Paolo Garimberti e il suo attuale giornale "La Repubblica" sprona l'Italia a mettersi alla testa dei paesi imperialisti europei della guerra in Libia, affermando (ma questo era ed è evidente) che dietro le soluzioni "politico" non ci può non essere per forza la guerra.
Le motivazioni di questa leadership stanno - come spiega senza remore Garimberti - esplicitamente negli interessi economici delle sue multinazionali, confermando che dietro ogni guerra imperialista ci sono prima di tutto i superprofitti del capitale, e che ogni altra motivazione, spacciata per difesa dei valori ("democrazia...), ci sono i materiali e brutali soldi.
A questo si unisce l'altra motivazione, di fase, bloccare con la forza, la violenza delle armi, il flusso di migranti, per passare dai tentativi, rivelatisi ancora non efficienti a questo scopo, alla "soluzione finale".
Infine, perchè l'Italia deve far valere il suo "prestigio militare", liberandosi della "sindrome della Somalia"; dove l'Italia imperialista si è fatta valere contribuendo ai massacri degli Usa e facendo anche in proprio torture e stupri.
SE COMINCIANO AD AVVIARE I MOTORI ANCHE I MASS MEDIA, VUOL DIRE CHE LA GUERRA IMPERIALISTA SI AVVICINA E BISOGNA IMPEDIRLA!
(Dall'articolo di Garimberti)
"...l’Europa
non può permettersi di ammettere di avere una Somalia a pochi
chilometri dalle sue coste.
La
porta con la quale l’Europa, insieme con Stati Uniti e Onu, spera
di poter chiudere la stalla libica è un accordo politico tra le
varie fazioni.
Il
comunicato congiunto di cinque Paesi europei (Italia, Francia,
Spagna, Germania e Gran Bretagna) più gli Stati Uniti, è degno e
giusto, però contiene una mezza bugia. Quando i sei governi
firmatari ribadiscono «ancora una volta che non esiste una soluzione
militare al conflitto politico in Libia».
Una
mezza bugia perché una eventuale soluzione politica, che mettesse
d’accordo le fazioni libiche non potrebbe non essere sostenuta con
mezzi militari.
E,
nel caso, l’Italia non potrebbe non avere un ruolo primario.
Per
tre evidenti ragioni. La prima è che siamo i più esposti al flusso
biblico di migranti che arrivano dalla Libia e senza una
stabilizzazione in quel Paese l’esposizione è destinata ad
aumentare.
La
seconda è che i nostri interessi economici in Libia restano forti e
radicati.
La
terza ragione: il recupero di un prestigio politico europeo, che è
apparso un po’ offuscato dalla nostra marginalizzazione nelle
ultime trattative che hanno fatto le prime pagine dei giornali (dalla
crisi greca al negoziato sul nucleare iraniano).
L’Italia
avrebbe il dovere (politico, economico e perfino storico) di proporre
la sua leadership semmai dovesse essere creata un forza di
interposizione internazionale per garantire un eventuale accordo
diplomatico e, perché no, per limitare le barbarie del sedicente
Stato islamico. Abbiamo l’esperienza e la competenza tecnica
comprovata da ormai tante missioni in teatri di conflitti. Se c’è
un settore nel quale il nostro prestigio nazionale non è offuscato è
proprio quello militare..."
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