(Scritto da Clash City Workes)
EXPO 2015 più che un'esposizione universale sembra il banco di prova di una dittatura fascista alle porte. Una palestra dove lo stato di polizia decide chi ha il diritto al lavoro e chi no in base alle idee espresse in passato dalle persone.
Hai partecipato a proteste studentesche o a manifestazioni pacifiste? Hai frequentato centri sociali?
Se la risposta è sì e sei stato assunto per lavorare in qualche padiglione di EXPO, sappi che sarai licenziato: la questura ha deciso che non puoi accedere all'esposizione universale, ha deciso che non puoi lavorare.
Così decine di persone già assunte, sono state licenziate in tronco per non aver superato il vaglio di questura e prefettura. Persone a cui è stato negato il pass di ingresso senza un motivo apparente. Ma il motivo è evidente e chiaro: con EXPO lo stato di polizia può appellarsi ad un semplice sospetto per etichettarti "terrorista" o "pericoloso" e negarti il diritto al lavoro.
Di seguito riportiamo due articoli pubblicati in questi giorni su "L'Espresso" e "Il Manifesto" in cui sono presenti le testimonianze di Mario ed Anna (nomi di fantasia), lavoratori a EXPO e licenziati, nei fatti, dalla questura.
«Vorrei semplicemente sapere cosa ho fatto di male per non poter lavorare a Expo 2015». Anna, nome di fantasia, aveva firmato un contratto a tempo determinato per lavorare sei mesi in uno dei padiglioni di Expo. Ad aprile aveva partecipato al periodo di formazione entrando anche nel sito espositivo in costruzione. Il 30 aprile è stata licenziata: «ci dispiace» gli è stato detto dal responsabile personale del padiglione «ma dal primo maggio — inaugurazione di Expo — non può più entrare nel sito espositivo. E quindi dobbiamo licenziarla».
Motivo? «La Questura di Milano le ha negato il pass per entrare nel sito»
. Ma è la Questura a decidere chi può lavorare dentro a Expo e chi no? Chi gli ha affidato questo compito? Quali criteri e procedure utilizza per fare questa preselezione? E quanto è legittimo tutto ciò? Un problema di trasparenza e possibile discriminazione sui luoghi di lavoro, su cui i diretti interessati chiedono chiarezza.
La storia di Anna è simile a quella di altre decine di persone, «un centinaio» dicono dalla Cgil Milano, licenziate o a cui è stato negato il lavoro a Expo perché non hanno superato il filtro di Prefettura e Questura.
Ma facciamo un passo indietro: come funziona questo filtro di polizia?
Ciascuna azienda o Paese che lavora dentro Expo deve mandare alla Questura e alla Prefettura di Milano i dati anagrafici di chi deve entrare nel sito espositivo per avere il pass che permette di accedere a Expo, il tutto tramite una procedura informatica gestita delle piattaforme di Expo SpA. A questo punto entra in scena il filtro e decine di persone si sono viste rifiutare il pass senza alcuna spiegazione.
«Il parere di Questura e Prefettura non è vincolante» spiegano da Expo SpA, la decisione finale è dunque in capo a Expo. Ma di fronte a un parere negativo, fanno capire da Expo, nessuno si assume la responsabilità di farli entrare. Sembrano dunque esserci ampi margini di discrezionalità. Le risposte arrivate ai lavoratori esclusi, sono quasi tutte un copia-incolla di questo tipo: «le regole d’ingaggio per essere accreditati a Expo 2015 sono differenti da quelle di qualunque altro evento, in quanto l’Expo è stata dichiarata obiettivo sensibile, nonché sito di interesse strategico nazionale».
E quindi? La domanda resta: chi decide chi può lavorare a Expo e chi no, e in base a quali criteri?
C’è anche chi ha inviato il proprio casellario giudiziario a Expo per provare di essere incensurato, operazione inutile: «allegare visure o altri documenti non serve» è scritto ancora nella risposta standard «i controlli vengono fatti in altra sede ufficiale e sono le autorità di Polizia a gestire queste informazione». Criteri di selezione oscuri sulla base di informazioni riservate. E che devono restare tali, come ha detto il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico a Radio Popolare: «Expo è un sito sensibile, di rilevanza strategica» ha spiegato «ci sono delle attività di prevenzione i cui criteri non possono essere resi noti perché perderebbero di efficacia».
Sempre a Radio Popolare sono andate in onda diverse testimonianze di chi si è visto negare il pass, e che ora tramite la Cgil di Milano, San Precario o propri avvocati, stanno facendo partire cause legali contro Expo e le aziende che li hanno lasciati a casa. Testimonianze che parlano di persone incensurate e che, raccontano, non si sentono di avere nulla a che fare con problemi di «sicurezza nazionale». A meno che non si considerino come tali l’aver lavorato con rifugiati politici, l’aver partecipato a manifestazione contro la riforma Gelmini nel 2008, l’aver frequentato centri sociali o l’essere stato denunciato anni fa per scritte sui muri. Tutte cose venute in mente, guardando al proprio passato, agli esclusi. Ma questo Prefettura e Questura non lo dicono. «Vogliamo sapere perché siamo stati licenziati e perché non possiamo lavorare a Expo». Insomma, se esiste un «Exporeato» che li tiene fuori dall’esposizione.
«Chiediamo sia fatta chiarezza, pensiamo di essere di fronte a una violazione dell’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori» dice Antonio Lareno, responsabile Expo per la Cgil di Milano, che ha chiesto un tavolo straordinario dell’Osservatorio Expo per venerdì 29 maggio. Tavolo a cui vorrebbe partecipare anche il Comune di Milano: «abbiamo chiesto di farne eccezionalmente parte» ha detto Cristina Tajani, assessore al lavoro della giunta Pisapia. «Chiediamo a Questura e Prefettura di essere informati su procedure, normative e prassi adottate nei casi segnalati».
La vicenda finirà anche in Parlamento, il deputato di Sel Daniele Farina ha depositato un’interrogazione parlamentare. Ma sarebbe il caso che altri prendessero parola: chi ha perso il posto di lavoro ha il diritto di sapere con la massima trasparenza in base a quale criteri è successo e se tutto ciò sia legittimo o meno.
Lo stato d'eccezione si fa norma, a Expo 2015. Dentro l'Esposizione Universale di Milano può lavorare infatti solo chi ha il nulla osta della Questura, può “nutrire il pianeta” solo chi non è mai incappato in un registro di Polizia. E non si tratta soltanto di reati, di fedina penale, di “allerta terrorismo”: basta una nota sugli schedari, una segnalazione o una denuncia mai arrivate a processo perché venga bloccata l'autorizzazione ad accedere alla fiera. Basta aver soltanto partecipato a «marce per la pace», come racconta Anna.
Il dilemma tra sicurezza e diritti prende corpo negli esposti che sta raccogliendo la Cgil di Milano: già 500 casi di persone che avevano richiesto il pass per entrare alla fiera da dipendenti, giornalisti o interpreti e si sono viste negare il documento «per ragioni sconosciute». E ora la questione è arrivata in Parlamento.
Marco – nome di fantasia – ha raccontato la sua storia a Radio Popolare: «Il 9 aprile sono stato assunto regolarmente da Coop Lombardia per lavorare al Supermercato del futuro, dentro Expo. Ho seguito la formazione teorica e l'addestramento pratico. Nessun problema fino al 30 aprile. Chiamati dall'azienda, io e altri due ragazzi - che poi ho scoperto essere nella mia stessa situazione - restiamo in attesa fuori dall'ufficio del personale. Quando entro mi dicono: «Ci dispiace ma il nostro rapporto termina qui. Per ragioni a noi sconosciute la Questura ha negato il suo pass». Sono cascato dalle nuvole, ho chiesto spiegazioni, hanno detto che la Polizia non gliene aveva date. Solo che aveva «respinto la richiesta». Così mi hanno licenziato seduta stante dicendomi che ero stato assunto per l'Expo e il fatto di non poter entrare era sufficiente a lasciarmi a casa».
I suoi precedenti penali? «Nessuno», spiega lui, che ha fatto causa con un avvocato della rete “San Precario”: «Da studente universitario ho partecipato alle proteste dell'Onda contro la riforma scolastica di Mariastella Gelmini e frequento spazi sociali». Basta questo per diventare una minacci alla sicurezza ed essere considerati un pericolo pubblico. Senza possibilità di appello.
Partecipare all'Onda o alle manifestazioni contro la guerra è un reato? No, non lo è, in una democrazia. Ma la democrazia a quanto pare è stata sospesa dentro i confini dei padiglioni di Expo, per far posto a procedure eccezionali che la società giustifica dicendo che l'evento è stata dichiarato «obiettivo sensibile, nonché sito di interesse strategico nazionale, per cui, per essere accreditati, occorre non aver mai commesso reati».
Il problema è che, dalle prime testimonianze raccolte da Matteo Pucciarelli per Repubblica , L'Espresso e dalla Camera del Lavoro, ci sono molti casi in cui il bando da Expo non nasce da reati contestati o riconosciuti: «Ma di semplici “informative di polizia” mai arrivate nel casellario penale», spiega Antonio Lareno, segretario generale della Cgil di Milano: «Nessuna istituzione ci ha risposto su quali siano i criteri in base ai quali vengono negati o concessi i pass. Né è stato indicato quale ordinanza o disposizione di legge autorizzi Expo a fare questi controlli. E non è mai stato firmato alcun protocollo a riguardo». Per questo, spiega Lareno, la Cgil sta inviando diffide alla società dell'Esposizione e alle aziende che licenziano per i “visti” negati: «Dal nostro punto di vista queste procedure sono violazioni palesi dello statuto dei lavoratori sul diritto all'opinione e di quello della privacy».
Già, perché ad oggi sulla “piattaforma accrediti” di Expo, spiega, sono registrate circa 30mila persone: significa che per tutti questi comuni cittadini, così come per gli altri che sono stati rifiutati, Expo e Questura hanno potuto fare uno screening “di sicurezza” approfondito. Senza che gli interessati lo sapessero. La risposta è sempre la stessa: che i controlli vengono fatti «accedendo a fonti strutturate» e che sono «le autorità di Polizia a gestire queste informazioni». Ma i risultati, comunicati poi dalla società Expo, possono mettere a rischio la privacy dei singoli: molti hanno paura di essere additati ora come “pericolosi” dai colleghi solo perché Expo li ha definiti tali. O di avere problemi sul contratto.
Valeria è una giornalista pubblicista e ha scritto a Radio Popolare quello che le è successo: «Invio a maggio tutti i moduli necessari per ottenere l'accredito Stampa e visitare i padiglioni. Il 12 maggio vedo sul portale web che la richiesta è stata negata. Chiedo spiegazioni e mi rispondono: «Non abbiamo informazioni, solo la sua domanda non è passato al vaglio della Questura». Chiamo l'Ordine dei giornalisti ma dicono che non si può fare nulla fino a che non sarà chiarito il motivo del diniego. Chiamo due volte la Questura e non mi fanno sapere nulla. Conclusione: posso pagare il biglietto ed entrare a Expo da turista ma non accedere come giornalista. Siamo nel Cile anni '70 e non me ne sono accorta?».
La beffa è infatti che tutti questi controlli riguardano solo i lavoratori che chiedono il tesserino. E non i turisti o i viaggiatori a cui è chiesto soltanto di attraversare i metal detector per motivi evidenti di sicurezza all'interno del perimetro. Finisce così che alcuni “respinti” stanno accedendo lo stesso ai padiglioni, quando ne hanno bisogno, pagando il ticket come tutti gli altri anche se avrebbero avuto diritto a un accesso diretto.
Ora la questione è arrivata a Roma. Il deputato di Sel Daniele Farina ha presentato il 18 maggio un'interrogazione parlamentare ai ministri dell'Interno e del Lavoro per chiedere spiegazioni sulle procedure di pubblica sicurezza utilizzate all'Expo. «Il problema sono i diritti dei lavoratori», spiega: «E la nebbia che avvolge gli atti che autorizzano questi controlli. Ricordiamoci che è un evento finanziato con miliardi di euro pubblici». Ora, dice, proverà a trasformare l'interrogazione in un'interpellanza urgente, per ottenere risposta al più presto, anche perché la fiera universale durerà solo sei mesi. Sei mesi di diritti sospesi?
EXPO 2015 più che un'esposizione universale sembra il banco di prova di una dittatura fascista alle porte. Una palestra dove lo stato di polizia decide chi ha il diritto al lavoro e chi no in base alle idee espresse in passato dalle persone.
Hai partecipato a proteste studentesche o a manifestazioni pacifiste? Hai frequentato centri sociali?
Se la risposta è sì e sei stato assunto per lavorare in qualche padiglione di EXPO, sappi che sarai licenziato: la questura ha deciso che non puoi accedere all'esposizione universale, ha deciso che non puoi lavorare.
Così decine di persone già assunte, sono state licenziate in tronco per non aver superato il vaglio di questura e prefettura. Persone a cui è stato negato il pass di ingresso senza un motivo apparente. Ma il motivo è evidente e chiaro: con EXPO lo stato di polizia può appellarsi ad un semplice sospetto per etichettarti "terrorista" o "pericoloso" e negarti il diritto al lavoro.
Di seguito riportiamo due articoli pubblicati in questi giorni su "L'Espresso" e "Il Manifesto" in cui sono presenti le testimonianze di Mario ed Anna (nomi di fantasia), lavoratori a EXPO e licenziati, nei fatti, dalla questura.
Expo, licenziamenti preventivi. Viminale nella bufera.
di Roberto Maggioni per Il Manifesto
Milano. Negato il pass per l'ingresso al sito espositivo a decine di
persone già assunte: non hanno superato il filtro di Prefettura e
Questura.«Vorrei semplicemente sapere cosa ho fatto di male per non poter lavorare a Expo 2015». Anna, nome di fantasia, aveva firmato un contratto a tempo determinato per lavorare sei mesi in uno dei padiglioni di Expo. Ad aprile aveva partecipato al periodo di formazione entrando anche nel sito espositivo in costruzione. Il 30 aprile è stata licenziata: «ci dispiace» gli è stato detto dal responsabile personale del padiglione «ma dal primo maggio — inaugurazione di Expo — non può più entrare nel sito espositivo. E quindi dobbiamo licenziarla».
Motivo? «La Questura di Milano le ha negato il pass per entrare nel sito»
. Ma è la Questura a decidere chi può lavorare dentro a Expo e chi no? Chi gli ha affidato questo compito? Quali criteri e procedure utilizza per fare questa preselezione? E quanto è legittimo tutto ciò? Un problema di trasparenza e possibile discriminazione sui luoghi di lavoro, su cui i diretti interessati chiedono chiarezza.
La storia di Anna è simile a quella di altre decine di persone, «un centinaio» dicono dalla Cgil Milano, licenziate o a cui è stato negato il lavoro a Expo perché non hanno superato il filtro di Prefettura e Questura.
Ma facciamo un passo indietro: come funziona questo filtro di polizia?
Ciascuna azienda o Paese che lavora dentro Expo deve mandare alla Questura e alla Prefettura di Milano i dati anagrafici di chi deve entrare nel sito espositivo per avere il pass che permette di accedere a Expo, il tutto tramite una procedura informatica gestita delle piattaforme di Expo SpA. A questo punto entra in scena il filtro e decine di persone si sono viste rifiutare il pass senza alcuna spiegazione.
«Il parere di Questura e Prefettura non è vincolante» spiegano da Expo SpA, la decisione finale è dunque in capo a Expo. Ma di fronte a un parere negativo, fanno capire da Expo, nessuno si assume la responsabilità di farli entrare. Sembrano dunque esserci ampi margini di discrezionalità. Le risposte arrivate ai lavoratori esclusi, sono quasi tutte un copia-incolla di questo tipo: «le regole d’ingaggio per essere accreditati a Expo 2015 sono differenti da quelle di qualunque altro evento, in quanto l’Expo è stata dichiarata obiettivo sensibile, nonché sito di interesse strategico nazionale».
E quindi? La domanda resta: chi decide chi può lavorare a Expo e chi no, e in base a quali criteri?
C’è anche chi ha inviato il proprio casellario giudiziario a Expo per provare di essere incensurato, operazione inutile: «allegare visure o altri documenti non serve» è scritto ancora nella risposta standard «i controlli vengono fatti in altra sede ufficiale e sono le autorità di Polizia a gestire queste informazione». Criteri di selezione oscuri sulla base di informazioni riservate. E che devono restare tali, come ha detto il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico a Radio Popolare: «Expo è un sito sensibile, di rilevanza strategica» ha spiegato «ci sono delle attività di prevenzione i cui criteri non possono essere resi noti perché perderebbero di efficacia».
Sempre a Radio Popolare sono andate in onda diverse testimonianze di chi si è visto negare il pass, e che ora tramite la Cgil di Milano, San Precario o propri avvocati, stanno facendo partire cause legali contro Expo e le aziende che li hanno lasciati a casa. Testimonianze che parlano di persone incensurate e che, raccontano, non si sentono di avere nulla a che fare con problemi di «sicurezza nazionale». A meno che non si considerino come tali l’aver lavorato con rifugiati politici, l’aver partecipato a manifestazione contro la riforma Gelmini nel 2008, l’aver frequentato centri sociali o l’essere stato denunciato anni fa per scritte sui muri. Tutte cose venute in mente, guardando al proprio passato, agli esclusi. Ma questo Prefettura e Questura non lo dicono. «Vogliamo sapere perché siamo stati licenziati e perché non possiamo lavorare a Expo». Insomma, se esiste un «Exporeato» che li tiene fuori dall’esposizione.
«Chiediamo sia fatta chiarezza, pensiamo di essere di fronte a una violazione dell’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori» dice Antonio Lareno, responsabile Expo per la Cgil di Milano, che ha chiesto un tavolo straordinario dell’Osservatorio Expo per venerdì 29 maggio. Tavolo a cui vorrebbe partecipare anche il Comune di Milano: «abbiamo chiesto di farne eccezionalmente parte» ha detto Cristina Tajani, assessore al lavoro della giunta Pisapia. «Chiediamo a Questura e Prefettura di essere informati su procedure, normative e prassi adottate nei casi segnalati».
La vicenda finirà anche in Parlamento, il deputato di Sel Daniele Farina ha depositato un’interrogazione parlamentare. Ma sarebbe il caso che altri prendessero parola: chi ha perso il posto di lavoro ha il diritto di sapere con la massima trasparenza in base a quale criteri è successo e se tutto ciò sia legittimo o meno.
Expo: sei stato a un corteo? Allora ti licenzio in tronco
di Francesca Sironi per L'Espresso
La denuncia della Cgil di Milano: diversi lavoratori sono stati
mandati a casa sulla base di informazioni della polizia. E' bastata una
nota sugli schedari, una segnalazione o una denuncia mai arrivata a
processo. Per esempio, per una marcia per la pace. O una protesta
studentesca.Lo stato d'eccezione si fa norma, a Expo 2015. Dentro l'Esposizione Universale di Milano può lavorare infatti solo chi ha il nulla osta della Questura, può “nutrire il pianeta” solo chi non è mai incappato in un registro di Polizia. E non si tratta soltanto di reati, di fedina penale, di “allerta terrorismo”: basta una nota sugli schedari, una segnalazione o una denuncia mai arrivate a processo perché venga bloccata l'autorizzazione ad accedere alla fiera. Basta aver soltanto partecipato a «marce per la pace», come racconta Anna.
Il dilemma tra sicurezza e diritti prende corpo negli esposti che sta raccogliendo la Cgil di Milano: già 500 casi di persone che avevano richiesto il pass per entrare alla fiera da dipendenti, giornalisti o interpreti e si sono viste negare il documento «per ragioni sconosciute». E ora la questione è arrivata in Parlamento.
Marco – nome di fantasia – ha raccontato la sua storia a Radio Popolare: «Il 9 aprile sono stato assunto regolarmente da Coop Lombardia per lavorare al Supermercato del futuro, dentro Expo. Ho seguito la formazione teorica e l'addestramento pratico. Nessun problema fino al 30 aprile. Chiamati dall'azienda, io e altri due ragazzi - che poi ho scoperto essere nella mia stessa situazione - restiamo in attesa fuori dall'ufficio del personale. Quando entro mi dicono: «Ci dispiace ma il nostro rapporto termina qui. Per ragioni a noi sconosciute la Questura ha negato il suo pass». Sono cascato dalle nuvole, ho chiesto spiegazioni, hanno detto che la Polizia non gliene aveva date. Solo che aveva «respinto la richiesta». Così mi hanno licenziato seduta stante dicendomi che ero stato assunto per l'Expo e il fatto di non poter entrare era sufficiente a lasciarmi a casa».
I suoi precedenti penali? «Nessuno», spiega lui, che ha fatto causa con un avvocato della rete “San Precario”: «Da studente universitario ho partecipato alle proteste dell'Onda contro la riforma scolastica di Mariastella Gelmini e frequento spazi sociali». Basta questo per diventare una minacci alla sicurezza ed essere considerati un pericolo pubblico. Senza possibilità di appello.
Partecipare all'Onda o alle manifestazioni contro la guerra è un reato? No, non lo è, in una democrazia. Ma la democrazia a quanto pare è stata sospesa dentro i confini dei padiglioni di Expo, per far posto a procedure eccezionali che la società giustifica dicendo che l'evento è stata dichiarato «obiettivo sensibile, nonché sito di interesse strategico nazionale, per cui, per essere accreditati, occorre non aver mai commesso reati».
Il problema è che, dalle prime testimonianze raccolte da Matteo Pucciarelli per Repubblica , L'Espresso e dalla Camera del Lavoro, ci sono molti casi in cui il bando da Expo non nasce da reati contestati o riconosciuti: «Ma di semplici “informative di polizia” mai arrivate nel casellario penale», spiega Antonio Lareno, segretario generale della Cgil di Milano: «Nessuna istituzione ci ha risposto su quali siano i criteri in base ai quali vengono negati o concessi i pass. Né è stato indicato quale ordinanza o disposizione di legge autorizzi Expo a fare questi controlli. E non è mai stato firmato alcun protocollo a riguardo». Per questo, spiega Lareno, la Cgil sta inviando diffide alla società dell'Esposizione e alle aziende che licenziano per i “visti” negati: «Dal nostro punto di vista queste procedure sono violazioni palesi dello statuto dei lavoratori sul diritto all'opinione e di quello della privacy».
Già, perché ad oggi sulla “piattaforma accrediti” di Expo, spiega, sono registrate circa 30mila persone: significa che per tutti questi comuni cittadini, così come per gli altri che sono stati rifiutati, Expo e Questura hanno potuto fare uno screening “di sicurezza” approfondito. Senza che gli interessati lo sapessero. La risposta è sempre la stessa: che i controlli vengono fatti «accedendo a fonti strutturate» e che sono «le autorità di Polizia a gestire queste informazioni». Ma i risultati, comunicati poi dalla società Expo, possono mettere a rischio la privacy dei singoli: molti hanno paura di essere additati ora come “pericolosi” dai colleghi solo perché Expo li ha definiti tali. O di avere problemi sul contratto.
Valeria è una giornalista pubblicista e ha scritto a Radio Popolare quello che le è successo: «Invio a maggio tutti i moduli necessari per ottenere l'accredito Stampa e visitare i padiglioni. Il 12 maggio vedo sul portale web che la richiesta è stata negata. Chiedo spiegazioni e mi rispondono: «Non abbiamo informazioni, solo la sua domanda non è passato al vaglio della Questura». Chiamo l'Ordine dei giornalisti ma dicono che non si può fare nulla fino a che non sarà chiarito il motivo del diniego. Chiamo due volte la Questura e non mi fanno sapere nulla. Conclusione: posso pagare il biglietto ed entrare a Expo da turista ma non accedere come giornalista. Siamo nel Cile anni '70 e non me ne sono accorta?».
La beffa è infatti che tutti questi controlli riguardano solo i lavoratori che chiedono il tesserino. E non i turisti o i viaggiatori a cui è chiesto soltanto di attraversare i metal detector per motivi evidenti di sicurezza all'interno del perimetro. Finisce così che alcuni “respinti” stanno accedendo lo stesso ai padiglioni, quando ne hanno bisogno, pagando il ticket come tutti gli altri anche se avrebbero avuto diritto a un accesso diretto.
Ora la questione è arrivata a Roma. Il deputato di Sel Daniele Farina ha presentato il 18 maggio un'interrogazione parlamentare ai ministri dell'Interno e del Lavoro per chiedere spiegazioni sulle procedure di pubblica sicurezza utilizzate all'Expo. «Il problema sono i diritti dei lavoratori», spiega: «E la nebbia che avvolge gli atti che autorizzano questi controlli. Ricordiamoci che è un evento finanziato con miliardi di euro pubblici». Ora, dice, proverà a trasformare l'interrogazione in un'interpellanza urgente, per ottenere risposta al più presto, anche perché la fiera universale durerà solo sei mesi. Sei mesi di diritti sospesi?
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