giovedì 14 maggio 2015

pc 14 maggio - FORMAZIONE OPERAIA: "IN CHE SENSO IL LAVORATORE E' "LIBERO"?.... - DOMANDE E RISPOSTE SUL CAPITOLO DI GIOVEDI' 7/5:

Sono arrivate alcune domande di chiarimento e commenti sulla "Formazione operaia": Trasformazione del denaro in capitale / COMPERA E VENDITA DELLA FORZA-LAVORO.

Cominciamo oggi a rispondere ad una richiesta di chiarimento: 



"Credo andrebbe spiegato meglio il senso di "lavoratore libero" e di vendita di forza lavoro che deve avvenire "sempre e soltanto per un tempo determinato"
scrive una lavoratrice, che prosegue: 

"Mi riferisco in particolare alla prima parte del capitolo, quando dice: La vendita della forza-lavoro deve avvenire “sempre e soltanto per un tempo determinato; poiché se la vende in blocco, una volta per tutte, vende se stesso, si trasforma da libero in schiavo, da possessore di merce in merce”. E questo lavoratore, come detto, deve essere proprio “libero” da tutto, non deve avere “la possibilità di vendere merci nelle quali si sia oggettivato il suo lavoro, ma anzi, sia costretto a mettere in vendita, come merce, la sua stessa forza-lavoro, che esiste soltanto nella sua corporeità vivente.” Deve vivere, quindi, e perciò ha bisogno di mezzi di sussistenza che lo mettano in condizioni di poter lavorare.
Per il possessore di denaro, che trova il mercato del lavoro come sezione particolare del mercato delle merci, non ha alcun interesse il problema del perché quel libero lavoratore gli si presenti nella sfera della circolazione. E per il momento non ha interesse neppure per noi.”

Ho sottolineato le contraddizioni più evidenti che mi metterebbero in difficoltà nello spiegare la teoria alla pratica, alla realtà del lavoro-non lavoro e prima di tutto a me stessa.
Libero/a da che?
Come può un lavoratore essere libero se è "costretto a mettere in vendita, come merce, la sua stessa forza-lavoro"? E perché dovrebbe accettare di vendere la sua forza lavoro per un tempo determinato, se la sua vita e quella dei suoi figli non lo è e dipende dal lavoro?
O fame o schiavitù. D'altra parte, come si precisa più avanti: quando la forza-lavoro “non è venduta, quella capacità non serve niente al lavoratore, anzi in tal caso questi sentirà come crudele necessità di natura il fatto che la sua capacità di lavoro ha richiesto, per esser prodotta, una certa quantità di mezzi di sussistenza e continua a richiederla, per essere riprodotta.”
Inoltre non credo che oggi, per il possessore di denaro, non abbia alcun interesse il problema del perché quel "libero" lavoratore gli si presenti nella sfera della circolazione. Ai colloqui di lavoro la prima cosa che fanno sono i test della personalità, vogliono conoscere le tue condizioni (e il tuo livello di scolarizzazione - se è alto difficilmente ti faranno lavorare), sapere se sei "libero" o coniugato, se hai figli, se sei "libero" da impegni famigliari, se sei autonomo oppure no e, specie se sei una donna, cercano furbescamente di farti dire se vuoi/puoi avere figli, una famiglia ecc.. In questo senso si capisce meglio il concetto di "lavoratore libero": vogliono un lavoratore tutto per loro, corpo e anima. Se questa non c'è meglio, se no deve essere ben chiusa dentro al corpo, sequestrata con questo nella "fabbrica", alienata dall'amore, dalle emozioni, dalla solidarietà e oggettivata nella produzione.
Se questa non è schiavitù ci manca poco. E' una schiavitù moderna e più sottile, ma tale resta per me
A parte questa premessa, tutti gli altri concetti sono utilmente ribaditi ed esposti in maniera chiara in questo capitolo".

RISPOSTA
La forza-lavoro è la capacità lavorativa umana, cioè, spiega Marx, l'insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono in un uomo e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d'uso di qualsiasi genere. Queste capacità perchè l'uomo le possa vendere come merce è necessario che il possessore di forza-lavoro sia un uomo legalmente libero, in un doppio significato: cioè che possa disporre della propria forza-lavoro e venderla come merce, e che sia libero da tutte le cose necessarie per la realizzazione della sua forza-lavoro, cioè non deve avere alcun mezzo di produzione né di sussistenza, vale a dire che non deve avere risorse all'infuori della possibilità di vendere la propria forza-lavoro.
Se la sua forza-lavoro non gli appartenesse non potrebbe decidere di venderla – lo schiavo di un padrone non poteva andare da un altro padrone e dire io voglio lavorare per te, non poteva andarsene, non poteva neanche decidere di non lavorare; così come non era “libero” il servo della gleba. 
Infatti, “le condizioni storiche in cui la forza-lavoro diventa merce non si verificano affatto in tutte le epoche, ma solo quando la società si è sviluppata fino ad un certi stadio. Nelle società che precedettero il capitalismo, gli schiavi e i servi della gleba, anche se avevano perso i mezzi di produzione, non disponevano però del fattore libertà personale, in quanto le loro persone appartenevano agli schiavisti e ai feudatari; la loro forza-lavoro non poteva dunque
diventare merce” (Dal Trattato di economia politica di Xu He),
Ugualmente, se il possessore della forza-lavoro potesse ancora vendere il prodotto del proprio lavoro (cioè fosse proprietario oltre che della propria forza lavoro anche di altri mezzi) sarebbe ancora un piccolo produttore ma non un lavoratore salariato.

I lavoratori della società odierna, quindi, a differenza dello schiavo e del servo della gleba, possono vendere la loro forza-lavoro, e decidere anche quando e a chi venderla. In questo sono “liberi”.
Quindi, il concetto di "lavoratore libero" non è solo una condizione per il capitalista perchè come scrive la lavoratrice: "vogliono un lavoratore tutto per loro, corpo e anima", ma è una condizione necessaria per il lavoratore. . 
Chiaramente qui si prescinde dal fatto che questa “libertà” è una strana “libertà”, perchè l'uomo che vende la sua forza-lavoro è costretto per vivere e mantenere i suoi figli a farlo, come prescinde dallo sfruttamento che il capitalista fa della forza-lavoro una volta messa a lavoro; qui per “libero” si intende che può disporre a differenza di altre epoche storiche della forza-lavoro, diciamo è “libero” di essere sfruttato. 
Se, infatti, non potesse disporre della sua forza-lavoro non potrebbe neanche venderla come merce e il capitalista non potrebbe comprarla perchè non la troverebbe sul mercato delle merci; e quindi, l'operaio tornerebbe nella condizione di schiavitù. Inoltre l'operaio vende le sue attitudini fisiche e intellettuali, non vende tutto sé stesso, tutta la sua vita.
Il fatto che il capitalista sia anche, soprattutto nei periodi di crisi come questo, un “moderno schiavista” ed utilizzi forme di sfruttamento brutale e/o decida quando, quanto e come devi lavorare (attraverso tipo di assunzione o non assunzione, attraverso l'imposizione di contratti miserrimi, attraverso la riduzione o il taglio dei diritti, attraverso il licenziamento, attraverso discriminazioni, forme sempre più fasciste di oppressione, ecc. ecc.) non mette in discussione questa “legge”, ma è all'interno (come vedremo successivamente nel prosieguo dello studio de Il Capitale) della continua ricerca del capitalista del massimo profitto, attraverso la massima riduzione del tempo di lavoro necessario in cui l'operaio lavora per sè e la massima espansione del pluslavoro, del tempo in cui l'operaio lavora gratis per il capitalista.
Noi quando facciamo la denuncia delle condizioni di lavoro usiamo sì anche la parola “schiavitù”, ma la profonda differenza è che lo schiavo non poteva vendere le sue capacità fisiche perchè non erano “sue”, non era lui che si vendeva ma veniva venduto dal commerciante di schiavi, il padrone schiavista non pagava nulla allo schiavo ma pagava il precedente possessore di quell'uomo o donna “schiavi”. Nel sistema capitalista, invece, è l'operaio che vende la sua forza-lavoro, e da questa vendita riceve un salario.

Al capitalista interessa che può trovare questa merce speciale disponibile sul mercato e metterla al lavoro per produrre merce in cui è contenuto pulsvalore. Altro non gli interessa. 
In questo senso nel testo di giovedì 7/5 viene scritto: Per il possessore di denaro, che trova il mercato del lavoro come sezione particolare del mercato delle merci, non ha alcun interesse il problema del perché quel libero lavoratore gli si presenti nella sfera della circolazione".
E non c'entra il fatto che, come scrive la lavoratrice: "Ai colloqui di lavoro... vogliono conoscere le tue condizioni... sapere se sei "libero" o coniugato, se hai figli, se sei "libero" da impegni famigliari...". Nel testo di giovedì si vuole dire che al possessore di denaro non gli interessano i motivi per cui il libero lavoratore si presenta sul mercato per vendere la sua forza-lavoro, gli interessa solo che la possa vendere e che lui può comprarla.  

Il fatto che la stessa forza-lavoro l'uomo o la donna non la venda una volta per tutte, a vita ma volta per volta è dimostrazione di questa libertà, non il contrario. Perchè se la vendesse tutta in una volta e per sempre vorrebbe dire che non sarebbe più sua, che sta vendendo tutto il suo corpo e non la forza-lavoro del proprio corpo – e torneremmo in quella condizione di schiavo detta prima.
Questo non c'entra con il fatto che l'operaio per 30/40 anni della sua vita deve continuamente vendere la sua forza-lavoro altrimenti non mangia lui e la sua famiglia (e quindi, ha bisogno di lavorare a tempo indeterminato e non determinato). Quando Marx parla di vendita per un tempo determinato o piuttosto che il capitalista ha acquistato sul mercato quella merce forza-lavoro e la mette al lavoro per un tempo determinato, questo ha a che fare con il fatto che se io capitalista ti ho acquistato perchè devi lavorare 8 ore al giorno, 40 settimanali, 173 al mese, ecc. e tu operaio hai già ricostruito la tua forza-lavoro in 4 ore al giorno, 20 settimanali, ecc. non puoi smettere di lavorare e andartene a casa, devi continuare a lavorare per altre 4 ore al giorno, perchè io capitalista ti ho acquistato e ho fatto un “patto” con te per 8 ore!
Riprendiamo quello che scrive Engels nell'introduzione dell'edizione del 19891 del testo di Marx “lavoro salariato e capitale”, affrontato all'inizio di questo lungo viaggio della “formazione operaia”:

... che cosa avviene dopo che l’operaio ha venduto al capitalista la sua forza lavoro, cioè dopo che l’ha posta a sua disposizione, per un salario convenuto, giornaliero o a cottimo? Il capitalista conduce l’operaio nella sua officina o fabbrica, dove già si trovano tutti gli oggetti necessari per il lavoro, le materie prime, le materie ausiliarie... gli utensili, le macchine. E qui l’operaio comincia a sgobbare. Poniamo che il suo salario giornaliero sia di tre marchi.... Supponiamo che... con il suo lavoro di dodici ore l’operaio aggiunga alla materia prima impiegata un nuovo valore di sei marchi, un nuovo valore che il capitalista realizzerà con la vendita del pezzo finito. Di questo importo egli paga all’operaio tre marchi, e gli altri tre se li tiene per sè. Se l’operaio produce in dodici ore un valore di sei marchi, in sei ore produce un valore di tre marchi. Quindi dopo aver lavorato sei ore egli ha già restituito al capitalista l’equivalente di tre marchi, ricevuti come salario. Dopo sei ore di lavoro, tutti e due sono pari; nessuno dei due deve più un soldo all’altro.
Un momento! - esclama ora il capitalista - io ho noleggiato l’operaio per un giorno intero, per dodici ore. Sei ore non sono che una mezza giornata. Avanti dunque, al lavoro, fino a che anche le altre sei ore siano passate. Solo allora saremo pari!” E in realtà l’operaio deve attenersi al suo contratto “liberamente” concluso, con il quale si impegna a lavorare dodici ore intere, per un prodotto di lavoro che costa sei ore...”.

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