Pubblichiamo stralci di una lettera (apparsa ieri su La Repubblica) di una insegnante, attiva nelle lotte che ci sono state nei mesi scorsi, perchè espressione di tanti, tante insegnanti che non hanno accettato di firmare la domanda di assunzione.
Pensiamo che occorreva e occorre una indicazione generale in questa difficile fase, per rispondere in maniera collettiva alla trappola/ricatto individuale che il governo Renzi ha posto; un'indicazione da parte dei sindacati di base e organismi autorganizzati dei lavoratori della scuola, che hanno diretto e avuto un ruolo nella mobilitazione di questi mesi, frutto del bilancio della lunga lotta e in legame con il sentire degli stessi lavoratori, lavoratrici.
DALLA LETTERA:
"...ho
44 anni e faccio con passione l'insegnante pendolare da 13. Insegno
Latino, Greco e materie letterarie nei licei classici della provincia
di Napoli, e poche volte ho lavorato a meno di 25 chilometri da casa.
Sono laureata e abilitata con il massimo dei voti e ho conseguito un
dottorato di ricerca in Filologia. Sono iscritta in graduatorie che
per legge sono provinciali, non nazionali, e ho pieno titolo
all'assunzione.
Da 13 anni accumulo punteggio lavorando da "ultima arrivata", con studenti, colleghi, dirigenti sempre diversi, e con meno diritti (niente ferie, niente scatti stipendiali)...
"Deportare" è una parola forte, è vero, ma è affiorata spontaneamente alle labbra di lavoratori precari da dieci o addirittura venti anni, con alle spalle peregrinazioni in varie
regioni e grandi sacrifici, sia
per l'aggiornamento (a carico nostro) che per la maturazione di un
punteggio che ora viene azzerato e vanificato...Da 13 anni accumulo punteggio lavorando da "ultima arrivata", con studenti, colleghi, dirigenti sempre diversi, e con meno diritti (niente ferie, niente scatti stipendiali)...
"Deportare" è una parola forte, è vero, ma è affiorata spontaneamente alle labbra di lavoratori precari da dieci o addirittura venti anni, con alle spalle peregrinazioni in varie
La "fase" in cui la maggior parte dei precari rientra, infatti, me compresa, è quella in cui si viene assunti non da docenti, ma da "personale-jolly" e tuttofare, che il dirigente onnipotente utilizza a piacimento. Non solo. L'incarico che viene offerto ai precari dura solo tre anni e comporta l'obbligo di fare ulteriore domanda di trasferimento presso scuole del nuovo comprensorio in cui ci si verrà a trovare, con tanti saluti alla continuità. E dopo? È questa la grande "stabilizzazione"? I nostri detrattori dicono pure che i lavoratori devono spostarsi dove sono i posti, ma non si chiedono come mai i posti siano tutti al Nord, mentre è al Sud che occorrerebbero più insegnanti, dato l'alto tasso di abbandono e di dispersione scolastica.
Il piano di assunzioni del governo è solo un altro gigantesco taglio mascherato: il Pd aveva promesso il ritiro dei tagli Gelmini, 88.000 dei quali sono stati dichiarati illegittimi dal Consiglio di Stato, ma non ha mantenuto la promessa e si è invece inventato l'organico "funzionale", con la conseguenza che una parte dei precari verrà assunta per fare chissà cosa chissà dove (probabilmente il "tappabuchi" fino alla fine della carriera). Un'altra cospicua parte, quella impossibilitata o indisponibile a cedere al ricatto della migrazione coatta e della dequalificazione professionale, resterà nelle graduatorie. Questo confligge con la sentenza della Corte europea del 26 novembre scorso, che condanna l'Italia per abuso di contratti a tempo determinato e impone l'assunzione di tutti i precari che hanno maturato 36 mesi di servizio.
Ci hanno chiesto di buttare a mare una vita di studio e sacrifici, di partecipare a una lotteria calpestando chi non può "concorrere", nello spirito del "si salvi chi può". Perché? Perché non posso insegnare le mie materie nelle scuole in cui lavoro da 13 anni e in cui ci sono classi da 34 alunni (una l'ho avuta proprio io, nel 2009-2010). Smembrate, potrebbero essere meglio gestite da un maggior numero di docenti? Perché chi ha punteggi altissimi deve finire a Pordenone mentre chi è in fondo alle graduatorie potrà coprire le cattedre su cui i deportandi lavorano continuativamente da anni? Qual è la ratio sottesa a questo sistema caotico e lambiccato?
Il governo sembra voler punire una categoria che ha protestato vigorosamente, negli ultimi mesi, contro una riforma che non piace a nessuno e i cui primi danni già si iniziano a vedere e, inoltre, penalizza le donne, che sono il welfare dello svantaggiato Sud. Faccio un appello a tutti i lavoratori: invece di dilaniarci, facciamo in modo che il lavoro non sia percepito o elargito come un favore, perché è un diritto costituzionale. Difendiamo la dignità del lavoro e la Scuola pubblica, che è di tutti e per tutti".
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