chi è Ajith
dalla dichiarazione del Comitato Internazionale di Sostegno alla guerra Popolare in India - Afghanistan
Pubblichiamo in due parti il recente saggio del compagno Ajith sulla politica estera del regime indiano apparso su People's March Vol. 13 No 3 del gennaio marzo 2015
1 parte
In realtà Modi ha legato l'India a impegni ancora più stretti con gli USA e i suoi alleati, Giappone e Australia, entrambi fondamentali nei piani strategici USA di contenimento della Cina. Si spinge per legami più stretti con Vietnam e Figi, come contromossa alla penetrazione della Cina in Sud Asia. Ma la pressione del peso crescente della Cina resta costante in Sud Asia, proprio là dove più conta per l'espansionismo indiano. Se il governo indiano è riuscito ancora una volta a bloccare l'ingresso della Cina nella South Asian Association for Regional Cooperation (SAARC), non ha potuto evitare che la questione fosse posta come punto importante nell’agenda nel vertice SAARC del novembre 2014. Inoltre, il l'adesione della Cina ha guadagnato adesioni. Oltre al Pakistan, ora anche Sri Lanka e le Maldive la sostengono, con il tacito consenso del Nepal. La Cina mantiene le sue promesse di ingenti investimenti, che significano ricche “provvigioni” e non si vede la per rinunciarvi. Questo è in ultima analisi ciò che riflette la formulazione della dichiarazione rilasciata dal vertice SAARC del novembre 2014, che ha incaricato una suo organismo di “... impegnare gli osservatori della SAARC in un progetto produttivo, fattivo e obiettivo fondato sulla cooperazione nelle aree secondo le priorità indicate dagli Stati membri.” L’opposizione dell’India è sempre più isolata come gretto ostruzionismo. Nel frattempo, il Pakistan ha continuato a bloccare i piani espansionistici indiani di una più ampia e rapida penetrazione economica in Sud Asia attraverso un trattato commerciale. Diversi altri fatti mettono in luce i limiti delle iniziative di Modi in Sud Asia. Da tempo le Maldive si sono avvicinate alla Cina. La cancellazione del progetto di grande aeroporto appaltato a una ditta indiana e la sostituzione di questo con un’infrastruttura cinese rappresenta un salto in questa tendenza, che oggi è ulteriormente rafforzata dalla decisione del governo delle Maldive di aderire alla 21st Century Maritime Silk Route (Via Marina della Seta del 21°, MSR), promosso da espansionismo cinese. La MSR prevede sviluppo di una rotta commerciale marittima dalla provincia cinese del Fujian al Mediterraneo, attraverso Sud Asia meridionale e Africa orientale. Progetto complementare a quello terrestre della Silk Route che collega la Cina all'Europa attraverso l’Asia centrale,. L'adesione delle Maldive alla MSR prevede la costruzione di un porto profondo nell’atollo più settentrionale, decisivo per ampliare lo spazio per l'attività navale cinese. È ironico che anche il presidente maldiviano Abdulla Yammeen nell’annunciare il cambio di politica estera, che ora “guarda a Oriente”, passando a legami più stretti con la Cina, abbia argomentato che la cooperazione economica con la Cina non mina “l’identità islamica” delle Maldive, a differenza dei legami con “le potenze coloniali occidentali”. È ovvio che in realtà quella a cui alludeva era l’India, che aveva tentato di appoggiare un nuovo centro di potere, rappresentato dalla presidenza di Mohamed Nashed, estraneo alle élites dominanti tradizionale. Qui le bandiere brahmaniche dell’Hindutva Sangh Parivar del regime Modi non vanno certo ad agevolare la strada dell’espansionismo indiano.
dalla dichiarazione del Comitato Internazionale di Sostegno alla guerra Popolare in India - Afghanistan
..Il crimine del compagno Ajith è di aver dedicato più di quarant’anni
della sua vita alla lotta implacabile contro un sistema brutale e reazionario
che sfrutta, opprime, piega e succhia il sangue di centinaia di milioni di
dannati in terra ...
..Il crimine del compagno Ajith è di aver pensato, immaginato
e lottato per un mondo migliore, in cui tutte queste atrocità diventino solo un
ricordo. Ma per lo Stato reazionario indiano, che spudoratamente si spaccia per
“la più grande democrazia nel mondo”, questo è un reato ...
Il compagno Ajith è un ideologo del PCI (Maoista), che dirige
una guerra popolare rivoluzionaria per demolire il sistema di oppressione e di
sfruttamento semifeudale, capitalista e imperialista e per instaurare la nuova
democrazia e il socialismo. Il compagno ha dedicato più di quarant’anni della
sua vita a questa causa.Pubblichiamo in due parti il recente saggio del compagno Ajith sulla politica estera del regime indiano apparso su People's March Vol. 13 No 3 del gennaio marzo 2015
1 parte
La politica estera di Modi
I sogni da grande potenza dell’espansionismo indiano
Dopo quasi un anno di
potere, il regime Modi ancora non ha prodotto nulla di sostanziale sul fronte
della cosiddetta 'crescita economica' – se non le diverse decisioni politiche
che aprono ulteriormente il paese alla rapina imperialista. Ma, nonostante gli
sia la manna dei guadagno realizzato grazie al forte calo del prezzo del
greggio, le finanze del governo centrale sono ancora in cattive acque. Sgonfiatasi
la campagna propagandistica sull’accelerazione dell’economia, gli esperti
dell’immagine di Modi stanno ora pompando la sua politica estera. Si proclama che,
attraverso le sue mosse nelle relazioni internazionali, ha magistralmente proiettato
India verso una posizione di rilievo sulla scena mondiale. Con la visita di
Obama, ospite d’onore alla parata della Festa della Repubblica, la cosa ha raggiunto
l’acme. Potente, dinamico, strategico – e giù un fiume di aggettivi. Ma, a guardare
meglio, si vede che la retorica degli aggettivi è inversamente proporzionale ai
risultati effettivi.
In realtà Modi ha legato l'India a impegni ancora più stretti con gli USA e i suoi alleati, Giappone e Australia, entrambi fondamentali nei piani strategici USA di contenimento della Cina. Si spinge per legami più stretti con Vietnam e Figi, come contromossa alla penetrazione della Cina in Sud Asia. Ma la pressione del peso crescente della Cina resta costante in Sud Asia, proprio là dove più conta per l'espansionismo indiano. Se il governo indiano è riuscito ancora una volta a bloccare l'ingresso della Cina nella South Asian Association for Regional Cooperation (SAARC), non ha potuto evitare che la questione fosse posta come punto importante nell’agenda nel vertice SAARC del novembre 2014. Inoltre, il l'adesione della Cina ha guadagnato adesioni. Oltre al Pakistan, ora anche Sri Lanka e le Maldive la sostengono, con il tacito consenso del Nepal. La Cina mantiene le sue promesse di ingenti investimenti, che significano ricche “provvigioni” e non si vede la per rinunciarvi. Questo è in ultima analisi ciò che riflette la formulazione della dichiarazione rilasciata dal vertice SAARC del novembre 2014, che ha incaricato una suo organismo di “... impegnare gli osservatori della SAARC in un progetto produttivo, fattivo e obiettivo fondato sulla cooperazione nelle aree secondo le priorità indicate dagli Stati membri.” L’opposizione dell’India è sempre più isolata come gretto ostruzionismo. Nel frattempo, il Pakistan ha continuato a bloccare i piani espansionistici indiani di una più ampia e rapida penetrazione economica in Sud Asia attraverso un trattato commerciale. Diversi altri fatti mettono in luce i limiti delle iniziative di Modi in Sud Asia. Da tempo le Maldive si sono avvicinate alla Cina. La cancellazione del progetto di grande aeroporto appaltato a una ditta indiana e la sostituzione di questo con un’infrastruttura cinese rappresenta un salto in questa tendenza, che oggi è ulteriormente rafforzata dalla decisione del governo delle Maldive di aderire alla 21st Century Maritime Silk Route (Via Marina della Seta del 21°, MSR), promosso da espansionismo cinese. La MSR prevede sviluppo di una rotta commerciale marittima dalla provincia cinese del Fujian al Mediterraneo, attraverso Sud Asia meridionale e Africa orientale. Progetto complementare a quello terrestre della Silk Route che collega la Cina all'Europa attraverso l’Asia centrale,. L'adesione delle Maldive alla MSR prevede la costruzione di un porto profondo nell’atollo più settentrionale, decisivo per ampliare lo spazio per l'attività navale cinese. È ironico che anche il presidente maldiviano Abdulla Yammeen nell’annunciare il cambio di politica estera, che ora “guarda a Oriente”, passando a legami più stretti con la Cina, abbia argomentato che la cooperazione economica con la Cina non mina “l’identità islamica” delle Maldive, a differenza dei legami con “le potenze coloniali occidentali”. È ovvio che in realtà quella a cui alludeva era l’India, che aveva tentato di appoggiare un nuovo centro di potere, rappresentato dalla presidenza di Mohamed Nashed, estraneo alle élites dominanti tradizionale. Qui le bandiere brahmaniche dell’Hindutva Sangh Parivar del regime Modi non vanno certo ad agevolare la strada dell’espansionismo indiano.
Se le Maldive sono un nuovo grattacapo per i governanti
indiani, lo Sri Lanka già sotto il precedente presidente Mahinda Rajapaksa si
era sempre più esplicitamente allineato agli interessi espansionistici cinesi.
I ripetuti scali di sottomarini cinesi in Sri Lanka, a dispetto
dell'opposizione di Delhi, hanno avuto grande rilievo sui media indiani,
accompagnati dalle note di “forte disappunto” che il governo Modi recapitava a
Rajapaksa. Ma niente mostrava che a Colombo a qualcuno importasse. La speranza
di Modi è sicuramente che la nuova presidenza di Maithripala Sirisena contribuisca
nuovamente a garantire il suo dominio. Le ricostruzioni che stanno apparendo
sui media, indicano che la defezione dal campo di Rajapaksa e il successo in
ricucire un'alleanza vincente non è stato uno sviluppo inopinato. È stato invece
il frutto di lunghi mesi colloqui segreti tra le diverse forze, in cui i
servizi segreti indiani del RAW hanno giocato un ruolo determinante. La
contropartita si è già vista nelle dichiarazioni del nuovo governo dello Sri
Lanka sulla “correzione degli squilibri” nelle relazioni estere e la visita ufficiale
a Delhi del nuovo ministro degli esteri. Ma comunque le relazioni dello Sri
Lanka con la Cina crescono, anche a dispetto dell’India, non era solo un affare
di Rajapaksa. Ha radici nell'interesse delle classi dominanti dello Sri Lanka
che, malgrado il cambio di governo, continueranno a cercare di trarre profitti manovrando
tra gli espansionismi indiano e cinese. Al massimo ci potrà essere una presa di
distanza del governo Maithripala dalla troppo scoperta svolta pro Cina di
Rajapaksa, ma per manovrare ancora meglio. Dal 2009 la Cina ha investito in
quel paese circa 300 miliardi di rupie, rispetto agli 1,8 miliardi dell’India.
Nel frattempo, il Pakistan ha rafforzato i legami con la
Russia, che gli ha fornito armamenti avanzati ignorando le obiezioni delle
classi dominanti indiane. Nel recente vertice tra Putin e Modi si sono ripetute
le solita formule sulla “partnership strategica” tra Russia e India. Dopo le consueta
condanna del “terrorismo”, nella dichiarazione congiunta si diceva: "Gli
statisti hanno espresso l’auspicio che tutti i covi e santuari dei terroristi siano
cancellati senza indugio e che entro 10 anni il terrorismo sia completamente
sradicato dalla regione”. Risalta qui il cambio nel testo rispetto alla
dichiarazione dello scorso anno. In quella l’allusione al Pakistan era
piuttosto trasparente:- “…le attività terroristiche … a volte hanno collegamenti
internazionali che si estendono attraverso e oltre i confini. Quegli Stati che
forniscono aiuti, coperture e rifugio a tali attività terroristiche sono essi
stessi colpevoli quanto gli esecutori materiali del terrorismo” Anche se
l'India resta un mercato importante per le armi russe e fanno parte entrambe
dei BRICS, è evidente che Mosca ha riaggiustato le sue relazioni in Sud Asia,
in considerazione della crescente dipendenza da Washington dei governi indiani.
Non ci sarà una completa ridefinizione a breve termine – l’India continua ad
avere il suo valore geopolitico per l'imperialismo russo, non ultimo come pungolo
verso la Cina. Ma il guadagno immediato del Pakistan, e di conseguenza
l’indebolimento dell’espansionismo indiano, sono evidenti.
Nonostante tutta l’aggressiva propaganda, dal “Guardare a
Est” al “Agire a Est”, nel perseguimento degli interessi espansionistici
indiani il regime Modi è rimasto più o meno là dove l'UPA aveva lasciato. Alcuni
hanno definito la politica estera di Modi (e altri, come i revisionisti del PCI
e PC(Marxista), l’hanno criticata) come una rottura totale rispetto a quella
seguita fino ad ora. Un esempio spesso citato è l’approfondimento dei legami
con i sionisti di Israele e in pratica l’abbandono del sostegno per lungo tempo
mantenuto alla causa palestinese. Il silenzio durante il genocidio dello scorso
anno a Gaza ne è sicuramente una prova lampante. Ma un’analisi significativa della
politica estera indiana, comprese le particolarità e sfumature attuali,
richiede un angolo di visione più ampio. Il drastico cambio di posizione sulla
Palestina non è venuto su impulso solo di Modi o del BJP. Le relazioni
diplomatiche con Israele furono inaugurate già nei primi anni 1990 ad opera del
Congresso guidato da Narasimha Rao. Queste sono state mantenuti e alimentate
nei decenni successivi da parte dei governi centrali formato o sostenuti da tutte
le forze dall'intero arco parlamentare, dalla destra del BJP alla cosiddetta sinistra
del PC Marxista. La continuità di orientamento della Politica estera Indiana,
chiunque fosse al governo,è impressionante. Proviene dalle ambizioni
espansioniste di quello che è uno Stato essenzialmente compratore. Tutti i
cambiamenti significativi nelle direttrici della politica estera nei
sessant’anni della sua esistenza sono inseriti in questa continuità.
Possiamo distinguere due periodi. Il primo è quello del
cosiddetto “non-allineamento”, inaugurata dal primo ministro indiano Jawaharlal
Nehru.
In apparenza stava ad indicare un atteggiamento indipendente
in politica estera, in realtà era un eufemismo per coprire le manovre delle
classi dirigenti indiane nell'arena mondiale. Due fattori lo rendevano possibile.
Il più importante era la sostituzione del colonialismo palese con la
dominazione e controllo indiretti, attraverso neo-colonialismo.
L'altro era il crescente conflitto tra i blocchi
imperialisti capeggiato da USA e URSS, affermatasi come superpotenza, dopo la
restaurazione del capitalismo negli anni 1950. Il primo rese il non-allineamento
un'opzione possibile, dato che per legittimare il neocolonialismo occorreva
lasciare un qualche spazio per un certo posizionamento indipendente dei paesi
oppressi. In definitiva, il neocolonialismo era a sua volta principalmente la
risposta imperialista all’onda alta delle lotte di liberazione nazionale. Aveva
lo scopo di spegnerle, facendo sembrare che raggiungessero indipendenza. Il
secondo fattore, la contesa imperialista, creava spazio di manovra.
Ma possibilità e spazio di manovra non si traducevano automaticamente
“non-allineamento”. Questo nasceva dalla necessità dei nuovi dirigenti delle ex-colonie
di concretizzare e utilizzare lo spazio della formale indipendenza concessa
dalla condizione neocoloniale. Perché, anche dopo aver trasferito il potere a loro
agenti fidati, le potenze coloniali ogni sforzo per mantenere il più possibile
il controllo diretto sulle colonie di un tempo. Gli Stati Uniti si facevano
paladino della “decolonizzazione” per intercettare i sentimenti nazionalisti
nelle colonie per servire l'obiettivo allo scopo di limitare le potenze
tradizionali e guadagnare una posizione dominante. Ma anche loro cercavano uno
stretto controllo.
A questo scopo furono create alleanze militari come la CENTO
e la SEATO. Nonostante avessero lo scopo dichiarato di contenere il campo socialista
e i movimenti comunisti nei paesi
oppressi, il loro vero obiettivo era quello di serrare quei paesi che avevano appena
acquisito una formale indipendenza politica.
Il “Movimento dei paesi non-allineati” (NAM) poté nascere solo
in resistenza a tutto questo.
Nel turbolento secondo dopoguerra, ogni opposizione alle
potenze coloniali di allora e agli Stati Uniti acquisiva presto un colore
politico nazionalista e progressista. Lo favoriva anche una situazione mondiale
segnata da una crescente ondata di lotte di liberazione nazionale. Il NAM venne
considerato come un campione dell’indipendenza nazionale che si opponeva all'imperialismo
dell’Occidente. Ma un’analisi più attenta avrebbe mostrato che non era affatto
tale. Il NAM non era affatto diretto dall’antimperialismo.
Era un prolungamento dell’anticolonialismo dei compradores che
si era già visto nei movimenti politici de essi guidati durante periodo
coloniale, per esempio quello diretto dall’Indian National Congress. Nel lungo
periodo, un’opposizione del tipo del NAM agevolava le potenze imperialiste, in
quanto restringeva al colonialismo la definizione di imperialismo, nell’epoca
in cui il neocolonialismo lo stava già sostituendo nel realtà di tutto il mondo.
Perciò, anche se ci furono casi di acute contraddizioni e persino conflitti con
determinate potenze imperialiste (la guerra di Goa), legami di dipendenza dall'imperialismo
occidentale e al loro servizio erano ben presenti nella posizione non-allineata
dello stato indiano.
India, Egitto e Jugoslavia erano promotori di spicco del
NAM. Di questi, l'India aveva legami con diverse potenze imperialiste
occidentali e un'economia abbastanza estesa che esse tenevano a sfruttare.
L’Egitto godeva di una posizione geopolitica di importanza strategica. La
Jugoslavia aveva un valore politico nel conflitto con il campo socialista. Gli
Stati Uniti avevano sostenuto la Jugoslavia contro l'Unione Sovietica
socialista. Si erano schierati con Egitto contro l'aggressione imperialista
anglo-francese, quando l'allora presidente Nasser nazionalizzò il Canale di Suez.
E l’India di Nehru, ne aveva agevolato le sortite spionistiche contro la China.
Dunque, nel campo delle potenze imperialiste occidentali del NAM diede luogo a
reazioni contraddittorie. La maggior parte di esse lo considerava uno strumento
del campo socialista. Ma ce n’erano altre che lo ritenevano utile per
controbilanciare gli sviluppi della Conferenza Afro-Asiatica di Bandung del
1955, dove avevano guadagnato rilievo i paesi neocoloniali insieme ai paesi
socialisti e alla Cina rivoluzionaria. Questa dimensione del NAM si rivelò
sempre più col sorgere di un nuovo blocco imperialista, con l’ascesa del
social-imperialismo sovietico. Quando, nei primi anni 70, le relazioni tra i
due blocchi passarono dalla collusione al conflitto, il NAM si sviluppò come un
quadro istituzionale particolarmente adatto al neocolonialismo.
L’inasprirsi della contesa tra i due blocchi capeggiati da
USA e URSS, poneva agli stati compradori l’urgenza pressante di allearsi con
l'uno o l'altro. Da membri del NAM, riuscivano a soddisfarla e a mantenere ancora
una certa agibilità. Da parte loro, le superpotenze, attraverso i loro
mandatari, potevano approfittare dei vertici del NAM e usare la retorica della
“indipendenza” per accusarsi a vicenda di volontà di dominio, mentre
proseguivano nei loro piani imperialisti per sottrarre influenza all'altro
campo.
Inizialmente il blocco social-imperialista trasse un certo vantaggio
dal non essere gravato di un passato coloniale. Ma col crescere dei casi di
aggressione, come ad esempio l'occupazione dell'Afghanistan, presto questo si
ridusse. Alla fine degli anni 70, i patti militari di chiara eredità coloniale,
come la CENTO e la SEATO, ripiegavano, mentre il NAM rimaneva e cresceva. Ma
ora le sue conferenze diventavano sempre più spesso e apertamente, l’ennesima
occasione di scontro tra le superpotenze.
Ciò che meglio dimostrava il carattere squisitamente neocoloniale
della politica di non allineamento era lo stesso espansionismo indiano, che nel
1972 sottoscrisse Patto di Difesa proposto dai social- imperialisti sovietici, pur
rimanendo convinto sostenitore del NAM. Nonostante le minacce degli Stati
Uniti, poté così attaccare e smembrare il Pakistan, manovrando e
strumentalizzando la causa di liberazione nazionale del Bangladesh. Occupò
anche e si annesse di forza il Sikkim. Ottenne la disponibilità di armi
nucleari. Tutte queste mosse rafforzarono e consolidarono il dominio dell’espansionismo
indiano in Sud Asia. Ma niente di tutto questo veniva dalla sua forza in quanto
potenza indipendente. Tutto era possibile nel contesto più ampio della contesa
tra le superpotenze, sotto la protezione del social-imperialismo fornita dal
trattato del 1972.
Se si colloca il non-allineamento all'interno del più ampio contesto
internazionale delle relazioni imperialistiche, diventa evidente la logica del
cambiamento in politica estera inaugurato dal governo dell’Indian National
Congress di Narasimha Rao nei primi anni 1990.
Questo era reso necessario dalla nuova situazione
internazionale. Nei primi anni 90 il collasso del social-imperialismo e la
ridefinizione della legittimità neocoloniale sotto la spinta aggressiva della globalizzazione
avevano reso superfluo il non allineamento.
Gli interessi espansionistici indiani non potevano più
contare sul social-imperialismo. Era ora necessario lusingare l'imperialismo
USA. Col senno di poi, le basi per questo passaggio erano già state poste da
Indira Gandhi all'inizio degli anni 1980. L’aggravarsi dei problemi politici ed
economici che indebolivano il social-imperialismo sovietica aveva cominciato a
limitarne la potenza. Le classi dominanti indiane dovevano rivolgersi al FMI.
Da allora, la dipendenza dal blocco USA ha continuato ad approfondirsi. Anche
se si continuavano ad osservare tutte le debite mosse e rituali dei non-allineati,
l'orientamento verso gli Stati Uniti nelle relazioni internazionali diventava
sempre più esplicito. Sotto Rajiv Gandhi, furono offerte le strutture militari
indiane per il rifornimento degli aerei da guerra USA che bombardavano l'Iraq. A
Narasimha Rao pstto il compito di dare la spinta decisiva. Significativamente, a
questo si accompagnarono il passaggio alla globalizzazione, liberalizzazione e
privatizzazione, l’abbandonando delle precedenti politiche economiche che riconoscevano
la preferenza al settore pubblico e un maggiore ruolo dello Stato.
Per tutelare i loro interessi compradori e espansionistici le
classi dominanti indiane dovettero abbandonare politiche e strutture create
sotto Nehru, sia in campo nazionale che internazionale. Tale ridefinizione però
minacciava di svelare la loro postura di indipendenza. Ciò era ulteriormente
amplificato dalla svolta nel dibattito politico portato dalla globalizzazione
imperialista. Nei decenni seguiti al trasferimento di potere del 1947, la
denuncia dell’imperialismo e del suo controllo, del ruolo della Banca Mondiale
e del FMI come istituzioni neocoloniali e altre questioni a ciò connesse era
delimitata tre le forze maoiste. Era quasi scomparsa perfino dalla propaganda
della sinistra parlamentare, ad es. del PC Marxista e del PCI. Questo sarebbe
cambiato col passaggio generale alla globalizzazione e la caduta del blocco social-imperialista,
che portava al dominio quasi totale degli Stati Uniti. La dipendenza dall’imperialismo
e il suo controllo istituzionalizzato diventarono argomenti caldi anche nel dibattito
parlamentare, con ripercussioni che andavano ben al di là di esso.
Costretti a mostrare sempre più il loro servilismo verso l'imperialismo,
ogni azione di classi dirigenti confermava allo stesso tempo la correttezza
delle analisi maoiste sulla natura ipocrita dell'indipendenza dell'India. Il
tentativo di distrarre l'opinione pubblica con l’aggressiva promozione dell'induismo
Braminico e del suo sciovinismo serviva nella misura in cui approfondiva la
polarizzazione tra comunità.
Ma d’altra parte non servì a salvare le bandiere di indipendenza
delle classi dominanti. Infatti, le opportunità di governo guadagnate dal Sangh
Parivar, durante l'incantesimo 13 giorni nel 1996 come per l'intera durata del
secondo governo NDA, lo mostrarono ancora più asservito agli interessi USA. Dato
che tutti i partiti parlamentari di governo, a livello centrale o degli Stati, propugnavano
l'agenda imperialista di globalizzazione, liberalizzazione e privatizzazione,
nessuno in tutto l’arco classe dirigente poteva farsi avanti come il salvatore.
Indipendenza, autosufficienza e l'intero pacchetto di formule
prima usate per coprire la realtà di un condizione semicoloniale e semifeudale
doveva essere ridefinito. Si mostrò allora utile la generale ridefinizione
della legittimità neocoloniale.
fine 1a parte - continua
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