domenica 16 agosto 2015

pc 16 Agosto - NUOVA LEGGE ANTI-TERRORISMO IN TUNISIA, FOGLIA DI FICO PER PROSEGUIRE NELL'ATTACCO AI DIRITTI DEI LAVORATORI E DELLE MASSE POPOLARI TUNISINE!

Negli ultimi mesi si è parlato molto della Tunisia in seguito ai due attentati terroristici che hanno scosso il paese nord africano nel mese di Marzo al museo del Bardo, adiacente il palazzo parlamentare dell’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo e lo scorso luglio in uno dei lussuosi resorts balneari per turisti nella città di Sousse. In entrambi gli attentati, rivendicati dal gruppo islamista Stato Islamico (Daech), sono morti principalmente turisti stranieri, nel primo attentato anche un lavoratore del museo e due poliziotti.
In particolare dopo il secondo attentato il governo Essid spalleggiato dal presidente della repubblica Essebsi (la Tunisia approvata la nuova costituzione l’anno scorso ha un assetto semi-presidenziale alla francese) ha invocato il pugno di ferro contro “il terrorismo” promuovendo una nuova legge “anti-terrorismo” e dichiarando lo scorso 4 Luglio lo stato di emergenza per un mese, prorogato di altri due mesi ovvero fino al 2 Ottobre 2015 salvo ulteriori proroghe che sono consentite dalla nuova costituzione. Ma facciamo un passo indietro.

In Tunisia il fenomeno dell’islam politico, volgarmente definito “islam radicale” o
“islamismo”, ha radici relativamente recenti, infatti nasce alla fine degli anni ’70- inizio anni ’80 (l’islam politico nasce in Egitto negli anni ’20 per poi diffondersi gradualmente nel mondo islamico) da sempre represso e schiacciato dal regime autocratico di Ben Ali alla stregua delle opposizioni laiche di matrici marxista e liberale.

Con la rivolta popolare del 2010-2011 l’islam politico è riemerso nella figura della filiale tunisina de facto del movimento dei Fratelli Musulmani che in Tunisia prende il nome di Ennahdha (la Rinascita), questo partito islamista ha una buona presa di massa in certi settori sociali e aree; alle spalle di esso fioriscono tanti piccoli gruppi ancora più radicali e integralisti che si collocano alla sua destra e che si rifanno alle correnti islamiche del wahabismo (dottrina ufficiale in alcuni paesi del Golfo come l’Arabia Saudita) e il salafismo a cui aderiscono gruppi come Ansar al-Charia e lo Stato Islamico.

Durante le proteste di piazza del 2010-2011 le masse popolari scese in campo hanno respinto questo tipo di organizzazioni, nella sostanza il “fronte” anti-Ben Ali non era costituito dalle forze laiche/di sinistra e religiose nonostante fossero entrambe contro il vecchio regime. Al contrario nel 2013 sotto il governo Ennahdha, alcuni sicari appartenenti probabilmente ad Ansar al-Charia hanno ucciso due esponenti della sinistra riformista tunisina appartenenti al Fronte Popolare: Chokri Belaid e Mohammed Brahmi rispettivamente in Febbraio e Luglio.

Questi fatti più alcune dichiarazioni di certi esponenti di Ennahdha alimentano fondati sospetti circa una certa “continuità politica” tra Ennahdha da un lato, gruppi wahabiti e  salafiti dall’altro. Questo è il sentire comune del “tunisino medio laico”, la differenza propinata dai media che distingue tra “islam moderato” e islam radicale” suona come un non-sense per qualsiasi tunisino medio praticante ma cresciuto nella Tunisia modernista fondata da Bourguiba e modellata in tal senso anche a causa della continuità nella sottomissione economica di tipo neo-coloniale verso l’ex madrepatria francese.
Ormai è un fatto che questo tipo di modello statuale “aggiornato” da Ben Ali è risultato anti-popolare tant’è che dopo le varie rivolte operaie nel corso dei decenni nel bacino minerario di Gafsa, si arriva alla rivolta popolare generalizzata del 2010-2011 che riesce a rovesciare il regime di Ben Ali.

Il “nuovo” regime (virgolette d’obbligo) dopo una serie di “governi di transizione” è il frutto di un iter grottesco e “gattopardiano” che sta andando avanti coronando un ulteriore tappa proprio in questi giorni tramite i due fatti politici citati  all’apertura di questo articolo: la legge “anti-terrorismo” e lo stato di emergenza.

Il governo Essid ha una corposa “quota di maggioranza” di Nidaa Tounes (che come abbiamo ricordato in altre occasioni è il partito di Ben Ali senza Ben Ali, il suo ex segretario e adesso presidente della repubblica Beji Caid Essebsi è stato un uomo di regime sia durante Bourgouiba che sotto Ben Ali e adesso da ultraottantenne ricopre addirittura la massima carica dello stato nella Tunisia “democratica”.
Il partito ha vinto le elezioni osteggiato da un alto tasso di astensionismo (prettamente presente tra i giovani e la classe operaia e i disoccupati delle regioni meridionali, ovvero lo zoccolo duro della rivolta) in ogni caso ha vinto la maggioranza relativa dei seggi cavalcando l’onda del “voto utile” anti-islamista ovvero anti Ennahdha.
Qui arriviamo all’aspetto grottesco, Nidaa Tounes infine forma un governo proprio con Ennahdha che detiene la quota di minoranza all’interno di esso, dando vita a questo mostro a due teste che rappresenta l’unione tra le due fazioni della borghesia reazionaria e compradora tunisina: quella definita “laica” e modernista, legata all’imperialismo francese e quella “religiosa” e oscurantista legata ai paesi del Golfo.
Intanto negli ultimi mesi, dopo l’insediamento del governo lo scorso autunno, il popolo tunisino e in particolare la classe operaia del bacino minerario di Gafsa, i ferrovieri e i lavoratori della scuola e delle università hanno continuato a scioperare e a bloccare mezzo paese per le stesse ragioni che ha fatto scoppiare la rivolta quattro anni fa.
Nessun problema socio-economico delle masse è stato risolto, le decantate libertà politiche stanno regredendo alla situazione pre-rivolta proprio grazie a questi due nuove provvedimenti: gli attentati terroristici sono capitati a fagiolo!
L’islam politico, in ultima analisi, serve ed è il risvolto della medaglia dell’autocrazia laico-modernista legata all’imperialismo occidentale che dice di combattere.

Ma cosa prevede la nuova legge anti-terrorismo approvata a larga maggioranza lo scorso 25 Luglio da 174 deputati su 217 con 10 astenuti, 33 assenti e nessun voto contrario?

Innanzitutto dà ampi poteri alle forze di polizia (che essendo state per decenni il pilastro di uno stato di polizia la cui struttura non è stata scalfita dalla rivolta, già facevano il bello e il cattivo tempo con abusi di potere all’ordine del giorno). I sospetti di “terrorismo” (torneremo più avanti sulla natura di tale definizione nella legge in questione) possono essere incarcerati senza accusa formale, senza poter contattare un avvocato e senza comparire davanti ad un giudice per 15 giorni. Quindi per tale periodo il sospettato è “a completa disposizione” delle forze di polizia all’interno delle carceri e caserme tunisine tristemente famose e non a caso date alle fiamme sia durante la rivolta che durante le ultime proteste di massa dei mesi scorsi nel sud del paese.
Questa vera e propria sospensione dello stato di diritto viene definita dal primo ministro Essid con le seguenti parole: “la legge anti-terrorismo da agli investigatori le giuste condizioni per fare il loro lavoro. Abbiamo grandi speranze al riguardo”.[1]
Tra le altre novità la possibilità da parte degli investigatori di poter mettere sotto controllo i telefoni e la corrispondenza elettronica dei sospettati senza un avviso di garanzia (diciamo che la legge mette nero su bianco un fatto esistente in tutti i paesi del mondo). È prevista anche la censura dei social network come Facebook. È facile pensare che qualsiasi critica contro il governo mossa sui social network, indipendentemente dalla sua provenienza, incorrerà in una stretta applicazione di questa legge ancor più che durante il “periodo di transizione” tra il 2010 e il 2014, alcuni blogger e attivisti sono stati arrestati rei di aver esercitato quel diritto di espressione sancito anche dalla nuova costituzione ma che, a questo punto, ancor più difficilmente sarà applicato.
Oltre che al settore repressivo anche l’impianto accusatorio riceve ulteriori poteri come la possibilità di poter svolgere processi a porte chiuse in cui non solo viene negata la presenza alla stampa e alle organizzazioni dei diritti umani, ma viene anche limitata la presenza dell’avvocato difensore.
Inoltre la legge prevede esplicitamente la pena di morte per i “terroristi”, in realtà mai formalmente abolita nel paese ma inapplicata dal 1991 tramite una moratoria, il nuovo regime fa un “passo in avanti” su questo campo anche rispetto al “dittatore” Ben Ali.
Ma ciò che è ancor più preoccupante è l’ampio spettro di applicazione della legge e la vaga definizione di “terrorismo” che viene definito come “ qualsiasi progetto individuale o collettivo il cui obiettivo, data la sua reale natura o contestuale, è di diffondere il terrore”.
Inoltre l’articolo 13 considera come attacchi terroristi “il danneggiamento della proprietà pubblica o privata o di beni pubblici e l’interruzione dei trasporti”.[2]
Ad esempio se durante una manifestazione o uno sciopero, i dimostranti danneggiano una proprietà pubblica o privata (come una caserma o una camionetta della polizia) o più semplicemente bloccano una strada o delle rotaie (come avviene quasi il 100% delle volte che ha luogo una manifestazione) ciò non è semplicemente un atto di violenza, giudicato più o meno legittimo a secondo da quale parte della barricata ci si schieri, ma diventa un “atto terrorista”. Quindi la protesta sociale può incorrere nella persecuzione della nuova legge “anti-terrorismo”. Ciò è stato rivendicato apertamente e politicamente dal presidente della repubblica che, ricordiamo ancora una volta, esponente dei precedenti regimi autocratici e polizieschi, il quale si è scagliato contro gli scioperi perché “colpiscono l’economia del paese” facendo tale dichiarazione subito dopo l’attentato di Sousse. Una frase del genere pronunciata negli stessi giorni in cui a livello di massa si percepiva che il principale danno arrecato dai due attentati terroristici, era stato contro il principale settore economico del paese ovvero il turismo, e di conseguenza ad essere colpito era stato  “il paese” (concetto vago e inesatto dato che non è il popolo che beneficia degli introiti del settore turistico bensì la borghesia compradora che si limita distribuire qualche briciola ai lavoratori del settore) significa per l’appunto equiparare uno sciopero ad un attentato terrorista!
La pena minore prevista dalla legge va da 3 anni di reclusione e 15.000 dinari di multa (circa 7.300 €) a 10 anni e 50.000 dinari di multa (circa 24.800 €) a seconda dei casi, le pene vengono raddoppiate se il condannato era armato[3]. La possibilità di condannare per “terrorismo” qualcuno disarmato conferma la preoccupazione che la legge colpirà il dissenso politico e sociale considerato “terrorista” dal “nuovo regime democratico”.
Intanto come dicevamo la legge viene approvata in un contesto di “stato di emergenza” che al tempo stesso la legittima e aiuta nell’applicazione immediata in quanto lo stato di emergenza stesso prevede alcune misure draconiane tra cui il divieto di scioperi e manifestazioni, il divieto di assemblea pubblica per più di 3 persone (come durante il fascismo in Italia). Questi provvedimenti sono minimizzati dal primo ministro Essid che ha dichiarato: “non possono organizzare proteste o scioperare, ma possono esprimersi in altri modi. La gente può parlare o scrivere [ciò che vuole]”[4]. Certo basta che, se in pubblico, non siano più di 3 persone, come dire che “esprimere le proprie idee al bar, all’università e in qualsiasi luogo pubblico era pericoloso sotto Ben Ali considerato l’alto tasso di informatori della polizia e poliziotti in borghese, adesso almeno questo ve lo concediamo: accontentatevi!”.
La possibilità da parte dell’autorità di restringere la libertà di espressione dei media (che in Tunisia hanno già una lunga tradizione di servilismo basti leggere come il quotidiano in lingua francese La Presse ha etichettato quei parlamentari che si sono astenuti dal votare la legge anti-terrorismo o che erano assenti in aula considerandoli praticamente conniventi con il terrorismo!), più ampi poteri militari tra cui un maggiore dispiegamento nelle arterie principali del paese e nelle città e la licenza di sparare per uccidere “se attaccati”, oltre al dispiegamento di 3.000 uomini della "polizia turistica".
Tutte queste misure che non rispettano il diritto di espressione dei cittadini e i diritti dei lavoratori servono, secondo Essid, per “proteggere la nostra giovane democrazia”[5]!!!

Sembra proprio che la nuova legge “anti-terrorismo” sia più pensata come “soluzione” per zittire le montanti proteste sociali che la scorsa primavera si stavano moltiplicando a macchia d’olio nel paese a partire dalla “ribelle” Redeyef nel governatorato di Gafsa fino ai ferrovieri di Tunisi “precettati” dalla stessa UGTT (il sindacato) la cui dirigenza e ormai connivente con le organizzazioni patronali riunite nell’Utica (la Confindustria tunisina) nonostante la repressione poliziesca.

Inoltre, asserito quanto detto all’inizio, con quale legittimità il governo tunisino parla di lotta al “terrorismo” mentre ha al suo interno esponenti di Ennahdha, il cui leader Gannouchi ha definito i giovani jihadisti partiti in Siria e Iraq a combattere per lo Stato Islamico come “i nostri giovani”?  
Un tale governo non può e non vuole risolvere i problemi delle masse popolari che le masse popolari stesse hanno posto durante la rivolta. In questo quadro la cosiddetta opposizione parlamentare della sinistra riformista rappresentata dal Fronte Popolare si è rivelata inutile e controproducente.
Inutile perché non è stata neanche in grado di utilizzare le forme di lotta parlamentari come l’ostruzionismo parlamentare, l’occupazione dell’aula e così via, neanche ha votato contro rimanendo piuttosto a casa elargendo al massimo qualche intervista di presa di posizione formale.
Controproducente perché continua a illudere una parte dei lavoratori, dei giovani, delle donne e anche i propri militanti di base che aver partecipato alle elezioni (legittimando il “nuovo” regime che assomiglia sempre più al vecchio) possa far avanzare la lotta iniziata con la rivolta per, come dicono loro, l’instaurazione di una “repubblica democratica sociale” ovvero nè più e nè meno di una repubblica democratica borghese che guardi alla socialdemocrazia. Ma come disse qualcuno, “anche nella più democratica delle repubbliche borghesi, è la schiavitù salariata [la sorte riservata al popolo]”.
Le uniche forze realmente rivoluzionarie che denunciarono e boicottarono la farsa elettorale dello scorso anno furono alcuni gruppi e partiti maoisti che formarono il Comitato di Boicottaggio Elettorale e per questo subirono attacchi e provocazioni sia da Ennahdha che dalla polizia. A loro spetta l’onere/onore di affrontare la lotta contro il regime risolvendo le nuove contraddizioni che pongono (nuovamente) la lotta in una condizione di totale illegalità. Inoltre solo queste forze rivoluzionarie hanno un’analisi adeguata per poter potenzialmente risolvere il fenomeno dell’emergere in Tunisia del Daech e di tanti giovani che guardano all’islam politico come un’alternativa quando in realtà è parte del problema.



[1] https://en.qantara.de/content/new-anti-terrorism-law-in-tunisia-law-triggers-hope-and-concern.
[2] CFR, http://www.fairobserver.com/region/middle_east_north_africa/the-dangers-of-tunisias-anti-terrorism-law-12852/.

[3] ibidem.
[4] http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/habib-essid-interview-tunisias-pm-on-why-he-believes-his-countrys-increasingly-perilous-position-is-the-fault-of-the-western-powers-10441660.html
[5] Ibidem.

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