi, circondando le loro stupide reti, facendo pressione intorno ai luoghi simbolo della connivenza tra affari e politica, con atti di disobbedienza civile che sono una garanzia per il futuro di tutto il paese.

GIOVEDI’ 8 DICEMBRE

Il programma si articola in diversi momenti contemporanei

•ore 10: Concentramento al campo sportivo di Giaglione e alla stazione di Chiomonte di due cortei che si recheranno ad effettuare una VISITA GUIDATA ALLE RETI CHE CIRCONDANO IL CANTIERE CHE NON C’E’.
•ore 10: Concentramento alla stazione di Susa per un corteo che arriverà all’autoporto dove ci si tratterrà condividendo pasti, momenti assembleari ed eventi artistici.
Nel corso della giornata i cortei della Clarea confluiranno all’autoporto per dare vita a una lunga NOTTE BIANCA ALL’AUTOPORTO E DINTORNI.

In tutte le situazioni è fondamentale essere autosufficienti (cambi d’abito, vestiti caldi, cibo, piatto bicchiere e posate, materassini, tende) perché come sempre a sarà dura e questa volta sarà anche lunga!!!

E nei giorni successivi:

SABATO 10 DICEMBRE

alle ore 12 alla Baita Clarea PRANZO CON POLENTATA

alle ore 20.45 al Teatro Fassino di Avigliana: SECONDA GIORNATA EUROPEA CONTRO LE GRANDI OPERE INUTILI

DOMENICA 11 DICEMBRE

al pomeriggio: GRANDE FESTA AL PRESIDIO DI VENAUS

Invitiamo a partecipare tutti i cittadini della ValSusa, della Val Sangone, di Torino e tutti coloro che hanno a cuore la Democrazia e la tutela dei Beni Comuni. Aspettiamo con calore gli amici che abbiamo incontrato in tutta Italia nelle tappe del NO TAV TOUR.


Tav, tre cortei di protesta
nel ponte dell'8 dicembreIl movimento contrario all'alta velocità si prepara ad un lungo week di mobilitazione per "ricordare la protesta di sei anni fa a Venaus". Prevista anche una notte bianca La manifestazione No Tav del 23 ottobre

Tre cortei in Valle di Susa "per assediare il fortino del finto cantiere" di Chiomonte e l'area di Susa dove è prevista la costruzione della stazione internazionale della nuova Torino-Lione. Il movimento No Tav prepara un'altra mobilitazione di massa, l'8 dicembre, "per festeggiare il sesto anniversario - hanno spiegato alcuni esponenti - della liberazione di Venaus dall'occupazione militare. Il nostro obiettivo - hanno affermato - è continuare a fare pressione sulle reti di Chiomonte fino a quando cadranno".

Il calendario delle iniziative, un week-end lungo dall'8 all'11 dicembre, con una sorta di notte bianca di musiche e spettacoli a Susa, assemblee popolari e feste, si concluderà proprio a Venaus, nei terreni pochi chilometri sopra Susa dove nel dicembre del 2005 ci furono scontri tra forze dell'ordine e militanti No Tav attorno all'area recintata del cantiere del previsto tunnel geognostico.
Quel progetto si è poi spostato in un'altra valle, a Chiomonte, che dalla scorsa primavera è l'epicentro della protesta contro la nuova ferrovia. "Due cortei convergeranno verso le reti del finto cantiere - hanno spiegato Fabrizio Salmoni e Luca Abbà del movimento No Tav - con l'obiettivo di aumentare la pressione su quel fortino e denunciare lo scandalo dello spreco insensato di soldi per mantenere l'apparato di sorveglianza".

"Non bloccheremo l'autostrada - hanno precisato i portavoce del movimento - ma siamo sicuri che sarà la Questura a deciderlo per poi addossarci la colpa. Noi, al contrario, garantiremo la piena agibilità sia della ferrovia sia della strada statale 24. La nostra sarà una protesta come sempre determinata, ma pacifica. Ci spingeremo fino a dove ce lo consentirà il limite della disobbedienza civile. Il nostro obiettivo è portare il numero maggiore possibile di persone in piazza a ribadire il loro 'no' a queste opere inutile e dannose".
I concentramenti dei tre cortei saranno alle 10 a Chiomonte, Giaglione e Susa, dove nel pomeriggio si raduneranno tutti i manifestanti.


Comunicato Stampa dalla valle che resiste e non si arrende, 10 novembre 2011

LA MILITARIZZAZIONE DELLA VAL SUSA PER LEGGE, L’ULTIMO ATTO

L’ultimo atto di un governo moribondo, con l’avallo dell’opposizione, è un decreto che formalizza lo stato di militarizzazione della Val Susa.

Il cantiere-fortino della Maddalena diventerà un “sito di interesse strategico nazionale”, cioè un’area militare a tutti gli effetti, con le conseguenze previste all’art. 682 del c.p. per chi lo vìoli: una pena tra i tre mesi e l’anno oppure una multa da 51 a 309 euro.

Non solo. Lo smarino (la roccia estratta nello scavo delle gallerie), anche se inquinato da amianto, uranio, prodotti chimici legati al processo di estrazione, diventerà materiale ordinario per legge, gli iter progettuali delle semplici formalità, con ricadute su tutti i progetti di “grandi opere inutili” sul territorio nazionale, l’ennesimo regalo alle mafie del cemento.

Un pesante attacco alla libertà di manifestare e di dissentire, un segnale dato ai valsusini perché tutti gli altri lo intendano: nessuno disturbi i manovratori.

Soldati nei cantieri, decreti d’urgenza, finanziarie lacrime e sangue: difendere gli interessi di pochi a scapito dei molti.

Prosegue, dunque, lo stato di mobilitazione permanente dichiarato lo scorso maggio e, in risposta all’approvazione del decreto che formalizza la militarizzazione iniziata di fatto il 27 giugno, il Movimento NO TAV risponderà con iniziative di protesta e disobbedienza civile che coinvolgeranno tutto il territorio che va dalla Val Susa alla Val Sangone a Torino

Tutti coloro che si oppongono alle opere devastanti e ad un futuro di precarietà e miseria sono invitati a mobilitarsi in tutto il territorio nazionale per dare un messaggio forte e chiaro: a sarà dura!

No alle Grandi Opere Inutili e Devastanti !

Sì alle Piccole Opere Utili a Difesa del Suolo e dell’Ambiente !

martedì 6 dicembre 2011

pc 7 dicembre - Con il governo Monti prosegue l'occupazione dell'imperialismo italiano in Afghanistan

Dal sito pacereporter

Qualche appunto alla lettera a Repubblica del ministro degli Esteri Giulio Terzi “L'impegno dell'Italia non si ferma”


06/12/2011
pacereporter
Afghanistan, replica al ministro Terzi




Qualche appunto alla lettera a Repubblica del ministro degli Esteri Giulio Terzi “L'impegno dell'Italia non si ferma”
Il marchese Giulio Maria Terzi di Sant'Agata, ex ambasciatore italiano in Israele e Stati Uniti, oggi ministro degli Esteri del governo Monti, scrive il 6 dicembre una lettera sul quotidiano La Repubblica a proposito dell'Afghanistan, intitolata "L'impegno dell'Italia non si ferma".
"Non possiamo permetterci di disperdere quanto di positivo, ed è molto, costruito in questi anni", scrive il diplomatico.

Tra i "numerosi ed evidenti segnali di progresso che non possono essere sottostimati",
Terzi di Sant'Agata cita il fatto che "l'Afghanistan ha oggi istituzioni democraticamente elette". Curioso che a dirlo sia il membro di un governo non democraticamente eletto. A parte il cattivo gusto, ricordiamo al ministro l'imbarazzo della comunità internazionale in occasione delle scandalose farse elettorali messe in scena dal regime-fantoccio di Kabul.
I colossali e sfacciati brogli elettorali architettati nel 2010 dal presidente Karzai e dai signori della guerra suoi alleati - milioni di falsi voti affluiti da province dove avevano votato poche migliaia di persone - vennero denunciati dagli osservatori internazionali e dalla stampa mondiale. La legittimità democratica delle istituzioni afgane venne messa in discussione dalle stesse Nazioni Unite, organizzatrici del voto: lo statunitense Peter Galbraith, numero due della missione delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) si oppose all'insabbiamento dei brogli e per questo fu costretto a dimettersi dall'amministrazione Obama.

Terzi falsifica una realtà ben riassunta dalle parole della nota ex parlamentare democratica e scrittrice afgana, Malalai Joya: "In Afghanistan non abbiamo una democrazia, ma una sua grottesca caricatura. Il potere è in mano a un regime mafioso e corrotto dominato da criminali di guerra, signori della droga e fondamentalisti che dovrebbero trovarsi al Tribunale dell'Aja, non al governo e in parlamento, protetti e stipendiati dall'Occidente".

La lista dei 'segnali di progresso' secondo Terzi prosegue con: "L'Afghanistan non ha originato negli ultimi dieci attentati terroristici all'estero". Peccato che questo Paese, inteso come governo, popolo e territorio, non abbia mai originato attentati terroristici all'estero. Dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001 gli afgani sono stati vittime di una sanguinosa rappresaglia collettiva solo perché il regime talebano dava asilo al 'sospetto' responsabile degli attacchi. E' doveroso ricordare che la responsabilità di Osama bin Laden non fu mai provata (lui non ha mai rivendicato, anzi ha negato ogni ruolo, e lo stesso Fbi non lo ha mai ricercato per l'11 settembre: tutti gli indizi puntavano ai servizi segreti pachistani alleati di Washingon, ma questa pista venne insabbiata).

Il terzo risultato positivo sbandierato dal marchese è la "transizione" con cui "un numero crescente di province e distretti è passato o passerà sotto il controllo diretto delle forze di sicurezza afgane addestrate dai Paesi della coalizione internazionale".

Purtroppo per Terzi, questo processo è tutt'altro che un successo. Le inaffidabili, corrotte e impreparate forze armate afgane risultano infatti del tutto incapaci di garantire la sicurezza nelle aree passate alla loro responsabilità: basta pensare alle clamorose azioni militari compiute dalla resistenza talebana nel centro Kabul, che ha agito indisturbata nelle aree più sorvegliate della capitale.

Dire, come fa il ministro, che in Afghanistan "la sicurezza non è ancora pienamente garantita" non è un eufemismo: è una falsità smentita dalle statistiche ufficiali. L'Anso (Afghanistan Ngo Safety Office), organizzazione internazionale che si occupa della sicurezza delle Ong in Afghanistan creata dall'Ufficio umanitario della Commissione europea (Echo), dalla Cooperazione svizzera (Sdc) e dal ministero degli Esteri norvegese, ha recentemente pubblicato un rapporto che dipinge una situazione di continua escalation della violenza: 12mila attacchi nei primi nove mesi del 2011, 24 per cento in più rispetto all'anno scorso, "in linea con il trend di crescita degli ultimi cinque anni".

Con un altro eufemismo, il ministro marchese accenna alle difficoltà economiche dell'Afghanistan: "Ci vorrà ancora molto per rendere il Paese economicamente autonomo". Come se in questi dieci anni la situazione avesse fatto dei passi avanti.
Un'altra falsità, dimostrata dalle statistiche ufficiali. Nonostante 40 miliardi di dollari di aiuti versati dalla comunità internazionale dal 2001 a oggi, le condizioni di vita della popolazione afgana sono peggiorate rispetto all'inizio della guerra: la povertà assoluta è salita dal 23 al 36 per cento della popolazione, l'aspettativa di vita è scesa da 46 a 44 anni (Italia: 81 anni), la mortalità infantile è aumentata dal 147 al 149 per mille (Italia: 3 per mille), il tasso di alfabetizzazione è sceso dal 31 al 28 per cento (Italia: 98 per cento).

L'economia afgana, basata oggi come non mai sulla produzione di oppio ed eroina, non sarà mai autonoma, proprio perché è stata resa dipendente dagli aiuti internazionali.

Aiuti che però non hanno portato benefici alla popolazione. Come denunciato da innumerevoli inchieste, rapporti ufficiali ed esperti del settore - non ultimo da Pino Arlacchi, vice presidente della delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con l'Afghanistan - la quasi totalità degli aiuti internazionali è finita infatti nelle tasche di governanti e funzionari corrotti o è tornata indietro sotto forma di profitti alle aziende occidentali di sicurezza e consulenza e di stipendi degli operatori stranieri delle organizzazioni internazionali e delle Ong. Alla popolazione afgana sono arrivate solo le briciole.

Riguardo al contributo dell'Italia su questo versante, il ministro Terzi ricorda i "570 milioni di aiuti" arrivati all'Afghanistan attraverso la Cooperazione italiana, ma non spiega come siano stati usati. Non è un segreto che gran parte di questi soldi non sono stati usati a vantaggio della popolazione afgana, bensì per progetti di discutibile utilità sociale decisi e gestiti dai soldati italiani in base a logiche squisitamente politico-militari, vale a dire per comprarsi l'appoggio di notabili, capi tribù, signori della guerra locali.
Lasciamo perdere, per pudore, i vergognosi risultati del programma italiano (costato 80 milioni di euro) volto a riformare il sistema giudiziario e penitenziario afgano.

Visti i fantastici risultati del decennale impegno internazionale e italiano in Afghanistan e la gravosità economica di tale impegno in tempi di crisi e di austerità (800 milioni di euro all'anno, oltre 2 milioni al giorno, il costo per i contribuenti italiani), sarebbe meglio togliere il disturbo. Con il permesso del marchese Giulio Maria Terzi di Sant'Agata.

Enrico Piovesana

pc 5-6 dicembre - giusta e sacrosanta protesta operaia contro l'alleanza fascismo padronale marchionne-sindacati neocorporativi e di regime nella Fiat

Momenti di tensione di fronte alla sede dell'Unione industriale di Torino dove è in programma il nuovo incontro tra azienda e sindacati per estendere a tutto il gruppo Fiat il controverso contratto di Pomigliano. Una cinquantina di lavoratori con le bandiere dei sindacati del sì (FIM, uilm e Fismic) fronteggia altrettanti operai di Cobas e Usb. I due presidi sono divisi dalle transenne e da una zona franca di fronte all'entrata della palazzina di via Vela.
Arrivando all'incontro il leader del Fismic, Roberto di Maulo, ha detto che "è possibile arrivare alla stretta conclusiva entro domani". Nei giorni scorsi FIM e Uilm erano state più prudenti immaginando "una conclusione entro metà mese". All'incontro di oggi partecipa anche la Fiom
.
Poco prima delle 11 dal gruppo dei lavoratori presenti sono partiti insulti all'indirizzo dei sindacalisti del sí. Alcuni di questi operai hanno tentato di forzare le transenne. Ne è seguito un parapiglia, sono state lanciate uova, poi è intervenuta la polizia a far arretrare il gruppo dei lavoratori che contestavano. I due presidi contrapposti non sono mai entrati in contatto.
All'interno la trattativa è proseguita regolarmente. In apertura il capo delegazione della Fiat, Paolo Rebaudengo, ha chiesto ai sindacati la disponibilità a giungere a una firma. Entrando alla riunione anche il responsabile auto della Fim, Bruno Vitali, ha annunciato per "l'accordo potrebbe arriva domani o dopodomani". Per la Fiom invece "se ci chiedono la pura e semplice estensione dell'accordo di Pomigliano, è chiaro che non c'è trattativa". Lo sostiene Maurizio Landini, segretario Fiom, secondo il quale Fim e Uilm dovrebbero spiegare come fanno ad accettare di cambiare gli accordi senza nemmeno un referendum tra i lavoratori".

pc 5-6 dicembre - i giornali borghesi che sostengono monti fanno un calcolo dei costi della manovra

Addizionali, Imu sulla casa, Iva, benzina
tasse e rincari da 600 euro a famiglia

Tre tipologie di famiglie a confronto: la MILANO - Tanti (soldi), maledetti e subito. I mercati non attendono. Frau Merkel ci aspetta con la matita rossa per controllare se abbiamo fatto i compiti a casa. Il Governo Monti così, causa tempi stretti, ha partorito una manovra che ha il pregio di riavvicinare l'Italia al pareggio di bilancio e all'Europa - come dimostra la retromarcia degli spread di ieri - ma fatica ancora, complici i tempi stretti, a tener alta la bandiera dell'equità.

Certo, come ha detto il premier, i sacrifici non riguardano solo "i soliti noti": l'aumento dell'Iva colpisce sia i contribuenti virtuosi che i furbetti del fisco, ci sono l'una tantum sui capitali rientrati con lo scudo e la stangata su yacht, elicotteri e auto di lusso (gettito, va detto, poche decine di milioni). Mentre il ritorno sotto mentite spoglie dell'Ici e l'aumento degli estimi catastali spostano dal reddito al patrimonio il carico dei sacrifici.

Il risultato finale però è uguale: a cantare e portare la croce, anche nell'era del governo tecnico, sono sempre gli stessi. Il costo medio per famiglia del decreto "Salva-Italia" - ha calcolato l'ufficio studi della Cgia di Mestre - sarà di 635 euro, mentre secondo le stime delle associazioni dei consumatori arriverebbe addirittura a 1700 euro.

Ma proprio i provvedimenti "lineari" nati per spalmare la manovra sulle spalle di tutti hanno il paradossale effetto
di penalizzare di più chi già ha il fiato corto: i lavoratori dipendenti che guadagnano di meno.

I casi elaborati dal think tank degli artigiani lagunari che riportiamo di seguito parlano da soli: il conto finale della stangata per una famiglia con il reddito inferiore ai 30mila euro è (in proporzione) superiore del 15% rispetto a chi di euro ne guadagna 50mila e addirittura del 60% a quello di una famiglia nelle cui tasche ne entrano 150mila, sfuggita in zona Cesarini all'aumento delle aliquote Irpef.

LA SIMULAZIONE: TRE FAMIGLIE A CONFRONTO

1. In proporzione pagano più i poveri
in arrivo un salasso da 480 euro
Famiglia bireddito. Un figlio a carico. Rendita abitazione: 600 euro
Un'auto a benzina che percorre 10mila km l'anno. Reddito annuo: 30.000 euro
Poveri e pure infelici. I redditi più bassi fino ai 30mila euro (34 milioni sui 41,5 dei contribuenti tricolori) sono quelli che, in proporzione, pagano il conto più salato al decreto "Salva-Italia". Presi uno per uno, i loro sacrifici paiono poca roba: un centinaio di euro in più per l'addizionale Irpef, un salasso (203 euro) per l'Imu, qualche decina di euro per il pieno dell'auto e gli aumenti Iva. Risultato finale: 480 euro l'anno di tasse in più. In totale l'1,6% del loro reddito, il 60% in più di chi di euro ne guadagna 150mila l'anno.

2. La pressione fiscale sale dell'1,6%
l'esborso massimo è di 790 euro
Famiglia monoreddito. Due figli a carico. Rendita abitazione: 800 euro
Un'auto a gasolio che percorre 20mila km l'anno. Reddito annuo: 50.000 euro
Sale un poco lo stipendio (gli italiani che dichiarano tra 30mila e 50mila euro sono circa 4 milioni) e per assurdo il carico fiscale della manovra diminuisce. In termini assoluti, naturalmente, chi guadagna 50mila euro l'anno pagherà più nuove tasse di chi è fermo a quota 30mila: 790 euro contro 480. Ma fatte le debite proporzioni le uscite aggiuntive pesano un filo meno sul bilancio di famiglia: l'1,58 per cento, con un esborso annuo tra Ici, addizionale Irpef, Iva e accise in crescita da 1.112 a 1902 euro.

3. Graziati dal mancato aumento Irpef
Il fisco chiede solo l'1% delle entrate
Famiglia monoreddito. Tre figli a carico
Rendita abitazione: 1100 euro. Seconda casa non affittata, rendita 1000 euro
Un'auto a gasolio che percorre 20mila km l'anno. Reddito annuo: 150.000 euro
Ricchi (abbastanza) e felici. Una famiglia con 150mila euro di reddito dopo le novità del decreto Salva-Italia paga 1.483 euro in più di gabelle. Una bella cifra, per carità, ma solo lo 0,98% delle entrate di casa. Gli italiani in questa fascia di reddito (pochissimi, tra i 70mila e i 150mila euro ce ne sono solo 780mila) se ne sono fatti rapidamente una ragione dopo aver scampato il pericolo del rialzo delle aliquote Irpef. Fossero state aumentate di due punti per scaglione dopo la soglia dei 70mila euro, ogni famiglia avrebbe pagato altri 1.600 euro in più.


Peggio ancora - si era capito dalle lacrime agrodolci di Elsa Fornero - va ai pensionati con assegni previdenziali appena superiori ai mille euro lordi, non certo una fortuna da Paperoni. Colpiti alla voce uscite con gli aumenti delle tasse (la falce di Imu, Iva e accise varie non sta a guardare la data di nascita sulla carta d'identità) e beffati pure dalla sterilizzazione della rivalutazione degli assegni previdenziali.

Piove sul bagnato: l'Ocse ha certificato ieri che l'Italia è uno dei paesi più avanzati con la maggiore disuguaglianza dei redditi. Una leadership consolidata negli ultimi anni in cui il divario tra ricchi e poveri tricolori si è allargato a ritmi da primato: la penisola è all'ottavo posto (su 34 nazioni) nella hit parade per la disparità sociale, mentre viaggia al quinto posto nella graduatoria per l'allargamento della forbice tra inizio anni '80 e 2010.

Il decreto "Salva-Italia", purtroppo, rischia di farci guadagnare ancora qualche posizione in classifica. Anche perché chi ne esce meglio - manco a dirlo - sono davvero i soliti noti: quei professionisti dell'evasione fiscale che nascondono ogni anno al fisco 220 miliardi di euro. Pagheranno un po' più di Iva e di Ici, sborseranno qualche euro in più per il pieno all'auto. Si faranno furbi per dribblare l'asticella (non proprio insormontabile) del tetto ai mille euro per il contante. Ma tutto lì. Almeno a loro, per ora, è andata bene.

pc 5-6 dicembre - continua la rappresaglia di stato contro la rivolta degli immigrati dell'agosto scorso a bari

tre immigrati, di cui uno latitante considerati i capi della rivolta
pesantissime imputazioni per tutti
silenzio e inattività degli antirazzisti a bari
siamo impegnati nell'acquisire tutti gli elementi per rilanciare la
mobilitazione
proletari comunisti -taranto

- BARI, 5 DIC - La procura di Bari ha chiesto il giudizio immediato per 45
extracomunitari indagati per la rivolta del primo agosto scorso, provocata
da alcuni ospiti del Centro di accoglienza richiedenti asilo (Cara) di
Bari-Palese.

Gli immigrati in quell'occasione bloccarono la statale 16 e il traffico
ferroviario. La rivolta fu determinata dai ritardi nell'espletamento delle
pratiche per i richiedenti asilo, e soprattutto, nei respingimenti gia'
attuati di gran parte delle domande presentate. Gli imputati sono tutti
giovani nordafricani e asiatici, identificati attraverso filmati, fotografie
e testimonianze..

I

pc 5-6 dicembre - il partito comunista dell'afghanistan maoista sulla conferenza di Bonn

Dieci anni fa da oggi, nel dicembre 2001, gli imperialisti invasori americani e britannici e i loro alleati organizzavano il vertice di Bonn per disegnare i futuri piani di guerra contro il nostro popolo e per mettere in piedi in Afghanistan un regime fantoccio. In quel vertice, sotto l’egida degli imperialisti, un branco di traditori nazionali furono chiamati a raccolta per assemblare le diverse componenti del regime fantoccio. In quel vertice usarono l’ONU per dare una facciata di legalità internazionale alla la guerra di aggressione imperialista contro l'Afghanistan, in nome della “guerra al terrorismo”.
Secondo i programmi ufficiali adottat nel Bonn 1, la guerra di occupazione imperialista contro il nostro popolo finalizzata all’instaurazione di un regime fantoccio in Afghanistan avrebbe dovuto concludersi in tre anni. Invece il processo si è prolungato, né poteva essere altrimenti. I tre anni dei piani imperialisti di guerra contro il nostro popolo sono durati dieci anni, ed è evidente che proseguiranno fino al 2014. Così, una guerra che prevedeva tre anni di aggressione e occupazione è durata dieci anni e dovrebbe continuare per altri tre, in totale sarebbero tredici anni.
È un dato di fatto che nei primi tre anni la presenza in Afghanistan degli occupanti imperialisti americani e dei loro alleati, che secondo i piani di Bonn avrebbe dovuto concludersi allora, non sia emersa nel paese una resistenza armata significativa contro di loro. Ma, allo scadere dei primi tre anni, non solo la presenza di occupanti in Afghanistan è continuata, ma è apparso evidente che sarebbero rimasti per molto tempo nel paese, quindi, le onde di resistenza contro di loro si sono estese e sono costantemente cresciute.
Oggi, ancora una volta, gli occupanti imperialisti si stanno riunendo a Bonn per riorganizzare i piani per il futuro della loro guerra contro il nostro popolo. Ma questa pianificazione non è solo per i prossimi tre anni, si tratta di un piano in due fasi per i prossimi tredici anni. La prima fase si prevede duri da qui alla fine del 2014, la seconda fase va dal 2014 fino alla fine del 2024. Nella prima fase, mentre parte delle forze degli alleati dell’America e delle stesse forze americane stanno lasciando l’Afghanistan, deve essere formalizzato un accordo strategico militare, politico ed economico tra loro e il regime fantoccio che gli permetta di continuare con l’invasione e gli interventi militari contro il nostro paese e la sua gente.
È ormai evidente che gli imperialisti americani intendono mantenere decine di migliaia di loro truppe in diverse basi militare strategicamente cruciali in Afghanistan anche dopo il 2014. Si presume che l’ accordo strategico prorogabile a dieci anni tra gli USA e il regime fantoccio di Karzai fornisca il quadro giuridico per la presenza delle forze americane e l’installazione a lungo termine delle loro basi militari in Afghanistan. È previsto che la base giuridica per la continuazione dell’invasione e dell’intervento militare degli imperialisti americani alleati sia fornito attraverso tali accordi strategici con il regime fantoccio. Inglesi, tedeschi, francesi, australiani e altri imperialisti, e l’Unione Europea nel suo insieme, possono continuare la loro aggressione e intervento militare contro l'Afghanistan e il suo popolo sulla base di questo tipo di accordi.
L'accordo strategico tra lo Stato reazionario espansionista indiano e il regime fantoccio di Kabul, firmato qualche tempo fa tra Manmohan Singh e Hamid Karzai, è un aspetto essenziale degli accordi strategici complessivi firmati tra il regime di Karzai e le potenze imperialiste e reazionarie nella prospettiva di un riallineamento delle potenze regionali. India e Pakistan, dalla loro “indipendenza” all’Impero Britannico nel 1947, hanno combattuto tra loro tre guerre. Come risultato di queste guerre, il Pakistan Orientale si separò dal Pakistan Occidentale e divenne un paese indipendente, il Bangladesh. Inoltre, in Kashmir la situazione di guerra tra India e Pakistan è continuata e il cessate il fuoco tra le due parti viene continuamente violato. In questo contesto, la firma dell'accordo strategico tra il Governo indiano e il regime fantoccio non è altro che l’allineamento del regime fantoccio di Kabul allo Stato indiano contro il Pakistan. Fin dalla costituzione del Pakistan, i rapporti tra la governo centrale in Afghanistan e il Pakistan sono stati sempre tesi, a causa della controversia sulla linea Durand e questa situazione è stata il motivo delle relazioni amichevoli tra i governi centrali di Afghanistan e India. Ma è la prima volta che questi relazioni amichevoli raggiungono il livello di un accordo strategico.
L'emergere di questo tipo di situazione potrebbe essere fonte importante di tensioni e conflitti regionali e infiammare ancora di più il fuoco dei conflitti reazionari che hanno già avvampano la regione. D'altra parte, una presenza prolungata delle basi militari strategiche americane in Afghanistan non solo sarebbe fonte di gravi riserve e preoccupazioni per le altre potenze mondiali e regionali e per i nostri vicini, Iran, Cina e Russia, sarebbe anche una preoccupazione per tutti le nazioni e i popoli della regione. Dunque, la continuazione della guerra imperialista dell'America e i suoi alleati contro il nostro paese e il suo popolo, il cui asse centrale è la persistente presenza delle basi militari strategiche in Afghanistan, dimostra e illustra quanto segue.
Gli imperialisti americani e i loro alleati non sono venuti in Afghanistan per lotta al terrorismo, per promuovere la democrazia e i diritti umani, i diritti delle donne e i diritti delle nazionalità oppresse, per la crescita sociale, culturale ed economica. In realtà hanno seguito i loro interessi strategici politici ed economici, regionali e globali, e non vorranno lasciare facilmente il nostro popolo e i popoli della regione né ritireranno la loro forza d’occupazione dall'Afghanistan. L'accordo strategico tra il governo degli Stati Uniti e il regime fantoccio potrebbe essere sicuramente ulteriormente prorogato, anche se il suo termine è la fine del 2024. Ecco perché questo accordo è estendibile non una volta ma più volte.
La 2° conferenza di Bonn è una riunione che ha per fine l’attuazione ed esecuzione di questo piano degli imperialisti americani e dei suoi alleati europei ed extraeuropei. Per questo motivo consideriamo questo vertice un evento foriero guerra imperialista, di interventi di occupazione e aggressione contro il nostro paese e il nostro popolo e perciò lo condanniamo con forza.
Il Partito comunista (maoista) dell'Afghanistan, che sta lavorando per la preparazione della guerra di popolo rivoluzionaria di resistenza nazionale contro gli occupanti e il regime fantoccio, crede fermamente che la continuazione della presenza degli occupanti imperialisti americani in Afghanistan dopo il 2014 aumenterà la pressione della guerra contro il nostro popolo, ma anche accenderà e aumenterà altre tensioni regionali. Pertanto, il prolungamento della presenza strategica militare dell’America in Afghanistan non solo non ridurrebbe la resistenza contro di loro, ma rafforzerebbe ed amplierebbe ancora di più la base sociale della resistenza. Inoltre, la prosecuzione di una presenza degli occupanti americani che genera crisi in Afghanistan potrebbe aumentare l'opposizione contro di essa in tutta la regione. Nel momento in cui l'intero sistema imperialista mondiale, e soprattutto gli imperialisti americani, sono stati investiti da una grave crisi economica e aumenta la resistenza dei popoli nei paesi imperialisti, e in cui, d’altra parte, la corruzione e putredine del regime fantoccio è irrimediabile, siamo fermamente convinti che gli imperialisti americani e i loro satrapi traditori nazionali sarebbero sconfitti di fronte a un’ampia e prolungata resistenza su base nazionale.
Sulla base di questa convinzione, abbiamo intensificato i nostri sforzi di preparazione della guerra popolare rivoluzionaria di resistenza nazionale e ci sforziamo di passare dalla fase di preparazione per l'inizio della guerra vera, più prima che poi. A tal fine chiediamo a tutte le forze e individui rivoluzionari, democratici e progressisti il loro sostegno e collaborazione.


I piani imperialisti futuri di guerra di occupazione contro il nostro popolo sono destinate a fallire!

Avanti verso la guerra popolare rivoluzionaria di resistenza nazionale!

Partito Comunista (Maoista) dell'Afghanistan
22 Novembre 2011.

pc 5-6 dicembre - sindacati di base, una assemblea decisamente insufficiente per contenuti e linea

Sabato 03 Dicembre 2011 17:42
Dall’Ambra Jovinelli un No chiaro a Monti: “non ci stiamo”
di  Marco Santopadre

"Dobbiamo candidarci a rappresentare e organizzare l’opposizione politica e sociale in questo paese. Non possiamo lasciare alla Lega l’opposizione al governo dei banchieri e della Trilateral". Il sindacalismo di base si prepara alla battaglia contro il Governo di Mario Monti.
Mentre la sala dell’Ambra Jovinelli di Roma si riempie di lavoratori arrivati da tutta Italia Paolo Leonardi (Usb) spiega qual è l’ambizione dei sindacati di base nel nuovo quadro determinato dall’ascesa di Mario Monti a Palazzo Chigi: “Dobbiamo candidarci a rappresentare ed organizzare l’opposizione politica e sociale in questo paese. Non possiamo lasciare alla Lega l’opposizione al governo dei banchieri, della Trilateral e della Bce. Le parole d’ordine frutto delle mobilitazioni di questi mesi sono valide e condivise: no al pagamento del debito, fuori dall’Unione Europea e fuori dall’Eurozona”. Ieri si doveva tenere uno sciopero generale dei sindacati di base convocato quando ancora la controparte era Berlusconi. La sua rimozione ha cambiato – e peggiorato – il quadro. E quindi Usb, Slai Cobas, Snater, Unicobas e Usi hanno deciso di prendersi un momento in più per ragionare sulle nuove sfide e di investire di questo compito i propri quadri e militanti. Lo sciopero generale è solo rimandato, e le caratteristiche di classe e i sostegni interni e internazionali di cui può disporre Monti obbligano ad un percorso di mobilitazione non formale né rituale. “Questo governo esprime le esigenze e gli interessi della borghesia e del padronato italiano ed europeo, che evidentemente in tempi di crisi il governo Berlusconi non era in grado di difendere e imporre” chiarisce Giorgio Sestili, della rete studentesca Ateneinrivolta.
Che fare? Spiega Leonardi: “Dobbiamo lavorare alla costruzione di un grande sciopero generale che non veda la mobilitazione solo dei militanti delle organizzazioni sindacali indipendenti e conflittuali. Dobbiamo costruire nei luoghi di lavoro, nei territori, nelle aziende una grande mobilitazione popolare. Dobbiamo mettere in moto la nostra capacità di generare conflitto dentro ogni posto in cui esso si può sviluppare. Lo sciopero è uno strumento prezioso e importante e non può essere sprecato o fatto a comando perché qualcuno ha bisogno di rappresentare la propria esistenza in vita”. La polemica è con chi in questi anni ha fatto ricorso allo sciopero esclusivamente per potersi accreditare al tavolo della concertazione: i sindacati confederali, in particolare la Cgil.
La riflessione è complessa, articolata, non scontata. Il problema è lo stesso Leonardi a evocarlo: “Siamo immersi in una melassa vomitevole, in questa luna di miele generalizzata con questo banchiere che tiene il paese col fiato sospeso. Anche dentro l’area sociale che ha vissuto per decenni di solo antiberlusconismo prevale l’attendismo, il bisogno di ‘stare a vedere che comunque sempre meglio di Berlusconi’”. Un attendismo che rappresenta un indubbio problema per chi si pone da subito all’opposizione del governo e delle sue politiche. Ma davvero bisogna aspettare che arrivi la stangata per cominciare a muoversi? “Il suo programma Monti lo ha già annunciato nei suoi primi interventi. Su due punti fondamentali - la riforma Gelmini e il metodo Marchionne - il banchiere ha dato giudizi inequivocabili: ‘Grazie alla caparbietà della Gelmini e di Marchionne noi risolveremo degli handicap che abbiamo nella formazione e sapremo costruire migliori automobili’” ricorda Stefano D’Errico dell’Unicobas, che poi aggiunge: “Chi oggi pensa che tutto sommato dopo Berlusconi stiamo meglio e abbiamo un esecutivo più presentabile perché fatto di esponenti della Bocconi noi dobbiamo dire di non fare la figura dei ‘bocconi’, come diciamo a Roma, di quelli che abboccano alla trappola”. Anche per lo Slai Cobas non c’è affatto bisogno di concedere tempo a Monti per esprimere giudizi. Racconta Vittorio Granillo: “Nelle fabbriche della Fiat onestamente lo abbiamo già visto il governo Monti, incarnato da Marchionne. In Fiat hanno cominciato con l’attaccare e ridurre la democrazia che per i lavoratori sembra sempre qualcosa di astratto rispetto ad esempio al salario o ad altri elementi tangibili. Ma poi dopo anni ti accorgi che la democrazia è qualcosa che si mangia… perché senza è impossibile difendere salario e diritti. Il sistema Monti è il sistema Marchionne, come lui il Premier parla per diktat e non accetta discussioni”.
L’avvocato Carlo Guglielmi, animatore del Forum Diritti/Lavoro, non ha dubbi sulle intenzioni dell’uomo della Goldman Sachs: “Monti ha detto alle Camere: “intendiamo perseguire lo spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro come ci viene chiesto dalle autorità europee e come i patti sociali hanno iniziato a fare”. In questo controrivoluzione sembra che Monti abbia assunto e ribaltato, a favore dei padroni, il vecchio slogan del maggio francese ‘Ce n'est qu'un début continuons le combat!’ Un combinato disposto tra l’accordo del 28 giugno e l’articolo 8 o come dice la Marcegaglia‘l’uno lubrificante dell’altro’…” Il problema è la cortina fumogena nella quale si nasconde Monti, sostiene Leonardi: “Assistiamo a un tentativo dei media di narcotizzare l’opinione pubblica svelando un pezzetto alla volta di quello che sarà il contenuto di una manovra che già è arrivata a 25 miliardi, dopo gli altri 140 di Berlusconi solo quest’anno. Ci tolgono la pensione di anzianità, l’aggancio della pensione al costo della vita, ci faranno lavorare fino a 70 anni e però ci vogliono convincere che ci dobbiamo ritenere soddisfatti perché ripristinano la tassa sul posto barca”.
Monti e chi lo sostiene chiedono ai lavoratori, ai precari e ai pensionati di sopportare i sacrifici in nome della salvezza dell’Italia promettendo equità. “Non esiste l’equità in un sistema in cui si allarga sempre di più la distanza tra il 99% e l’1% della società. Che equità c’è in una buonuscita di 5 milioni ad un personaggio come Guarguaglini che ha devastato parecchi impianti produttivi in questo paese?”
“L’unica equità che ci interessa – attacca Daniela Cortese dello Snater - è la redistribuzione del reddito e il taglio dei privilegi dei manager pubblici e privati. Questo governo di banchieri, prefetti, professori e generali sta mettendo in campo una vendetta storica del Capitale contro i lavoratori. Prima ci hanno precarizzato i figli, e ora ci tengono in ‘galera’ – il lavoro - fino a 70 anni...”
La situazione è gravissima, e il contesto internazionale si aggiunge alle condizioni di crisi tipiche del ‘sistema Italia’: “C’è una crisi che attraversa il mondo occidentale, una crisi del capitale che sta producendo devastazioni ovunque. La competizione globale tra poli imperialisti dentro una crisi di sistema produce drammatiche riduzioni di diritti a favore del capitale e della speculazione finanziaria. L’appartenenza all’UE e all’Eurozona sono la vera malattia che sta colpendo i lavoratori e i cittadini in Italia e in Europa”.
Di fronte a questo attacco concentrico in tutta Europa si sta sviluppando una mobilitazione sindacale e conflittuale imponente. Pur senza arrivare al record dei 7 scioperi generali convocati in Grecia solo quest’anno, rimanendo agli ultimi giorni Leonardi cita il massiccio sciopero generale in Portogallo del 24 novembre e quello del pubblico impiego in Gran Bretagna di pochi giorni fa.
In Italia, però, il movimento sindacale e di classe nel suo complesso sembra in difficoltà e l’attendismo nei confronti di Monti ne è la più cristallina dimostrazione. “E’ il risultato di una devastazione del tessuto politico a sinistra – spiega Leonardi - che con il suo anti-berlusconismo in questi anni ha minato alla radice la capacità di comprensione, tra i lavoratori e i giovani, dei veri nodi della crisi che il capitale sta attraversando.” Che l’antiberlusconismo abbia fatto danni enormi lo si capisce anche da ciò che i partiti dell’ex opposizione propongono, dice Granillo: “Siamo al paradosso che molta sinistra dice che per favorire l’occupazione bisogna liberalizzare e rendere più facili i licenziamenti”.
“Siamo di fronte ad un governo che ha il 95% dei consensi parlamentari, che si definisce tecnico e non lo è, abbiamo alle porte una ripresa della concertazione coi sindacati confederali schiacciati dentro la disponibilità ad essere collaboratori e complici di tutti i processi che verranno messi in atto con la scusa che così si esce dalla crisi. Non possiamo permettere che il patto sociale e la concertazione sindacale tornino ad essere il punto di riferimento per milioni di lavoratori”.
La sfida, lanciata da Leonardi, rimane al centro degli interventi di militanti sindacali che si susseguono durante la mattinata all’Ambra Jovinelli. Nei prossimi giorni l’agenda della mobilitazione è già fitta: si va dalla contestazione alla kermesse di presentazione della nuova Panda alle mobilitazioni dei lavoratori dei trasporti. Ma il problema è approfondire e allargare le mobilitazioni affinché confluiscano in uno sciopero generale capace di incidere veramente, di spostare gli equilibri nella società: ne parlano nei loro interventi Vittorio Granillo dello Slai Cobas, il rappresentante dell’Usi. Per riuscirci bisogna rompere il clima di concordia e di illusione sociale in cui si muove finora indisturbato Mario Monti. Ci torna Daniela Cortese: “In questo massacro mediatico che ci racconta che il francescano Monti e i suoi missionari vengono a salvare l’Italia gli unici che non possono essere ingannati sono i lavoratori e le lavoratrici di quest’assemblea. Il problema è riuscire ad aprire gli occhi a milioni di lavoratori che pure sono insoddisfatti e intravedono la pericolosità di questo progetto autoritario senza avere ancora la capacità di trasformare la preoccupazione in lotta. Altrimenti il rischio è che sia l’estrema destra a capitalizzare la rabbia e il disagio”.
Sembra ottimista Carlo Guglielmi: “Da lunedì lo straordinario consenso sociale che ha il governo Monti comincerà rapidamente a franare”. E invita ad approfittare delle contraddizioni aperte dallo spostamento della contrattazione collettiva dal piano nazionale a quello aziendale: se i lavoratori non vogliono che i contratti aziendali deroghino dai diritti garantiti dai contratti nazionali non devono fare altro che dare la disdetta di sindacati concertativi e iscriversi e impegnarsi nei sindacati conflittuali. Nel dibattito, in vari interventi, ricorre la parola d’ordine del non pagamento del debito. Può e deve essere unificante, si dice, ma va riempito e messo all’opera. “Non basta più dire che non dobbiamo pagare il debito. (...) Serve una forza uguale e contraria che blocchi i diktat della borghesia e dell’UE, serve un’occupazione delle piazze” (Daniela Cortese). Giorgio Sestili cita il meccanismo che ad Oakland, negli Stati Uniti, ha portato i sindacati a scioperare grazie alla mobilitazione del resto dei soggetti sociali non sempre sindacalmente rappresentabili, impegnati comunque a bloccare la città, oltre alla produzione. “Quello della riappropriazione – dice Sestili - è il tema centrale sul quale agire per riprenderci la ricchezza che ci hanno sottratto, riprenderci i diritti ed attaccare i profitti”. Un tema ripreso da Paolo di Vetta, dei Blocchi Precari Metropolitani: “Noi dobbiamo dire: ‘Non contate su di noi!’ Il discorso sulla coesione non ci sta bene, non crediamo alle propaganda sull’equità, pensiamo che il conflitto debba fare un passo avanti. Affinché le esistenze cambino ora, nel presente. Bisogna costruire a livello sociale le complicità che servono per spiegare a milioni di persone che l’imbroglio che sta dietro Monti ci toglierà la vita, abbatterà la qualità della nostra esistenza. C’è un mondo intero fuori dai posti di lavoro che dobbiamo decidere di organizzare per costruire e consolidare conflitto: studenti, precari, intere generazioni. L’unica maniera per darci una prospettiva è data dalla riappropriazione: ciò che ci viene negato ce lo dobbiamo riprendere e riprendere ora perché altrimenti la questione del non pagamento del debito rimane esclusivamente ad un livello di evocazione”.
Qual è allora la proposta dei movimenti sociali? “Se le tariffe cominciamo a ridurle ed autoridurle, se le case le occupiamo, se gli aumenti di affitto li contestiamo e non li paghiamo più, se l’insolvenza diventa un meccanismo consapevole e di massa, se riusciamo a sottrarre il suolo delle nostre città alla speculazione allora cominceremo davvero a non pagare il debito”.
Dal palco viene dato un primo appuntamento. Il Comitato No Debito invita tutte e tutti ad una conferenza stampa lunedi 5 dicembre alle Galleria Colonna alle ore 17.00, proprio mentre Monti sta presentando alla Camera e poi al Senato la sua manovra e la nostra dannazione.

pc 5-6 dicembre - La Piaggio subito in sciopero!

Si è concluso alle 11.30 lo sciopero di buona parte degli operai della Piaggio di
Pontedera che erano usciti dalla fabbrica alle 9,30 per protestare contro la manovra proposta dal Governo Monti. Il corteo delle tute blu si è mosso sotto la pioggia battente anche attraverso la strada statale Tosco Romagnola, bloccando il traffico per circa 20 minuti, dopo l'invasione pacifica della stazione ferroviaria e lo stop al transito dei treni per 10 minuti.
Il corteo si è poi diretto verso il centro della città con le tute blu che, giunte
sotto una scuola media superiore hanno cercato di convincere gli studenti, che guardavano i manifestanti dalle finestre, di unirsi al corteo al grido »scioperate, unitevi a noi, perché vi rubano il futuro».
I lavoratori hanno protestato per la manovra Monti, spiegando che «si tratta di misure inique che colpiscono sempre i soliti». Cantando «Bella Ciao» hanno attraversato il centro di Pontedera chiamando i passanti a unirsi al corteo e a protestare contro una manovra «che non intacca i privilegi di chi guadagna migliaia di euro al mese».
Stamani hanno scioperato anche i lavoratori della Ceva di Lugnano, nel Comune di
Vicopisano, un magazzino che fa parte dell'indotto Piaggio. Anche in questo caso si è trattato di una protesta contro le misure annunciate ieri da Monti.

(dal 'Tirreno')

pc 5-6 dicembre - milano contro il governo Monti

il 7 mattina volantinaggio all'Istituto tumori
pomeriggio - partecipazione al presidio in piazza della scala

CONTRO IL GOVERNO MONTI CONTRO IL GOVERNO DEI SACRIFICI PER I GIOVANI, LE DONNE, I LAVORATORI DEL PUBBLICO, GLI OPERAI CONTRO IL GOVERNO DEL CAROVITA E' ORA DI COSTRUIRE LO SCIOPERO GENERALE DAL BASSO!

NOI LAVORATORI DELLA SCUOLA, DELLA SANITA' ABBIAMO GIA' PAGATO DURAMENTE CON TAGLI DI POSTI DI LAVORO, BLOCCO DEGLI SCATTI DI ANZIANITA'=IMPOVERIMENTO, FINANZIAMENTI A SCUOLE E SANITA' PRIVATE, INNALZAMENTO DELL'ETA' PENSIONABILE, GUERRA TRA POVERI

In perfetta continuità con il governo Berlusconi, ma anche con i precedenti governi, Monti si appresta a varare un'ulteriore manovra lacrime e sangue per i lavoratori, i giovani, le donne. Chiaramente Monti ha dichiarato di condividere "..le due importanti riforme dovute a mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne..", come esempio delle "riforme necessarie", per meglio
scaricare la crisi sulle classi popolari, sui lavoratori. A Milano, inoltre, abbiamo visto che la "filosofia" Gelmini-Tremonti- Monti ha fatto proseliti nel comune che ha introdotto i contratti co.co.co per gli insegnanti delle scuole comunali, si continuano ad affidare tramite appalti ai privati parte dei nidi.
Ma il governo monti fa un salto di qualità con la scelta dei sottosegretari all' istruzione, entrambi passati per l' Invalsi, e, in evidente conflitto di interessi, la Ugolini dirigente di una scuola privata.

Tramite indiscrezioni giornalistiche si comunica ai lavoratori della sanità che per questo settore sono previsti ulteriori tagli.

Già vengono preannunciati anni di crisi, che significa condizioni di lavoro sempre più dure per chi un lavoro ce l'ha, disoccupazione e miseria per chi perde un lavoro o non l'ha mai avuto, un tunnel di cui non si vede la luce.
Gli stessi dati ufficiali di questi giorni dicono chiaramente cha ci saranno meno servizi, diritto all'istruzione, meno diritti al e sul lavoro.

Per questo occorre una lotta quotidiana per contrastare sul campo e su tutti i terreni nella quale i lavoratori, i precari, i disoccupati, gli studenti si mobilitino in maniera determinata e forte per costringere il governo a ritirare le "riforme" di macelleria sociale, per invertire la rotta, perchè
si conquistino diritto a un lavoro dignitoso e certo, a una sanità e a una istruzione pubbliche.

PER QUESTO OCCORRE RIVENDICARE ANCORA CHE LA RIFORMA GELMINI VA RITIRATA, CHE I FINANZIAMENTI A SCUOLA E SANITÀ PRIVATE DEVONO CESSARE, CHE I LAVORATORI PRECARI DEVONO ESSERE ASSUNTI IN PIANTA STABILE, LA MANOVRA LACRIME E SANGUE DEL GOVERNO MONTI VA RITIRATA

NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO!


SLAI COBAS per il sindacato di classe scuola e sanità- Milano
SEDE regionale DALMINE Viale Marconi,1 (BG)

per Milano contatti:cobasdiclasse.mi@gmail.com cell: 3387211377-3339415168
fip5/12/2011

pc 5-6 dicembre - proletari comunisti e la manovra del governo Monti

Il governo Monti ha partorito la sua prima manovra antioperaia e antipopolare, con l'appoggio di tutti i partiti del Parlamento tranne Di Pietro e Lega da due versanti per ora opposti.
Una manovra 'lacrime' per la ministra dell'attacco alle pensioni e 'sangue' per i pensionati innanzitutto, per le masse popolari che hanno una casa, per gli enti locali che scaricheranno tutto sulle masse popolari, per il carovita che aumento di benzina, aumenti Iva producono e per l'insieme di tasse e balzelli che a scalare colpiranno sempre e solo lavoratori e masse popolari.
Niente patrimoniale naturalmente, niente per il lavoro - tutto il possibile per le banche e qualcosina per i padroni. Le grandi evasioni protette e trattate quasi con deferenza.
Un governo 'tecnico' certamente ma fino in fondo di classe a difesa dell'Italia dei padroni e delle banche al servizio dei padroni e del sistema del capitale.
Un governo tecnico per sostituire temporaneamente il governo Berlusconi, sputtanato all'estero e in crisi di consenso in Italia.
Un governo 'tecnico' che rende più chiaro ancora il nostro concetto di 'moderno fascismo', perchè esso e fuori e in una certa misura contro la Costituzione e lo stesso sistema elettorale e parlamentare democratico borghese.
Un governo 'tecnico' in piena sintonia e al servizio del fascismo padronale che dalla Fiat di Marchionne si vuole imporre in tutte le fabbriche del paese,
Un governo 'tecnico' che ha appena cominciato ad operare ma che intende andare molto oltre, con l'attacco ai diritti sindacali e con la libertà di licenziamento, con l'ulteriore attacco ai salari e stipendi dei lavoratori, che considera i sindacati anche confederali una delle tante parti sociali da
consultare per un minuto, che quindi vengono ritenuti, da compatibili quali sono con la difesa dell'economia del capitale, a incompatibili con la tecnica del moderno fascismo quando questa è principale.
Contro questo governo, come contro il temporaneamente assente governo Berlusconi, continuiamo a ritenere che non serva e non incide il normale conflitto sindacale e opposizione politica delle manifestazioni del sabato; anzi riteniamo tutto questo il normale accompagnamento di un governo che esplicitamente dice e riconosce che i suoi provvedimenti sono antipopolari e al servizio
delle banche e del capitale nazionale ed europeo e in una certa misura mondiale.
Serve un conflitto sindacale fatto di scioperi dal basso, di rotture delle regole di blocchi della produzione, delle strade, di assedio ai Palazzi del potere economico e politico, alle sedi dei partiti che lo sostengono, di rendere ogni uscita di esponenti di questo governo, degli esponenti politici
ed economici che lo sostengono, un rischio per loro... Far sentire a loro e a tutti la protesta, l'indignazione, l'odio di chi scarica tutta la crisi sulle spalle di operai, precari, disoccupati, povera gente onesta, fare come in Grecia, meglio che in Grecia, se noi avessimo la forza questo faremmo.
Serve un sindacato di classe che permetta agli operai e ai proletari di lottare seriamente. E non sono sindacati di classe nè le attuali direzioni dei sindacati confederali, nè la Camusso, nè il diverso Landini. E non lo sono neanche i dirigenti dei sindacati di base che hanno parlato all'assemblea di Roma del 3 dicembre. Il 15 ottobre ha dimostrato inoltre da che parte stanno i casarini, Uniti per l'alternativa e i bernocchi del cobas confederazione.
Serve un fronte unito proletario e rivoluzionario che raccolga le forze che vogliono percorrere l'altra strada che proponiamo e che comprende interi pezzi del movimento reale in corso e tanti gruppi e circoli che singolarmente non sono in grado di contare e farsi valere.
Serve il partito della rivoluzione, che non si costruisce sulla carta o in internet, ma nel fuoco della lotta di classe in stretto legame con le masse, senza opportunismo ed 'estremismo'; per questo partito condizioni ed energie ci sono, per iniziare questa strada, occorre volerlo e fare i piccoli passi ma determinati che esso richiede.
La crisi, il governo Monti, il ruolo di valletti dei partiti parlamentari è un grande aiuto su questa strada, è una vera sfida e opportunità da cogliere.

proletari comunisti - PCm Italia
dicembre 2011

lunedì 5 dicembre 2011

pc 5-6 dicembre - Gli operai di Termini Imerese votano sì all'accordo... con tanti dubbi

Questa mattina lo slai cobas per il sindacato di classe ha diffuso il volantino contro il governo Monti alla Fiat di Termini Imerese durante l’assemblea degli operai indetta per la convalida dell’accordo con la Dr Motor dopo l’incontro di giovedì scorso.

Circa 300 operai hanno ascoltato la lunga spiegazione dei termini tecnici dell’accordo a cominciare questa volta da quello con la Dr, dato che di quello sui 640 che andranno in mobilità e poi in pensione si era parlato nell’assemblea precedente, e alla fine degli interventi su richiesta del sindacalista fiom hanno alzato la mano a stragrande maggioranza per dire sì all’accordo… “Non ce n’era un altro da votare”, ha affermato ironicamente qualche operaio.

Vista la novità del decreto del governo sulle pensioni molta attenzione era verso il punto dell’accordo che dovrebbe blindare i 640 che andranno in mobilità dopo i due anni di cassa integrazione mantenendo le attuali condizioni, ma proprio su questo il sindacalista Fiom ha detto che si tratta comunque di una “promessa fatta in pubblico dal ministro Fornero che dovrà mantenere gli impegni così come tutte le altre istituzioni…” e che però deve ancora essere messa nero su bianco.

In un silenzio generale piuttosto rassegnato un anziano operaio dei servizi ha fatto un intervento abbastanza arrabbiato, dicendo che secondo lui questo gruppo di lavoratori, circa 50, rischia di restare fuori da ogni accordo, chiamando i propri compagni a muoversi, accennando al fatto che qualche auto è ancora rimasta nello stabilimento!

Ma sia questo appello che alcune voci di dissenso non vanno oltre la lamentela…

I sindacalisti hanno tenuto a dire che nessuno resterà fuori, né dei servizi né dell’indotto, anche se i tempi sono lunghi e tutta la procedura è da seguire da molto vicino e passo passo per evitare sorprese, e per questo si organizzeranno altre assemblee.

Ancora una volta i sindacalisti hanno tenuto a sottolineare che hanno fatto il massimo della mediazione possibile… perché si è riusciti a portare da 500 a 640 il numero di coloro che possono essere accompagnati alla pensione.

Diversi operai rimangono scettici ancora soprattutto rispetto sia alla fattibilità che ai tempi di messa in opera del piano Dr, troppo lungo, troppe incognite e con l’aria che tira al governo…

Abbiamo condiviso le preoccupazioni di alcuni operai sulla lunga cassa integrazione, “nel frattempo molti diventeranno troppo vecchi per essere assunti da Dr… e si ripartirà comunque dai livelli più bassi”, sui soldi che diventeranno sempre meno e sul fatto che c’è il pericolo che molti operai possono non reggere psicologicamente una volta fuori dalla fabbrica.

Anche per cercare di evitare questi pericoli abbiamo sottolineato la necessità di rimanere subito organizzati dal basso anche fuori dalla fabbrica per essere protagonisti attivi in tutte queste novità che si concretizzeranno nel prossimo anno.

pc 5-6 dicembre -Thyssen, a 7 mesi dalla condanna ancora nessun risarcimento alle famiglie delle vittime

Thyssen, a 7 mesi dalla condanna ancora
nessun risarcimento alle famiglie delle vittime

Si tratta dei pagamenti provvisionali, cioè gli anticipi sui rimborsi disposti dalla sentenza del 15 aprile scorso, con cui sono stati condannati l’ad Harald Espenhahn e altri cinque dirigenti dell’acciaieria tedesca. "Ho provato in tutte le maniere, sollecitando a voce i legali degli imputati, e anche per iscritto, ma ancora non è avvenuto niente – spiega l'avvocato Bonetto

A più di sette mesi dalla condanna e a quattro anni dalla tragedia di Torino, la ThyssenKrupp non ha ancora rimborsato gli ex operai e alcuni familiari delle vittime come imposto dai giudici. Si tratta dei pagamenti provvisionali, cioè gli anticipi sui rimborsi disposti dalla sentenza del 15 aprile scorso, con cui sono stati condannati l’ad Harald Espenhahn e altri cinque dirigenti dell’acciaieria tedesca. Oltre all’accusa di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, i pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso hanno recriminato al primo i reati di omicidio e incendio volontari con colpa cosciente; e per gli altri omicidio e incendio colposo.

Queste ipotesi della procura sono state riconosciute dai giudici della Corte d’assise di Torino, i quali hanno stabilito che gli imputati devono versare dai 50mila euro in su per gli ex lavoratori e tra i 30 e 40mila euro per i parenti dei deceduti. Gli avvocati degli ex operai, costituiti parte
civile al processo, avevano anche chiesto che il pagamento fosse “immediatamente esecutivo” per via delle condizioni economiche precarie in cui si sono ritrovati dopo la chiusura anticipata dello stabilimento e per i gravi danni fisici e psicologici subiti per colpa della tragedia. La corte ha ammesso la legittimità delle richieste: in base alle testimonianza di cinque addetti di turno tra il 5 e il 6 dicembre 2007 – è scritto nelle motivazioni – emerge “il dramma sconvolgente da
loro vissuto quella notte, da cui deriva la fondatezza (peraltro riscontrata dalle perizie mediche) del danno non patrimoniale, costituito dal danno morale e dal danno alla salute da loro lamentato e di cui chiedono il ristoro economico”. L’azienda e i condannati devono quindi pagare.

Gli importi della provvisionale potevano essere versati dal momento della decisione del tribunale (giorno da cui comincia il calcolo degli interessi) e sono diventati obbligatori dalla pubblicazione della sentenza, ma a 20 giorni dalle motivazioni non sono ancora avvenuti. Lo segnala l’avvocato Sergio Bonetto, rappresentante di nove operai costituitisi parti civile: “Ho provato in tutte le
maniere, sollecitando a voce il pagamento agli avvocati degli imputati, e anche per iscritto, ma ancora non è avvenuto niente – spiega -. Se l’attesa continuasse potremmo avviare le procedure per l’invio di ufficiali giudiziari per i pignoramenti”. Antonio Boccuzzi, ex operaio sopravvissuto al rogo e ora deputato del Pd, afferma: “Stiamo tutti aspettando. La Thyssen avrebbe dovuto pagare immediatamente. Nessuno ha ricevuto un euro e non abbiamo notizie, se non voci su prossimi pagamenti”. Il problema è che molti suoi ex colleghi “sono ancora senza un lavoro e a maggior ragione è importante che i soldi siano versati”.
Questo ritardo per lui è una conferma: “È l’atteggiamento dello stile Thyssen: anche dopo la sentenza Torino resta l’ultimo dei pensieri e dei doveri”.

I difensori degli imputati affermano che il ritardo è dovuto alla trattativa in corso tra la ThyssenKrupp, i dirigenti condannati e le parti civili: “Siamo obbligati a fare i pagamenti –
premette l’avvocato Cesare Zaccone, difensore dell’azienda -. Si tratta di ritardi dovuti alle modalità di esecuzione, ma è anche un problema che riguarda le compagnie assicurative. I pagamenti devono avvenire al più presto”. Per Ezio Audisio, difensore di Espenhahn (condannato a 16 anni e sei mesi), Marco Pucci e Gerald Priegnitz (membri del board aziendale condannati a 13 anni e sei mesi), i tempi saranno rapidi: “Stiamo trattando con le controparti per pagare tutti i risarcimenti.
Si sta ragionando sulle somme”, afferma. Quindi alla priorità dei pagamenti agli ex dipendenti e i parenti delle vittime, è stato previlegiato un altro aspetto, il risarcimento totale a tutte le parti
civili, quindi anche agli enti locali e sindacati: “Entro lunedì forniremo loro una risposta e nei giorni successivi si procederà con le erogazioni”.

domenica 4 dicembre 2011

pc 4 dicembre - Esce il nuovo numero di Maoist Road - speciale meeting internazionale sulle rivolte arabe


Disponibile nell'edizione italiana e francese, in preparazione in inglese e altre lingue.
Richiedetelo a: maoistroad@gmail.com

pc 4 dicembre - AIRAUDO FIOM, INVECE DI SVILUPPARE L'OPPOSIZIONE OPERAIA, SVILUPPA LA FIDUCIA A MONTI?

Alcune frasi dell’intervista di Airaudo, responsabile auto della Fiom, a Il Fatto quotidiano di sabato, dà un segnale molto negativo e fuorviante verso i lavoratori Fiat della linea che occorrerebbe avere nei confronti del nuovo governo Monti.
Il giornalista de “Il Fatto quotidiano” dice ad Airaudo: “Lei e Landini avete espresso giudizi positivi sul comportamento del governo a Termini Imerese”.
E Airaudo rimarca: “ha avuto un ruolo arbitrare, utile e gliene abbiamo dato atto, visto che la Fiat si rifiutava persino di pagare i trattamenti di liquidazione degli operai che metteva in mezzo ad una strada”.
Il giornalista a questo punto domanda: “(Monti) Meglio di Berlusconi?”.
E Airaudo risponde: “Quest’estate avevamo un Ministro che si diceva favorevole all’idea di una legge ‘ad aziendam’. Oggi vedo che Marchionne teme il governo e cerca di esorcizzare un suo intervento”.

Un governo che si prepara ad annunciare nelle prossime ore una manovra pesantissima per scaricare la crisi solo sui lavoratori e le masse popolari, con un sistema, una logica e un metodo che, dietro la neutralità del “tecnico”, fa apparire chiaramente la sua sostanza fascista, trova in Airaudo un oggettivo sostegno verso i lavoratori, soprattutto della Fiat.
E’ totalmente falsa questa immagine di una sorta di differente politica e addirittura contrasto tra Monti e Marechionne che il dirigente Fiom vuole dare.

Non è vera dalla parte di Marchionne che ha affermato recentemente su Monti: «La storia italiana è fatta di capitoli scritti da uomini che sono stati in grado di combattere per il cambiamento invece di proteggere lo status quo. Ho grande fiducia, il premier Mario Monti può essere fra questi».

E non è soprattutto vera per il governo Monti, che intende invece proprio portare avanti, se mai meglio del governo Berlusconi, la normatizzazione del piano Marchionne, estendendolo per legge dalla Fiat a tutte le imprese.
Sulle recenti dichiarazioni di Marchionne circa la sua uscita dall’Italia, “sia Corrado Passera, ministro dello Sviluppo, delle Infrastrutture e dei Trasporti, sia Elsa Fornero, ministro del Welfare e delle Pari opportunità, si limitano a dichiarare che è una questione delicata cui va prestata la massima attenzione...”.
Ma soprattutto Monti nel suo primo discorso al Senato ha affermato che il governo ha l'intenzione di “proseguire lo spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro, come chiesto dalle autorità europee”.
“Sembra dunque di capire che Monti intende andare avanti lungo la strada tracciata da Berlusconi, rendendo comprensibile l'augurio di lunga vita al nuovo governo (cioè che arrivi fino alla fine naturale della legislatura) che viene dall'ad della Fiat Sergio Marchionne… D'altronde, Marchionne dovrebbe sapere che non deve certamente difendersi da Monti. Già in passato Monti aveva avuto parole di stima per lui. In un articolo scritto per il Corriere della Sera, pubblicato nello scorso gennaio, Monti aveva elogiato il manager italo-canadese e le “riforme” dal lui proposte e lo aveva indicato – assieme all'ex ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini – come esempio di “determinazione” capace di superare lo stile di “rivendicazione ideale” che si sarebbe affermato in Italia, cioè di una rivendicazione “basata su istanze etiche”, che “finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati” e che deriva dalla “influenza avuta dalla cultura marxista” (dalla stampa).

Quindi, perché mai “Marchionne dovrebbe temere il governo e cercare di esorcizzare un suo intervento” – come sostiene Airaudo?
Dire questo, significa solo frenare la necessaria e dura opposizione dei lavoratori al governo Monti e addirittura far accettare come intervento a favore degli operai Fiat quello che è stato invece, sulla questione Termini Imerese, un intervento da parte del governo per permettere la chiusura della Fiat in maniera indolore per Marchionne.

Certo, non tutti i dirigenti della Fiom hanno il giudizio di Airaudo. Cremaschi, ha scritto su Liberazione: “L’impostazione economica del governo… corrisponde nella società italiana a quello che Marchionne fa in Fiat… entrambi pensano che per curare il malato bisogna somministrargli dosi sempre più forti di quella stessa medicina che lo ha fatto ammalare. Sono entrambi liberisti ultrà che pensano che solo il mercato, la globalizzazione, la selezione sociale che ne deriva, possono salvare il paese e le fabbriche. E invece li affondano…”.
Ma chi parla nella Fiom e chi fa i fatti?