Leggi sul blog proletari comunisti e sull'ultimo numero del giornale stampato del PC maoista - interventi e commenti su quella giornata, che non va considerata chiusa
Expo, la MayDay e l’internazionale incappucciata (by Duka)
Trascorsi alcuni mesi dal primo maggio milanese, riprendiamo questo contributo del Duka uscito un mese fa su MilanoX.
Crediamo che questo articolo abbia il pregio di sottolineare due
passaggi dirimenti. Da un lato lo smontare le retoriche, molto in voga
nel dibattito post-corteo, rispetto a una mobilitazione contro Expò che
sarebbe stata oscurata e tradita dagli scontri. Purtroppo, e questo è un
limite di tutt*, tale mobilitazione esponenziale semplicemente non si
era data. D'altro canto viene messo in luce quello che è un risultato
effettivo della giornata di piazza, ossia quello di aver oscurato e
inceppatto le narrazioni della controparte. Il "l'Italia riparte con
Expò" sul quale Renzi voleva far passerella il Primo Maggio è stato
rotto dal corteo. Un effetto che, stravolgendo l'agenda setting del
mainstream e le notizie precostituite, ha comunque incrinato un piano
governamentale. Certo, stiamo parlando di un tipo di iniziativa che si è
determinata esclusivamente su un piano di negazione e sabotaggio. Ma
anche su questo punto, sarebbe bene interrogarsi sui limiti del nostro
agire, sulle difficoltà nel costruire immediati rilanci, più che
sull'assumere le retoriche delle controparti. Insomma, come direbbe
Beckett, c'è bisogno di provare ancora, sbagliare ancora, sbagliare
meglio.
L’Esposizione Universale mette in mostra lo stato del mondo dal punto di vista del capitalismo. Al tempo della celebre edizione parigina del 1889 fu innalzata la Torre Eiffel perchè all’epoca la vera merce esposta era la città stessa. L’Expo esibisce il funzionamento del mondo-merce e la sua tendenza fatidica. Coglie i desideri e le paure proprie della nostra epoca e ne fa una sintesi, che si palesa attraverso un oggetto o una produzione particolare – la grande industria, le ferrovie, il telefono, etc. – che viene riconsegnata al mondo in quanto fantasmagoria.
L’Expo milanese – in un’epoca dove ogni fenomeno naturale è vissuto come catastrofico, dove il cibo genuino è diventato un feticcio e lo sviluppo è solo la marcia verso l’apocalisse – mette in scena la civiltà che muore, vista attraverso le lenti del “come sarebbe se”. Se la produzione fosse ecologica e sostenibile, se il cibo fosse bio e la metropoli fosse più smart e più green. La missione dell’Esposizione Universale 2015 è quella di lasciare credere al cittadino che il pianeta ridotto a un ammasso di rovine – con qualche ritocco che rimandi l’inevitabile apocalisse – può essere ancora vendibile e acquistabile. Non è un caso che venga portato a paradigma dell’esistenza il “Bosco Verticale” il grattacielo ecologico e ipersecuritario realizzato dall’architetto Boeri, mangiatore di bistecche da generazioni.
L’opera – che sorge in quel che resta del quartiere Isola dopo la gentrificazione – fiore all’occhiello del nuovo skyline milanese simboleggia la separazione tra l’io e la terra. In poche parole l’impero e il suo governo mondiale – all’interno dei padiglioni dell’Expo e nella ristrutturata città meneghina – mettono in mostra la produzione di soggetti e ambienti abituati a vivere nella catastrofe.
Eppure il primo maggio, all’inaugurazione dell’evento, i Black Bloc devastano Milano. Questa è la lettura dei media mainstream della giornata di apertura dell’Expo. Personalmente – anche se non ero presente a Milano – ho visto molte cose in quella giornata ma la devastazione, quella vera, la vedo tutti i giorni in cui non accade nulla, ogni volta che si muore annegati nel Mediterraneo, sul lavoro, in guerra o suicidi per disperazione. La cosa orrenda – che mi duole – è che alla lettura mediatica si siano accodate molte componenti del movimento. Perchè questo primo maggio milanese – dopo tanti anni – è di nuovo una giornata scomoda. E’ scomoda per gli “impicci” di alcune delle strutture politiche presenti in piazza. E’ scomoda per il movimento perché il dato centrale – quello della partecipazione e della determinazione a rompere il divieto di manifestare nel centro città – viene messo in secondo piano dalla narrazione maggioritaria. Ma è cosa risaputa che il narratore è sempre alla destra del movimento. E’ ingovernabile per tutti quelli che alimentano un immaginario conflittuale, purché rimanga sul piano puramente virtuale, per riproporre sempre lo stesso scadente minestrone: un governo un po’ più di sinistra e un capitalismo sostenibile. Ridicole sono le argomentazioni che incolpano i rivoltosi di avere oscurato le ragioni dei NoExpo. Mi dispiace compagni, ma l’eco delle lotte prodotte contro l’Esposizione Universale di Milano si è fermato a Pavia. Non siete stati capaci di sviluppare e praticare nessuna lotta reale contro il grande evento. Per non parlare – questa veramente una grande stronzata – dell’accusa di avere fatto finire – causa scontri – il percorso della MayDay. Nulla era più morto della Mayday. Un cadavere in decomposizione ormai dall’edizione – quella delle mazzate tra componenti del movimento – 2005. In seguito è diventata una street parade per tribaroli. Anche questo nuovo corso è finito miseramente con un tentato stupro e la cacciata dei ravers dal primo maggio ambrosiano. Mandati via adolescenti, molti di loro, sono tornati da grandi bardati di nero. Non ammettere che lo spezzone delle lotte sociali era uno dei più partecipati del corteo è negare l’evidenza. Occupanti di case, lavoratori della logistica, centri sociali, disoccupati, precari, collettivi studenteschi e comitati territoriali, di aree politiche differenti, hanno animato il punto più vivo della manifestazione. Lotte e gesti diversi hanno convissuto rendendo la giornata intensa: c’è chi ha fatto i cori, chi resisteva alle cariche della polizia, chi ha ballato, chi ha scritto sui muri. Un obbiettivo sicuramente è stato raggiunto: rovinare la festa a Renzi. Se non fosse stato per l’azione dei “teppisti” l’infosfera sarebbe stata satura di immagini trionfalistiche del governo. Per questo – io che non ero a Milano – sono grato alla teppa.
L’Esposizione Universale mette in mostra lo stato del mondo dal punto di vista del capitalismo. Al tempo della celebre edizione parigina del 1889 fu innalzata la Torre Eiffel perchè all’epoca la vera merce esposta era la città stessa. L’Expo esibisce il funzionamento del mondo-merce e la sua tendenza fatidica. Coglie i desideri e le paure proprie della nostra epoca e ne fa una sintesi, che si palesa attraverso un oggetto o una produzione particolare – la grande industria, le ferrovie, il telefono, etc. – che viene riconsegnata al mondo in quanto fantasmagoria.
L’Expo milanese – in un’epoca dove ogni fenomeno naturale è vissuto come catastrofico, dove il cibo genuino è diventato un feticcio e lo sviluppo è solo la marcia verso l’apocalisse – mette in scena la civiltà che muore, vista attraverso le lenti del “come sarebbe se”. Se la produzione fosse ecologica e sostenibile, se il cibo fosse bio e la metropoli fosse più smart e più green. La missione dell’Esposizione Universale 2015 è quella di lasciare credere al cittadino che il pianeta ridotto a un ammasso di rovine – con qualche ritocco che rimandi l’inevitabile apocalisse – può essere ancora vendibile e acquistabile. Non è un caso che venga portato a paradigma dell’esistenza il “Bosco Verticale” il grattacielo ecologico e ipersecuritario realizzato dall’architetto Boeri, mangiatore di bistecche da generazioni.
L’opera – che sorge in quel che resta del quartiere Isola dopo la gentrificazione – fiore all’occhiello del nuovo skyline milanese simboleggia la separazione tra l’io e la terra. In poche parole l’impero e il suo governo mondiale – all’interno dei padiglioni dell’Expo e nella ristrutturata città meneghina – mettono in mostra la produzione di soggetti e ambienti abituati a vivere nella catastrofe.
Eppure il primo maggio, all’inaugurazione dell’evento, i Black Bloc devastano Milano. Questa è la lettura dei media mainstream della giornata di apertura dell’Expo. Personalmente – anche se non ero presente a Milano – ho visto molte cose in quella giornata ma la devastazione, quella vera, la vedo tutti i giorni in cui non accade nulla, ogni volta che si muore annegati nel Mediterraneo, sul lavoro, in guerra o suicidi per disperazione. La cosa orrenda – che mi duole – è che alla lettura mediatica si siano accodate molte componenti del movimento. Perchè questo primo maggio milanese – dopo tanti anni – è di nuovo una giornata scomoda. E’ scomoda per gli “impicci” di alcune delle strutture politiche presenti in piazza. E’ scomoda per il movimento perché il dato centrale – quello della partecipazione e della determinazione a rompere il divieto di manifestare nel centro città – viene messo in secondo piano dalla narrazione maggioritaria. Ma è cosa risaputa che il narratore è sempre alla destra del movimento. E’ ingovernabile per tutti quelli che alimentano un immaginario conflittuale, purché rimanga sul piano puramente virtuale, per riproporre sempre lo stesso scadente minestrone: un governo un po’ più di sinistra e un capitalismo sostenibile. Ridicole sono le argomentazioni che incolpano i rivoltosi di avere oscurato le ragioni dei NoExpo. Mi dispiace compagni, ma l’eco delle lotte prodotte contro l’Esposizione Universale di Milano si è fermato a Pavia. Non siete stati capaci di sviluppare e praticare nessuna lotta reale contro il grande evento. Per non parlare – questa veramente una grande stronzata – dell’accusa di avere fatto finire – causa scontri – il percorso della MayDay. Nulla era più morto della Mayday. Un cadavere in decomposizione ormai dall’edizione – quella delle mazzate tra componenti del movimento – 2005. In seguito è diventata una street parade per tribaroli. Anche questo nuovo corso è finito miseramente con un tentato stupro e la cacciata dei ravers dal primo maggio ambrosiano. Mandati via adolescenti, molti di loro, sono tornati da grandi bardati di nero. Non ammettere che lo spezzone delle lotte sociali era uno dei più partecipati del corteo è negare l’evidenza. Occupanti di case, lavoratori della logistica, centri sociali, disoccupati, precari, collettivi studenteschi e comitati territoriali, di aree politiche differenti, hanno animato il punto più vivo della manifestazione. Lotte e gesti diversi hanno convissuto rendendo la giornata intensa: c’è chi ha fatto i cori, chi resisteva alle cariche della polizia, chi ha ballato, chi ha scritto sui muri. Un obbiettivo sicuramente è stato raggiunto: rovinare la festa a Renzi. Se non fosse stato per l’azione dei “teppisti” l’infosfera sarebbe stata satura di immagini trionfalistiche del governo. Per questo – io che non ero a Milano – sono grato alla teppa.
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