Panama Papers, l’Espresso: 1400 offshore per saccheggiare l’Africa di materie prime e risorse naturali
Nuove rivelazioni dai
documenti provenienti dallo studio Mossack Fonseca, nell'inchiesta
condotta dal consorzio di giornalisti Icij: tramite le società schermate
politici, militari, manager e imprenditori si spartiscano le risorse
naturali di 44 Stati africani su 54. Citato anche Farid Bedjaoui, al
centro di un'indagine sulla presunta maxi-tangente di 198 milioni pagata
da Saipem al ministro algerino Khelil
Oltre 1.400 società offshore utilizzate da società occidentali per saccheggiare l’Africa di materie prime e risorse naturali, mentre il continente è afflitto da fame, miseria e guerre civili. E’ PanamAfrica, nuovo capitolo dei Panama Papers, l’inchiesta sui documenti riservati di oltre 120mila società offshore dell’archivio dello studio Mossack Fonseca, realizzata dal consorzio di giornalisti associati Icij e pubblicata in Italia in esclusiva da l’Espresso.
L’inchiesta internazionale tre mesi fa aveva rivelato i nomi dei titolari di migliaia di società offshore utilizzate per spostare i profitti in Paesi con tassazioni bassissime o nulle. L’ultima puntata riguarda le modalità con cui politici, militari, manager e imprenditori si sono spartiti le risorse naturali di 44 Stati africani su 54. E come i profitti del mercato di petrolio, gas, oro, diamanti e altri metalli preziosi, vengono sottratti alle popolazioni locali e, attraverso le società offshore, spostati in luoghi come British Virgin Islands, Seychelles o Dubai. Dove vigono regimi legali di anonimato che permettono ai proprietari delle società schermate di mascherare anche casi di corruzione e riciclaggio di denaro sporco.Tra gli affari realizzati da queste società ce ne sono alcuni già al centro di inchieste giudiziarie avviate in nazioni africane e in altri Paesi tra cui Stati Uniti, Svizzera, Gran Bretagna e Italia. La Penisola in particolare è citata per le indagini in corso sull’algerino Farid Bedjaoui che presso Mossack Fonseca aveva costituito 17 società-schermo usate, secondo l’inchiesta, per mascherare un traffico di mazzette spostate tra diversi Paesi. Bedjaoui è al centro di un’inchiesta italiana su Saipem, in cui è indagato anche l’ex numero uno di Eni Paolo Scaroni, per una presunta maxi-tangente da 198 milioni di euro pagati dal colosso italiano degli impianti energetici al ministro algerino Chekib Khelil, in cambio di appalti per oltre dieci miliardi di dollari e la costruzione di un gasdotto di petrolio e gas dal deserto del Nord Africa al Mediterraneo. Secondo i giornalisti dell’Icij, Bedjaoui nel ruolo di intermediario, Khelil e alcuni manager di Saipem si sarebbero incontrati nelle stanze dell’hotel Bulgari di Milano, un palazzo settecentesco tra l’orto botanico e La Scala. In più di cinque anni, riporta l’indagine, il conto di Bedjaoui nell’hotel al centro di Milano ha superato i 100mila dollari.
Ben 37 società dello studio Mossack Fonseca, rivela la nuova puntata dei Panama Papers, sono citate in giudizio o sottoposte a indagini per corruzione e distruzione ambientale. Nelle carte sono poi riportati i dati dei movimenti di società schermate, tramite le quali i proprietari hanno ottenuto da ministri corrotti le licenze per sfruttare giacimenti di gas e petrolio in Algeria e miniere nella Repubblica Democratica del Congo. Svelati anche i retroscena dei safari a cui partecipano ogni anno milioni di turisti occidentali, spesso convinti di supportare in questo modo l’economia locale: i profitti vengono in realtà dirottati all’estero nelle solite società schermate. Percorso identico per i guadagni provenienti dal traffico dei blood diamonds della Sierra Leone.
Molto spazio nell’inchiesta giornalistica è dedicato alla Nigeria. Qui tre ex ministri del petrolio clienti di Mossack Fonseca, hanno usato le società offshore per comprare imbarcazioni e ville a Londra. Poi c’è la storia del playboy Kolawole Aluko, il proprietario di un gigantesco yacht, il Galactica Star, affittato anche alla popstar Beyoncè e suo marito Jay-Z a 900mila dollari per una settimana al largo di Capri. Aluko, imprenditore del petrolio e dell’aviazione, è accusato, insieme ad altre quattro persone, di aver sottratto alla Nigeria quasi un miliardo e 800 milioni di dollari, dovuti al governo per vendite di petrolio. Secondo i dati dell’Oxfam, il 12% del Pil nigeriano viene perduto in flussi finanziari illeciti. All’inchiesta PanamAfrica hanno partecipato oltre quaranta giornalisti di testate europee e africane appartenenti a venti nazioni diverse.
L’inchiesta internazionale tre mesi fa aveva rivelato i nomi dei titolari di migliaia di società offshore utilizzate per spostare i profitti in Paesi con tassazioni bassissime o nulle. L’ultima puntata riguarda le modalità con cui politici, militari, manager e imprenditori si sono spartiti le risorse naturali di 44 Stati africani su 54. E come i profitti del mercato di petrolio, gas, oro, diamanti e altri metalli preziosi, vengono sottratti alle popolazioni locali e, attraverso le società offshore, spostati in luoghi come British Virgin Islands, Seychelles o Dubai. Dove vigono regimi legali di anonimato che permettono ai proprietari delle società schermate di mascherare anche casi di corruzione e riciclaggio di denaro sporco.Tra gli affari realizzati da queste società ce ne sono alcuni già al centro di inchieste giudiziarie avviate in nazioni africane e in altri Paesi tra cui Stati Uniti, Svizzera, Gran Bretagna e Italia. La Penisola in particolare è citata per le indagini in corso sull’algerino Farid Bedjaoui che presso Mossack Fonseca aveva costituito 17 società-schermo usate, secondo l’inchiesta, per mascherare un traffico di mazzette spostate tra diversi Paesi. Bedjaoui è al centro di un’inchiesta italiana su Saipem, in cui è indagato anche l’ex numero uno di Eni Paolo Scaroni, per una presunta maxi-tangente da 198 milioni di euro pagati dal colosso italiano degli impianti energetici al ministro algerino Chekib Khelil, in cambio di appalti per oltre dieci miliardi di dollari e la costruzione di un gasdotto di petrolio e gas dal deserto del Nord Africa al Mediterraneo. Secondo i giornalisti dell’Icij, Bedjaoui nel ruolo di intermediario, Khelil e alcuni manager di Saipem si sarebbero incontrati nelle stanze dell’hotel Bulgari di Milano, un palazzo settecentesco tra l’orto botanico e La Scala. In più di cinque anni, riporta l’indagine, il conto di Bedjaoui nell’hotel al centro di Milano ha superato i 100mila dollari.
Ben 37 società dello studio Mossack Fonseca, rivela la nuova puntata dei Panama Papers, sono citate in giudizio o sottoposte a indagini per corruzione e distruzione ambientale. Nelle carte sono poi riportati i dati dei movimenti di società schermate, tramite le quali i proprietari hanno ottenuto da ministri corrotti le licenze per sfruttare giacimenti di gas e petrolio in Algeria e miniere nella Repubblica Democratica del Congo. Svelati anche i retroscena dei safari a cui partecipano ogni anno milioni di turisti occidentali, spesso convinti di supportare in questo modo l’economia locale: i profitti vengono in realtà dirottati all’estero nelle solite società schermate. Percorso identico per i guadagni provenienti dal traffico dei blood diamonds della Sierra Leone.
Molto spazio nell’inchiesta giornalistica è dedicato alla Nigeria. Qui tre ex ministri del petrolio clienti di Mossack Fonseca, hanno usato le società offshore per comprare imbarcazioni e ville a Londra. Poi c’è la storia del playboy Kolawole Aluko, il proprietario di un gigantesco yacht, il Galactica Star, affittato anche alla popstar Beyoncè e suo marito Jay-Z a 900mila dollari per una settimana al largo di Capri. Aluko, imprenditore del petrolio e dell’aviazione, è accusato, insieme ad altre quattro persone, di aver sottratto alla Nigeria quasi un miliardo e 800 milioni di dollari, dovuti al governo per vendite di petrolio. Secondo i dati dell’Oxfam, il 12% del Pil nigeriano viene perduto in flussi finanziari illeciti. All’inchiesta PanamAfrica hanno partecipato oltre quaranta giornalisti di testate europee e africane appartenenti a venti nazioni diverse.
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