Oggi si tiene a L’Aquila la quinta udienza del processo
contro Nadia Lioce, prigioniera politica rivoluzionaria da 13 anni in
regime di 41bis presso la sezione femminile speciale delle Costarelle
(AQ).
Le
vengono contestate delle battiture (effettuate due volte a settimana
al termine di ogni perquisizione, con una bottiglietta di plastica e
della durata di mezz’ora l’una) iniziate a marzo del 2015 a
seguito della sottrazione di materiale cartaceo, corrispondenza e
atti giudiziari. Nadia concluse la sua protesta nel settembre del
2015 quando il materiale le fu parzialmente riconsegnato.
Per
quelle battiture lo Stato ha già condannato Nadia in via
pregiudiziale: il 6 settembre 2016 le ha prorogato per altri 2 anni
il regime di 41 bis, nonostante questo regime detentivo
ultrarestrittivo non abbia più fondamento di proseguire, né per
lei, né per gli altri prigionieri delle BR-PCC, dato che questa
organizzazione è stata smantellata nel 2003.
Per
quelle battiture lo Stato ha inflitto a Nadia, in soli 3 mesi, una
settantina di provvedimenti disciplinari, condannandola a 2 anni di
isolamento totale. Una “vessazione continua”, come fecero
osservare i suoi legali alle scorse udienze. Ma allora perché
trascinarla in tribunale?
Il
pretesto non può essere solo il reato contravvenzionale, con
addebito a Nadia Lioce di presunti “danni” provocati da una
bottiglietta di plastica vuota sulla porta blindata della cella.
In
ballo c’è la dignità, personale e politica di Nadia Lioce, e con
essa di tutti i prigionieri che si
ribellano a condizioni di vita
inumane e degradanti. In ballo c’è il diritto di parola, di
espressione del pensiero, il diritto di denuncia, di manifestazione
del dissenso. E questo non solo dentro, ma anche fuori del carcere.
Ed è per questo che il processo a Nadia Lioce e la campagna per la
sua liberazione, contro il carcere e il 41 bis, riguarda tutte e
tutti noi.
Nelle
intenzioni dello Stato, questo processo a Nadia deve servire a
dimostrare che la persecuzione di una brigatista è legittima e che
la sua protesta, anche se attuata in forma pacifica, è sintomatica
della «sua indole rivoluzionaria» e della sua «pericolosità
sociale», perciò suscettibile di ulteriori sanzioni disciplinari,
come l’applicazione della misura dell’isolamento punitivo (14 bis
Op).
Ma
nelle intenzioni di Nadia, che ha fatto opposizione al decreto penale
di condanna, e anche nelle nostre, questo processo deve servire, e in
parte lo ha già fatto, a far emergere la “parola segregata”.
«La
“parola”, ovvero quella facoltà innata del genere umano che
storicamente presso un po’ tutte le civiltà ne tipicizza la
dignità rispetto alle altre specie animali, viene criminalizzata in
sé stessa … verso chiunque altro “consentisse” al detenuto in
41 bis di “comunicare” con “l’esterno”… la previsione
legislativa del 2009 è l’incriminazione penale» (della
memoria difensiva di Nadia Lioce, 24 nov. 2017)
Dal
2005 ad oggi, Nadia Lioce ha assistito ad una progressiva restrizione
del regime detentivo cui è sottoposta. In particolare dal 2011, da
quando cioè è stato introdotto il divieto, per i detenuti in 41
bis, di ricevere libri e riviste dall’esterno (divieto confermato
dalla circolare del 2 ottobre 2017), le restrizioni hanno preso di
mira la possibilità di leggere, studiare, pensare, scrivere,
parlare, salutare. Un’ora di colloquio mensile con vetro divisorio
e non più di 15-18 ore annue di confronto con i propri avvocati,
sono il tempo di conversazione disponibile che Nadia Lioce riesce a
consumare nell’arco di quattro stagioni, poco più di 24 ore di
parola, per un silenzio lungo 364 giorni.
Mentre
nel 2013, con la sentenza Torreggiani che ha condannato l’Italia
per violazione dell’art. 3 della CEDU, le condizioni materiali di
detenzione di Nadia Lioce hanno subito un adeguamento - la cella
singola in cui è reclusa è di normale grandezza, sufficientemente
luminosa ed areata e può fare l’ora d’aria in un passeggio
grande ed attrezzato - sono le deprivazioni immateriali e sensoriali
che definiscono adesso il moderno regime di tortura bianca cui è
sottoposta.
Ma
le famigerate celle 2 metri per 2 e la vasca di cemento per l’ora
d’aria, 3 metri per 3, che hanno “ospitato” Nadia ed altre 6
detenute in 41 bis nel carcere aquilano, non sono andate certo
dismesse! Adesso sono “riservate” alle donne detenute in Alta
sicurezza, che di fatto sono sottoposte al regime di 41 bis, sepolte
vive in quei tuguri, senza neanche il “privilegio” di far
conoscere la loro condizione in un’aula di tribunale.
Il
processo a Nadia Lioce è quindi anche un’occasione, per chi si
batte contro il carcere e il regime di tortura del 41 bis, di
conoscere e di far emergere, dalla tomba in cui sono sepolte, le
“parole segregate”, le afflizioni, le contraddizioni, le lotte
che attraversano la struttura carceraria e che si rovesciano,
inevitabilmente, su quella sociale.
Partecipando
all’udienza per Nadia Lioce del 4 maggio scorso ad esempio, abbiamo
appreso che da marzo di quest’anno l’intera sezione maschile in
41 bis del carcere dell’Aquila ha avviato una battitura di protesta
contro il divieto di tenere la televisione accesa oltre la
mezzanotte, tanto che l’avvocata di Nadia, Caterina Calia, ha
chiesto se si intendesse trascinare in aula anche tutti gli altri
detenuti per il medesimo reato (sono 147 i detenuti uomini ristretti
in 41 bis nel carcere aquilano).
Naturalmente
il processo a Nadia Lioce non è un processo come tutti gli altri,
perché è un processo a una prigioniera politica rivoluzionaria
irriducibile, che lo Stato tiene in ostaggio con una misura non più
“emergenziale”.
A
Nadia Lioce viene richiesta esplicitamente “un’abiura politica”
come prezzo da pagare per una detenzione “normale”. L’abiura
politica e il silenzio, non solo suo, ma di chiunque provi a
denunciare le condizioni di vita dei prigionieri in 41 bis, a
solidarizzare con le loro lotte, ad affermare che contro le
ingiustizie “Ribellarsi è giusto”.
A
svelare il senso stesso del 41 bis, basterebbero le motivazioni
accampate dai governi per rendere permanente questo regime speciale
ai prigionieri politici. E questo al di fuori e al di sopra della
nostra Carta Costituzionale e delle raccomandazioni dei vari
organismi europei e internazionali contro la tortura. Nel decreto
ministeriale di proroga del 41 bis a Nadia si
legge ad esempio che “un’eventuale
mancata proroga del regime detentivo speciale, nei confronti della
detenuta Lioce, potrebbe essere interpretata dal variegato movimento
protagonista delle iniziative di solidarietà, come un attestato
dell’efficacia della campagna di sostegno condotta”.
Sempre nel decreto si tira in ballo la crisi,
agitando lo spettro della rivoluzione: "Sussiste
un concreto pericolo che la Lioce, attestata su posizioni di
irriducibilità, ancora titolare di indiscusso carisma in ambito
carcerario ed in contesti di eversione di sinistra, intrattenendo
contatti ordinari con l'esterno, possa contribuire a generare
propositi di attentato alla sicurezza dello Stato. Del resto il
perdurare nel nostro Paese di una situazione di recessione
socio-economica risulta potenzialmente favorevole a dare concretezza
ad un messaggio rivoluzionario, che si potrebbe tradurre in
iniziative simboliche e funzionali alla propaganda armata".
Come
si evince da questo decreto, è la ripresa
della capacità rivoluzionaria della classe,
quella che preoccupa oggi lo Stato e che “giustificherebbe” il 41
bis per i prigionieri politici. Una potenzialità rivoluzionaria che
sarebbe certo favorita dalla crisi che questo stesso sistema
capitalistico ha generato, scaricando sulle masse il prezzo di uno
sviluppo diseguale, sui giovani, le donne, i lavoratori e i proletari
maggiore sfruttamento e repressione, sui migranti le sue guerre
imperialiste e di rapina, le sue morti in mare. Una potenzialità
rivoluzionaria che la politica dell’attuale governo
fascio-populista, in continuità con i governi che lo hanno
preceduto, ma questa volta senza troppi orpelli “democratici” e
in palese violazione della Costituzione nata dalla Resistenza, si
affretta a scongiurare a suon di taser, daspo, sgomberi,
respingimenti, istigazione all’odio razziale, ecc...
Il
41 bis per i prigionieri politici rivoluzionari è dentro la
repressione che questo Stato sta portando avanti da tempo e che
colpisce praticamente ogni movimento di lotta. E
la detenzione inutilmente persecutoria verso Nadia Lioce sta a
rappresentare, simbolicamente, tutto questo.
Oggi
la battaglia per Nadia Lioce, contro il 41 bis, deve continuare ad
allargarsi sempre di più a livello di massa ed essere
parte integrante della necessaria lotta contro la repressione,
lo Stato di polizia e il moderno fascismo.
Per
questo sosteniamo la mobilitazione del 28 settembre a L’Aquila, e
proponiamo una più larga iniziativa al Ministero della Giustizia,
contro i provvedimenti governativi su rafforzamento ed estensione
del 41bis e di altre misure restrittive della libertà personale,
contro l’inasprimento delle condizioni carcerarie, la repressione,
la tortura di Stato e la chiara persecuzione, anche pregiudiziale,
verso Nadia Lioce.
Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario
mfpr.naz@gmail.com
blog: http://femminismorivoluzionario.blogspot.com/
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