I robot un’opportunità per i giovani
di Marco Morino Sole24ore
"Non dobbiamo avere paura dei robot. I giovani soprattutto non devono temere i robot. L'impatto dei robot sull'attività industriale più che una minaccia è un'opportunità. Lo è per i giovani, perché la rivoluzione robotica crea nuove professioni che possono permettere ai giovani stessi di esprimere il proprio talento: programmatori, meccatronici e tutte le tipologie di ingegneri. E lo è per le imprese, in particolare per le medium hi-tech italiane, che grazie ai robot possono avviare produzioni più piccole e flessibili e sfruttare al meglio la leva dell'innovazione".
È questa la visione di Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda, sugli effetti prodotti dalla robotizzazione su giovani e lavoro. L'occasione per parlare di un tema attualissimo e sempre affascinante, il confronto tra l'uomo e la macchina, è offerta dall'uscita del numero 68 della rivista Aspenia “Essere umani con i robot”.
«La mia tesi - dice Rocca - è che nell'industria manifatturiera la rivoluzione robotica accompagnerà l'uomo, senza sostituirlo. La mano dell'uomo, guidata dal cervello umano, resteranno al centro del processo produttivo». Per l'industria italiana la robotica può essere un formidabile alleato per migliorare la qualità delle sue produzioni. La sfida è formare i giovani, facendo in modo che possano governare e non subire questa rivoluzione tecnologica.
Siamo pronti a tutto ciò? Secondo Maximo Ibarra no, non lo siamo. Oggi i nostri ecosistemi educativi e formativi non riescono a far emergere nelle scuole e nelle università quei profili di cui abbiamo fortemente bisogno... il ragazzo/a di cui avremo sempre più bisogno nella nostra società, nella nostra economia e nelle nostre aziende, la persona che dovrà giocoforza maturare nell'ambito del nostro nuovo e rigenerato sistema educativo, dovrà essere permeato da un'educazione olistica, aperta, che sappia collegare i fatti, le scienze e le fonti del sapere umano senza pregiudizi e che alimenti costantemente la curiosità. Nuovi modi di lavorare e di collaborare dovranno essere sostenuti alla stessa stregua della flessibilità e duttilità affinché ci si possa adeguare velocemente al cambiamento esponenziale che ci aspetta».
Frammento sulle macchine
Nella traduzione di Renato Solmi
Karl Marx
Finché lo strumento di lavoro rimane, nel senso proprio della parola, strumento di lavoro, così come, storicamente e immediatamente, è accolto e inserito dal capitale nel suo processo di valorizzazione, esso subisce solo una mutazione formale per il fatto che, ora, non appare più solo – dal suo lato materiale – come mezzo di lavoro, ma anche – e nello stesso tempo – come un modo particolare di esistenza del capitale determinato dal processo complessivo di quest’ultimo: come capitale fisso.
Ma, una volta accolto nel processo produttivo del capitale, il mezzo di lavoro percorre diverse metamorfosi, di cui l’ultima è la macchina o, piuttosto, un sistema automatico di macchine (sistema di macchine; quello automatico è solo la forma più perfetta e adeguata del macchinario, che sola lo trasforma in un sistema), messo in moto da un automa, forza motrice che muove se stessa; questo automa consistente di numerosi organi meccanici e
intellettuali, in modo che gli operai stessi sono determinati solo come organi coscienti di esso. Nella macchina, e ancor più nel macchinario come sistema automatico, il mezzo di lavoro è trasformato – nel suo valore d’uso, e cioè nella sua esistenza materiale – in una realtà esterna adeguata al capitale fisso e al capitale in generale, e la forma in cui è stato accolto – come mezzo di lavoro immediato – nel processo produttivo del capitale, è tolta e trasformata in una forma posta dal capitale stesso e ad esso corrispondente.
La macchina non appare in alcun modo come mezzo di lavoro dell’operaio singolo. La sua differentia specifica non è affatto, come nel mezzo di lavoro, quella di mediare l’attività dell’operaio nei confronti dell’oggetto; ma l’attività stessa dell’operaio è posta ora in modo che si limita essa a mediare il lavoro della macchina, l’azione della macchina sulla materia prima; a sorvegliare questa azione e a proteggerla dalle perturbazioni. A differenza dello strumento, che l’operaio anima – come un organo – della sua propria abilità e perizia, e il cui maneggio dipende quindi dalla sua virtuosità. Mentre la macchina, che possiede abilità e forza al posto dell’operaio, è essa stessa il virtuoso, che possiede una propria anima nelle leggi meccaniche in essa operanti e consuma (come l’operaio mezzi alimentari) carbone, olio ecc. (matières instrumentales) per mantenersi continuamente in movimento. L’attività dell’operaio, ridotta a una semplice astrazione di attività, è determinata e regolata da tutte le parti dal moto del macchinario, e non viceversa. La scienza, che costringe le membra inanimate del macchinario – grazie alla costruzione in cui sono inserite – ad agire funzionalmente come un automa, non esiste nella coscienza dell’operaio, ma agisce – attraverso la macchina – come un potere estraneo su di lui, come il potere della macchina stessa. L’appropriazione del lavoro vivo ad opera del lavoro oggettivato – della forza o attività valorizzante ad opera del valore dotato di esistenza propria –, che è nel concetto stesso del capitale, è posta – nella produzione basata sulle macchine – come carattere del processo produttivo stesso, anche nei suoi elementi materiali e nel suo movimento materiale...
...L’accumulazione della scienza e dell’abilità, delle forze produttive generali del cervello sociale, rimane così – rispetto al lavoro – assorbita nel capitale, e appare quindi come proprietà del capitale, e più precisamente del capitale fisso, nella misura in cui esso entra nel processo produttivo come mezzo di produzione vero e proprio...
Dai Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie [Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica], Dietz Verlag, Berlin 1953, pp. 583-594.
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