GENOVA - Folla per la proiezione "clandestina" del film di Alessandro Cremonini
Alla fine Stefano Cucchi muore, e anche se la sua storia la conoscono tutti, eccome se la conoscono tutti, a parecchi vengono gli occhi lucidi, una ragazza singhiozza e uno sconosciuto seduto accanto a lei la consola.
La proiezione pubblica di venerdì scorso del film Sulla mia pelle - regia di Alessandro Cremonini e una recitazione incredibile, perfetta, di Alessandro Borghi - è stata un successo che può apparire inspiegabile. La piazza Vittime di tutte le mafie, dietro la facoltà di Giurisprudenza, era strapiena. Forse 300, 400 persone, la maggior parte sedute per terra, pazienza per la scomodità: non è volata una mosca per oltre un'ora e mezzo. E pensare che l'organizzazione dell'evento, gestita dai ragazzi del centro sociale Aut aut 357, era partita malino. Nel senso che Facebook aveva rimosso l'evento, su richiesta di Netflix e Lucky Red ( "intenzionate a tutelare i propri profitti sulla memoria di Stefano, hanno segnalato l'appuntamento ai gestori del social network l'evento facendolo oscurare; la stessa cosa è accaduta a molte altre realtà sociali che hanno organizzato visioni collettive del film", spiegavano dal centro sociale).
Ma il caro vecchio passaparola ha fatto il suo dovere. E quindi, come si faceva una volta: una specie di cineforum, con due
interventi iniziale e uno finale. Per spiegare il film, "per costruire un pezzo di memoria comune sull'omicidio di Cucchi", certo, ma più che altro tutto quello che ci gira intorno. Ovvero un'idea alternativa di legalità, sicurezza, partecipazione, stare al mondo. "Crediamo in un modo diverso di vivere le città, le strade sicure si ottengono con le piazze piene di socialità, dove le persone si incontrano non solo per consumare ma semplicemente per stare insieme", spiegava un ragazzo con la maglietta rossa dal microfono, Luca, del collettivo Aut. Mentre la piazza si riempiva, gente che è arrivata portandosi la sedia da casa, tantissimi under 30, per una volta più numerosi degli "over" in una iniziativa politica e culturale, dalle casse risuonava Fabrizio De André: "Mi cercarono l'anima a forza di botte... E se furon due guardie a fermarmi la vita, è proprio qui sulla terra la mela proibita, e non Dio, ma qualcuno che per noi l'ha inventato, ci costringe a sognare in un giardino incantato", quanto mai in tema.La proiezione pubblica di venerdì scorso del film Sulla mia pelle - regia di Alessandro Cremonini e una recitazione incredibile, perfetta, di Alessandro Borghi - è stata un successo che può apparire inspiegabile. La piazza Vittime di tutte le mafie, dietro la facoltà di Giurisprudenza, era strapiena. Forse 300, 400 persone, la maggior parte sedute per terra, pazienza per la scomodità: non è volata una mosca per oltre un'ora e mezzo. E pensare che l'organizzazione dell'evento, gestita dai ragazzi del centro sociale Aut aut 357, era partita malino. Nel senso che Facebook aveva rimosso l'evento, su richiesta di Netflix e Lucky Red ( "intenzionate a tutelare i propri profitti sulla memoria di Stefano, hanno segnalato l'appuntamento ai gestori del social network l'evento facendolo oscurare; la stessa cosa è accaduta a molte altre realtà sociali che hanno organizzato visioni collettive del film", spiegavano dal centro sociale).
Ma il caro vecchio passaparola ha fatto il suo dovere. E quindi, come si faceva una volta: una specie di cineforum, con due
Va detto che tecnicamente la proiezione non era legale ma "clandestina", però insomma, "la visione di una piazza piena e accomunata da un sentire collettivo valeva qualsiasi violazione", ragionava uno degli organizzatori a fine proiezione. La famiglia Cucchi, poi, si è detta favorevole a questo tipo di iniziative, conta più la memoria.
Genova, la polizia, le violenze: subito il pensiero è andato al G8, il filo rosso che lega la città a una storia come quella di questo ragazzo romano tratto in arresto e morto sotto la tutela dello Stato, era il 2009; la verità è sotto gli occhi di chiunque voglia vederla, e il film non fa sconti a nessuno, ma non sempre la verità si trasforma in giustizia, la pietà in salvezza, non sempre la legge è uguale per tutti. L'epilogo quindi lo sapevano anche i muri, eppure l'effetto finale è fortissimo, si arriva a sperare che la storia no, almeno lì finisca in modo diverso, Stefano si salvi, esca dall'ospedale e dica al mondo intero cosa è accaduto e per colpa di chi. "C'è un problema strutturale di violenza in divisa nel nostro Paese - era stata l'introduzione di Roberta, una attivista veneta dell'Acad, l'associazione contro gli abusi delle forze dell'ordine - e la legge contro la tortura approvata dallo scorso governo è stata svuotata di qualsiasi senso".
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