Oltre alle guerre già in
corso in varie parti del mondo attraverso le quali i vari paesi
imperialisti cercano di ritagliarsi fette sempre più grandi di
mercati dove vendere le proprie merci e procurarsi materie prime e
forza lavoro a basso costo, la crisi da sovrapproduzione, che non
demorde, ufficialmente dal 2008, spinge ad ulteriori pressioni tutti i
paesi imperialisti alla ricerca di profitti, e ciò porta
inevitabilmente all'accentuazione della guerra di classe tra
proletariato e borghesia e guerre sempre più in grande stile...
guerre di rapina contro i paesi cosiddetti poveri, e guerre tra i vari
paesi imperialisti, appunto, perché non basta agli imperialisti
dividere fino a smembrarli per metterli sotto controllo diretto
interi paesi (Afghanistan, Iraq, Jugoslavia, Siria, Libia... solo per
citarne alcuni) nella crisi più profonda dal 1929, è necessario
andare ancora più avanti...
Lo scontro che viene
riportato dalle pagine di Repubblica di ieri (1° titolo: “Pacifico,
alta tensione tra Usa e Cina - Il Pentagono: “Pechino deve
fermarsi”) è tra quelle che adesso vengono definite le prime due
superpotenze - ufficialmente gli Usa hanno un prodotto interno lordo
di 16mila miliardi – quanto tutta l'Europa messa insieme - e la
Cina seconda con 8mila miliardi (2° titolo: “La sfida tra due
superpotenze nel mare dove transita la nuova ricchezza del mondo”)
Le dichiarazioni (e i
fatti) dei responsabili di questi due paesi innanzi tutto, sono
pesantissimi e dicono più di quanto normalmente passa, anzi non
passa, dai mezzi di informazione di massa.
Ashton Carter, segretario
americano alla Difesa: “fermare immediatamente e permanentemente
costruzioni e rivendicazioni contrarie sia al diritto che alle norme
internazionali”. E riferendosi alla Cina ha sottolineato che “c'è
un Paese che si è spinto oltre e più rapidamente degli altri,
costruendo in 18 mesi più ettari di tutti i pretendenti messi
assieme”.
Hua Chunying, portavoce
ministero degli Esteri cinese: “nessuno ha diritto di dire alla
Cina cosa fare”, e gli USA: “ricorrono a silenzi selettivi e a
due pesi due misure per gettare benzina sul fuoco nel Pacifico nel
tentativo di contenere la Cina”;
Zhao Xiaozhuo, colonnello
del governo cinese dice che non ha nessuna intenzione di “obbedire
agli ordini degli USA, decisi a gettare nel caos l'Asia per difendere
i propri interessi”; e il Quotidiano del Popolo, il principale
quotidiano cinese mette la ciliegina sulla torta: “Se la linea Usa
è che la Cina deve fermarsi e obbedire ... una guerra nel Mar cinese
meridionale è inevitabile”... il resto lo mettiamo in grassetto in quello che riportiamo degli articoli.
“A settant'anni dalla
fine della Seconda guerra mondiale, il Pacifico minaccia di ritornare
il palcoscenico dello scontro globale tra le super-potenze economiche
del secolo” così comincia il giornalista il suo articolo che poi è
tutto un susseguirsi di analisi più che preoccupate: “A
riaccendere la miccia del conflitto per il controllo di una delle
aree commerciali ed energetiche più ricche e strategiche del
pianeta, sono gli arcipelaghi contesi del Mar cinese meridionale,
che si aggiungono a quelli del Mar cinese orientale. Pechino
considera propri gli atolli delle Spratly, Nansha in mandarino,
rivendicati anche da Vietnam, Filippine, Taiwan e Brunei. La stessa
rivendicazione viene avanzata dai cinesi anche per l'arcipelago
Diaoyu-Senkaku, conteso a Giappone e Taiwan.Washington, alleata dei
Paesi asiatici che si sentono minacciati dall'espansionismo cinese,
sostiene che al contrario le isole della discordia si trovano in
acque internazionali e che dunque nessuno ne può disporre come
fossero casa propria. A infiammare lo scontro, riaperto da mesi,
l'improvviso irrigidimento degli Usa, decisi a elevare una disputa
regionale al livello di conflitto internazionale. La scorsa
settimana il Pentagono ha inviato a sorvolare le Spratly un jet di
sorveglianza P-8A della propria marina, respinto dall'aviazione
cinese. Ieri, a Singapore, il segretario americano alla difesa,
Ashton Carter, ha puntato il dito contro Pechino, intimando di
“fermare immediatamente e permanentemente costruzioni e
rivendicazioni contrarie sia al diritto che alle norme
internazionali”.
“Nell'ultimo anno,
incurante delle proteste, la Cina ha accelerato la realizzazione di
piste d'atterraggio, porti, caserme, edifici, strade e fari sulle
isole contese. Militari e civili stanno trasformando in isole
artificiali gli scogli a pelo d'acqua, bonificando i fondali sabbiosi
meno profondi e sfruttando la barriera corallina per costruire
infrastrutture. Immagini della sorveglianza Usa hanno rivelato ieri
che Pechino ha posizionato armi pesanti su almeno una delle isole
artificiali ultimate ai primi di maggio, smentendo l'assicurazione di
una bonifica “ad esclusivo uso civile”. Carter ha ammesso che
avamposti in arcipelaghi contesi sono stati realizzati anche da
Vietnam, Filippine, Malesia e Taiwan, ma riferendosi alla Cina ha
sottolineato che “c'è un Paese che si è spinto oltre e più
rapidamente degli altri, costruendo in 18 mesi più ettari di tutti i
pretendenti messi assieme”.
E la risposta del governo
cinese “è stata di una durezza che ha pochi precedenti. Il
portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, ha dichiarato che
“nessuno ha il diritto di dire alla Cina cosa fare” e che gli Usa
“ricorrono a silenzi selettivi e a due pesi due misure per gettare
benzina sul fuoco nel Pacifico nel tentativo di contenere la Cina”.
Il colonnello Zhao Xiaozhuo, a Singapore, ha definito “prive di
fondamento” le accuse di Carter, assicurando che Pechino non ha
alcuna intenzione di “obbedire agli ordini degli Usa, decisi a
gettare nel caos l'Asia per difendere i propri interessi”. La tivù
di Stato ha definito l'avanzata nel Mar cinese meridionale “la
realizzazione della più importante linea avanzata della nazione”,
osservando che “dal punto di vista della sovranità, costruire
sugli atolli equivale a realizzare infrastrutture in una qualsiasi
regione cinese”. Il governo ha giustificato la proiezione
marittima sostenendo che “la Cina si trova ad affrontare una
serie di gravi e complesse minacce alla propria sicurezza” e che
gli avamposti serviranno anche ”per farsi carico delle nuove
responsabilità internazionali”....
“...Washington e
Pechino stanno ricominciando a giocare al vecchio gioco da
adolescenti di chi 'sterza per primo per evitare lo scontro
frontale'” Continua preoccupato l'altro giornalista, “Con la
differenza che qui non si tratta di automobili tra le mani di ragazzi
incoscienti, ma di portaerei nucleari, sottomarini, cannoni a
lunga portata, missili. E vie di navigazione dalle quali transitano
la nuova ricchezza del mondo e il futuro della prosperità
asiatica.”
“In apparenza,
mai tante nazioni e ora tante potenze si azzuffarono per così poco.
Lo sfarinamento di scogli, isolotti, atolli, terre che affiorano e
sprofondano con l'altalena delle maree nel Mar Meridionale della Cina
in acque neppure del tutto conosciute e segnate nelle carte, formano
tutte assieme neppure due chilometri quadrati di superficie,
sparpagliate in 150 mila chilometri quadrati di acque, la metà
dell'Italia. Le Spratly, battezzate così dall'ammiraglio inglese
Richard Spratly che andò a incagliare in secca una delle sue navi
nel 1843, non hanno abitanti indigeni, ma soltanto piccoli
insediamenti militari, piazzati dalle nazioni che le reclamano come
proprie - Cina, Vietnam, Filippine, Malaysia – e pescatori che si
rifugiano nelle poche calette mentre infuriano i monsoni, qui
particolarmente feroci.
“Ma la loro posizione
geografica, e le circostanze della storia politica dopo la Seconda
Guerra Mondiale, hanno fatto di questa collezione di rocce e coralli
il catenaccio che chiude il Mar Meridionale della Cina e lo
renderebbe, se Pechino riuscisse a impadronirsene e a trasformarle in
avamposti militari, il mare interno della Repubblica Popolare. E nel
Grande Risiko sulla scacchiera del mondo, il controllo cinese di
queste acque sarebbe, per gli Stati Uniti che dalla resa del Giappone
nell'agosto 1945 si considerano i signori del Pacifico, dall'Asia
orientale alla California, l'inizio della fine per la loro egemonia.”
“Gli incidenti, le
mosse, contromosse e le parole dei due avversari e partner sono
ancora soltanto shadow boxing, 'pugilato di ombre', ma ogni gesto
sembra avvicinare il momento in cui qualche colpo arriverà davvero.
“Quando i ricognitori e
i satelliti hanno rilevato cantieri per costruire basi aeree cinesi
con piste ricavate dal mare su una delle isolette, protette da
batterie di cannoni costieri – in una lontanissima riedizione della
scoperta dei missili sovietici a Cuba mezzo secolo fa Ashton
Carter, il ministro della Difesa, ha subito sfatto sapere che avrebbe
inviato una flotta navale di superficie e sottomarina davanti a
quell'installazione. E a poche miglia dalla costa, proprio in
faccia ai cinesi, spiegando che 'gli Stati Uniti intendono restare
la principale potenza militare nel'Asia Orientale per decenni a
venire'”.
“In quella che per ora
sembra il preludio a una Guerra Fredda in salsa di soia, e proprio
nelle acque davanti a quel Vietnam dove 160mila tecnici e assistenti
militari cinesi affiancarono Hanoi nella guerra vera, il brontolio
del Risiko strategico si confonde con il rumore di un possibile
conflitto finanziario ed economico che sarà, alla fine, il motore
della resa dei conti. I cinesi hanno lanciato una loro superbanca
internazionale di investimenti, alla quale hanno aderito anche
tedeschi e russi , per intaccare l'egemonia del dollaro moneta di
riserva del mondo, molto irritando gli Usa. Obama, ora accusato
di avere troppo a lungo ignorato la Cina, altro classico refrain
delle polemiche interne americane, ha concesso al premier giapponese
Abe di allentare un poco le briglie alle forze armate nipponiche,
allargandone competenze e sfera di azione, ben sapendo che il
Giappone, da sempre, è il nemico storico della Cina. E niente
disturba i cinesi come la possibile rimilitarizzazione dell'impero
Yamato.”
Nessun commento:
Posta un commento