Come per il caso Eternit, un altro
procedimento per disastro ambientale finisce nel nulla per l'estinzione del
reato. Imputati otto ex dirigenti del gruppo chimico. Il pm parla di lacune
nelle indagini. Il movimento "No Eni": I nostri morti non meritano
questo
di Lucio Musolino | 11 settembre 2015
Accompagnata dalle assoluzioni per i reati
di omicidio colposo, la prescrizione sta diventando una costante dei processi
per disastro ambientale. Come è stato per l’inchiesta
“Eternit”, conclusa l’anno scorso con la Cassazione che ha
annullato senza rinvio le condanne della Corte d’Appello di Torino, anche
il Tribunale di Crotone ieri ha assolto gli otto imputati del processo a carico
dei dirigenti dell’ex
stabilmento Montedison, accusati della morte di
alcuni operai che, secondo l’accusa, sarebbe stata determinata dalle
polveri di amianto.
Sul banco degli imputati c’erano
Maurizio Aguggia (81 anni) di Spinetta Marengo, Giancarlo Savorelli (86 anni)
di Buccinasco, Giuseppe Agliata (82 anni) di Cavallasca, Luigi Ferretti (73
anni) di Milano, Dario Capozzi (82 anni), Giulio Verri (74 anni) di Crotone,
Alfonso Pezziniti (77 anni) e Ottorino Sapere (64 anni) di Crotone. Tutti hanno
lavorato nella fabbrica tra il 1974 e il 1997, quando l’impianto è stato
definitivamente chiuso facendo svanire qualsiasi velleità industriale della
città di Crotone.
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Nel corso della requisitoria, il pubblico
ministero Francesco Carluccio aveva chiesto l’assoluzione di tutti per
l’accusa di disastro ambientale e per tre casi di omicidio colposo. Per
la morte degli ex operai Giuliano Ussia e Tommaso Quaranta, invece, la Procura
aveva chiesto la condanna di Maurizio Aguggia e Giuseppe Agliata a 2 anni e 6
mesi di carcere, e di Giancarlo Savorelli, Giulio Verri e Ottorino Sapere a 2
anni e 10 mesi.
Anche questo reato, però, non è stato
riconosciuto dalla giudice del Tribunale di Crotone Bianca Maria Todaro che,
dopo tre ore di camera di Consiglio, ha dichiarato la prescrizione per
l’accusa di disastro ambientale e ha assolto gli imputati: cinque ex direttori
dello stabilimento, un funzionario, un capo reparto e un medico.
Si chiude così il processo all’ex
Montedison, dopo che il pm Carluccio in aula ha puntato il dito contro chi, in
passato, ha condotto le indagini in modo lacunoso e ha ricordato le conclusioni
dei periti del Tribunale secondo i quali è impossibile determinare con criteri
scientifici se la dispersione delle fibre di amianto possa aver contaminato
l’aria adiacente allo stabilimento.
E poco importa se il tasso di malati di
tumore è tra i più alti d’Italia e se, già nel 2001, un decreto del
ministero dell’Ambiente aveva classificato la città calabrese come sito
di interesse nazionale per l’inquinamento ambientale e, per questo,
l’aveva inserita tra le zone da bonificare.
Assieme all’ex Pertusola, infatti,
l’ex stabilimento Montedison oggi rappresenta il grande
“mostro”, un’area che per oltre 70 anni ha illuso Crotone
facendole credere di essere la
“Torino del Sud”, ma che ha contaminato in
maniera gravissima il territorio dove si lavoravano zinco, cadmio, piombo, rame
e arsenico.
“Questo processo si deve rifare
– ha commentato Pietro Infusino, coordinatore del movimento “No
Eni” che da anni si batte per la bonifica dell’area industriale
crotonese – I nostri morti meritano almeno questo. Non dobbiamo avere
paura. Le persone che decidono sono esseri umani come noi, anche loro possono
sbagliare. Presto lanceremo la proposta per contestare l’intera
impalcatura di questo processo”.
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