- Jyotsna Saksena
In Lorena, a Hayange, dove produce
rotaie d’acciaio, il gruppo indiano Tata offre un’immagine «gentile»
rispetto al connazionale Mittal, che ha brutalmente chiuso gli ultimi
due altiforni. Questo non gli ha impedito di tirarsi indietro vendendo
la filiale. Anche in India la corsa al profitto scuote la
multinazionale, che finora era riuscita a combinare paternalismo,
nazionalismo e capitalismo.
Dalla nostra inviata speciale JyoTsna saKsena, (Traduzione di Alice Campetti). Tratto da Le Monde Diplomatique
«Valori più forti dell’acciaio»: questo slogan del
più grande complesso siderurgico indiano, Tata Steel, sottolinea la
singolarità del gruppo, primo conglomerato privato del paese. I valori
in questione – fiducia, affidabilità, responsabilità sociale –
rispecchiano i principi fissati dal suo creatore, Jamshedji Nusserwanji
Tata (chiamato più semplicemente Jamshedji).
In India, tutti conoscono la leggenda della famiglia
Tata, fondatrice di un impero presente in quasi tutti gli ambiti della
vita: dall’agroalimentare all’informatica passando per l’acciaio, la
chimica, l’energia, l’automobile, i cosmetici. Impossibile sfuggire ai
prodotti concepiti dal gruppo. Per la popolazione, il nome Tata rimane
associato alla costruzione nazionale: si confonde con lo sviluppo del
paese e con il suo destino economico a partire dalla fine del XIX
secolo.
La sua storia inizia nel 1868, quando Jamshedji si
lancia nel tessile dopo aver abbandonato la società
di import-export della famiglia, attiva nel commercio di oppio con la Cina (1). In seguito dà vita a una partnership con il figlio primogenito, Dorab, e suo cugino, Ratanji Dadabhhay Tata, compagnia che oggi porta il nome di Tata Sons, principale holding del gruppo. Vicino al Partito del congresso fondato nel 1885, di cui Mohandas Karamchand Gandhi diventerà la figura più rappresentativa, Jamshedji si mette presto nell’ottica dell’indipendenza. Convinto che le libertà politiche dipendano dalla potenza economica, immagina di espandersi in campi diversificati quali la siderurgia, l’energia e la ricerca scientifica. La sua visione dello sviluppo e della modernizzazione del paese è tale da indurre, mezzo secolo dopo, il primo ministro Jawaharlal Nehru a parlare di «commissione di pianificazione in un uomo solo». I suoi progetti si realizzarono dopo la sua morte nel 1904.
di import-export della famiglia, attiva nel commercio di oppio con la Cina (1). In seguito dà vita a una partnership con il figlio primogenito, Dorab, e suo cugino, Ratanji Dadabhhay Tata, compagnia che oggi porta il nome di Tata Sons, principale holding del gruppo. Vicino al Partito del congresso fondato nel 1885, di cui Mohandas Karamchand Gandhi diventerà la figura più rappresentativa, Jamshedji si mette presto nell’ottica dell’indipendenza. Convinto che le libertà politiche dipendano dalla potenza economica, immagina di espandersi in campi diversificati quali la siderurgia, l’energia e la ricerca scientifica. La sua visione dello sviluppo e della modernizzazione del paese è tale da indurre, mezzo secolo dopo, il primo ministro Jawaharlal Nehru a parlare di «commissione di pianificazione in un uomo solo». I suoi progetti si realizzarono dopo la sua morte nel 1904.
Dall’indipendenza, un gioiello per l’economia nazionale
Sotto le autorità coloniali britanniche Tata crea le
sue prime aziende di acciaio, energia, cemento, olio, assicurazioni,
chimica, aeronautica, automobile. Nel 1911, fonda l’ormai celebre
Istituto di scienza a Bangalore, città divenuta simbolo della
modernità, soprattutto nei servizi informatici e nelle tecnologie
dell’informazione. L’Istituto Tata di ricerca fondamentale nasce a
Mumbai nel 1944, prima di essere trasformato nel prestigioso Istituto di
ricerca atomica. A quest’ultimo sono legati grandi nomi dell’ambiente
scientifico e industriale, come C. V. Raman, premio Nobel per la fisica
nel 1930 e il professore Homi Bhabha, padre della bomba atomica indiana.
Dopo l’indipendenza, nel 1947, l’espansione si
appoggia sulla politica di sviluppo autonomo dell’India, promossa dalla
nuova squadra al potere, e basata su pianificazione, industria pesante,
politica industriale nazionale di «sostituzione alle importazioni» e
protezione del mercato interno. Simbolo dei legami tra l’economia e la
politica, Nehru assegna a diversi direttori del gruppo importanti
incarichi nell’amministrazione, tra cui il ministero delle finanze,
offerto nel 1948 a uno di loro, John Mathai.
Così Tata beneficia di un mercato protetto che gli
permette di diventare uno dei grandi gruppi monopolistici dell’economia
nazionale. Successivamente, opera un’ulteriore diversificazione,
aprendosi ai mercati di condizionatori, tè, tecnologie
dell’informazione, orologeria, bigiotteria e ottica… Lancia la prima
marca indiana di cosmetici, Lakmé, quando Nehru, di fronte alle
proteste femminili contro il divieto di importare questi prodotti, lo
chiama in suo soccorso.
Deve affrontare alcune difficoltà quando, nel 1953,
la sua compagnia aerea, Air India International, e le sue attività
assicurative vengono nazionalizzate. Ciononostante, il gruppo si
ingrandisce, passando dalle quattordici società del 1938 alle
novantacinque del 1991 sotto la direzione di Jehangir Ratanji Dadabhoy
Tata (più noto per le sue iniziali JRD). Nipote di Jamshedji e altra
«leggenda» della famiglia, è l’unico uomo d’affari al quale il
Parlamento ha reso omaggio all’indomani della sua morte, nel novembre
1993.
Nel 1992, alla vigilia della liberalizzazione
dell’economia indiana e della sua apertura, le entrate del gruppo
rappresentavano quasi il 2% del prodotto interno lordo (Pil) del paese.
Tata allora ha investito all’estero, in particolare nel Regno unito,
dove ha rilevato sia il tè Tetley sia il siderurgico Corus oltre al
costruttore di automobili Jaguar e Land Rover. In India, avvia una fase
di ristrutturazione, proseguendo la diversificazione. Si lancia nella
telefonia mobile, prende il controllo del primo Internet server
provider, fabbrica la prima automobile interamente costruita in India,
Indica, poi la Nano, la più economica del mondo… Nel 2013, in
collaborazione con la Singapore Airlines, fonda la compagnia aerea
Vistara.
Nel 1908, Dorab fa costruire di sana pianta una città
Tata ha costruito la propria fama di «gruppo sui
generis» grazie a una gestione paternalista. Dalla fine del XIX secolo,
nelle sue fabbriche tessili, Jamshedji istituisce un fondo per le
pensioni e un altro per gli incidenti sul lavoro, costruisce alloggi,
strutture sportive… «Non pensiamo di essere più altruisti, più
generosi o più filantropici di altri, afferma. Ma seguiamo dei principi
semplici e solidi considerando che gli interessi dei nostri azionisti
sono anche nostri, come la salute e il benessere dei nostri dipendenti
sono basi sicure per la nostra prosperità (2)». Conformemente a questi
interessi ben precisi, l’azienda siderurgica Tata Iron and Steel Company
Limited (Tisco), fondata nel 1907 da Dorab, successore di Jamshedji, ha
introdotto la giornata di otto ore, la gratuità delle cure mediche e
le ferie retribuite.
Nel 1908, in una delle regioni più povere
dell’India, l’attuale stato di Jharkhand, Dorab fa costruire di sana
pianta una città, Jamshedpur, chiamata anche Tatanagar (la «città di
Tata»), destinata ai lavoratori della fabbrica. Le popolazioni tribali
sono cacciate dalle loro terre e la loro resistenza repressa
violentemente. La compagnia beneficia di un sito straordinario (in
prossimità di acqua e di miniere di ferro) e di un prezzo irrisorio per
l’affitto del terreno, confermato dai governi successivi a
compensazione dello sviluppo della città. Inoltre può detrarre dalle
imposte le spese di costruzione. Per attirare e trattenere la
manodopera, i lavoratori hanno diritto a un alloggio, alla gratuità di
scuole, strutture mediche e sportive e all’accesso all’acqua.
Circondata da colline verdeggianti, Jamshedpur oggi
è un modello urbanistico con vasti viali alberati, magnifici spazi
verdi che incorniciano un paesaggio di laghi e riviere, vil- lette dei
quadri dirigenti, innumerevoli centri scientifici, culturali e sportivi,
sponsorizzati dalla compagnia. Tuttavia, gli elementi più sorprendenti
rimangono la sua pulizia e l’accesso, notte e giorno, all’acqua
potabile e all’elettricità, un lusso per l’India. L’aria è pulita,
nonostante la presenza delle grandi fabbriche, come quelle di Tata Steel
– che qui viene sempre chiamata Tisco – Tata Motors, Tata Power…
Ma non tutti gli abitanti beneficiano di
quest’elevata qualità di vita. Nonostante si sia estesa, Jamshedpur non
ha ancora un’ammini- strazione pubblica unificata. La parte in affitto –
detta la «città dell’acciaio» che occupa circa un quarto della
superficie dell’agglomerato urbano) – è ancora gestita dai dirigenti di
una società controllata di Tisco. Per questo il contrasto tra questa
zona e il resto della città è sbalorditivo, in termini di strutture e
di infrastrutture. Circa i tre quarti della popolazione, ossia quelli
che non lavorano per la compagnia, non beneficiano di questi vantaggi.
Altra particolarità della multinazionale: il
controllo esercitato ancora oggi dai membri della famiglia attraverso un
sistema di fondazioni caritatevoli. Queste ultime detengono il 66%
delle azioni della holding principale, Tata Sons. Per la loro natura
caritatevole, usufruiscono di notevoli sgravi fiscali, che arrivano fino
all’esenzione totale delle imposte sugli utili. In media, il 10% delle
loro strabilianti entrate è destinato al finanziamento di attività
sociali e ambientali di organizzazioni non governative (Ong), di
strutture sanitarie ed educative, di manifestazioni culturali, di centri
di ricerca… Tutte vetrine della generosità di Tata.
Ogni azienda del gruppo è tenuta a investire una
parte dei propri fondi in attività filantropiche. Questo permette di
ridurre le imposte e queste attività «assicurano un miglior inserimento
della compagnia nel suo ambiente geografico», dichiara Ashok Kumar
Mattoo, che ha lavorato ventidue anni per Tata Steel come responsabile
delle risorse umane e dei servizi sociali. Questo contribuisce all’aura
del gruppo. Così, Tata Steel ha creato una Ong a Jamshedpur, la
Società per lo sviluppo rurale, la cui attività coinvolge più di
seicento villaggi negli stati del Jharkhand e dell’Odisha (ex-Orissa).
Nessuno ha dimenticato la Nano, l’auto più economica del mondo
Altre pratiche contribuiscono ad alimentare il mito.
Nel 2002, quando un dissesto ha colpito la sua società finanziaria,
sull’orlo del crollo, Ratan Tata si è assunto pubblicamente l’impegno
di risarcire fino all’ultimo centesimo i clienti, per lo più privati
che rischiavano di perdere i propri risparmi. Promessa mantenuta al
costo di circa 700 milioni di euro. Paradossalmente, una minaccia per
l’immagine del gruppo ha rafforzato la sua notorietà (3).
Tata investe anche sulla realizzazione di prodotti
destinati alle famiglie a basso reddito, come la famosa invenzione di un
apparecchio domestico per filtrare l’acqua venduto alla modica cifra di
1.000 rupie (circa 14 euro) – dal valore inestimabile in un paese in
cui centinaia di migliaia di famiglie non hanno accesso all’acqua
potabile – o l’ideazione, a seguito dello tsunami del 2004, di un
sistema di allerta meteo per i pescatori. Ma l’esempio più emblematico
riguarda la Nano: la leggenda vuole che Ratan Tata, guardando una
famiglia di quattro persone su uno scooter, mezzo di trasporto tanto
comune quanto pericoloso, abbia disegnato la carrozzeria di una macchina
attorno a due ruote, chiedendo poi agli ingegneri di Tata Motors di
produrla al prezzo di 1.300 euro.
Questa gestione paternalista e un sistema sindacale
di stampo familiare sono all’origine della mancanza di grandi conflitti
sociali. Le aziende del gruppo, che funzionano in maniera autonoma,
dispongono di un proprio consiglio di amministrazione e di un sindacato
interno. I lavoratori (eccetto i quadri) sono vivamente incoraggiati –
quasi obbligati – a iscriversi al sindacato. Parallelamente, esiste una
cultura di consultazioni e trattative. Le questioni relative alle
condizioni di lavoro e al salario sono competenza dei comitati
consultivi interni. Negli ultimi anni, si conta un esiguo numero di
movimenti rivendicativi, come nel 1988 alla Tata Motors per un aumento
salariale e il reintegro di un sindacalista licenziato (solo il primo è
stato accolto), poi alla Titan Industries (azienda di orologi,
occhiali…) nel 2003 contro il tentativo di modulare i salari in funzione
della produttività.
Un sindacato di stampo familiare è obbligatorio e… accomodante
Il tempo del paternalismo generoso sembra passato. È
l’ora della globalizzazione, delle ristrutturazioni e della riduzione
del costo del lavoro. Ovunque la direzione ottiene un «abbassamento dei
costi produttivi» senza toccare i salari dei lavoratori fissi, ma
aumentando il ricorso a precari e la produttività. A titolo di esempio,
presso la sede indiana di Tata Steel gli effettivi si sono ridotti
della metà, passando dai 77.448 del 1994 ai 36.199 del 2013. Sono stati
incoraggiati i pensionamenti e le dimissioni volontarie. Come ci
racconta un lavoratore di Tisco che vuole mantenere l’anonimato, il
primo piano di ristrutturazione degli anni 1990, a Jamshedpur, proponeva
di mantenere il salario mensile invariato fino ai 60 anni, escludendo
però gli adeguamenti legati all’inflazione (tra il 12% e il 15% annui).
In caso di decesso, la quota era trasferita alla famiglia. Ben presto,
si sono susseguiti altri piani, molto meno vantaggiosi. Inoltre, sono
stati cancellati alcuni diritti precedentemente acquisiti, come la
clausola sull’assunzione di un membro della famiglia dopo il
pensionamento di un lavoratore, introdotta da JRD Tata nello statuto
dell’azienda nel 1968. Questi piani sono stati negoziati dai diri- genti
di Tata Workers Union (Twu), ricchissimo sindacato unico di Tata Steel,
che dispone di un fondo sociale per gli iscritti e le loro famiglie.
Nella sede del Twu, un bell’edificio a due piani, climatizzato, posto
nel centro città, i responsabili sindacali ci spiegano come questi
piani fossero «inevitabili per la sopravvivenza dell’azienda».
Nel 2008, sempre con l’assenso del sindacato, la
direzione ha deciso di lasciare il Comitato nazionale per la
metallurgia, che negozia i salari di categoria a livello nazionale. Nel
2010, Tata Steel ha contrattato una revisione della scala
retributiva. Anche se l’indennità di carovita è inclusa nei salari
base, l’accordo prevede che nuove assunzioni di operai, quadri intermedi
e ingegneri si facciano su una nuova scala retributiva che riduce del
25% la paga. La loro indennità di carovita non è più indicizzata
sull’infla- zione, che rimane tuttavia molto elevata. Anche le altre
indennità (alloggio, trasporto, lavoro notturno, ecc.) sono state
ridotte. Tanto che, per la stessa mansione, i lavoratori percepiscono
una retribuzione diversa, in base alla data di assunzione. Quando gli
chiediamo perché il sindacato ha accettato un simile passo indietro, i
responsabili sindacali attuali puntano il dito contro la precedente
direzione senza tuttavia mettere in discussione quel che è stato
firmato, sostenendo che Tata avrebbe tagliato «solo» il 20% delle
conquiste storiche. L’orgoglio di appartenere a Tisco Jamshedpur fa il
resto.
Anche se alcuni dei lavoratori incontrati contestano
questi compromessi, la creazione di un altro sindacato non sembra
possibile. «All’assunzione, assicura uno di loro, siamo obbligati a
iscriverci a questo sindacato, è una regola implicita. Del resto, tutti
gli operai fissi ne sono membri. A volte capita che dei militanti del
Centre of Indian Trade Unions [Citu, sindacato legato al Partito
comunista indiano marxista] distribuiscano dei volantini all’uscita
della fabbrica. Ma guai se ci vedono vicino a loro; potrebbe costarci
una sospensione…» E subito aggiunge: «Anche se alcuni dei diritti che
abbiamo acquisito sono – e potranno essere – intaccati a causa
dell’attuale clima di liberalizzazione economica, Tisco manterrà molte
delle conquiste del secolo scorso che hanno assicurato, a noi e alle
nostre famiglie, la qualità di vita di oggi…». Come che sia, sono in
molti a crederlo.
Tisco ricorre sempre più alla manodopera fornita da
un intermediario indipendente, una sorta di agenzia interinale. Questi
lavoratori a chiamata non sono protetti dal Twu e non beneficiano dei
vantaggi riservati ai dipendenti fissi. Eppure, nonostante le condizioni
preferiscono lavorare per questa azienda. Incontrato all’uscita dalla
fabbrica, uno di loro, un uomo sulla trentina, i cui padre e nonno hanno
lavorato lì fino alla pensione, ce ne spiega la ragione: «Sono sicuro
che avrò la mia paga alla fine del mese, ho diritto alla mensa
aziendale, ho una copertura malattia, e i rapporti di lavoro sono
comunque migliori che altrove…». Questi interinali non ricevono che il
salario minimo fissato dallo stato, di quattro o cinque volte inferiore a
quello dei dipendenti stabili, e non sono tutelati dal codice del
lavoro in materia di licenziamento. Non sorprende quindi che il loro
numero sia in costante aumento, tanto da raggiungere nella sola
Jamshedpur la cifra di dodicimila unità.
In altre aziende, come alla Tata Consultancy Services
di servizi informatici, fondata nel 1968 e diventata il gioiello più
redditizio del gruppo in cui lavora il 60% degli effettivi, neanche i
dipendenti fissi sono al sicuro dai licenziamenti. Privi di
un’organizzazione sindacale di riferimento, possono, nonostante l’alta
qualifica professionale, essere sbattuti fuori con un preavviso di un
mese soltanto.
Le critiche più virulente riguardano le attività di
Tata nelle regioni boschive, ricche di minerali, abitate da una
popolazione molto povera, costituita da tribù (abitanti autoctoni) e da
paria. Un’altra società controllata del gruppo, Amalgamated
Plantations Private Limited (Appl), è sul banco degli imputati per aver
attentato ai diritti degli operai in alcune piantagioni di tè
dell’Assam e del Bengala occidentale. La manodopera, in prevalenza
femminile, è reclutata tra le popolazioni tribali e i dalit. L’Appl,
che conta tra i suoi azionisti uno organismo della Banca mondiale (la
Società finanziaria internazionale, Ifc), è accusata di non rispettare
il codice del lavoro, di non fornire le attrezzature di protezione, di
ricorrere alla violenza… Dopo la denuncia delle Ong, non sono ancora
stati resi noti i risultati dell’inchiesta ufficiale (4).
Tuttavia, dobbiamo constatare che queste controversie
trovano poco risalto nei grandi media indiani, anche se le associazioni
militanti e i circoli universitari si interessano attivamente a queste
lotte. Con i suoi spot pubblicitari «Jaago Re!» (Svegliatevi!), Tata Tea
rimanda agli indiani un’immagine positiva in cui non si trova traccia
della triste situazione dei diritti dell’uomo nelle sue piantagioni.
Dal 2012, non è più un Tata a dirigere il gruppo
Ben più pregiudizievole per Tata è che il suo nome
venga associato alla lunga lista di scandali legati all’ultimo governo
di centro sinistra di Manmohan Singh (2009-2014): irregolarità
nell’assegnazione delle licenze di telecomunicazione e divulgazione di
«Radia tapes» – pubblicazione di conversazioni telefoniche sui
collegamenti tra imprenditori, politici, istituzioni pubbliche e media.
Si parla di tangenti che coinvolgerebbero Tata Motors nel mercato
pubblico di autobus nel Tamil Nadu e Tata Steel nell’ottenimento di una
licenza per lo sfruttamento di una miniera di ferro nel Jharkhand (5).
Le indagini sono tuttora in corso. A questo si aggiungono controversie
con il fisco che riguardano alcune delle sue società, tra cui Apex
Investments, con sede all’isola di Mauritius, paradiso fiscale.
Eppure, l’opinione pubblica continua ad avere un’alta
considerazione del gruppo. Ma quanto durerà? Dal 28 dicembre 2012, non
è più un Tata a dirigere la multinazionale, bensì Cyrus Pallonji
Mistry, una novità nella storia del gruppo. Suo padre detiene il 18%
delle azioni di Tata Sons e sua sorella ha sposato Noel Tata,
fratellastro di Ratan Tata, che ha ceduto il suo posto di amministratore
delegato. Il cambiamento non è quindi così radicale. Nel luglio 2014,
il nuovo patron ha reso noto il suo piano fino al 2025 che prevede un
investimento di 35 miliardi di dollari nel corso dei prossimi tre anni
per «consolidare ed estendere» l’impero.
Jyotsna Saksena
(1) Cfr. Amiya Bagchi, «JRD Tata 1904- 1993», Economic and Political Weekly, vol. 28, n° 52, Mumbai, 25 dicembre 1993.
(2) M. Lala, The Creation of Wealth, Penguin India, New Delhi, 2004.
(3) Morgen Witzel, The Evolution of a Corporate Brand, Penguin India, 2010.
(4) Max Bearak «Hopes, and homes, crumbling on tea plantations», The Hindu, New Delhi, 17 febbraio 2014.
(5) «2G scam: Fresh probe by CBI into Tata-Unitech deal», 13 agosto 2014, www.business-standard.com; «Radia tapes», www.hindustantimes.com
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