PALESTINA:
67 ANNI DI OCCUPAZIONE - 67
ANNI DI RESISTENZA
Commemoriamo la Nakba del 1948 (in arabo catastrofe) rimarcando con forza il Diritto al Ritorno per ogni palestinese che voglia ritornare nella propria terra, perché è la speranza del ritorno ciò che ha permesso alle masse dei rifugiati di resistere alla propria crisi d'identità ed è quella che mantiene la determinazione alla lotta e al sacrificio.
Sono trascorsi 67 anni
da quei giorni sanguinosi del 1948 ma i tragici avvenimenti di allora segnano
ancora la vita di milioni di palestinesi. Per noi ricordare la Nakba non è solo
una ricorrenza per onorare le vittime, commemorare la Nakba significa anche
sostenere oggi la Resistenza e l'unità di tutto il popolo palestinese, della
Cisgiordania, di Gaza, di Gerusalemme, dei territori del '48 e della diaspora,
ma significa anche ricordare i prigionieri, poiché la loro liberazione
rappresenta uno dei punti cardine su cui si uniscono le forze della Resistenza.
Il popolo palestinese seppe presto alzarsi e combattere per riprendere ciò che
gli era stato sottratto con la forza e il tradimento di diversi governi arabi e
mondiali che hanno mantenuto tale posizione con l'appoggio e la protezione
dell'entità criminale sionista.
Quell'anno è passato
nella memoria collettiva non solo dei palestinesi ma di tutti gli arabi come
l'anno della NAKBA. Ma la pulizia etnica fu progettata molto prima ed attuata da
ebrei sionisti a partire dal Congresso
Sionista Mondiale tenutosi a Basilea nel
1897, durante il quale fu proposta per la prima volta l’idea di costituire uno
Stato in Palestina. I rabbini di Vienna inviarono due loro rappresentanti per
verificare se il paese fosse adatto a questa impresa; le due persone
sintetizzarono il risultato delle loro esplorazioni in questo telegramma:
“la sposa è bella, ma sposata a un altro
uomo”.
Con disappunto avevano
scoperto che la Palestina, sebbene avesse tutti i requisiti per diventare lo
Stato ebraico che i sionisti desideravano, non era, come lo scrittore
Israel Zangwill ebbe più tardi ad affermare, “una terra senza un popolo per un popolo senza
terra”. Ma il colonialismo
sionista residenziale, sostituendo la popolazione nativa con quella colonialista
attraverso la mattanza (alla pari del colonialismo in Australia, Nuova Zelanda,
nelle Americhe), pur cancellando del tutto interi villaggi e città palestinesi
non è riuscito nel proprio intento. Si tratta di fatti per lo più sconosciuti,
stante il clima di propaganda che sul tema della storia palestinese si perpetua.
Le espulsioni recisero i legami tra palestinesi e la loro struttura sociale.
Un'intera società si disgregò, ma le case e i villaggi abbandonati divennero i
luoghi della memoria: sradicati, i profughi palestinesi ovunque fossero hanno in
quella memoria perpetuato la propria identità di
popolo.
Il generale israeliano
Yeoshafat Harkabi ha
scritto: “l'affermazione che
la venuta degli ebrei in Palestina e la creazione d'Israele sono la causa del
conflitto arabo-israeliano è corretta”:
organizzazioni terroristiche come Palmach
(gruppo di assalto), L’Haganah (
il braccio armato dei sionisti), Irgun e
Banda Stern si
resero colpevoli di numerosi massacri. Ne ricordiamo alcuni:
Jaffa, bombardata il 25
aprile, il panico era enorme, si cominciò a fuggire per le strade e con le
barche, tre giorni dopo i sionisti (della Brigata ebraica) hanno fatto saltare
con la dinamite ogni singola casa situata ai lati della strada principale di
Jaffa. Dopo la fuga degli abitanti le bande sioniste hanno sottoposto case e
negozi ad un saccheggio sistematico. Tutto ciò che era trasportabile fu portato
via da Jaffa: mobili, tappeti, quadri, terrecotte, vasellame, posateria,
gioielli...
Ma
il massacro forse più infame è quello compiuto il 9-10 aprile 1948 nel villaggio
palestinese di Deir
Yassin, in cui i terroristi
sionisti hanno sistematicamente ucciso 254 contadini palestinesi, giovani e
vecchi, donne e bambini. Deir Yassin, non è stato, tuttavia, un episodio
isolato. Secondo Nathan
Chofschi, testimone dei crimini
sionisti, la tattica usata a Deir Yassin era consueta. In risposta
all’affermazione di un rabbino americano secondo il quale i palestinesi erano
andati via spontaneamente, egli ha scritto: “se il rabbino Kaplan vuole veramente sapere cosa è
accaduto, noi vecchi coloni della Palestina, testimoni della guerra, possiamo
dirgli come ed in che modo noi, gli ebrei, abbiamo costretto i palestinesi ad
abbandonare città e villaggi. Alcuni sono stati scacciati con le forze delle
armi, altri con l’inganno, le menzogne e le false promesse. Basta ricordare
Jaffa, Lydd, Ramle, Beersheba, Tanturah ed Acre, fra le innumerevoli
altre”. ( The Jewish
Newsletter, New York, 9 febbraio 1959).
“Vi chiedo di rimanere
gli stessi
per quelli che sono in esilio e quelli che sono rimasti.
Il tempo passa e se tornassi a casa mia
La dipingerei di hennè per i miei cari”
per quelli che sono in esilio e quelli che sono rimasti.
Il tempo passa e se tornassi a casa mia
La dipingerei di hennè per i miei cari”
(Canzone
palestinese)
Fronte
Palestina
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