Esattamente
un anno fa, il 19 agosto, la polizia di St. Louis, Missouri, sparava al
25enne afroamericano Kajieme Powell uccidendolo sul colpo. Powell ha
avuto 23 secondi per rendersi conto cosa stava accadendo nel momento in
cui due poliziotti gli hanno puntato contro le pistole, dopodiché è
stato colpito a morte. L’omicidio avvenne esattamente dieci giorni dopo
l’omicidio di Michael Brown a Ferguson (che si trova proprio nella
contea di St. Louis), evento scatenante della durissime proteste contro
gli abusi di polizia che, nei mesi successivi, contribuirono alla
nascita del movimento Black Lives Matter.
Nella
giornata di ieri le forze di polizia di St. Louis hanno dimostrato
come, ad un anno di distanza, niente sia cambiato per le comunità black
dell’america obamiana. A cadere sotto i colpi degli agenti questa volta è
stato un giovane di appena 18 anni, Mansur Ball-Bey, ucciso proprio
nelle ore in cui decine di persone scendevano in strada chiedendo
giustizia per l’omicidio di Kajieme Powell – caso sul quale la polizia
sta ancora indagando (ma, allo stesso tempo, proteggendo e coprendo i
due assassini in divisa). Con la morte di ieri ammontano a 732 le
persone uccise dalla polizia statunitense nel solo 2015; un dato in
crescita rispetto allo scorso anno e che palesa come, nonostante le
rassicurazioni della Casa Bianca e i tentativi di cooptazione,
il terrore poliziesco sia – ancora una volta – lo strumento con il
quale il potere tenta di controllare e sottomettere la popolazione
black.
Le immediate proteste che
sono esplose in seguito alla morte di Mansur Ball-Bey hanno infatti
trovato la durissima risposta di esercito e forze dell’ordine, che non
hanno esitato a schierarsi in maniera massiccia (“un esercito di
occupazione”, lo hanno definito gli attivisti di BLL presenti) nei
quartieri attraversati dalle manifestazioni. Si può infatti individuare
una controtendenza nell’utilizzo dei mezzi repressivi rispetto allo
scorso anno: se a Ferguson e Baltimora i tentativi di monitorare e
placare le proteste nei primi giorni erano palesi (anche attraverso
l’intercessione di pastori e personalità di rilievo nelle comunità)
negli ultimi mesi è palese la volontà di utilizzare subito una linea
dura che passa tramite la militarizzazione del territorio, l’utilizzo di
gas e l’arresto indiscriminato dei manifestanti.
Il
duro intervento della polizia ha quindi provocato rivolte e riot in
diversi quartieri della città, dove delle auto sono state date alle
fiamme insieme ad alcune abitazioni disabitate. Il bilancio delle
proteste è, infine, di almeno 9 arresti secondo la polizia (ma
potrebbero essere molti di più) e numerosi feriti, perlopiù intossicati
dai numerosi gas lacrimogeni (di tipologie differenti, come dimostra questa
foto) lanciati dagli agenti in assetto antisommossa. Al momento le
proteste sembrano essere cessate, ma per la giornata di domani sono
previste mobilitazioni anche a Indianapolis, Kansas City e Cleveland,
anche se è oramai evidente come il ciclo apertosi lo scorso anno a
Ferguson non possa trovare soluzione se non in una mobilitazione
costante che riporti l’attenzione sugli abusi quotidiani e sistematici
delle forze dell’ordine.
Nella
giornata di ieri le forze di polizia di St. Louis hanno dimostrato
come, ad un anno di distanza, niente sia cambiato per le comunità black
dell’america obamiana. A cadere sotto i colpi degli agenti questa volta è
stato un giovane di appena 18 anni, Mansur Ball-Bey, ucciso proprio
nelle ore in cui decine di persone scendevano in strada chiedendo
giustizia per l’omicidio di Kajieme Powell – caso sul quale la polizia
sta ancora indagando (ma, allo stesso tempo, proteggendo e coprendo i
due assassini in divisa). Con la morte di ieri ammontano a 732 le
persone uccise dalla polizia statunitense nel solo 2015; un dato in
crescita rispetto allo scorso anno e che palesa come, nonostante le
rassicurazioni della Casa Bianca e i tentativi di cooptazione,
il terrore poliziesco sia – ancora una volta – lo strumento con il
quale il potere tenta di controllare e sottomettere la popolazione
black.
Le immediate proteste che sono esplose in seguito alla morte di Mansur Ball-Bey hanno infatti trovato la durissima risposta di esercito e forze dell’ordine, che non hanno esitato a schierarsi in maniera massiccia (“un esercito di occupazione”, lo hanno definito gli attivisti di BLL presenti) nei quartieri attraversati dalle manifestazioni. Si può infatti individuare una controtendenza nell’utilizzo dei mezzi repressivi rispetto allo scorso anno: se a Ferguson e Baltimora i tentativi di monitorare e placare le proteste nei primi giorni erano palesi (anche attraverso l’intercessione di pastori e personalità di rilievo nelle comunità) negli ultimi mesi è palese la volontà di utilizzare subito una linea dura che passa tramite la militarizzazione del territorio, l’utilizzo di gas e l’arresto indiscriminato dei manifestanti.
Il duro intervento della polizia ha quindi provocato rivolte e riot in diversi quartieri della città, dove delle auto sono state date alle fiamme insieme ad alcune abitazioni disabitate. Il bilancio delle proteste è, infine, di almeno 9 arresti secondo la polizia (ma potrebbero essere molti di più) e numerosi feriti, perlopiù intossicati dai numerosi gas lacrimogeni (di tipologie differenti, come dimostra questa foto) lanciati dagli agenti in assetto antisommossa. Al momento le proteste sembrano essere cessate, ma per la giornata di domani sono previste mobilitazioni anche a Indianapolis, Kansas City e Cleveland, anche se è oramai evidente come il ciclo apertosi lo scorso anno a Ferguson non possa trovare soluzione se non in una mobilitazione costante che riporti l’attenzione sugli abusi quotidiani e sistematici delle forze dell’ordine.
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