Tram, antirazzismo e controinformazione
Ore 8.30 del mattino, Roma. Il tram passa in ritardo e le persone si affollano alla fermata. È ora di punta. Arriva; entriamo accalcandoci e maledicendo chi ci fa viaggiare come animali pronti per il macello. La rabbia esplode, contro l’azienda trasporti, contro i politici e poi, ovviamente contro gli immigrati.
«Ce ne stanno troppi – impreca una poco gentile signora poco distante – li rimandassero a casa».
Mi trova in forma e le spiego che non è colpa degli immigrati se al Comune di Roma in passato hanno assunto solo migliaia di persone in amministrazione ma mancano gli autisti e i meccanici per la manutenzione. Non è colpa degli immigrati se parte solo due terzi dei mezzi in deposito e neanche dei poveri autisti.
Un altro reagisce: «Si ma sti stranieri rubano e ammazzano!».
E io fermo, calmo, ma ridendo e alzando il tono:
«Non mi sembra che a rubare con Mafia Capitale siano stati gli immigrati! Ma vi rendete conto dei soldi che vi hanno fregato in questi anni e che vi continuano a fregare facendovi credere che il problema siano gli immigrati?».
Un’altra risponde – le signore hanno più voglia di reagire:
«Ma non hai visto quanta gente ammazzano, quanta droga vendono, quante case occupano?». E ancora, uno po’ più teso:
«Perché quando sono gli italiani ad ammazzare neanche se ne parlano, perché le partite di droga le gestiscono tutte, perché a occupare le case ci va la povera gente, indipendentemente dal paese di provenienza».
L’ennesima signora reagisce piccata:
«Si ma mia sorella prende 600 euro al mese di pensione e non gli danno la casa popolare e deve pagare un botto di affitto».
E ancora a rispondere: «Ma chi decide che si possano dare pensioni così basse? A chi fa comodo non costruire case popolari ma solo residenziali? Lo sa che in Europa la media dell’edilizia pubblica è del 16% e in Italia è minore del 4%? Sono gli immigrati a non voler far costruire le case popolari e a tenere basse le pensioni?».
Qualcuno annuisce, molti insistono:
«Si però ci rubano il lavoro!».
E ancora alzo la voce:
«Lei ha figli? Se si, ce ne manderebbe uno a raccogliere pomodori per 20 euro al giorno senza contributi lavorando 12 ore sotto il sole e dormendo in baracca?».
Risposta:
«No, i lavoratori debbono avere i diritti garantiti!».
E io:
«Anche gli immigrati?». E l’interlocutore:
«Certo al lavoro dobbiamo essere tutti uguali».
E io con la lama pronta:
«Se no che succede?».
L’anziano signore che insisteva abbassa la testa e dice:
«Se no ce se magnano tutti. Che je frega ai padroni».
Colpito da questo rigurgito di classe insisto:
«Quindi ci dovremmo svegliare tutti?».
Una signora realista scuote la testa rassegnata:
«Se fossimo un paese serio staremmo con le bombe e i forconi davanti al parlamento per cacciarli via sti zozzoni. Ma non avemo spiegato manco ai nostri figli che bisogna ribellasse. Per me non è destra o sinistra, so tutti magnoni. Io a votà nun ce vado, quelli me fanno tutti schifo. Ma se li regazzi nostri nun se movono annamo a finì male tutti, bianchi, neri, gialli e a pallini».
Entra forte un’altra voce:
«I negri sò bravi e lavoreno. Sò i zingheri, i rumeni e l’arabi che me mettono paura. Quelli t’accortellano e te votano casa che manco te n’accorgi! Ma perché nu li mannamo via?».
E ancora con pazienza:
«Se uno è un delinquente va condannato, se non ha fatto niente non po’ esse cacciato perché è rumeno no? Pensi se quanno portavamo la mafia in America o, oggi, le n’drine in Germania, se qualcuno ce dicesse?»
«Eh no l’italiani nun possono entrà».
«Mica semo tutti mafiosi?»
la risposta.
«Manco loro però!»
Azzardo io. Si va avanti. C’è chi scende, chi sale e si immette nella discussione.
«Ma perché vengono tutti qua da noi? – altra signora – perché semo fessi e boni».
«Non è vero - mi scaldo – ma lo sa che in Libano (più piccolo dell’Abruzzo) ci sono dieci volte il numero di immigrati che passa per l’Italia? Lo sa che da qui se ne vogliono andare perché sanno che non c’è futuro e la gente mangia sulle loro spalle? Lo sa che molti scappano per guerre che finanziamo noi? Lo sa che l’Europa ce dà i soldi per accogliere e non si capisce che fine fanno?»
«Perché non vanno ai clandestini?»
esordisce un ragazzo.
«No- reagisco cogliendo l’assist – vanno alle cooperative e ai consorzi che gestiscono la situazione e si mettono in tasc 35 euro al giorno a persona. Vanno ai proprietari dei centri di accoglienza che fanno mancare pure le lenzuola e si intascano i guadagni, tanto, con la scusa dell’emergenza non ci sono neanche seri controlli».
«Se c’era la Lira e nun entravamo in Europa mo stavamo mejo – prova un uomo finora taciturno – in Italia nun entrava nessuno».
«Quindi dobbiamo bombardare le persone in mare? – rispondo – farli affogare con gli altri perché c’è la crisi e non ci sono i soldi per aiutare? Secondo me i soldi ci sarebbero per tutti, solo che ormai ce sembra normale che qualcuno ne abbia tanti e molti non arriviamo a fine mese».
Silenzio… poi uno timidamente mi fa:
«E che famo la rivoluzione?».
Replico a questo punto facile facile:
«Si. Io sono cassaintegrato e non ho niente da perdere e tu? Non sono solo i politici come sento dire ma sono anche quelli che ormai giocano solo in borsa, speculano, fanno affari e portano i soldi all’estero dove non pagano neanche le tasse».
Imbarazzo e poi uno agguerrito che tira fuori la classica:
«Bisogna comincià a sparaje».
Io confuso:
«Agli immigrati?».
«No ai padroni e ai magnaccioni – ribatte- senza sarvanne nessuno».
«Una signora rimasta finora in silenzio bisbiglia:
«Ma che sparà, che ce vanno de mezzo l’innocenti. A questi se je voi fa male je devi levà i sordi e er potere». Ora sono in parecchi ad annuire. Gli immigrati se li sono scordati tutti. Alcuni sono sul tram e guardano sbigottiti la scena. Capolinea. Si scende, sono tornato a leggere quando vengo fermato da una signora elegante con accento straniero:
«Grazie – sussurra- fa piacere sentire uno che ragiona. Io vengo da Ucraina dove per colpa di americani ed europei ora comandano i nazisti e quelli dell’Isis. Tagliano i bambini a metà. Io sono scappata e nell’orrore non ci voglio più tornare. Grazie ancora, anche se alcuni li ha fatti arrabbiare».
La ringrazio e la saluto augurandole buona fortuna e poi mi domando: «Ma se la sola alternativa al martellamento dei tg e dei talk show fosse quella di recuperare la discussione pubblica? Semplice, senza la pretesa di fare il maestro ma costringendo a ragionare, a domandarsi chi siano i veri avversari al proprio benessere. Dovremmo forse tutti e tutte incazzarci più spesso, alzare la voce davanti ad un torto ma affermare anche, senza paura le cose che sappiamo, per riprendere a fare politica su basi di realtà e non su proclami. Entrare nella testa delle tante e dei tanti che alla rappresentanza dei propri interessi, delle ingiustizie subite, dei torti e dei diritti da difendere, non ci crede più. Il mondo dei traditi da un sogno di futuro che non si realizza. Il mondo capace di non dire più “io” ma “noi”, spesso inconsapevolmente comunista con cui dobbiamo continuare a dialogare, in nome appunto dell’ “inconsapevolmente” che potrebbe mutare. Il silenzio uccide, la parola può ancora rompere e irrompere in quello che resta dello spazio pubblico (anche su un tram) e instillare il tarlo del dubbio. Forse così non si cambia il mondo ma senza questa ripresa di parola, ogni tentativo di provarci è destinato alla sconfitta.
Stefano Galieni
Ore 8.30 del mattino, Roma. Il tram passa in ritardo e le persone si affollano alla fermata. È ora di punta. Arriva; entriamo accalcandoci e maledicendo chi ci fa viaggiare come animali pronti per il macello. La rabbia esplode, contro l’azienda trasporti, contro i politici e poi, ovviamente contro gli immigrati.
«Ce ne stanno troppi – impreca una poco gentile signora poco distante – li rimandassero a casa».
Mi trova in forma e le spiego che non è colpa degli immigrati se al Comune di Roma in passato hanno assunto solo migliaia di persone in amministrazione ma mancano gli autisti e i meccanici per la manutenzione. Non è colpa degli immigrati se parte solo due terzi dei mezzi in deposito e neanche dei poveri autisti.
Un altro reagisce: «Si ma sti stranieri rubano e ammazzano!».
E io fermo, calmo, ma ridendo e alzando il tono:
«Non mi sembra che a rubare con Mafia Capitale siano stati gli immigrati! Ma vi rendete conto dei soldi che vi hanno fregato in questi anni e che vi continuano a fregare facendovi credere che il problema siano gli immigrati?».
Un’altra risponde – le signore hanno più voglia di reagire:
«Ma non hai visto quanta gente ammazzano, quanta droga vendono, quante case occupano?». E ancora, uno po’ più teso:
«Perché quando sono gli italiani ad ammazzare neanche se ne parlano, perché le partite di droga le gestiscono tutte, perché a occupare le case ci va la povera gente, indipendentemente dal paese di provenienza».
L’ennesima signora reagisce piccata:
«Si ma mia sorella prende 600 euro al mese di pensione e non gli danno la casa popolare e deve pagare un botto di affitto».
E ancora a rispondere: «Ma chi decide che si possano dare pensioni così basse? A chi fa comodo non costruire case popolari ma solo residenziali? Lo sa che in Europa la media dell’edilizia pubblica è del 16% e in Italia è minore del 4%? Sono gli immigrati a non voler far costruire le case popolari e a tenere basse le pensioni?».
Qualcuno annuisce, molti insistono:
«Si però ci rubano il lavoro!».
E ancora alzo la voce:
«Lei ha figli? Se si, ce ne manderebbe uno a raccogliere pomodori per 20 euro al giorno senza contributi lavorando 12 ore sotto il sole e dormendo in baracca?».
Risposta:
«No, i lavoratori debbono avere i diritti garantiti!».
E io:
«Anche gli immigrati?». E l’interlocutore:
«Certo al lavoro dobbiamo essere tutti uguali».
E io con la lama pronta:
«Se no che succede?».
L’anziano signore che insisteva abbassa la testa e dice:
«Se no ce se magnano tutti. Che je frega ai padroni».
Colpito da questo rigurgito di classe insisto:
«Quindi ci dovremmo svegliare tutti?».
Una signora realista scuote la testa rassegnata:
«Se fossimo un paese serio staremmo con le bombe e i forconi davanti al parlamento per cacciarli via sti zozzoni. Ma non avemo spiegato manco ai nostri figli che bisogna ribellasse. Per me non è destra o sinistra, so tutti magnoni. Io a votà nun ce vado, quelli me fanno tutti schifo. Ma se li regazzi nostri nun se movono annamo a finì male tutti, bianchi, neri, gialli e a pallini».
Entra forte un’altra voce:
«I negri sò bravi e lavoreno. Sò i zingheri, i rumeni e l’arabi che me mettono paura. Quelli t’accortellano e te votano casa che manco te n’accorgi! Ma perché nu li mannamo via?».
E ancora con pazienza:
«Se uno è un delinquente va condannato, se non ha fatto niente non po’ esse cacciato perché è rumeno no? Pensi se quanno portavamo la mafia in America o, oggi, le n’drine in Germania, se qualcuno ce dicesse?»
«Eh no l’italiani nun possono entrà».
«Mica semo tutti mafiosi?»
la risposta.
«Manco loro però!»
Azzardo io. Si va avanti. C’è chi scende, chi sale e si immette nella discussione.
«Ma perché vengono tutti qua da noi? – altra signora – perché semo fessi e boni».
«Non è vero - mi scaldo – ma lo sa che in Libano (più piccolo dell’Abruzzo) ci sono dieci volte il numero di immigrati che passa per l’Italia? Lo sa che da qui se ne vogliono andare perché sanno che non c’è futuro e la gente mangia sulle loro spalle? Lo sa che molti scappano per guerre che finanziamo noi? Lo sa che l’Europa ce dà i soldi per accogliere e non si capisce che fine fanno?»
«Perché non vanno ai clandestini?»
esordisce un ragazzo.
«No- reagisco cogliendo l’assist – vanno alle cooperative e ai consorzi che gestiscono la situazione e si mettono in tasc 35 euro al giorno a persona. Vanno ai proprietari dei centri di accoglienza che fanno mancare pure le lenzuola e si intascano i guadagni, tanto, con la scusa dell’emergenza non ci sono neanche seri controlli».
«Se c’era la Lira e nun entravamo in Europa mo stavamo mejo – prova un uomo finora taciturno – in Italia nun entrava nessuno».
«Quindi dobbiamo bombardare le persone in mare? – rispondo – farli affogare con gli altri perché c’è la crisi e non ci sono i soldi per aiutare? Secondo me i soldi ci sarebbero per tutti, solo che ormai ce sembra normale che qualcuno ne abbia tanti e molti non arriviamo a fine mese».
Silenzio… poi uno timidamente mi fa:
«E che famo la rivoluzione?».
Replico a questo punto facile facile:
«Si. Io sono cassaintegrato e non ho niente da perdere e tu? Non sono solo i politici come sento dire ma sono anche quelli che ormai giocano solo in borsa, speculano, fanno affari e portano i soldi all’estero dove non pagano neanche le tasse».
Imbarazzo e poi uno agguerrito che tira fuori la classica:
«Bisogna comincià a sparaje».
Io confuso:
«Agli immigrati?».
«No ai padroni e ai magnaccioni – ribatte- senza sarvanne nessuno».
«Una signora rimasta finora in silenzio bisbiglia:
«Ma che sparà, che ce vanno de mezzo l’innocenti. A questi se je voi fa male je devi levà i sordi e er potere». Ora sono in parecchi ad annuire. Gli immigrati se li sono scordati tutti. Alcuni sono sul tram e guardano sbigottiti la scena. Capolinea. Si scende, sono tornato a leggere quando vengo fermato da una signora elegante con accento straniero:
«Grazie – sussurra- fa piacere sentire uno che ragiona. Io vengo da Ucraina dove per colpa di americani ed europei ora comandano i nazisti e quelli dell’Isis. Tagliano i bambini a metà. Io sono scappata e nell’orrore non ci voglio più tornare. Grazie ancora, anche se alcuni li ha fatti arrabbiare».
La ringrazio e la saluto augurandole buona fortuna e poi mi domando: «Ma se la sola alternativa al martellamento dei tg e dei talk show fosse quella di recuperare la discussione pubblica? Semplice, senza la pretesa di fare il maestro ma costringendo a ragionare, a domandarsi chi siano i veri avversari al proprio benessere. Dovremmo forse tutti e tutte incazzarci più spesso, alzare la voce davanti ad un torto ma affermare anche, senza paura le cose che sappiamo, per riprendere a fare politica su basi di realtà e non su proclami. Entrare nella testa delle tante e dei tanti che alla rappresentanza dei propri interessi, delle ingiustizie subite, dei torti e dei diritti da difendere, non ci crede più. Il mondo dei traditi da un sogno di futuro che non si realizza. Il mondo capace di non dire più “io” ma “noi”, spesso inconsapevolmente comunista con cui dobbiamo continuare a dialogare, in nome appunto dell’ “inconsapevolmente” che potrebbe mutare. Il silenzio uccide, la parola può ancora rompere e irrompere in quello che resta dello spazio pubblico (anche su un tram) e instillare il tarlo del dubbio. Forse così non si cambia il mondo ma senza questa ripresa di parola, ogni tentativo di provarci è destinato alla sconfitta.
Stefano Galieni
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