Prima di passare al capitolo
sulla produzione di plusvalore Marx chiarisce un altro importante argomento
quello della differenza tra capitale
costante e capitale variabile, chiarimento
necessario perché questo dato viene travisato dalla borghesia e dai suoi
economisti che parlano di capitale fisso
e capitale circolante sempre nel
tentativo di nascondere il processo che genera il plusvalore.
Dice Marx: “I differenti fattori del processo lavorativo” che come abbiamo visto nel capitolo precedente sono i mezzi di produzione da un lato e la forza lavoro dall’altro, “prendono parte differente alla formazione del valore del prodotto.”
Proviamo a riassumere
subito la spiegazione di Marx con queste frasi: “… la parte del capitale che si
converte in mezzi di produzione, cioè
in materia prima, materiali ausiliari e mezzi di lavoro, non cambia la propria grandezza
di valore nel processo di produzione. Quindi la chiamo parte costante del
capitale, o, in breve, capitale
costante.”
“Invece la parte del capitale convertita in forza-lavoro cambia il proprio valore nel processo di produzione. Riproduce
il proprio equivalente e inoltre produce un'eccedenza, il plusvalore, che a sua volta può variare, può essere più grande o
più piccolo. Questa parte del capitale si trasforma continuamente da grandezza
costante in grandezza variabile. Quindi la chiamo parte variabile del capitale,
o in breve: capitale variabile.”
E prosegue spiegando passo dopo passo come l’operaio aggiunge valore in questo processo. Marx dice che l’operaio mentre lavora trasforma la materia prima in un altro tipo di oggetto e nel fare questo aggiunge valore con il suo lavoro vivo, cambia la forma, appunto, all’oggetto morto facendolo diventare un’altra cosa, un altro valore d’uso; questo valore d’uso che si sta trasformando sotto le mani dell’operaio così com’è, di fatto, non ci sarà più, per esempio il cuoio che diventa stivale, ma riappare nel prodotto finito come valore d’uso, mentre il suo valore, e cioè il tempo di lavoro necessario socialmente per produrre quell’oggetto, e che era espresso in denaro, si conserva. Per cui ciò che si riproduce è il valore d’uso, si avrà un altro oggetto al posto del vecchio, per esempio stivali che si possono calzare, mentre il valore non viene “riprodotto” ma conservato. Come dice Marx. “Quel che viene prodotto, è il nuovo valore d'uso, nel quale si ripresenta il vecchio valore di scambio.”
Detta ancora in altro
modo: “Con l'aggiunta semplicemente quantitativa
di lavoro si aggiunge nuovo valore,
con la qualità del lavoro (e
cioè con il tipo specifico di attività, fabbro, filatore ecc.) aggiunto vengono conservati nel prodotto i vecchi valori dei mezzi di produzione.
Questo duplice effetto dello stesso
lavoro in conseguenza del suo carattere
bilaterale si vede tangibilmente in
vari fenomeni.”
Riassumendo abbiamo due
proprietà della forza lavoro in
atto:
1.
La proprietà di conservare valori vecchi,
già passati, prodotti.
2.
La proprietà di creare nuovo valore aggiungendo lavoro ai prodotti.
C’è una differenza
essenziale – dice Marx – tra queste due proprietà.
“Si supponga che una
qualche invenzione metta il filatore
in grado di filare in 6 ore tanto cotone quanto ne filava prima in 36. Il suo
lavoro come attività utile e idonea, produttiva, ha sestuplicato la propria forza. Il suo prodotto è un sestuplo, 36 quintali
di refe invece di 6 quintali. Ma ora i
36 quintali di refe assorbono soltanto il tempo di lavoro che prima ne
assorbivano 6: di lavoro nuovo viene loro aggiunto un sesto soltanto di
quanto accadeva col vecchio metodo, e quindi soltanto un sesto del valore di
prima.” E grazie a questa proprietà si crea
valore. Ma adesso “nel prodotto, nei 36 quintali di refe, c'è un valore sestuplo di cotone. Nelle 6 ore
di filatura viene conservato un
valore di materia prima sei volte più grande che viene poi trasferito nel prodotto, benché allo stesso materiale venga aggiunto un neovalore sei volte
minore.” E così si conserva valore.
Dunque, è la forza lavoro che aggiunge valore nuovo
al prodotto e non il mezzo di produzione,
non la macchina che con l’uso si logora,
perde anche il suo valore, che progressivamente viene trasferito al prodotto. E
dice infatti Marx “i mezzi di produzione non possono mai aggiungere al prodotto più valore
di quanto ne posseggano
indipendentemente dal processo lavorativo al quale servono. Per quanto
utile possa essere un materiale da lavoro, una macchina, un mezzo di
produzione: se costa centocinquanta sterline, dicansi cinquecento giornate
lavorative, esso non aggiungerà mai più di centocinquanta sterline al prodotto
complessivo alla cui formazione esso serve.” Perché nel processo lavorativo un
mezzo di produzione, come una macchina “serve soltanto come valore d'uso, come cosa con proprietà utili, e quindi non darebbe nessun valore al
prodotto, se non avesse posseduto valore prima della sua immissione nel
processo”. E solo questo valore può cedere.
Ma come trasferisce per
esempio una macchina il proprio valore di 1000 sterline al prodotto? “Sia una
macchina per esempio del valore di 1000 sterline, e si logori in mille giorni.
In questo caso un millesimo del valore della macchina passa giornalmente da
questa al suo prodotto giornaliero. Contemporaneamente la macchina opera nel
suo insieme, sia pure con vitalità decrescente, nel processo lavorativo. Si
vede dunque che un fattore del processo lavorativo, un mezzo di produzione, entra
completamente nel processo lavorativo, ma solo parzialmente nel processo
di valorizzazione.”
In questo senso il
lavoro dell’operaio “il lavoro produttivo cambia mezzi di produzione in
elementi costitutivi di un nuovo prodotto, il loro valore subisce una
metempsicosi: trasmigra dal corpo consumato nel corpo di nuova formazione. Ma
questa metempsicosi avviene, per così dire, alle spalle del lavoro reale.
L'operaio non può aggiungere nuovo lavoro,
dunque non può creare nuovo valore, senza
conservare valori vecchi, poiché deve aggiungere il lavoro sempre in forma
utile determinata, e non lo può aggiungere in forma utile senza fare dei
prodotti mezzi di produzione di un nuovo prodotto, trasferendo così il loro
valore nel nuovo prodotto. Dunque, conservare
valore aggiungendo valore è una dote di natura della forza-lavoro in
atto, del lavoro vivente; dote
di natura che non costa niente all'operaio ma frutta molto al capitalista: gli frutta la conservazione del valore capitale
esistente. Finché gli affari vanno bene, il capitalista è troppo
sprofondato nel far plusvalore per vedere questo dono gratuito del lavoro. Ma le interruzioni violente del processo
lavorativo, le crisi, glielo fanno notare in maniera tangibile.” E infatti, in
questi casi, il capitalista si lamenta perché deve pagare; senza gli operai che
lo tengono vivo, anche il capitale nella forma dei mezzi di produzione si perde.
E proprio in queste
occasioni risalta ancora di più il fatto che la forza lavoro crea valore perché come è stato detto “Mentre il
lavoro, mediante la sua forma idonea al fine, trasferisce e conserva nel prodotto il valore dei mezzi di
produzione, ogni momento del moto del
lavoro crea valore aggiuntivo, neovalore.
Supponiamo che il processo di produzione si interrompa al punto nel quale
l'operaio ha prodotto l'equivalente per
il valore della propria forza-lavoro, per esempio al punto nel quale
l'operaio ha aggiunto, con un lavoro di 6 ore, un valore di 20. Questo valore
costituisce l'eccedenza del valore del prodotto sulle sue parti
costitutive dovute al valore dei mezzi di produzione. È l'unico valore originale
che sia nato entro questo processo,
la unica parte di valore del prodotto
che sia prodotta mediante il processo
stesso.” Ma sappiamo già che “il processo lavorativo continua e dura
oltre il punto nel quale sarebbe
riprodotto e aggiunto all'oggetto del lavoro solo un puro e semplice equivalente del valore della
forza-lavoro. Invece delle 6 ore a ciò sufficienti il processo dura per esempio
12 ore. Dunque con la messa in atto della forza-lavoro non viene riprodotto
solo il suo proprio valore ma viene anche prodotto un valore eccedente. Questo plusvalore costituisce l'eccedenza del valore del prodotto sul
valore dei fattori del prodotto consumati, cioè dei mezzi di produzione e
della forza-lavoro.” L’eccedenza sul capitale anticipato.
Di questo plusvalore,
del grado di sfruttamento della forza-lavoro - parleremo nei prossimi articoli.
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