Da quando ha appreso la
lezione da Marchionne, Squinzi non la smette un attimo di dire la sua sulle
“riforme” che più piacciono a Confindustria e a tutti i padroni del Paese. Dopo
aver ottenuto il Jobs act, e cioè abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei
lavoratori, adesso è il momento dell’attacco ai contratti nazionali di lavoro:
“è sempre più evidente la necessità di cambiare il vecchio paradigma delle relazioni
sindacali, non sono più rinviabili scelte chiave”.
Gli obbiettivi di una
riforma della contrattazione collettiva devono essere: più produttività e più competitività.
“Serve più flessibilità retributiva”,
da coniugare con la tutela del potere d’acquisto. Ora, è pur vero che la classe
operaia ha oggi un “deficit” di memoria della sua forza e capacità
organizzativa ma qui si esagera. Squinzi gioca a prendere in giro: da un lato
parla di flessibilità retributiva che significa meno soldi a chi lavora e dall’altro
blatera di “tutela del potere d’acquisto”. È noto che i lavoratori da sempre “tutelano”
il loro potere d’acquisto strappando appunto aumenti salariali.
“Quindi sì alla
centralità del contratto nazionale, ma contemporaneamente bisogna valorizzare
il secondo livello, per poter unire redditività
e competitività delle imprese con la
crescita dei salari.” Così riporta il Sole 24 ore di qualche giorno fa. Quindi,
nella sostanza, si ripropone la vecchia storia del contratto nazionale da
mantenere come “cornice”, mentre si punta sulla contrattazione di secondo
livello, e cioè quella azienda per azienda, che dovrebbe legare il salario alla
competitività.
Squinzi entra pure nei dettagli delle
questioni economiche legate all’applicazione dell’Ipca (indice dei prezzi al
consumo armonizzato europeo), che in base all’accordo interconfederale del 2009
è la base per il calcolo dell’inflazione per definire gli aumenti dei contatti
nazionale.
“Quasi tutti i
contratti collettivi nazionali scaduti o in scadenza hanno riconosciuto aumenti
retributivi in misura maggiore rispetto a quanto dovuto, applicando
rigorosamente l’Ipca, a causa dell'andamento negativo dell’inflazione di questi
ultimi anni .” In misura maggiore? E sarebbero aumenti quelli degli ultimi
contratti? Quello dei chimici artigiani, per esempio, prevede 65 euro lordi in
quattro rate! “Per la prima volta oggi accade l’inverso e le nostre controparti
non paiono disposte a riconoscere questa situazione, assolutamente nuova”.
Insomma qui Squinzi si
fa portavoce ufficiale di tutti i padroni che si preparano al rinnovo
contrattuale giustificando il fatto che in questo momento non possono “concedere”
aumenti salariali perché, dicono loro, l’aumento dei prezzi è stato basso, il
2%, mentre gli aumenti precedenti erano stati calcolati al 6%.
E si tratta di una questione,
dice Squinzi, “che va superata da affrontare con onestà e serietà dal
momento che un sistema di relazioni
sindacali fondato sulle regole non può seguire quello che di volta in volta
conviene alla parti.” Da quale pulpito! Proprio di regole parla! Quelle che
i padroni assassini di circa un migliaio di lavoratori all’anno disattendono
quotidianamente…
Ma a Squinzi non basta,
chiede ancora al governo, o ai governi che verranno “una normativa contributiva
e fiscale che sostenga la contrattazione di secondo livello, in modo
strutturale.” Insomma ancora più “certezze” e soldi per i padroni. E siamo
sicuri che Renzi sta già correndo velocemente…
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