Quanti operai devono
essere sfruttati per potersi definire capitalista? Qual è il capitalista più potente?
Abbiamo visto che un operaio ogni giorno fornisce una data quantità, una data
massa di plusvalore al padrone: è questo, e le necessarie implicazioni, che Marx
analizza nel capitolo di oggi.
Cominciamo con un
esempio che chiarisce chi è il capitalista: “ … non qualsiasi somma di denaro o
di valore è trasformabile in capitale
… anzi tale trasformazione presuppone un minimo determinato di denaro o valore
di scambio in mano al singolo
possessore di denaro o di merci. Il minimo
di capitale variabile è il prezzo di costo di una singola forza-lavoro che
venga utilizzata tutto l’anno, giorno per giorno, per la produzione di
plusvalore.”
Perché è chiaro che “Se
questo operaio fosse in possesso dei propri mezzi di produzione e si
accontentasse di vivere da operaio, gli basterebbe il tempo di lavoro
necessario per la riproduzione dei suoi mezzi di sussistenza, diciamo otto ore
giornaliere. Gli basterebbero quindi anche mezzi di produzione per otto ore
lavorative soltanto. Il capitalista, invece, che gli fa fare oltre a queste
otto ore, diciamo, quattro ore di pluslavoro, abbisogna di una somma di denaro
addizionale per procurarsi i mezzi di produzione addizionali. Tuttavia, data la
nostra ipotesi, egli dovrebbe impiegare già due operai per poter vivere, col
plusvalore che si appropria giornalmente, secondo il tenore di vita di un
operaio, cioè per poter soddisfare i suoi bisogni di prima necessità. In tal
caso, scopo della sua produzione sarebbe il puro e semplice sostentamento, non
l’aumento della ricchezza, mentre proprio quest’ultimo è il presupposto della
produzione capitalistica.
Torniamo al saggio e
alla massa del plusvalore. Marx dice dunque che “insieme al saggio è data anche la massa del plusvalore fornita dal
singolo operaio al capitalista entro un periodo di tempo determinato.”
“Se, per esempio, il lavoro necessario ammonta a 6 ore giornaliere, espresse in una
quantità d’oro di 1 tallero, 1 tallero sarà il valore giornaliero di una forza-lavoro, ossia il valore capitale
anticipato nell’acquisto di una
forza-lavoro. Se inoltre il saggio del
plusvalore ammonterà al cento per
cento, questo capitale variabile di un tallero produrrà una massa di
plusvalore di un tallero, ossia l’operaio fornirà giornalmente una massa di pluslavoro di 6 ore.
“Ma il capitale variabile è l’espressione in
denaro del valore complessivo di tutte
le forze-lavoro che il capitalista impiega simultaneamente. Il suo valore è
quindi eguale al valore medio di una
forza-lavoro, moltiplicato per il numero delle forze-lavoro impiegate. Dato
il valore della forza-lavoro, l’ammontare del capitale variabile sta quindi
in proporzione diretta col numero degli operai impiegati
simultaneamente. Se il valore giornaliero di una forza-lavoro è eguale a un tallero, si deve dunque anticipare
un capitale di cento talleri per sfruttare giornalmente cento forze-lavoro, un
capitale di n talleri per sfruttare giornalmente n forze-lavoro.
“Allo stesso modo: se
un capitale variabile di un tallero, valore giornaliero di una forza-lavoro, produce un plusvalore giornaliero di un tallero,
un capitale variabile di 100 talleri produrrà un plusvalore giornaliero di
cento e un capitale di n talleri un plusvalore di un tallero moltiplicato n.”
Da qui la
“ … prima
legge: la massa del plusvalore
prodotto è eguale all’ammontare del capitale variabile anticipato, moltiplicato
per il saggio del plusvalore” ossia, è determinata dalla moltiplicazione “del
numero delle forze-lavoro simultaneamente sfruttate da uno stesso capitalista e
del grado di sfruttamento della singola forza-lavoro.”
“Se chiamiamo quindi P la massa del plusvalore e p il plusvalore fornito giornalmente in
media dal singolo operaio, se chiamiamo v
il capitale variabile anticipato giornalmente nell’acquisto della singola
forza-lavoro, V la somma complessiva
del capitale variabile; f il valore
di una forza lavoro media, a’:a (pluslavoro:lavoro
necessario) il suo grado di sfruttamento e n il numero degli operai impiegati,
avremo:
“Nella produzione di una determinata massa di
plusvalore, la diminuzione di un
fattore può quindi essere sostituita dall’aumento
di un altro. Diminuendo il capitale variabile e aumentando allo stesso
tempo, nella stessa proporzione, il
saggio del plusvalore, la massa del
plusvalore prodotto rimane invariata.
Alcuni esempi a
chiarimento: “Se… il capitalista deve anticipare cento talleri per sfruttare
giornalmente cento operai e il saggio del plusvalore ammonta al cinquanta per
cento, questo capitale variabile di cento talleri renderà un plusvalore di
cinquanta talleri, ossia di ore lavorative 100 x 3.”
Quindi, 100 operai a un
tallero l’uno valgono 100 talleri e cioè capitale variabile complessivo V=100
moltiplicato per il saggio del plusvalore p:v che è del 50% (3 di
pluslavoro + 6 ore di lavoro necessario).
Totale 300 ore lavorative.
“Se il saggio del
plusvalore viene raddoppiato, ossia se la giornata lavorativa, anziché essere
prolungata da 6 a 9 ore, viene prolungata a 12 ore, il capitale variabile di
cinquanta talleri, diminuito della metà, darà ancora un plusvalore di cinquanta
talleri, ossia di ore lavorative 50 x 6.”
Qui abbiamo invece 50
operai a 1 tallero l’uno che valgono 50 che viene moltiplicato per un saggio
del plusvalore del 100% (6 ore di lavoro necessario e 6 di pluslavoro). Totale
300 ore lavorative.
“La diminuzione del capitale variabile è
quindi compensabile mediante l’aumento
proporzionale del grado di sfruttamento della forza-lavoro; ossia, la diminuzione del numero degli operai
occupati è compensabile mediante un
prolungamento proporzionale della giornata lavorativa. Quindi, entro certi
limiti, la offerta di lavoro che il
capitale può estorcere diventa indipendente dalla offerta di operai. Viceversa, la diminuzione del saggio del plusvalore lascia invariata la massa del plusvalore prodotto, qualora l’ammontare del
capitale variabile o il numero degli operai occupati aumentino in proporzione.”
A questo grado
dell’indagine si può quindi dire che questo sfruttamento è senza limiti? No,
perché “… la sostituzione del numero
degli operai, ossia della grandezza del capitale variabile, mediante l’aumento
del saggio del plusvalore o mediante il prolungamento della giornata lavorativa
ha limiti insuperabili.” A causa del
fatto che “il valore complessivo
producibile da un operaio giorno per giorno è sempre minore del valore in cui si oggettivano ventiquattro ore lavorative” per cui ne discende la seconda legge: “Il limite assoluto della giornata lavorativa media, la quale è per
natura sempre minore di ventiquattro ore, costituisce un limite assoluto alla sostituzione della diminuzione del capitale
variabile mediante l’aumento del saggio del plusvalore, ossia alla sostituzione della diminuzione del numero
degli operai sfruttati mediante un aumento del grado di sfruttamento della
forza-lavoro.”
“Questa seconda legge, di evidenza tangibile, è
importante per la spiegazione di molti fenomeni che risalgono a una tendenza
del capitale di cui dovremo trattare più avanti, cioè alla tendenza del capitale alla massima riduzione possibile del numero degli
operai da esso occupati, ossia della propria componente variabile investita
in forza-lavoro, tendenza che è in
contrasto con l’altra sua tendenza a produrre la maggior massa possibile di
plusvalore.”
E infine la terza
legge.
“Una terza legge risulta dalla
determinazione della massa del
plusvalore prodotto mediante i due fattori, saggio del plusvalore e
grandezza del capitale variabile anticipato…” che “assume quindi questa forma: le masse di valore e plusvalore prodotte da
capitali diversi, a valore dato ed essendo eguale il grado di sfruttamento
della forza-lavoro, variano in proporzione diretta al variare delle grandezze
delle parti variabili di quei capitali, cioè delle loro parti convertite in
forza-lavoro vivente.”
E cioè, semplicemente,
tanto più massa di plusvalore quanti più operai si impiegano.
“Questa legge contraddice evidentemente a ogni
esperienza fondata sull’apparenza. Ognuno sa che un industriale del cotone il
quale, calcolate le percentuali del capitale complessivo impiegato, impieghi relativamente molto capitale costante e
poco capitale variabile, non arraffa per questo un guadagno o un plusvalore minore
che non un fornaio che mette in movimento relativamente molto capitale
variabile e poco capitale costante. Per risolvere quest’apparente
contraddizione, occorrono ancor molti termini intermedi …” che saranno
affrontati in seguito.
A proposito dei limiti
della giornata lavorativa Marx aggiunge: “Il lavoro che viene messo in
movimento, giorno per giorno, dal capitale complessivo di una società può
essere considerato un’unica giornata
lavorativa. Se, per esempio, il numero degli operai è di un milione e la
giornata lavorativa media di un operaio di dieci ore, la giornata lavorativa sociale sarà di dieci milioni di ore. Data la
durata di questa giornata lavorativa, siano i suoi limiti fissati fisicamente o
socialmente, la massa del plusvalore
può essere aumentata soltanto aumentando il numero degli operai, cioè
aumentando la popolazione operaia.
L’aumento della popolazione costituisce, in questo caso, il limite matematico
della produzione di plusvalore ad opera del capitale complessivo sociale. Viceversa,
quando l’entità della popolazione sia data, questo limite viene costituito dal possibile prolungamento della giornata
lavorativa. Si vedrà, nel capitolo seguente, che questa legge vale solo per
la forma di plusvalore sinora trattata.” Cioè della produzione del plusvalore
assoluto.
Invece riguardo al
minimo del capitale necessario per il capitalista Marx dice: “Il minimo della somma di valore, di cui deve disporre il singolo possessore di
denaro o di merci per compiere la sua metamorfosi in capitalista, varia nei
diversi gradi di sviluppo della produzione capitalistica ed è diverso nelle
diverse sfere della produzione, a grado di sviluppo dato, secondo le loro
particolari condizioni tecniche. Certe sfere della produzione richiedono, sin
dagli inizi della produzione capitalistica, un minimo di capitale, che però ancora non si può trovare in mano a
singoli individui. Ne conseguono in parte sussidi
statali a privati, come in Francia all’epoca di Colbert [Francia, metà del 1600]
e come in diversi Stati tedeschi fino all’epoca nostra, in parte la
costituzione di società con un monopolio legale per l’esercizio di determinati
rami dell’industria e del commercio, precorritrici delle moderne società per
azioni.”
Questi “sussidi statali
ai privati” come si vede sono abbastanza vecchi e oggi sono arrivati a livelli
inimmaginabili ai tempi di Marx, e servono di fatto a tenere in piedi il
sistema capitalistico stesso!
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