I legali di Schmidheiny negano l’Eternit Bis: “Per noi non è processabile”. Ora tocca al gup decidere
Parti divise anche sull’interpretazione
della sentenza della Corte Costituzionale sul “ne bis in idem”
Casalesi a Torino all’udienza preliminare Eternit
Bis poi sospesa
26/07/2016
casale monferrato
come è possibile, giacché sono controparti e, come tali, anche sull’applicazione di questo principio (significa, lo ripetiamo, che una persona non può essere processata due volte per i medesimi fatti) si sono fronteggiate prima davanti al gup di Torino e poi in Corte Costituzionale, chiamata a dirimere la contrapposizione?
Eppure è così: anche i difensori di Schmidheiny sono soddisfatti di come si è pronunciata la Consulta. E non di meno lo sono i pm e i legali delle parti civili. Secondo l’interpretazione di questi ultimi, il pronunciamento della Corte di legittimità dà il via libera a procedere nei confronti dell’imprenditore svizzero, ultimo proprietario in vita di Eternit italiana (chiusa nel 1986), di cui la procura di Torino chiede il rinvio a giudizio per omicidio volontario di 258 vittime dell’amianto.
Secondo i difensori dell’imputato, invece, la Corte avrebbe «accolto le ragioni di fondo da noi addotte: se, cioè, ci sono gli stessi fatti, già analizzati in un precedente procedimento, non si può procedere con un altro processo». Quali ricadute per l’Eternit Bis? «Schmidheiny non può essere processato per le vittime già indicate nel primo processo (quello per disastro ambientale doloso, ndr) perché già in quel contesto si sono esaminati la condotta, il nesso causale e l’evento morte». Per le «nuove vittime», l’avvocato richiama la sentenza della Corte d’Appello (che aveva condannato Schmidheiny a 18 anni, ndr): «Afferma l’esistenza di un evento epidemiologico che includeva tutte le vittime presenti, passate e future» dice Di Amato. Pertanto, secondo l’interpretazione difensiva, «la sentenza della Corte Costituzionale è preclusiva anche per le morti successive al primo processo e, purtroppo, pure quelle future». Schmidheiny, dunque, in base a questa tesi, sarebbe inattaccabile per sempre.
Torna alla memoria il «fortino» protettivo di cui spesso si parlò specialmente nel primo grado del processo: una sorta di cintura difensiva fatta di dirigenti, legali, manager delle pubbliche relazioni e aggiustatori di immagine che dovevano operare affinché non venisse raggiunto e scalfito il «livello 1». Ovvero, Schmidheiny.
Tra i difensori storici di parte civile, però, Sergio Bonetto richiama a sua volta la sentenza della Corte d’Appello di Torino «la quale ribadì che l’Eternit Uno non si è occupato di morti e di patologie». Quindi non dei casi specifici. E l’avvocato Maurizio Riverditi: «Le argomentazioni attuali delle difese di Schmidheiny contraddicono le loro stesse tesi portate in Cassazione, quando lamentarono la mancata disamina delle consulenze tecniche sul nesso causale rispetto ai singoli casi di morte». E la Cassazione come reagì a questa doglianza? La Suprema Corte, a novembre 2014, oltre a dichiarare la prescrizione del maxiprocesso, in sentenza anche alle difese su quel punto «chiarendo - prosegue Riverditi - che il nesso causale e i singoli eventi di morte non sono stati oggetto di accertamento penale nell’Eternit Uno». Quindi, se quegli approfondimenti singoli non ci sono stati (e la stessa difesa ebbe a lagnarsene come di un diritto negato), allora non ci sarebbe ripetizione (ovvero non c’è «bis in idem») circa la disamina complessiva di condotta, nesso causale e morte.
Il confronto sul punto non si esaurisce certo a distanza: sarà l’aula a fare da scenario e il gup avrà la responsabilità di districare la contrapposizione. Non si può che attendere la fissazione della data a Torino.
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