Il
giallo di Marassi comincia il 14 aprile a partire dal nero. Nero come
le molte sfumature di quel colore inconfondibile che ti lasciano addosso
le botte dopo un pestaggio. Neri e tumefatti come gli occhi che si
ritrova davanti la psichiatra Silvia Oldrati. Appartengono a Ferdinando
Boccia, 36 anni, detenuto nel carcere genovese per precedenti legati
alla droga. I modi evasivi dell’uomo, lo sguardo basso, l’aria
sofferente di chi avverte un male cane soltanto a respirare, mettono in
allerta la dottoressa Oldrati, che subito informa il medico della
sezione, Silvano Bertirotti.
Boccia
viene trasferito d’urgenza in ospedale: il referto recita che sono state
riscontrate una «contusione cranica, escoriazioni ed ecchimosi al
volto, al braccio, all’addome, al gomito e
al dorso. Riferite percosse». Bertirotti scrive una lettera sull’accaduto al direttore del carcere Salvatore Mazzeo.
al dorso. Riferite percosse». Bertirotti scrive una lettera sull’accaduto al direttore del carcere Salvatore Mazzeo.
A questo punto,
sulla vicenda di Ferdinando Boccia cala un blackout di due settimane:
all’interno del carcere si fanno “accertamenti interni”. Ma il 24
aprile, quando la notizia di reato arriva in Procura, del pestaggio di
Ferdinando non c’è traccia: la versione ufficiale dell’agente di guardia
parla di un piccolo bisticcio tra detenuto (che naturalmente ha
provocato) e secondino (che naturalmente si è difeso), una bagattella,
insomma. Una lite così piccina e trascurabile, che intanto il detenuto è
stato mandato in fretta e furia al carcere di Pontedecimo, e ha
ritrattato quello che aveva detto al proposito del pestaggio.
Che
cosa è successo a Ferdinando Boccia? Chi e perché l’ha conciato in quel
modo? E perché, se le sue condizioni erano talmente gravi, non una
guardia o un medico ha presentato denuncia?
Sono
tante le domande alle quali deve tentare di rispondere il pm Giuseppe
Longo. Di tutti i medici che all’indomani della segnalazione di Silvia
Oldrati hanno preso parte a una riunione in carcere, tra i quali la
”torturatrice” di Bolzaneto Marilena Zaccardi, Giuseppe Papatola, Ilias
Zannis e, forse, altri due colleghi, nessuno ha sporto denuncia. Così
che i cinque medici finiscono nel registro degli indagati. Ma il pm
Longo sospetta un peccato di omissione anche tra gli agenti: sei sono
coinvolti nell’inchiesta perché forse distrattamente non hanno notato i
gentili omaggi che i manganelli hanno lasciato impressi sulle ossa di
Boccia.
Man mano che l’inchiesta
procede, viene fuori il verbale del detenuto, che racconta la sua
versione dei fatti. Ad aggredirlo sarebbe stato l’agente Dario Pinchera,
ancora in servizio anche se era stato arrestato nel 2007 per aver
sparato a due persone che erano coinvolte (ma che erano state assolte)
con lui nel lancio di sassi killer da un cavalcavia autostradale.
Boccia
racconta che Pinchera si era molto piccato perché sollecitato a
fornirgli la dose di metadone, che non aveva potuto ricevere secondo le
modalità previste perché si stava lavando i denti. Dopo un’accesa
discussione, gli agenti lo averebbero fatto uscire di cella in modo da
consetirgli di andare a prendere le medicine al piano inferiore. Ma a
quel punto, con un’imboscata sulle scale, Pinchera esce dal buio e gli
si avventa addosso con un «manganello sottile che gli ho visto altre
volte portare attaccato alla cintola». Ma insieme a lui ci sarebbero
stati «altri due poliziotti», di cui ancora non si conosce l’identità,
«che mi trattenevano».
«Mi ha colpito
con uno schiaffo – racconta il detenuto – indossava guanti neri. Ha
continuato a colpirmi mentre ero a terra e urlavo: “Aiuto, basta!”.
Perdevo sangue dalla testa. Sono riuscito a scendere le scale e a
raggiungere l’infermeria, ma gli agenti mi hanno impedito di farmi
soccorrere. C’erano due infermiere che distribuivano metadone, erano
molto spaventate, io urlavo. In una stanza ho visto Don Paolo (il
cappellano, ndr), con un detenuto, non può non avermi visto. Mi hanno
riportato in cella. Poi è venuta un’altra guardia e mi ha detto:
“Facciamo finta che non è successo niente”».
E
Pinchera? La versione dell’agente è del tutto differente. Ma la
certezza è che il manganello estensibile che ama portarsi dietro non è
regolamentare, e gli viene sequestrato insieme a due bombolette di spray
urticante.
«Venni contattato da Boccia – racconta la guardia. Mi disse che il medico voleva convincerlo a denunciare qualcosa che non era mai avvenuto». Finiscono indagati cinque medici, per omesso referto, e sei colleghi di Pinchera. «Sono molto amareggiato – dice il direttore del carcere Salvatore Mazzeo – questa vicenda danneggia tutti i nostri sforzi. Chi ha sbagliato deve pagare». «Premesso che nessuno è colpevole fino a condanna definitiva, eventuali responsabili vanno cacciati – dichiara il sindacato Sappe – Questi comportamenti non appartengono al dna della polizia penitenziaria»
«Venni contattato da Boccia – racconta la guardia. Mi disse che il medico voleva convincerlo a denunciare qualcosa che non era mai avvenuto». Finiscono indagati cinque medici, per omesso referto, e sei colleghi di Pinchera. «Sono molto amareggiato – dice il direttore del carcere Salvatore Mazzeo – questa vicenda danneggia tutti i nostri sforzi. Chi ha sbagliato deve pagare». «Premesso che nessuno è colpevole fino a condanna definitiva, eventuali responsabili vanno cacciati – dichiara il sindacato Sappe – Questi comportamenti non appartengono al dna della polizia penitenziaria»
Con
l’equanimità che sempre lo contraddistingue, il leader del Sappe Donato
Capece commenta che «la notizia che 11 tra agenti di Polizia
Penitenziaria ed altri operatori in servizio nel carcere genovese di
Marassi sono stati destinatari di avvisi di garanzia per il presunto
pestaggio di un detenuto è certo notizia che colpisce e amareggia. Ma,
fermo restando che una persona è colpevole solamente dopo una condanna
passata in giudicato, deve essere chiaro che non appartengono certo al
dna della Polizia Penitenziaria i gravi comportamenti dei quali sono
accusati i poliziotti».
«Le guardie
in servizio nel carcere di Genova Marassi – ricorda Capece – hanno
salvato in tempo la vita nel 2014 a 9 e nel 2013 a 8 detenuti che hanno
tentato di togliersi la vita».Sulle scale che mettono in comunicazione i
due piani, ossia il luogo del pestaggio, dovrebbero esserci in teoria
le telecamere della videosorveglianza. Ma a oggi, pare che non esistano
riprese che possano documentare l’accaduto. Comunque sia andata,
dev’essere chiaro a tutti che Ferdinando Boccia, però, non si è preso a
manganellate da solo.
Francesco Lo Dico
Francesco Lo Dico
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