RIPORTIAMO
PARTI DELLA LUNGA REPLICA CHE L'AVVOCATO ENZO PELLEGRIN, A NOME ANCHE
DEGLI ALTRI AVVOCATI DI TORINO, LEGALI DELLE PARTI CIVILI PRESENTATE DALLO SLAI COBAS SC AL PROCESSO ILVA DI TARANTO, HA FATTO MARTEDI' 26 LUGLIO, DEMOLENDO E
SCHERNENDO PUNTO PER PUNTO LE "ECCEZIONI" POSTE DAGLI AVVOCATI DI RIVA E
SOCI.
"Le parti civili non sono un ostacolo ma sono sicuramente intenzionate ad
essere, per quanto è possibile, per quanto le loro forze lo
consentano, per quanto i loro argomenti saranno considerati efficaci,
un ostacolo al fatto che questo processo non si faccia..." (ha detto in conclusione).
(Dall'intervento):
"Affrontando
le tematiche proposte in via generale sia dall’avv. Annichiarico
(legale di Nicola Riva) che dall’avv. Caiazzo (difensore di
Archinà) si rimane alquanto stupiti dalle loro parole di
introduzione.
L’avv.
Annichiarico iniziando a prospettare una lunga serie di eccezioni,
ha affermato che, “in questo modo la Corte si sarebbe resa conto
dell'incredibile carico che le costituzioni di parte civile
rappresentano in questo processo”
Si
è parlato di mille storie diverse di danno, le quali, se mai
facessero ingresso in questo processo, ahimè, ne determinerebbero un
eccessivo peso… L’avv. Caiazzo nella sua lunga memoria parla
della necessità di “evitare dispersioni processuali”.
..tali
affermazioni sembrano fare intendere che, in questo processo, le
parti civili sono un ostacolo.
E’
colpa nostra se agli imputati viene contestato un reato
plurioffensivo di disastro ambientale? Un reato che, nella sua
natura, per l’estensione che ha avuto nel nostro caso
concreto
(forse la più grande nella storia italiana) è stato in grado di
provocare innumerevoli conseguenze dannose?
Si
è evocato il processo Eternit ma occorre sin d’ora ricordare che
il nostro processo ha dimensioni non comparabili col noto processo
celebratosi a Torino:
-
non sono comparabili, perché l'area è nettamente più ampia di
quella di Casale M.to,
-
non sono comparabili, per la tipologia delle patologie potenzialmente
indotte;
-
non sono comparabili, perchè gli agenti di rischio derivanti dalla
produzioni dell'Ilva sono molto più numerosi mentre a Casale l'unico
agente di rischio era l'amianto.
E
- dobbiamo dire- anche per la gravità dei comportamenti degli
imputati, così come contestata, tale da rappresentare un unicum:
non solo si è inquinato, non solo si sono poste le basi per
patologie mortali, ma lo sì è fatto utilizzando parti
dell'amministrazione pubblica sia locale che statale per garantire la
continuità dei propri interessi criminosi.
Ecco
spiegato perché tante parti civili, tante storie che non possono
mai rappresentare un ostacolo, perché il diritto ad agire e ad
essere presente nel processo, diritto garantito dal nostro codice e
dalla nostra Costituzione, non può, non deve essere raffigurato come
ostacolo, ma come concorso all’accertamento della verità
processuale.
Si
ha pertanto la sensazione che la raffica di eccezioni formali sia un
dispositivo per difendersi dal processo,
anziché nel processo: un modo per eliminare
e non confrontarsi con le scomode conseguenze dannose e le tragedie
che questo coacervo di comportamenti illeciti ed inquinanti hanno
provocato, magari sperando di relegare i danneggiati a sedi dove la
tutela del loro diritto divenga
di fatto ardua o impossibile.
Intendiamoci:
non è contrario alla legge difendersi dal processo con tutti
i mezzi che la procedura consente. Ciò che si vuole sottolineare è
la totale opposizione a questo metodo. Le parti civili sono
portatrici di un altro e diverso interesse: fare il
processo e far emergere la verità circa le responsabilità
del disastro ambientale provocato dall'avidità di chi ha gestito
l'Ilva.
Ecco
perché sono state prospettate una serie di eccezioni che andremo non
solo a contestare, ma a sfatare, sfatare...
Prima
tra tutte le cortine fumogene: il richiamo alla sentenza Eternit per
cercare di eliminare tutte quelle parti civili che hanno ricevuto
danni maggiori di quelli da esposizione, quelli per cui il danno di
esposizione si è sviluppato in un evento lesivo o peggio esiziale...
Nelle
sommarie descrizioni attribuite alle parti (civili) si è dimenticato
di leggere per intero l'esposizione in fatto che comportava, nei
punti successivi a quelli letti, l'individuazione delle fonti di
rischio per ciascuno. La dimenticanza potrebbe apparire strana:
strano che sia sfuggito a lettori così attenti e di lungo periodo,
ma trova una spiegazione banale se si immagina, come pensiamo, che
l'opposizione sia strumentale e tesa a cercar di eliminare tutte le
parti civili da questo processo.
Ed
infatti, con coerenza apparente - molto apparente – la difesa ha
prospettato un'ipotesi a prima vista suggestiva: quella di applicare,
in questo processo, “con rigore”, i paramenti utilizzati dalla
Corte d'Appello di Torino, nel noto procedimento Eternit, nel quale
erano in gioco esattamente gli stessi reati di disastro doloso e
omissione dolosa di misure di sicurezza. Si dice, giustamente, che la
Corte d'Appello di Torino non ha preso in considerazione le
patologie. Ecco: è vero, ma... la Corte d'Appello di Torino non ha
preso in considerazione le patologie e le morti, non al fine di
escludere le parti civili che erano afflitte da patologie o che erano
decedute, ma semplicemente per dire che le stesse parti civili,
risultando esposte all'amianto dolosamente per il comportamento
dell'imputato, dovevano essere riconosciute come vittime e
risarcite per quanto riguarda l'esposizione, rinviando ad
eventuali ulteriori giudizi la valutazione circa le patologie.
Le
migliaia di parti civili costituite (nel processo Eternit) sono
rimaste tutte ed an tutte (sani, malati, deceduti) ed è stata
riconosciuta un eguale provvisionale di 30 mila euro ciascuno per il
danno da esposizione.
Si
vuole, inoltre, a titolo di esempio, richiamare un caso che ci sta
molto a cuore, quello del giovane Alessandro Rebuzzi. Nei
confronti della costituzione di parte civile del padre, Aurelio
Rebuzzi, si è richiamato la patologia che lo affliggeva. A
questo proposito, è stata sollevata questione da parte
delle difese in quanto il figlio deceduto non abitava a Tamburi, né
nel quartiere Paolo VI e, ovviamente, data la giovane età, non
svolgeva alcuna attività lavorativa nell’Ilva o attorno all’Ilva.
Infatti,
il ragazzo era un normale studente, però afflitto da fibrosi
cistica.
Ma
a questo proposito, si vuole sostenere che, anche al di fuori
delle aree immediatamente adiacenti allo stabilimento Ilva, vi sia,
nella città di Taranto, una parziale esposizione, tale da
indurre, in soggetti afflitti da particolari patologie, un serio
rischio di aggravamento della propria condizione patologica.
Si
dimentica sempre che nel processo c’è un incidente probatorio ed
anche un verbale di sequestro che attesta l'area di incidenza
degli inquinanti pari almeno ad un raggio di oltre 20 km, tale da
comprendere la stessa città Taranto interamente, quindi non solo
i quartieri Tamburi Paolo VI...
Il
caso del povero ragazzo Rebuzzi è molto noto in città, perché lui
stesso, prima di morire, ha cercato di sollevare il problema
dell’inquinamento a Taranto, chiedendo ai suoi coetanei, tutti
adolescenti, di mettersi in moto e di partecipare a tutte le
iniziative utili a risanare quella situazione. Quella situazione in
presenza della quale la sua patologia si è aggravata sino a portarlo
a morte...
...Era
diritto di questo ragazzo vivere la sua giovinezza e poi la sua
maturità in un ambiente che non provocasse,
con la continuità dell’esposizione, rischi continui per la sua
salute...? Noi riteniamo che fosse suo diritto, e crediamo che i reati
dolosi... abbiano messo in discussione questo suo diritto ed abbiano
perciò interferito direttamente su quello che ciascuno di noi spera
di poter avere: un’opportunità di vita che non possa essere
messa in discussione ed in pericolo da soggetti esterni che operano
illegittimamente in sede industriale al solo fine della
massimizzazione del profitto, accettando il rischio di provocare
tutti gli effetti negativi sulla popolazione che un tale pernicioso
ed illecito modo di produzione industriale cagiona...
….per
quelle costituzioni in merito alle quali si è eccepito una pretesa
ed asserita genericità dell’esposizione delle ragioni della
domanda, richiedendo chissà quale eventi specifici,
individualizzanti, necessari scampoli di vita intima e fors’anche
pensieri reconditi.
Devo
dire che, in merito alle parti patrocinate dal sottoscritto avv.
Pellegrin, il lungo, e puntuale cahier des doleances dell’avvocato
Annichiarico non le ha per nulla riguardate... l’esposizione delle
ragioni della domanda di (una delle parti civili) menzionano il fatto
della sua residenza nel quartiere
Paolo
VI - corroborato dall’allegazione del certificato di residenza,
insieme alla esposizione di come “la vicinanza di tale area e
quindi dell’abitazione dello scrivente al predetto Stabilimento
ILVA ha determinato per lo stesso l'esposizione ai rischi per la
propria salute derivanti dall'esposizione ad agenti patogeni (in
particolare cancerogeni) in conseguenza diretta del comportamento
degli imputati, anche quale conseguenza del “timore di ammalarsi”,
quale danno morale
riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità in quanto
“sofferenza soggettiva... (Cass, SS UU n. 26972/2011”. Che
(si) doveva esporre di più... per la lettera del codice?
Possiamo
sostenere mai una inammissibilità con argomenti di questo tipo?
Inammissibilità inammissibile.
Discorso
analogo vale per le parti civili che riguardano i lavoratori
cimiteriali. Nelle costituzioni si è dato atto del rapporto
lavorativo, del luogo di lavoro adiacente ad una delle zone più
inquinate, i parchi minerali, dell’incidenza dell’esposizione
agli inquinanti, delle approfondite indagini e rilevazioni
ambientali da parte dell’Arpa Regionale Puglia, della particolare
natura dell’inquinante dato dalla polverosità e dalla diossina, ed
è fatto notorio che un Commissario straordinario del governo ha
predisposto un piano per la bonifica di detto cimitero.
Conseguentemente è stata messa tale
esposizione in correlazione con le condotte criminose contestate agli
indagati!!!
Allo
stesso identico modo si è proceduto per i dipendenti dell’ILVA,
dando atto del rapporto lavorativo con l’azienda, delle mansioni
svolte e dell’incidenza degli inquinanti su di esse. E’ stato
menzionato il fatto che nei vari reparti in cui i dipendenti hanno
lavorato sono stati accertate malattie professionali, tumorali, oltre
a numerosi casi di infortunio, ed anche qui si è messo in luce il
rapporto causale tra il danno lamentato e le condotte degli
imputati...
...Vogliamo
un’ efficace descrizione del danno da esposizione? Quella della
probabilità e dei numeri.
Noi
avevano - ad esempio - un numero di 8 tra le nostre parti civili, lo
stesso numero della composizione di questa Corte, lo stesso numero
più o meno degli avvocati e dei pm che siedono nella prima fila
dell’aula. Bene, erano tutti sani quando si sono costituiti.
Oggi due di essi sono malati. Come nella decimazione della prima
guerra mondiale descritta nel film Uomini Contro.
Ecco
cosa vuol dire il danno da esposizione…
Ed
ecco dissolta una ulteriore cortina fumogena.
Da
questo punto di vista non sfugge alle critiche anche il tentativo
effettuato da uno dei legali del collegio di difesa, che ha messo in
discussione la legittimazione dell’Associazione Onlus Medicina
Democratica, ritenendola sprovvista di presenza a livello locale
e, quindi, come tale non ammissibile.
Ancora
una volta, se si legge l’indice della copiosa documentazione
prodotta, anche solo l’indice che era allegato... si scopre che
l’Associazione Medicina Democratica Onlus che - sia detto per
inciso - è una delle più antiche associazioni italiane costituita a
tutela della salute particolarmente dei lavoratori e delle
popolazioni esposte ai rischi delle produzioni industriali, è da
anni presente su tutto il territorio nazionale ed opera anche in
Puglia...
...Ancora
una volta, quindi, siamo di fronte ad un tentativo di “fare
polvere” (absit iniuria verbis), di sollevare una sorta di
mascheratura che unifica tutte le posizioni, nella speranza di
ottenere un risultato impossibile: quello cioè di ottenere che le
vittime e le associazioni che hanno portato avanti negli anni la
lotta contro l’inquinamento industriale a Taranto escano da questo
processo.
Si
è sinceramente convinti che queste Associazioni, ma soprattutto le
persone, abbiamo tutto il diritto ad essere presenti nel processo che
si sta celebrando e - se ci è consentito - sia addirittura loro
dovere. Se un processo di questo genere si svolgesse in sordina e in
assenza della parte di abitanti di Taranto toccata più da vicino
dagli effetti della produzione industriale dell’Ilva, sarebbe un
processo inutile.
Inutile:
perché finirebbe per mettere una inaccettabile distanza tra la
popolazione, i lavoratori, coloro che sono esposti a rischio oggi e
che purtroppo lo saranno anche domani - se non vi saranno interventi
di bonifica – e l’Amministrazione della Giustizia.
A
nostro avviso, la partecipazione dei diretti interessati deve
essere vista come elemento di democrazia e, quindi, non
riteniamo ragionevole, accettabile e civile pretendere un bel processo
“neutro” che si svolga in un’aula vuota con i soli difensori
che si scontrano con la sola Procura della Repubblica...
...un’ultima
annotazione finale. Le parti civili non sono un ostacolo.
Bisogna
intendersi: le parti civili sono sicuramente intenzionate ad
essere, per quanto è possibile, per quanto le loro forze lo
consentano, per quanto i loro argomenti saranno considerati efficaci,
un ostacolo al fatto che questo processo non si faccia...
Il
primo dovere di queste parti civili è quello di fare emergere la
verità, e la verità sostanziale, ripeto sostanziale, è quella di
ampie aree di Taranto che coinvolgono dipendenti dell'Ilva, abitanti
di Taranto, dei quartieri di Tamburi, Paolo VI, lavoratori come i
cimiteriali, che operano permanentemente nei pressi dell'Ilva,
drammaticamente investiti da un percorso di inquinamento concreto e
verificabile, che ha portato chi ha frequentato quei luoghi a vivere
in una situazione di esposizione
permanente al rischio, esposizione che non si è ridotta neppure
negli ultimi anni.
In
questo senso, l'unico strumento che
abbiamo per far valere la verità è quella di essere presenti nel
processo e, quindi, finché ne resterà uno di noi, quella verità
noi continueremo a cercare".
Avv.
Enzo Pellegrin
Patrocinante
in Cassazione
del
Foro di Torino
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