In questi processi industriali sono in gioco interessi enormi,
basti pensare alle centinaia di milioni dei costi di bonifica del disastro
ambientale di Spinetta Marengo in caso di sentenza di colpevolezza, dunque tutti i mezzi sono ammessi per la difesa,
senza scrupoli.
Tra questi
ci sta, ad opera della Solvay, la denuncia del Pubblico Ministero al Consiglio
superiore della Magistratura.
Obbiettivo immediato dell’annuncio in aula della Corte di Assise di
Alessandria è aggredire i giudici popolari con una cannonata: Solvay denuncia che il PM Riccardo Ghio ha
concorso ad un complotto contro la multinazionale belga, ha falsificato gli atti del processo,
ha commesso un serie gravissima di reati al fine della “concussione ambientale”,
cioè estorsione di soldi.
Più la
spari grossa e più fai impressione, se poi aspetti a sparare all’ultima udienza
il botto che ti proponi è il massimo. Il
teorema dell’avvocato “best” Luca
Santamaria è fantasioso [vedi
riquadro] ma è talmente pesante da diventare subdolo, teso a indurre il
dubbio fra i giurati, e il dubbio serve
quando il confine è “al di là di ogni ragionevole dubbio”.Non dovrebbero però avere dubbi i giudici dopo aver seguito decine di udienze per anni, non dovrebbero lasciarsi abbacinare dal pirotecnico teorema.
quando il confine è “al di là di ogni ragionevole dubbio”.Non dovrebbero però avere dubbi i giudici dopo aver seguito decine di udienze per anni, non dovrebbero lasciarsi abbacinare dal pirotecnico teorema.
L’annuncio è probabilmente
un bluff, petardo più che una bomba, non è così scontato che partirà la
denuncia, soprattutto in caso di condanna in Assise. Però una cosa è
assolutamente certa:
se la Corte
assolverà dal dolo gli otto imputati, Solvay procederà senza esitazioni contro
il PM
usando
la carta assoluzione come grimaldello nella denuncia.
Gli
obbiettivi di prospettiva diventerebbero allora più ambiziosi e concreti. Il
polverone sollevato al Consiglio superiore della Magistratura servirebbe per
altri due scopi. Uno, nel ricorso in
Appello: il boato della denuncia, proprio perché al limite del ridicolo,
sarebbe talmente clamoroso da fuorviare tutto il dibattimento e trascinarlo per
il largo e il lungo (prescrizione).
L’altro
obbiettivo guarda al filone processuale che si sta per aprire per le morti e le
malattie provocate dall’inquinamento soprattutto atmosferico. Questo secondo processoper Solvay è ancora più
pericoloso dell’attualeperché essa non può neppure attuare lo scaricabarile su
Ausimont. Dunque le diventerebbe essenziale, tramite la denuncia, fare della
Procura di Alessandria “l’anatra
zoppa” (l’Accusa sotto accusa!!), sostituire il PM, o chiedere addirittura
lo spostamento del processo in altra sede (tentativo fallito in
precedenza).
Questa
manovra contro il PM Riccardo Ghio (ignobile sul piano personale, tipica di chi
passerebbe sul cadavere della madre) è stata scelta per regia di Giorgio
Carimati nell’impossibilità di agire
direttamente sulla Corte di Assise. Noi abbiamo spesso criticato la
Presidente Sandra Casacci perché agli avvocati difensori è stato concesso di
fare e dire qualunque cosa. Alla luce degli avvenimenti, ora dobbiamo ammettere
che la pazienza è così riuscita a non offrire il benchè minimo pretesto di
killeraggio processuale.
A Chieti il presidente della Corte
d’assise Geremia Spiniello è stato ricusato da Montedison semplicemente per aver
dichiarato in una intervista l’ovvio impegno di rendere giustizia al territorio
e sostituito da Camillo Romandini. Le accuse di alcuni giurati per pressioni
indebite da parte del subentrato presidente sono al vaglio del Consiglio
superiore della Magistratura [vedi riquadro].
Ad Alessandria, nel
2008, all’impostazione del processo (differente da Chieti), termini e capi di
imputazione compresi, Riccardo Ghio aveva lavorato sotto la guida del
Procuratore generale Michele Di
Lecce trasferitosi a Genova nel 2012 e sostituito da Mario D’Onofrio. A quel tempo Solvay
non se l’era sentita di attaccare Di Lecce, mentre ora evidentemente reputa che
Ghio sia isolato.
In
conclusione, la denuncia della Solvay di Spinetta al Consiglio superiore della
Magistratura è una bolla, anzi una balla. Si reggerebbe solo se riuscisse a
dimostrare l’esistenza delle
tangenti che, afferma Solvay, sarebbero state pagate (collusione e
concussione) da Ausimont agli Enti locali (e non solo) per renderli complici nel
nascondere gli inquinamenti. Solvay dovrebbe portare le prove delle mazzette,
che nella contabilità aziendale non possono sfuggire. Se le ha e non le tira
fuori è perché rischierebbe di scoprire i propri altarini. Senza questa prova
regina, il teorema di Santamaria è ridicolo, un bluff, un polverone, una messa
in scena cinica. L’aveva già enunciato per sei ore nell’udienza del 17 novembre
2014.
UDIENZA DEL 17 NOVEMBRE
2014
“Va
bene a tutti, anche all’amico Balza”:
l’avvocato Luca Santamaria conclude
l’arringa difensiva in Corte di Assise di Alessandria. L’ironia storpiante su
“amico” è scontata: ormai è un ritornello additare Lino Balza come “nemico”,
numero due, distaccato di parecchie lunghezze dal nemico numero uno di Solvay, il pubblico ministero Riccardo Ghio. Invece, è assai nebulosa
la conclusione del romanzo giallo raccontato per sei ore dall’illustre legale,
cioè l’intrigo internazionale “dei poteri
forti” che si materializzerebbe nell’assassinio di Solvay ad opera di un
folto gruppo di congiurati. I quali sarebbero in ordine di presentazione: Ausimont, Pubblico ministero, Arpa,
carabinieri Noe, Comune, Provincia, Regione, giunte di sinistra e di destra,
amministratori e funzionari, Montedison, Edison, Eridania, Coopsette, Esselunga,
associazioni ambientaliste ad eccezione di Medicina democratica (bontà sua).
Non cita i sindacati. Dimentica il GUP Stefano Moltrasio. Dice Santamaria: “Va bene a tutti” l’assassinio
finalmente ordito, cioè l’incriminazione di Solvay per avvelenamento doloso e
dolosa omessa bonifica, art. 439 c.p.p, “va bene a tutti” i suddetti congiurati,
e anche all’ “amico” Balza che, pur
non avendo compreso il complotto, è contento lo stesso perché costituzionalmente
nemico giurato di Solvay.
Santamaria avvince come giallista ma non convince né
come giallista né come difensore di Giorgio Carimati. Avvince, che è un
piacere ascoltarlo due tre ore, quando scava nella dietrologia, quando dissemina
indizi inquietanti su ciascuno dei congiurati, ma poi quando dopo sei ore il
mosaico dovrebbe comporsi ti rendi conto che le tessere sono forzatamente
assiemate, come avviene per i giallisti neofiti. L’ultimo capitolo rende oscura
la trama. Nessun giallo regge se non regge il movente. Non convince il
garbuglio. D’altronde è la prima volta che Santamaria si esercita in questa
nuova veste di romanziere. Per il resto è senza dubbio il leader
dell’esorbitante staff difensivo della multinazionale chimica, è preparatissimo,
analitico fino alla pignoleria, conosce a memoria tutti i risvolti processuali,
segue e indirizza Solvay ancora prima del processo come è evidente nelle
intercettazioni telefoniche, è attento e ascoltato consigliere di Carimati nel
bene e nel male, non è solo un impareggiabile giurista ma anche uno sgobbone che
sacrifica per la causa le ore di sonno. In questa udienza si è presentato un po’
stanco, con la barba lunga, a tratti emozionato probabilmente per una qualche
presenza di riguardo, ma pur sempre un leone indomito. Però come
giallista…
Quando arrivi alla fine di un giallo e ti rendi conto
che non sei in grado di riassumere la trama: resti deluso. Può essere colpa tua
perché il genere letterario non ti è confacente? Perché non possiedi neppure le
veline giornalistiche che potrebbero aiutarti come prefazione del romanzo? A
questo punto vai a comprare i giornali. Trascriviamo quello che hanno capito
loro del complotto internazionale: “Metà
dell’area ex zuccherificio di Spinetta Marengo, vicina allo stabilimento, fu
ceduta a Esselunga per fare un supermercato, ma i ‘signorotti locali (i
politici n.d.r.) sostenitori di CoopSette
insorsero’ fino a che si decise di destinare l’altra metà a Coop7: un perfetto
inciucio in barba al Piano regolatore comunale. Sembravano ‘tutti felici e
contenti, ma Solvay va a rompere le scatole’ perché, continua Santa Maria,
insiste per la messa in sicurezza di emergenza della propria area, dopo aver
scoperto che le perdite dalla fabbrica con relativo inquinamento sono più
cospicue di quelle che le aveva dato a bere Ausimont(la venditrice n.d.r.)
propinandole la bischerata di un piano di
caratterizzazione falso. Basato su documenti falsi alle Autorità compiacenti. Ma
se Solvay scopre gli altarini, viene fuori che anche l’ex zuccherificio è
inquinato è salta l’inciucio supermercato”. Fine della trascrizione.
Dunque c’era il rischio che l’integerrima Solvay facesse
partire denunce penali contro Ausimont e soprattutto le Autorità colluse e
corrotte. Allora ci chiediamo: perché in 7 anni Solvay non ha fatto denunce?
perché parla di tangenti dell’Ausimont ai politici, senza produrre prove? non è
che andando con gli zoppi si continua a zoppicare? Invece, nel racconto di Santamaria, Solvay
stava rompendo (sic) la continuità mafiosa vigente ad Alessandria (con quanta
discrezione! al punto di passare inosservata n.d.r.). Il vento di Bussi (?)
terrorizzò i congiurati - siamo
all’escalation della suspense del
giallista - la paura corre sul filo, il
gioco del cerino acceso (sic) brucia Comune e Arpa, si salvi chi può. E’ la
quadratura del cerchio: esclama ispirato Santamaria. Noi invece comprendiamo
sempre meno il garbuglio del giallo, i collegamenti logici e fattuali, che
c’azzecca lo zucchero col cromo esavalente, la lobby dei super mercati con la
lobby della chimica? Ma è proprio a quel
punto che scatta il coup de théâtre del romanzo. A quel punto (2008) entra in scena il
complice Riccardo Ghio. Il
Pubblico Ministero
che, senza prove, bluffando, anzi falsificando le carte, individua come facile
capro espiatorio (sic) l’innocente Solvay e la incrimina per sviare l’attenzione
politica e mediatica e penale dall’ex zuccherificio, sotto il quale si cela il
corpo del reato, cioè la discarica abusiva su cui il complice PM non vuole
proprio indagare: evidentemente contiene cromo e clorurati inquinanti la falda
(che fantasia! se si pensa che lavoravano barbabietole per produrre
zucchero!). Santamaria definisce il
fraudolento intervento di Ghio come “una
vera e propria operazione di distrazione di massa” volta a non scoperchiare
il vaso di Pandora (sic) dell’ex zuccherificio e a salvare il culo ai politici,
gli stessi che impedivano (sic) a Solvay di bonificare l’inquinamento, a questo
punto non di origine chimica ma zuccheriera. “Il PM inscena una realtà finta e marcia, una
menzogna organizzata da alte stanze del potere alessandrino, colluso da decenni
con Montedison-Ausimont. Loro sono i veri colpevoli dell’avvelenamento e non
Solvay. Perciò chiedo l’assoluzione con formula piena di Solvay e in particolare
di Giorgio Carimati che dal 2003 al 2008 non poteva certo passare i sabati e le
domeniche negli scantinati degli archivi segreti”. Fine del romanzo
giallo.
La sentenza della
Corte d’Assise di Chieti, che ha mandato in parte assolti (per avvelenamento
delle acque) e in parte prescritti (per disastro ambientale) 19 dirigenti e
tecnici della Montedison, imputati per il mortifero inquinamento causato dalle
discariche di Bussi sul Tirino (Pescara), è fortemente sospetta di pressioni
indebite del Presidente della Corte su alcuni membri della Giuria. Alcune
giurate hanno infatti affermato di essersi sentite dire dal Presidente che “se avessero condannato per dolo, e se poi
gli imputati si fossero appellati e avessero vinto la causa, avrebbero potuto
citarci personalmente, chiedendoci i danni, e avremmo rischiato di perdere tutto
quello che abbiamo, negozio e casa compresi”. Affermazione in sé falsa
perché la legge prevede la responsabilità dei giudici soltanto “in caso di dolo
oppure di negligenza inescusabile per travisamento del fatto o delle prove”.
Fatti e prove ben documentati dai PM, dall’Istituto superiore della sanità,
dall’Avvocatura dello Stato. Però quella
minacciosa prospettazione della loro rovina economica era volta a derubricare il disastro da reato doloso a reato
colposo, punito con pene inferiori e soprattutto con prescrizione più breve
e già scattata. No dolo: ritornello peraltro reiteratamente ripetuto fra
un’udienza e l’altra ai sei giudici popolari. Così fu la genesi della sentenza
composta in Camera di consiglio di una pizzeria. Ora, sulla correttezza della
condotta dei due giudici togati di Chieti si pronuncerà anche il Consiglio superiore della magistratura,
anche annullando il verdetto.
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