Scuola, a Bologna il tempo
pieno lo finanzia Unindustria. Proteste docenti e famiglie: “Privati decidono
didattica”
L'unione degli industriali di Bologna lancia il
progetto da 500mila di euro. Coprirà tredici ore a settimana in cinque classi
della provincia durante le quali saranno attivati: lezioni di inglese,
laboratori tecnici, supporto allo studio ed educazione alla cittadinanza. Tante
le polemiche: "Piano mai sottoposto agli insegnanti"
Per gli insegnanti è un esempio di come sarà la scuola
secondo i comandamenti della riforma Renzi–Giannini: “I privati ci mettono i
soldi, e gli istituti perdono la facoltà di decidere della formazione degli
studenti”. Il progetto in questione, che già a maggio, quand’era stato
presentato, aveva sollevato più di una perplessità tra professori e genitori, è
quello di Unindustria: in cinque classi prime di quattro Comuni della
provincia di Bologna,
cioè Calderara, Bentivoglio – San Giorgio di Piano, e San Lazzaro, l’associazione delle imprese finanzierà, con mezzo milione di euro, il tempo pieno alle medie. Tredici ore di scuola la settimana, durante le quali i ragazzi dovranno seguire lezioni di inglese, laboratori tecnici, supporto allo studio e cinque ore di educazione alla cittadinanza. Un’iniziativa, spiega a Farete, il salone delle imprese, Alberto Vacchi, numero uno di Unindustria di Bologna, che trasforma il calendario scolastico dei ragazzi in cinque giorni a tempo pieno, istituzione scomparsa con i tagli alla scuola effettuati dagli ultimi governi, potenziando le discipline linguistiche e laboratoriali, “e fornendo risposte concrete alla scuola con risorse nostre”. Ma che per i docenti, i primi a esprimere perplessità sul progetto, “è un modo, per i privati, di introdursi nella didattica scolastica, togliendo di fatto alle scuole la possibilità di decidere della formazione e dell’educazione degli studenti”. Mirco Pieralisi, consigliere comunale di Sel nonché insegnante, e marito di una docente tra le più critiche nei confronti del progetto, non ha dubbi: “Al di là del caso singolo, relativo alle scuole del bolognese, a preoccupare è il metodo. In piena armonia con la Buona scuola del premier Matteo Renzi, questo è un esempio di come i privati subentreranno laddove lo Stato non riesce ad arrivare a causa dei tagli alle risorse.
Il
problema è che non solo Unindustria impone così alla scuola la sua filosofia
imprenditoriale, ma il progetto non è mai stato sottoposto al vaglio dei
docenti, e per quanto le risorse siano importanti, gli industriali non sono
pedagogisti”. Così, del resto, prevederebbe la normativa vigente. “Il collegio
dei docenti avrebbe dovuto potersi esprimere sull’iniziativa – spiega Francesca
Ruocco, segretaria della Flc-Cgil di Bologna – mentre a Calderara è stato
votato solo dagli insegnanti delle medie, ottenendo il via libera con un solo
voto di scarto, e a San Giorgio di Piano e Bentivoglio non è nemmeno stato
votato”. In più, ed è un’altra delle obiezioni mosse dai professori, “così si
anticipa troppo il momento in cui i ragazzi scelgono quale futuro
intraprendere: se continuare a studiare, o iniziare la formazione al lavoro”.
Il modello tedesco, insomma, che avvia alla professione gli studenti fin dalla
giovane età. “Ma 10 o 11 anni sono pochi per operare una decisione simile –
sottolinea Ruocco – rischiamo che si verifichi un incanalamento precoce di
bimbi verso percorsi tecnici, quando dal punto di vista pedagogico non è l’età giusta
per fare una scelta simile relativa al futuro”. “Un numero di ore così elevato
dedicate alla tecnica sembra riproporre la scuola dell’avviamento istituite nel
1928” è l’obiezione anche di Adriana L’altrelli, professoressa a
Calderara. “E poi parliamo di ore continue a scuola senza che ci siano gli
spazi adeguati, laboratori in aule anguste, dove 27 bambini devono rimanere
fino alle 17.30”. Gli insegnanti, tra l’altro, avevano quantomeno chiesto di
conoscere le competenze degli educatori che seguiranno i ragazzi nelle ore
previste dal progetto, “ma la nostra richiesta – precisa L’altrelli – è stata
respinta”. Né c’è la possibilità, per i genitori, di scegliere volontariamente
se far aderire i figli: “Se i ragazzi sono nelle classi scelte, devono partecipare
ai laboratori, se sono in altre classi, non possono, nemmeno se lo desiderano –
continua Ruocco – noi come sindacato non siamo contrari ai progetti
integrativi, ma bisogna stare attenti che il privato non si sostituisca a ciò
che il pubblico toglie in termini di tempo scolastico”. In questo caso il tempo
pieno e prolungato alle medie, vittime delle riforme della scuola passate e
presenti. “Lo Stato negli ultimi lustri ha finito per dismettere un servizio
scolastico che prima era affidato a insegnanti titolari. Solo che il bisogno
formativo e sociale, quello legato all’accudimento dei ragazzi mentre, ad
esempio, i genitori sono a lavorare, non è venuto meno solo perché lo Stato ha
deciso di tagliarlo”. E qui interviene Unindustria. “L’associazione però, nel
quadro della Buona scuola, non ha semplicemente investito in questi istituti –
continua Pieralisi – lasciando loro la possibilità di decidere dove spendere i
soldi a seconda delle necessità. No, si è fatta carico di pianificare la
didattica. Un paradigma che può essere accattivante a fronte della
disoccupazione giovanile che soffriamo oggi come paese, ma che è anche
pericoloso”.
cioè Calderara, Bentivoglio – San Giorgio di Piano, e San Lazzaro, l’associazione delle imprese finanzierà, con mezzo milione di euro, il tempo pieno alle medie. Tredici ore di scuola la settimana, durante le quali i ragazzi dovranno seguire lezioni di inglese, laboratori tecnici, supporto allo studio e cinque ore di educazione alla cittadinanza. Un’iniziativa, spiega a Farete, il salone delle imprese, Alberto Vacchi, numero uno di Unindustria di Bologna, che trasforma il calendario scolastico dei ragazzi in cinque giorni a tempo pieno, istituzione scomparsa con i tagli alla scuola effettuati dagli ultimi governi, potenziando le discipline linguistiche e laboratoriali, “e fornendo risposte concrete alla scuola con risorse nostre”. Ma che per i docenti, i primi a esprimere perplessità sul progetto, “è un modo, per i privati, di introdursi nella didattica scolastica, togliendo di fatto alle scuole la possibilità di decidere della formazione e dell’educazione degli studenti”. Mirco Pieralisi, consigliere comunale di Sel nonché insegnante, e marito di una docente tra le più critiche nei confronti del progetto, non ha dubbi: “Al di là del caso singolo, relativo alle scuole del bolognese, a preoccupare è il metodo. In piena armonia con la Buona scuola del premier Matteo Renzi, questo è un esempio di come i privati subentreranno laddove lo Stato non riesce ad arrivare a causa dei tagli alle risorse.
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